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ARTES SCiENTIA VERITAS
fA
^^
ORLANDO FURIOSO.
i:
m'Tf
ORLANDO FURIOSO
liODOVIC^ ARIIMiTO:
PRECEDUTO
DA ALCGRI
PBNSIBRI DI VIMCBIVXO CIOBBRTI ,
K CORREDATO DI NOTE STOHICIIK
E riLOLOGICIIK.
VOI. Il-
TersA E«l»ioB«.
FIRENZE.
FELICE LE MONNIER.
18S4.
ORLANDO FURIOSO.
€MXTO innirTESIlIOQVARXO.
ProTC furiose d* Orlando. Zerbino incontra prigioniero Odorico traditore d'Isa-
bella; gli perdona la vita, ma in pena del fallo gli àk in guardia Gabrina. Va
quindi in traccia d* Orlando, e ne raccoglie le armi disperse sul suolo. Soprav-
viene, insieme con Doralice, Mandricardo che, per la spada del paladino, viene
a battaglia con Zerbino; questi muore per le riportate ferite, e Isabella si ri-
covera presso un romito. Capita poi Rodomonte, che si attacca con Mandri-
cardo; ma la pugna è sospesa da un messaggero di Agramante, che richiama
i due guerrieri sotto Parigi.
Chi mette il pie sa T amorosa pania,
Cerchi rìtrarlo, e non v'inveschi Tale;
Che non è in somma amor se non insania,
A giudizio de' savi universale:
£ sebben come Orlando ognun non smania,
Suo furor mostra a qualch' altro segnale.
E quale è di pazzia segno più espresso,
Che, per altri voler, perder sé stesso?
Vari gli effetti son; ma la pazzia
£ tutt' una però, che li fa uscire.
Gli è come una gran selva, ove la via
Conviene a forza, a chi vi va, fallire:
Chi su chi giù , chi qua chi là travia.
Per concludere, in somma, io vi vo' dire :
A chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,
Si convengono i ceppi e la catena.
K •■
2 ORLANDO FUaiOSO.
3 fien mi si potria dir: Frate, lo vai
L' altrui mostrando» e non vedi il tao fallo.
Io vi rispondo che comprendo assai,
Or che di mente ho lucido intervallo;
Ed ho gran cura (e spero farlo ormai)
Dì riposarmi, e d' uscir fuor di ballo :
Ma tosto far, come vorrei, noi posso;
Ghò '1 male ò penetrato infin air osso.
^ 4 Signor, neir altro Canto io vi dicea
Che '1 forsennato e furioso Orlando
Trattesi V arme e sparse al campo avea,
Squarciati i panni, vìa gettato il brando,
Svelte le piante, e risuonar facea
I cavi sassi e V alte selve ; quando
Alcun' pastori al suon trasse in quel lato
^^ Lor stella, o qualche lor grave peccato.
f^^ 6 Viste del pazzo V incredibil prove
^^« Poi più d'appresso, e la possanza estrema,
V^^ Si voltan per fuggir; ma non sanno ove.
Si come avviene in subitana tema.
* Il pazzo dietro lor ratto si muove :
Uno ne piglia, e del capo lo scema
Con la facilità che torria alcuno
Dall' arbor pome, o vago fior dal pruno.
6 Per una gamba il grave tronco prese,
£ quello usò per mazza addosso al resto.
In terra un paio addormentato stese,
Ch' al novissimo di forse Oa desto :
Gli altri sgombrare subito il paese,
Ch' ebbono il piede e il buono avviso prestò.
Non saria stato il pazzo al seguir lento,
5 Se non eh' era già volto al loro armento.
^ 7 Gli agricoltori, accorti agli altra' esempli,
Lascian nei campi aratri e marre e falci:
Chi monta su le case, e chi sui templi
(Poiché non son sicuri olmi nò salci),
Onde r orrenda furia si contempli,
k Ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
\ Cavalli e buoi rompe, fracassa e strugge;
I £ ben è corridor chi da lui fugge.
CANTO VENTESIMOQUARTO.
8 Già potreste sentir come rìmbombe
V allo ramor nelle propinque ville
D'urli e di comi, rusticane trombe,
E più spesso, che d'altro, il suon di squille:
£ con spuntoni ed archi e spiedi e frombe
Veder dai monti sdrucciolarne mille;
Ed altri tanti andar da basso ad alto.
Per fare al pazzo un villanesco assalto.
9 Qual venir suol nel salso lite V onda
Mossa dair Austro eh' a principio scherza.
Che maggior della prima è la seconda,
£ con più forza poi segue la terza ;
Ed ogni volta più l' umore abbonda,
E noli' arena più stende la sferza :
Tal centra Orlando l' empia turba cresce.
Che giù da balze scende, e di valli esce.
^0 Fece morir diece persone e diece,
Che senza ordine alcun gli andare in mano:
E questo chiaro esperimento fece,
Gh' era assai più sicur starne lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece,
Che Io fere e percuote il ferro invano.
Al conte il Re del ciel tal grazia diede.
Per porlo a guardia di sua Santa Fede.
11 Era a periglio di morire Orlando,
Se fosse di morir stato capace.
Potea imparar eh' era a gittaré il brando,
E poi voler senz' arme essere audace.
La turba già s' andava ritirando,
Vedendo ogni suo colpo uscir fallace.
Orlando, poi che più nessun l' attende.
Verso un borgo di case il cammin prende.
i2 Dentro non vi trovò piccol nò grande
Che '1 borgo ognun per tema avea lasciato.
V erano in copia povere vivande.
Convenienti a un pastorale stato.
Senza il pane discerner dalle glande,
Dal digiuno e dall' impeto cacciato.
Le mani e il dente lasciò andar di botto
In quel che trovò prima, o crudo o cotto.
4 ORLANDO rORIOSO.
i3 E qaindi errando per tatto il paese ,
Dava la caccia e agli uomini e alle fere ;
£ scorrendo pei boschi, talor prese
I capri snelli, e le damme leggere;
Spesso con orsi e con cingiai contese ,
E con man nodo li pose a giacere;
E di lor carne con totta la spoglia
Più volte il ventre empi con fiera voglia.
ié Di qna di là, di sa di giù discorre
Per tntta Francia; e nn giorno a un ponte arriva
Sotto cui largo e pieno d' acqua corre
Un fiume d' alta e di scoscesa riva.
Edificato accanto avea una torre
Che d' ogn' intomo e di lontan scopriva.
Quel che fé quivi» avete altrove a udire;
Che di Zerbin mi convien prima dire.
i6 Zerbin, da poi ch'Orlando fu partito,
Dimorò alquanto, e poi prese il sentiero
^Xr Che '1 paladino innanzi gli avea trito,
^; • E mosse a passo lento il suo destriero.
^V Non credo che duo miglia anco fosse ito,
^ \^ Che trar vide legato un cavaliere
%}''* Sopra un piccol ronzino, e d'ogni lato
^' V La guardia aver d' un cavaliere armato.
f id Zerbin questo prigion conobbe tosto
^ ' Che gli fu appresso, e cosi fé Isabella.
^^ Era Odorico il Bìscaglìn, che posto
Fa come lupo a guardia dell' agnella.
L'avea a tutti gli amici suoi preposto
Zerbino in confidargli la donzella,
Sperando che la fede che nel resto
Sempre avea avuta, avesse ancora in questo.
i7 Come era a punto quella cosa stata
Venia Isabella raccontando allotta:
Come nel palischermo fu salvata, .
Prima ch'avesse il mar la nave rotta;
La forza che l' avea Odorico osata :
E come tratta poi fosse alla grotta.
Nò ginnt' era anco al fin di quel sermone,
Che trarre il malfattor vider prigione.
CINTO VENTESIHOQUàRTO.
iS I duo cb' in mezzo avean preso Odorìco,
W Isabella notizia ebbeno vera;
£ s' avvisaro esser di lei l' amico,
£ '1 signor lor, colui cb' appresso l' era ;
Ma più, cbe nello scudo il segno antico
Yider dipinto di sua stirpe altiera :
£ trovar, poi cbe guardar meglio al viso,
Che s' era al vero apposto il loro avviso.
i9 Saltare a piedi, e con aperte braccia
Correndo se n' andar verso Zerbino,
£ l'abbracciare ove il maggior s'abbraccia,
Col capo nudo, e col ginocchio chino.
Zerbin, guardando Tuno e l'altro in faccia,
Vide esser V un Corebo il Biscaglino,
Almonio l'altro, ch'egli avea mandati
Con Odorico in sul navilio armati.
so Almonio disse : Poiché piace a Dio
(La sua mercè) che sia Isabella teco.
Io posso ben comprender, signor mio,
Che nulla cosa nuova ora t'arreco;
S' io vo' dir la cagion che questo rio
Fa che cosi legato vedi meco;
Che da costei, che più senti l' offesa,
A punto avrai tutta l' istoria intesa.
31 Come dal traditore io fui schernito
Quando da sé levommi, saper dei;
£ come poi Corebo fu ferito,
Ch' a difender s' avea tolto costei.
Ma quanto al mio ritorno sia seguito,
Né veduto né inteso fu da lei,
Che te r abbia potuto riferire :
Di questa parte dunque io ti vo' dire.
22 Dalla cittade al mar ratto io veniva
Con cavalli eh' in fretta avea trovati.
Sempre con gli occhi intenti s' io scopriva
Costor che molto addietro eran restati.
Io vengo innanzi, io vengo in su la riva
Del mare, al luogo ove io gli avea lasciati:
Io guardo, né di loro altro ritrovo.
Che neli' arena alcun vestigio nuovo.
ORLANDO FURIOSO.
I
/ii'7'Ì
ORLANDO FURIOSO
LODOVICO ARIOSTO:
PRECEDUTO
DA ALCCm
PBN9IBRI DI VINCBIVZO OIOBBRTI ,
K COBREDATO Di NOTE STORICHE
E FILOLOGICHE.
VOI. Il-
TeniM Edisioav.
FIRENZK.
FELICE LE MONNIER.
1854.
10 ORLANDO FURIOSO.
43 Di dover servar questo, Zerbin diede
Ad Odorico an giuramento forte.
Con patto che se mai rompe la fede,
E eh' innanzi gli capiti per sorte,
Senza udir prieghi e averne più mercede,
Lo debba far morir di cruda morte.
Ad Almonio e a Gorebo poi rivolto,
Fece Zerbin che fu Odorico sciolto.
44 Gorebo, consentendo Almonio, sciolse
Il traditore al6n, ma non in fretta;
Gh' air uno e air altro esser turbato dolse
Da si desiderata sua vendetta.
Quindi partissi il disleale, e tolse
In compagnia la vecchia maledetta.
Non si legge in Turpin che n' avvenisse ;
Ma vidi già un autor che più ne scrisse.
45 Scrive Fautore, il cui nome mi taccio,
Ghe non furo lontani una giornata,
Ghe per torsi Odorico quello impaccio,
Gontra ogni patto ed ogni fede data.
Al collo di Gabrina gittò un laccio,
£ che ad un olmo la lasciò impiccata ;
£ eh' indi a un anno (ma non dice il loco)
Almonio a lui fece il medesmo gioco.
46 Zerbin, che dietro era venuto all'orma
Del paladin, né perder la vorrebbe,
Manda a dar di sé nuove alla sua torma,
Ghe star senza gran dubbio non ne debbe :
Almonio manda, e di più cose informa,
Ghe lungo il tutto a ricontar sarebbe ;
Almonio manda, e a lui Gorebo appresso;
Nò tien, fuorchò Isabella, altri con esso.
47 Tanf era l' amor grande che Zerbino,
£ non minor del suo quel che Isabella
Portava al virtuoso paladino;
Tanto il desir d'intender la novella,
Gh' egli avesse trovato il Saracino
Ghe del destrier lo trasse con la sella;
Ghe non farà all' esercito ritorno.
Se non finito che sia il terzo giorno;
CANTO VBNTESIMOQUÀRTO. 11
4S n termine eh' Orlando aspettar disse
Il cavalier eh' ancor non porta spada.
Non è alcun luogo dove il conte gisse,
Che Zerbin pel medesimo non vada.
Giunse alfin tra quegli arbori che scrisse
L'ingrata donna, un poco fuor di strada;
E con la fonte e col vicino sasso
Tutti li ritrovò messi in fracasso.
49 Vede lontan non sa che luminoso,
E trova la corazza esser del conte ;
E trova Y elmo poi, non quel famoso
Ch'armò già il capo all'africano Almonte;
Il destrier nella selva più nascoso
Sente a nitrire, e leva al suon la fronte ;
E vede Brigliador p&scer per l'erba,
Che dall' arcion pendente il freno serba.
60 Durindana cercò per la foresta,
E fuor la vide del fodero starse.
Trovò, ma in pezzi, ancor la sopravvesta
Ch' in cento lochi il miser conte sparse.
Isabella e Zerbin con faccia mesta
Stanno mirando, e non san che pensarse:
Pensar potrian tutte le cose, eccetto
Che fosse Orlando fuor dell' intelletto.
61 Se di sangue vedessino una goccia.
Creder potrian che fosse stato morto.
Intanto lungo la corrente doccia
Yider venire un pastorello smorto.
Costui pur dianzi avea di su la roccia
L'alto furor dell'infelice scorto,
Come l'arme gittò, squarciossi i panni,
Pastori accise, e fé mill' altri danni.
62 Costai, richiesto da Zerbin, gli diede
Vera informazion di tatto questo.
Zerbin si maraviglia, e a pena il crede;
E tuttavia n' ha indizio manifesto.
. Sia come vuole, egli discende a piede,
Pien di pleiade, lacrimoso e mesto,
E rìcogliendo da diversa parte
Le reliquie ne va, eh' erano sparte.
12 ORLANDO FURIOSO.
S3 Del palafren discende anco Isabella,
E va qaeir arme ridocendo insieme.
Ecco lor sopravviene una donzella
Dolente in vista ^ e di cor spesso geme.
Se mi domanda alcun chi sìa, perch'olla
Cosi s' affligge, e che dolor la preme ;
Io gli risponderò eh' è Fiordiligi ,
Che dell' amante suo cerca ì vestigi.
64 Da Brandi marte senza farle motto
Lasciata fu nella città di Carlo,
Dov'ella l'aspettò sei mesi ed otto:
E quando alGn non vide ritornarlo.
Da un mare all'altro si mise, fin sotto
Pirone e l'Alpe, e per tutlo a cercarlo :
L'andò cercando in ogni parte, fuore
Gh' al palazzo d' Atlante incantatore.
65 Se fosse stata a queir oslel d'Atlante,
Veduto con Gradasso andare errando
L'avrebbe, con Ruggier, con Bradamante,
E con Ferraù prima , e con Orlando. .
Ma poi che cacciò Astolfo il necromante
Col suon del corno orribile e mirando,
Brandimarte tornò verso Parigi ;
Ma non sapea già questo Fiordiligi.
66 Come io vi dico, sopraggiunta a caso
A quei duo amanti Fiordiligi bella,
Conobbe l'arme, e Brigliador rimaso
Senza il patrone, e col freno alla sella.
Vide con gli occhi il miserabil caso,
E n' ebbe per udita anco novella ;
Che similmente il pastorel narrolle
Aver veduto Orlando correr folle.
67 Quivi Zerbin tutte raguna l' arme,
£ ne fa come un bel trofeo s' un pino ;
E volendo vietar che non se n' arme
Cavalier paesan né peregrino,
Scrive nel verde ceppo in breve carme :
Armatura d* Orlando Paladino ;
Come volesse dir: Nessun la mova.
Che star non possa con Orlando a prova.
CANTO YENTESIMOQCARTO. |3
6% Finito ch'ebbe la lodevol opra,
Tornava a rimontar sul suo destriero ;
Ed ecco Mandricardo arrivar sopra,
Che visto il pin di quelle spoglie altiero ,
Lo priega che la cosa gli discopra :
£ quel gli narra , come ha inteso , il vero.
Allora il re pagan lieto non bada,
Che viene al pino, e ne leva la spada,
59 Dicendo: Alcun non me ne può riprendere:
Non è pur oggi eh' io l' ho fatta mia ;
Ed il possesso gfustamente prendere
Ne posso in ogni parte, ovunque sìa.
Orlando, che temea quella difendere,
S' ha fìnto pazzo, e l' ha gittata via ;
Ma quando sua viltà pur cosi scusi,
Non debbe far eh' io mia ragion non usi.
60 Zerbino a lui gridava: Non la torre >
0 pensa non l' aver senza questione.
Se togliesti cosi l' arme d' Ettorre,
Tu rhai di furto, più che di ragione.
Senz' altro dir V un sopra V altro corre,
D'animo e di virtù gran paragone.
Di cento colpi già rimbomba il suono ;
Né bene ancor nella battaglia sono.
61 Di prestezza Zejbin pare una Gamma
A torsi, ovunque Durindana cada:
Di qua di là saltar come una damma
Fa '1 sub destrier , dove è miglior la strada.
E ben convien che non ne perda dramma ;
Ch' andrà, s'un tratto il coglie quella spada,
A ritrovar gì* innamorati spirti ,
Ch' empion la selva degli ombrosi mirti.
62 Come il veloce can che '1 porco assalta.
Che fuor del gregge errar vegga nei campi,
Lo va aggirando, e quinci e quindi salta;
Ma quello attende eh' una volta inciampi:
Cosi, se vien la spada o bassa od alta,
Sta mirando Zerbin come ne scampi ;
Come la vita e Toner salvi a un tempo,
Tien sempre V occhio, e fiere e fugge a tempo
II. - 2
ORLANDO FURIOSO.
iZ E quindi errando per tatto il paese,
Dava la caccia e agli uomini e alle fere ;
£ scorrendo pei boschi, talor prese
I capri snelli, e le damme leggere;
Spesso con orsi e con cingiai contese,
£ con man nude li pose a giacere;
£ di lor carne con tutta la spoglia
Più volte il ventre empi con fiera voglia.
14 Di qua di là, di sa di giù discorre
Per tutta Francia; e un giorno a un ponte arriva
Sotto cui largo e pieno d' acqua corre
Un fiume d' alta e di scoscesa riva.
Edificato accanto avea una torre
Che d' ogn' intomo e di lontan scopriva.
Quel che fé quivi, avete altrove a udire;
Che di Zerbin mi convien prima dire.
45 Zerbin, da poi cb' Orlando fu partito,
Dimorò alquanto, e poi prese il sentiero
Che '1 paladino innanzi gli avea trito,
£ mosse a passo lento il suo destriero.
Non credo che duo miglia anco fosse ito,
Che trar vide legalo un cavaliere
Sopra un piccol ronzino, e d'ogni lato
La guardia aver d' un cavaliere armato.
ift Zerbin questo prigion conobbe tosto
Che gli fu appresso, e cosi fé Isabella.
Era Odorico il Biscaglin, che posto
Fu come lupo a guardia dell' agnella.
L'avea a tutti gli amici suoi preposto
Zerbino in confidargli la donzella.
Sperando che la fede che nel resto
Sempre avea avuta, avesse ancora in questo.
il Come era a punto quella cosa stata
Venia Isabella raccontando allotta:
Come nel palischermo fu salvata.
Prima cb' avesse il mar la nave rotta ;
La forza che V avea Odorico usata :
k E come tratta poi fosse alla grotta.
^ Nò giunt' era anco al fin di quel sermone,
Che trarre il malfattor vider prigione.
CANTO VENTESIMOQCàRTO.
i$ I duo eh' in mezzo avean preso Odorico,
D'Isabella notìzia ebbeno vera;
E s' avvisaro esser di lei l' amico,
E '1 signor lor, colai eh' appresso l' era ;
Ma più, che nello scodo il segno antico
Yider dipinto di saa stirpe altiera :
E trovar, poi che guardar meglio al viso,
Che s' era al vero apposto il loro avviso.
i9 Saltaro a piedi, e con aperte braccia
Correndo se n' andar verso Zerbino,
E l'abbracciare ove il maggior s'abbraccia,
Gol capo nudo, e col ginocchio chino.
Zerbin, guardando V uno e l'altro in faccia,
Vide esser l'nn Gorebo il Biscagline,
Almonio l'altro, ch'egli avea mandati
Gon Odorico in sul navilio armati.
so Almonio disse : Poiché piace a Dio
(La sua mercè) che sia Isabella teco.
Io posso ben comprender, signor mio,
Ghe nulla cosa nuova ora t'arreco;
S' io vo' dir la cagion che questo rio
Fa che cosi legato vedi meco;
Che da costei, che più senti l' offesa,
A punto avrai tutta l' istoria intesa.
81 Geme dal traditore io fui schernito
Quando da sé levommi, saper dei;
E come poi Gorebo fu ferito,
Gh' a difender s' avea tolto costei.
Ma quanto al mio ritorno sia seguito,
Né veduto né inteso fu da lei,
Ghe te l'abbia potuto riferire:
Di questa parte dunque io ti vo' dire.
32 Dalla cittade al mar ratto io veniva
Gon cavalli eh' in fretta avea trovati.
Sempre con gli occhi intenti s' io scopriva
Gostor che molto addietro eran restati.
Io vengo innanzi, io vengo in su la riva
Del mare, al luogo ove io gli avea lasciati:
Io guardo, né di loro altro ritrovo,
Ghe neir arena alcun vestigio nuovo.
1
iO ORLANDO FUBI090.
73 Fiordiligì , che mal vede difesa
La buona spada del misero conte.
Tacita doolsi ; e tanto le ne pesa,
Che d' ira piange, e battesi la fronte.
Yorria aver Brandimarte a quella impresa ;
E se mai lo ritrova e gli lo conte,
Non crede poi che Mandrìcardo vada
Lunga stagione altier di quella spada.
74 Fiordiligi cercando pure invano
Va Brandimarte suo mattina e sera ;
E fa cammin da lui mollo lontano,
Da lui che già tornalo a Parigi era.
Tanto ella se n' andò per monte e piano.
Che giunse ove, al passar d' una riviera,
Vide e conobbe il miser paladino ;
Ma diciam quel che avvenne di Zerbino :
76 Che il lasciar Durindana si gran fallo
Gli par, che più d' ogni altro mal gì* incresce ;
Quantunque appena star possa a cavallo.
Pel molto sangue che gli è uscito ed esce.
Or, poiché dopo non troppo intervallo
Cessa con Tira il caldo, il dolor cresce:
Cresce il dolor sk impetuosamente,
Che mancarsi la vita se ne sente.
76 Per debolezza più non pelea gire ;
SI che fermossi appresso* una fontana.
Non sa che far, né che si debba dire,
Per aiutarlo, la donzella umana.
Sol di disagio lo vede morire ;
Che quindi é troppo ogni città lontana ,
Dove in quel punto al medico ricorra.
Che per pleiade o premio gli soccorra.
77 Ella non sa, se non invan dolersi.
Chiamar fortuna e il cielo empio e crudele.
Perché, ahi lassai dicea, non mi sommersi
Quando levai nel!' ocean le vele?
Zerbin, che i languidi occhi ha in lei conversi.
Sente più doglia ch'ella si querele,
Che della passion tenace e forte
Che r ha condotto omai vicino a morte.
CANtO VENtESlMOQUÀRTO. l7
78 Cosi, cor mio, vogliate (le diceva),
Dopo ch'io sarò morto, amarmi ancora,
Come solo il lasciarvi è che m' aggreva
Qai senza gaida, e non già perch'io mora:
Che se in sicura parte m' accadeva
Finir della mia vita V ultima ora.
Lieto e contento e fortunato appieno
Morto sarei, poich' io vi moro in seno.
79 Ma poiché '1 mio destino iniquo e duro
Vuol ch'io vi lasci, e non so in man dì cui;
Per questa bocca e per questi occhi giuro,
Per queste chiome onde allacciato fui.
Che disperato nel profondo oscuro
Yo dello 'nferno, ove il pensar di vni,
Ch' abbia cosi lasciata, assai più ria
Sarà d' ogni altra pena che vi sia.
so A questo la mestissima Isabella ,
Declinando la faccia lacrimosa,
E congiungendo la sua bocca a quella
Di Zerbin, languidetta come rosa.
Rosa non colta in sua stagion, si ch'ella
Impallidisca in su la siepe ombrosa.
Disse : Non vi pensate già, mia vita^
Far senza me quest' ultima partita.
81 Di ciò, cor mio, nessun timor vi tocchi ;
Ch' io vo' seguirvi o in cielo o nello 'nferno.
Convien che 1' uno e V altro spirto scocchi ,
Insieme vada, insieme stia in eterno.
Non si tosto vedrò chiudervi g|^ occhi,
0 che m' ucciderà il dolore interno,
0, se quel non può tanto, io vi prometto
Con questa spada oggi passarmi il petto.
82 De* corpi nostri ho ancor non poca speme»
Che mormorti, che vivi, abbian ventura.
Qui forse alcun capiterà, eh' insieme,
Mosso a pietà, darà lor sepoltura. ^
Cosi dicendo, le reliquie estreme
Dello spirto vilal che morte fura.
Va ricogliendo con le labbra meste,
Fin eh' una minima aura ve ne reste.
2*
18 ORLANDO FURIOSO.
83 Zerbin, la debol voce rìforzando.
Disse: Io vi prìego e supplico, mia diva,
Per quello amor che mi mostraste, quando
^: Per me lasciaste la paterna riva ;
E se comandar posso, io ve '1 comando,
": Che, finché piaccia a Dio, restiate viva ;
^ Né mai per caso pogniate in obblio,
^t Che, quanto amar si può, v'abbia amato io.
fj< 84 Dio vi provvedere d' aiuto forse,
li^ ' Per liberarvi d' ogni atto villano,
^ Come fé quando alla spelonca torse,
Il Per indi trarvi, il senator romano.
|:; Cosi (la sua mercè) già vi soccorse
^^ Nel mare, e centra il fiiscaglin profano :
ii| ' ' E se pure avverrà che poi si deggia
^r Morire, allora il minor mal s' eleggia.
^: . 85 Non credo che quest' ultime parole
1^ r ^ Potesse esprimer si, che fosse inteso;
|if E fini come il debol lume suole,
^^ Cui cera manchi, od altro in che sia acceso.
Chi potrà dire appien come si duole,
Poiché si vede pallido e disteso,
La giovanotta, e freddo come ghiaccio
Il suo caro Zerbin restare in braccio?
86 Sopra il sanguigno corpo s' abbandona,
E di copiose lacrime lo bagna ;
E stride si, eh' intorno ne risuona
A molte miglia il bosco e la campagna.
Né alle guance né al petto si perdona.
Che r nnS e V altro non percuota e fragna ;
E straccia a torto V auree crespe chiome,
Chiamando sempre invan V amato nome.
87 In tanta rabbia, in tal furor sommersa *
V avea la doglia saa, che facilmente
Avria la spada in sé stessa conversa.
Poco al suo amante in questo ubbidiente ;
S' uno eremita, eh' alla fresca e tersa
Fonte avea usanza di tornar sovente
Dalla sua quindi non lontana cella,
Non s' opponea, venendo, al voler d' ella.
CANTO VENTESIMOQUARTO. 19
SS II venerabìl nom, eh' alta bontade
Avea coDgionta a naturai pradenzia,
Ed era tatto pien di carìtadOt
Di baoni esempi ornato e d' eloqaenzìa, ^
Alla giovan dolente persuade |!
Con ragioni efiScaci pazienzia ;
Ed innanzi le pon, come ano specchio,
Donne del Testamento e nuovo e vecchio.
89 Poi le fece veder, come non fusse
Alcun, se non in Dio, vero contento ;
E eh' eran V altre transitorie e flusso
Speranze umane, e di poco momento :
E tanto seppe dir, che la ridusse
Da quel crudele ed ostinato intento,
Che la vita seguente ebbe disio
Tutta al servigio dedicar di Dio.
90 Non che lasciar del suo signor voglia unque
Né '1 grande amor, né le reliquie morte :
Gonvien che l' abbia ovunque stia , ed ovunque
Vada, e che seco e notte e di le porte.
Quindi aiutando V eremita dunque,
Ch' era della sua età valido e forte.
Sul mesto suo destrier Zerbin posare,
E molti di per quelle selve andare.
91 Non volse il cauto vecchio ridnr seco.
Sola con solo, la giovane bella
Là dove ascosa in un selvaggio speco
Non lungi avea la solitaria cella ;
Fra sé dicendo : Con periglio arreco
In una man la paglia e la facella.
Né si fida in sua età nò in sua prudenziai
Che di sé faccia tanta esperienzia.
92 Di condurla in Provenza ebbe pensiero,
Non lontano a Marsilia in un castello,
Dove di sante donne un monastero
Ricchissimo era, e di edificio bello :
E per portarne il morto cavaliero.
Composto in una cassa aveano quello.
Che in un caslel, eh' era tra via, si fece
Lunga e capace, e ben chiusa di pece.
20 ORLANDO FURIOSO.
93 Più e più giorni gran spazio di terra
Cercaro» e sempre per lochi più incaltiy
Che pieno essendo ogni cosa di guerra,
Yoleano gir più che poteano occulti.
Alfin un cavalier la via lor serra»
Che lor fé oltraggi e disonesti insulti ;
Di cui dirò quando il suo loco fia :
Ma ritorno ora al re di Tartaria.
94 Avuto eh' ebbe la battaglia il fine
Che già v' ho detto, il gìovin si raccolse
Alle fresche ombre e air onde cristalline,
Ed al destrier la sella e '1 freno tolse,
£ lo lasciò per V erbe tenerine
Del prato andar pascendo ov' egli volse :
Ma non stè molto, che vide lontano
Calar dal monte un cavaliere al piano.
95 Conobbel, come prima alzò la fronte,
Doralice, e mostrollo a Mandricardo,
Dicendo: Ecco il superbo Rodomonte,
Se non m' inganna di lontan lo sguardo.
Per far teco battaglia cala il monte :
Or ti potrà giovar V esser gagliardo.
Perduta avermi a grande ingiuria tiene,
Ch' era sua sposa, e a vendicar si viene.
96 Qual buono astor che V anitra o Tacceggia,
Starna o colombo o simil altro augello
Venirsi incontra di lontano veggia,
Leva la testa, e si fa lieto e bello;
Tal Mandricardo, come certo deggia
Di Rodomonte far strage e macello.
Con letizia e baldanza il destrier piglia,
Le staffe ai piedi, e dà alla man la briglia.
97 Quando vicini fur si, ch'udir chiare
Tra lor poteansi le parole altiere.
Con le mani e col capo a minacciare
Incominciò gridando il re d'Algiere,
Ch' a penitenza gli farla tornare.
Che per un temerario suo piacere .
Non avesse rispetto a provocarsi
Lui eh' altamente era per vendicarsi.
1
CANTO VENTESIMOQUARTO. 2l
98 Rispose Mandricardo : Indarno tenta
Chi mi vuol impaurir per minacciarme.
Cosi fanciulli o femmine spaventa,
0 altri che non sappia che sieno arme ;
Me non, cui la battaglia più talenta
D' ogni riposo; e son per adoprarme
A pie, a cavallo, armato e disarmato.
Sia alla campagna, o sia nello sleccato.
99 Ecco sono agli oltraggi, al grido, all'ire.
Al trar de' brandi , al crudel suon de' ferri ;
Come vento che prima appena spire.
Poi cominci a crollar frassini e corri ;
Et indi oscura polve in cielo aggiro.
Indi gli arbori svelta, e case atterri,
Sommerga in mare, e porti ria tempesta
Che il gregge sparso uccida alla foresta.
iOO De' duo pagani, senza pari in terra,
Gli audacissimi cor, le forze estreme
Parturiscono colpi ed una guerra
Conveniente a sì feroce seme.
Del grande e orribil suon trema la terra,
Quando le spade son percosse insieme :
Gettano l' arme insin al ciel scintille ,
Anzi lampadi accese a mille a mille.
iOi Senza mai riposarsi o pigliar fiato
Dura fra quei duo re l'aspra battaglia.
Tentando ora da questo, or da quel lato
Aprir le piastre, e penetrar la maglia.
Né perde l' un, né l' altro acquista il prato ;
Ma come intorno sian fosse o muraglia,
0 troppo costi ogni oncia di quel loco,
Non si parton d' un cerchio angusto e poco.
d02 Fra mille colpi il Tartaro una volta
Colse a duo mani in fronte il re d'Algiere,
Che gli fece veder girare in volta
Quante mai furon fiaccole e lumiere.
Com'ogni forza all' African sia tolta,
Le groppe del destrier col capo fere :
Perde la staffa, ed è, presente quella
Che cotant' ama, per uscir di sella.
22 ORLANDO FURIOSO.
i03 Ma come ben composto e valido arco
Dì fino acciaio, in buona somma greve.
Quanto si china più, quanto è più carco
E più lo sforzan martinelli e lieve,
Con tanto più furor, quando è poi scarco,
Ritorna, e fa più mal che non riceve ;
Cosi quello African tosto risorge,
E doppio il colpo all' inimico porge.
^k- 404 Rodomonte a quel segno ove fu colto,
r> Colse appunto il figliool del re Agrìcane.
^^ Per questo non potò nuocergli al volto,
^ Gh' in difesa trovò l' arme troiane ;
% Ma stordi in modo il Tartaro, che molto
1^; Non sapea s' era vespero o dimane.
XY L'irato Rodomonte non s'arresta,
^ < Che mena l' altro, e pur segna alla testa.
'^.
"^^ 405 11 cavallo del Tartaro, eh' abborre
^v La spada che fischiando cada d'alto,
^- Al suo signor, con suo gran mal, soccorre :
1> Perché s' arretra per fuggir d* un salto,
"'-. lì brando in mezzo il capo gli trascorre,
'^\ Ch' al signor, non a lui, movea l' assalto.
11 miser non avea V elmo di Troia,
Come il patrone ; onde convien che muoia.
i06 Quel cade, e Mandricardo in piedi guizza.
Non più stordito, e Durindana aggira.
Veder morto il cavallo entro gli adizza,
E fuor divampa un grave incendio d' ira.
L' African, per urtarlo, il deslrier drizza;
Ma non più Mandricardo si ritira.
Che scoglio far soglia dall' onde: e avvenne
Che '1 destrier cadde, ed egli in piò si tenne.
107 L' African, che mancarsi il destrier sente.
Lascia le staffe, e su gli arcion si penta,
E resta in piedi e sciolto agevolmente : ,
Cosi r un r altro poi di pari affronta.
La pugna più che mai ribolle ardente ;
E r odio e r ira e la superbia monta ;
Ed era per seguir ; ma quivi giunse
In fretta un messaggier che li disgiunse.
CANTO VENTESIMOQUARTO. 23
108 Vi giunse un messaggier del popol moro.
Di molti che per Francia eran mandati
A richiamare agli stendardi loro
I capitani e i cavalier privati;
Perché V imperator dai gigli d' oro
Gli avea gli alloggiamenti già assediati ;
£ se non è il soccorso a venir presto ,
V eccidio suo conosce manifesto.
i09 Riconobbe il messaggio i cavalieri,
Oltre all'insegne, oltre alle sopravveste,
Al girar delle spade, e ai colpi fieri
Ch' altre man non farebbono che queste.
Tra lor però non osa entrar, che speri
Che fra tant' ira sicurtà gli preste
L' esser messo del re ; né si conforta
Per dir, eh' imbasciator pena non porta :
110 Ma viene a Dorallce, ed a lei narra
Ch'Agramante, Marsilio e Slordilano,
Con pochi dentro a mal sicura sbarra
Sono assediati dai popol cristiano.
Narrato il caso, con prieghi ne inarra
Che faccia il tutto ai duo guerrieri piano ,
E che gli accordi insieme, e per lo scampo
Del popol saracìn li meni in campo.
IH Tra i cavalier la donna di gran core
Si mette, e dice loro: Io vi comando,
Per quanto so che mi portate amvre.
Che riserbiate a miglior uso il brando,
E ne vegnate subito in favore
Del nostro campo Saracino, quando
Si trova ora assediato nelle tende,
E presto aiuto o gran ruina attende.
112 Indi il messo soggiunse il gran periglio
Dei Saracinì, e narrò il fatto appieno;
E diede insieme lettere del figlio
Del re Troiano al figlio d' Ulieno.
Si piglia finalmente per consìglio,
Che i duo guerrier, deposto ogni veneno^
Facciano insieme triegna infino al giorno
Che sia tolto l'assedio ai Mori intorno;
24 ORLANDO FURIOSO.
ii3 E senza più dimora, come pria
Liberato d'assedio, abbian lor gente,
Non s'intendano aver più compagnia,
Ma crudel guerra e inimicizia ardente.
Finché con i' arme difiinito sia
Chi la donna aver de' meritamente.
Quella, nelle cai man giurato fue,
Fece la sicurtà per amendue.
ii4 Quivi era la Discordia impaziente,
Inimica di pace e d'ogni tregua;
£ la Superbia v' è, ohe non consente
Né vuol patir che tale accordo segna.
Ma più di lor può Amor quivi presente,
Di cui l'alto valor nessuno adegua;
£ fé eh' indietro, a colpi di saette,
£ la Discordia e la Superbia stette.
u& Fu concluso la tregua fra costoro,
Si come piacque a chi di lor potea.
Vi mancava uno dei cavalli loro ;
Che morto quel del Tartaro giacea:
Però vi venne a tempo Brigliadoro,
Che le fresch' erbe lungo il rio pascea.
Ma al fin del Canto io mi trovo esser giunto;
Si eh' io farò, con vostra grazia, ponto.
VOTE.
St. 19, V. Z.—El'abbracciaro ove
il maggior ^'abbraccia; sotto l'anca,
come fi ^ veduto nella St. 69 del Can-
to XVI li Grifone aver fatto al re di
Damasco.
St, 23. V. 1-8. — La pesta: le or-
me.— Greppi: laoghi dirupati, scoscesi.
St. *òò. V. b, — Bignando, da W-
gnare o ringhiare: dicesi propriamente
de'eanij ma è stato anche appropriato
a' cavalli, invece di nitrire.
St. 3S. 9. S.— Si reiette: fi fa ri-
cadere.
St. 39. V. 5. — Bintesto: perdonato.
St. 47. V. 6-6. — // Saracino ee.f
Mandricardo.
St. 49. V. 3-4.— J^ trova t elmo
poi, non quel famoso ec.j perchè di quel
famoso se n' era già impadronito i'erraù. .
Vedi Canto XII, St. 60.
St.H.v.%. — La selva degli om»
brosi mirti: favoleggiata da Virgilio
nel VI dell'Eneide, per sede deir anime
degli uccisi per cagion d* amore.
St. 64. V. 4-8 — Piastra : arma,
dura di dosso. -^ Panmiron t armadur»
CANTO VENTESIMOQCARTO.
25
della pancia. — Corazza : armadnra
tkl basto, aUrìmenti coria/e<lo. — Ar^
ciane : parte della sella , fatta a guisa
d*aTco. — Arnese f nome generico che
può adattarsi ad ogni parte dell' arma-
dura.
St, 65. t^. i.' Gli danna: gli dan-
Si. 66. P. 1-4. — Così talora ee.
Comparasione cbe il Poeta ha tratta da
un uastro che, attorniando il polso della
sua donna « rendeva distinta la di lei
roano dalla manica di drappo ò' argento
die TestÌTale il braccio.
SL 69. p. 6.-^Srac€iah parte
dell' armadura cbe difende il braccio.
Si. 89. <f. 9.-^ Flusso f labili,
cadoche.
St, 96. vA.—'Àeeoggia: beccaccia.
Su 98. p, ò Talentai aggrada,
▼a a genio.
Su 101 . V. 8. — Poco: di poca esten-
sione.
St, 103. V, A.^RrarUnellit ordigni
da sollevar pesi.
St. 110. p. b.— rinarrai qui inu
pegna.
St, 111. v. 6. — Qnandùt mentre.
SI. 115. V. t.-—A chi di lorpotear
a chi era signora di loro.
CAISTO TEJVTESIHOQIJIIVTOe
Ruggiero , dopo avere gettato nel posso lo scudo ipcantato, libera Ricciardetto
fratello di Bradamante dal fuoco a cui era condannato; e ha da lui la storia
dell' avventura cbe fu cagione della condanna. Passano quindi amendoe in
Agiismonte, dove Ruggiero dli di kè notizia a Bradamante per lettera; e in
compagnia di Ricciardetto e d' Aldigiero s' incammina ad impedire cbe Ma-
lagigi « Viviano sieno dati nelle mani dei Magansesi. Incontro di un cava-
liero aol luogo ove far si dovea la consegna.
Oh gran contrasto in giovenìl pensiero ,
Desir di lande, ed impeto d'amerei
N^, chi più vaglia, ancor si trova il vero;
Che resta or questo or quel superiore.
Neir uno ebbe e nell* altro cavaliere
Quivi gran forza il debito e V onore ;
Che r amorosa lite s' intermesse,
Finché soccorso il campo lor s' avesse.
8
20 ORLANDO FCBIOSO.
2 Ma più ve Y ebbe Amor': che se non era
Che COSÌ comandò la donna loro,
Non si sciogliea quella battaglia fiera ,
Che r nn n' avrebbe il trionfale alloro ;
Ed Agramante invan con la sua schiera .
L' aiuto avria aspettato di costoro.
Dunque Amor sempre rio non si ritrova :
Se spesso nuoce, anco talvolta giova.
3 Or r uno e V altro cavalier pagano ,
Che tutti ha differiti i suoi litìgi ,
Va, per salvar V esercito africano,
Con la donna gentil verso Parigi ;
£ va con essi ancora il piccol nano
Che seguitò del Tartaro i vestigi,
Finché con lui condotto a fronte a fronte
Avea quivi il geloso Rodomonte.
4 Capitare in un prato, ove a diletto
Erano cavalier sopra un ruscello,
Duo disarmati, e duo ch*avean l'elmetto,
E una donna con lor di viso bello.
Chi fosser quelli, altrove vi fia detto:
Or no, che di Ruggier prima favello;
Del buon Ruggier, di cui vi fu narrato
Che lo scudo nel pozzo avea gittate.
6 Non è dal pozzo ancor lontano un miglio.
Che venire un corrier vede in gran fretta.
Di quei che manda di Troiano il figlso
Ai cavalieri onde soccorso aspetta ;
Dal qual ode che Carlo in tal perìglio
La gente saracina tien ristretta,
Che se non è chi tosto le dia aita,
Tosto r onor vi lascierà o la vita.
6 Fu da molti pensier ridutto in forse
Ruggier, che tutti V assalirò a un tratto :
Ma qual per lo miglior dovesse torse.
Né luogo avea né tempo a pensar atto.
Lasciò andare il messaggio, e '1 freno torse
Là dove fu da quella donna tratto,
Ch'ad or ad or in modo egli affrettava,
Che nessun tempo d' indugiar le dava.
CANTO VENTESIMOQOINTO. 27
7 Qaindi seguendo il cammin preso, venne
(Già declinando il Sole) ad una terra
Che '1 re Marsilio in mezzo Francia tenne,
Tolta di man di Carlo in quella guerra.
Né al ponte né alla porta si ritenne,
Che non gli nìega alcuno il passo o serra,
fiench' intorno al rastrello e in su le fosse
Gran quantità d' uomini e d' arme fosse.
8 Perch'era conosciuta dalla gente
Quella donzella ch'avea in compagnia,
Fu lasciato passar liberamente.
Né domandato pure onde venia.
Giunse alla piazza, e di fuoco lucente,
£ piena la trovò di gente ria ;
E vide in mezzo star con viso smorto
il giovine dannato ad esser morto.
9 Rnggier, come gli alzò gli occhi nel viso,
Che chino a terra e lacrimoso stava.
Di veder Bradamante gli fu avviso :
Tanto il giovine a lei rassimigliava.
Più dessa gli parea, quanto più fiso
Al volto e alla persona il riguardava;
E fra sé disse: O questa è Bradamante,
0 ch'io non son Ruggier, com'era innante.
10 Per troppo ardir si sarà forse messa
Del garzon condennato alla difesa;
E poiché mal la cosa Té successa.
Ne sarà stata, come io veggo, presa.
Deh perché tanta fretta, che con essa
lo non potei trovarmi a questa impresa?
Ma Dio ringrazio che ci son venuto,
Ch' a tempo ancora io potrò darle aiuto.
li E senza più indugiar, la spada stringe
(Ch' avea all' altro castel rotta la lancia),
E addosso il vulgo inerme il destrier spinge
Per lo petto, pei Oanchi e per la pancia.
Mena la spada a cerco ; ed a chi cinge
La fronte, a chi la gola, a chi la guancia.
Fugge il popol gridando ; e la gran frotta
Resta 0 sciancata, o con la testa rotta.
2S OBLANDO FURIOSO.
12 Come stormo d'auge!, ch'in ripa a un stagno
Vola sicuro, e a sua pastura attende,
S' improvviso dal elei falcon grifagno
Gli dà nel mez^o, ed un ne batte o prende,
Si sparge in fuga, ognun lascia il compagno,
E dello scampo suo cura si prende :
Cosi veduto avreste far costoro.
Tosto che '1 buon Ruggier diede fra loro.
13 A quattro o sei dai colli i capi netti
Levò Ruggier, ch'indi a fuggir fur lenti:
Ne divise altrettanti inOn ai petti.
Fin agli occhi infiniti e fin ai denti.
Concederò che non trovasse elmetti,
Ma ben dì ferro assai cuffie lucenti :
£ s'elmi fini anco vi fosser stati.
Cosi gli avrebbe, o poco men, tagliati.
ié La forza di Ruggier non era quale
Or si ritrovi in cavalier moderno.
Né in orso né in leon né in .animale
Altro più fiero, o nostrale od esterno.
Forse il tremuoto le sarebbe uguale.
Forse il gran diavol; non quel dello 'nferno,
Ma quel del mìo signor, che va col fuoco,
Ch' a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.
i5 D' ogni suo colpo mai non cadea manco
D' un uomo in terra, e le più volte un paio;
£ quattro a un colpo, e cinque n' uccìse anco ;
Si che si venne tosto al centinaio.
Tagliava il brando che trasse dal fianco,
Come un tenero latte, il duro acciaio.
Falerina, per dar morte ad Orlando,
Fé nel giardin d' Orgagna il crudel brando.
16 Averlo fatto poi ben le rincrebbe,
Che '1 suo giardin disfar vide con esso.
Che strazio dunque , che ruina debba
Far or, eh' in man di tal guerriero è messo?
Se mai Ruggier furor, se mai forza ebbe,
Se mai fu l' alto suo valore espresso,
Qui l'ebbe, il pose qui, qui fu veduto.
Sperando dare alla sua donna aiuto.
CANTO TENTESIUOQUINXO. 29
i7 Qaal fa la lepre centra i cani sciolti,
Facea la torba contra lai riparo.
Qaei che restaro uccisi, foro molti ;
Faro inOniti qaei eh' in foga andaro.
ATea la donna intanto i lacci tolti ,
Gh' ambe le mani al giovine legare ;
E, come potè meglio, presto armollo.
Gli die una spada in mano, e un scado al collo.
18 Egli che molto è offeso, più che paote
Si cerca vendicar di quella gente :
E quivi son si le sue forze note,
Che riputar si fa prode e valente.
Già avea attaffato le dorate ruote
Il Sol nella marina d'occidente,
Quando Ruggier vittorioso e quello
Giovine seco uscir fuor del castello.
19 Quando il garzon sicuro della vita
€on Ruggier si trovò fuor delle porte i
Gli rendè molta grazia ed infinita
Con gentil modi e con parole accorte,
Che, non lo conoscendo, a dargli aita
Si fosse messo a rischio della morte :
E pregò che '1 suo nome gli dicesse,
Per sapere a «hi tanto obbligo avesse.
20 Veggo, dicea Ruggier, la faccia bella,
E le belle fattezze e '1 bel sembiante ;
Ma la suavità della favella
Non odo già della mia Rradamante ;
Né la relazion di grazie è quella
Ch' ella usar debba al suo fedele amante.
Ila se pur questa è Rradamante, or come
Ha si tosto in obblio messo il mio nome ?
21 Per ben saperne il certo, accortamente
Ruggier le disse : Io v' ho veduto altrove ;
Ed ho pensato e penso, e finalmente
Non so né posso ricordarmi dove.
Ditemei voi, se vi ritorna a mente;
£ fate che '1 nome anco udir mi giove.
Acciò che saper possa a cui mia aita
Dal fuoco abbia salvata oggi la vita.
3*
35 ORLANDO FURIOSO.
22 Che voi m' abbiate visto esser potrìa^
Rispose quel, che non so dove 0 qoando.
Ben vo pel mondo anch' io la parte mia.
Strane avventare or qaa or là cercando.
Forse nna mia sorella stata fia»
Che veste Tarme, e porta a lato il brando ;
Che nacque meco, e tanto mi somiglia.
Che non ne può discerner la famiglia.
23 Né primo né secondo né beh quarto
Sete di quei ch'errore in ciò preso hanno:
Nò '1 padre nò i fratelli nò chi a un parto
Ci produsse ambi, scernere ci sanno.
Gli é ver che questo crìn raccorcio e sparto
Ch' io porto, come gli altri uomini fanno.
Ed il suo lungo e in treccia al capo avvolta.
Ci solea far già differenzia molta :
24 Ma poi eh' un giorno ella ferita fa
Nel capo (lungo saria a dirvi come),
£ per sanarla un servo di Gesù
A mezza orecchia le tagliò le chiome ;
Alcun segno tra noi non restò più
Di differenzia, fuorché '1 isesso e '1 nome.
Ricciardetto son io, Bràdamante ella ;
Io fratel di Rinaldo, essa creila.
26 E se non v' increscesse l' ascoltarmi.
Cosa direi che vi faria stupire.
La qual m^ occorse per assimigliarmi
A lei, gioia al princìpio, e al fin martire.
Ruggiero, il qual più graziosi carmi,
Più dolce istoria non potrebbe udire,
Che dove alcun ricordo intervenisse
Della sua donna, il pregò si , che disse :
26 Accadde a questi di, che piei vicini
Boschi passando la sorella mia,
Ferita da ano stuol di Saracini
Che senza l'elmo la trovar per via,
Fa di scorciarsi astretta i lunghi crini,
Se sanar volse d' una piaga ria
Ch' avea con gran periglio nella testa^
E cosi scorcia errò peir la foresta.
CANTO VENTESIMOQUINTO. 3t
27 Errando giunse ad un' ombrosa fonte ;
£ perchè^ afflitla e stanca ritròvosse ,'
pài de^trier scese, e disarmò la fronte ,
£ su le tenére erbe addormentosse.
Io non credo che favola si conte,
Che pia di questa istoria bella fosse. .
Fiordispìna di Spagna soprarriva,
Che per caccjar nel bosco né veniva.
ss £ quando, ri trovò la mia sìroccbia
Tutta coperta d* arme, eccetto il viso,
Ch' avea la spada in luogo di conocchia,
Le fu vedere un cavaliere avviso.
La faccia e le viril fattezze adocchia
Tanto, che se ne sente il cor conquiso.
La invita a caccia, e tra T ombrose fronde
Lange dagli altri alfin seco s' asconde.
39 Poi che r ha seco in solitario loco ,
Dove non teme d' esser sopraggiunta,
Con atti e con parole a poco a poco
Le scopre il fisso cor di grave punta.
Con gli occhi ardenti e coi sospir di fuoco
Le mostra V alma di disio consunta.
Or si scolora in viso, or si raccende :
Tanto s' arrischia, eh' un bàcio ne prende.
30 La mia sorella avea ben conosciuto
Che questa donna in cambio l' avea tolta:
Né dar poteale a quel bisogno aiuto,
E si trovava in grande impaccio avvolta.
Gli è meglio, dicea seco, »' io rifiuto
Questa avuta di me credenza stolta,
£ s' io mi mostro femmina gentile,
Che lasciar riputarmi un nomo vile.
3i £ dicea il ver ; eh' era viltade espressa, .
Conveniente a un nom fatto di stocco.
Con cui si bella donna fosse messa ,
Piena di dolce e di nettareo succo,
£ tuttavia stesse a parlar con essa.
Tenendo basse l' ale come il cucco.
Con modo accorto ella il parlair ridusse^
Che venne a dir come donzella fusse,
32 ORLANDO FURIOSO.
32 €he gloria 9 qaal già Ippolita e CamiUa,
Cerca nell' arme ; e in Africa era nata
y.. In lito al mar, nella città d'Arzilla,
.^ A scado e a lancia da fanciulla osata.
p Per questo non si smorza una sclntillia
•ì Del fuoco della donna innamorata.
"$' ^ ^ Questo rimedio all' alta piaga è tardo :
Tant' avea Amor cacciato innanzi il dardo.
|:^
33 Per questo non le par men bello il viso,
Men bel lo sguardo, e men belli i costumi ;
Per ciò non torna il cor che, già diviso
Da lei, godea dentro gli amati lumi.
Vedendola in quell'abito, l'è avviso
Che può far che '1 desir non la consumi ;
£ quando eh' ella è pur femmina pensa.
Sospira e piange, e mostra doglia immensa.
34 Chi avesse il suo rammarico e '1 suo pianto
Quel giorno udito, avria pianto con lei.
Quai tormenti, dicea, furon mai tanto
Crudel, che più non sian crudeli i miei? .
D'ogni altro amore, o scellerato o santo,
Il desiato fin sperar potrei ;
Saprei partir la rosa dalle spine :
Solo il mio desiderio è senza fine.
35 Se pur volevi. Amor, darmi tormento,
Che t' increscesse il mio felice stato,
D' alcun martir dovevi star contento.
Che fosse ancor negli altri amanti usato.
Né tra gli uomini mai né tra l'armento.
Che femmina ami femmina ho trovato :
Non par la donna all'altre donne bella.
Né a cervie cervia, né all'agnello agnella.
86 In terra, in aria, in mar sola son io
Che patisco da te si duro scempio;
E questo hai fatto acciò che l' error mio
Sia nell' imperio tuo l' ultimo esempio.
La moglie del re Nino ebbe disio.
Il figlio amando, scellerato ed empio,
£ Mirra il padre, e la Cretense il toro;
Ma gli è più folle il mio, eh' alcun dei loro.
. CANTO VENTESIMOOtlNTO. 33
87 La femmina nel maschio fé disegno,
Speronne il fine, ed ehbelo, come odo:
Pasife nella vacca entrò di legno ;
Altre per altri mezzi, e vario modo.
Ma se volasse a me con ogni ingegno
Dedalo, non potria scioglier quel nodo,
Che fece il mastro troppo diligente^
Natura d' ogni cosa più possente.
38 Cosi si daole, e si consuma ed ange
La bella donna, e non s'accheta in fretla.
Talor si batte il viso, e il capei frange,
£ di sé centra sé cerca vendetta.
La mia sorella per pietà ne piange.
Ed è a sentir di quel dolor constretta.
Del folle e van disio si studia trarla ; N,,^
Ma non fa alcun profitto, e in vano parla.^^
30 Ella, eh' aiuto cerca e non conforto,
Sempre più si lamenta e più si duole.
Era del giorno il termine ormai corto,
Che rosseggiava in occidente il sole,
.Ora opportuna da ritrarsi in porto,
A chi la notte al bosco star non vuole.
Quando la donna invitò Bradamante
A questa terra sua poco distante.
40 Non le seppe negar la mia sorella,
E cosi insieme ne vennero al loco,
Dove la turba scellerata e fella
Posto m' avria, se tu non v' eri, al fuoco.
Fece là dentro Fiordispina bella
La mia si rocchi a accarezzar non poco ;
E rivestita di femminil gonna,
Conoscer fé a ciascun eh' ella era donna.
41 Però che conoscendo che nessuno
Util traea da quel virile aspetto.
Non le parve anco di voler eh' alcuno
fiiasmo di sé per questo fosse detto :
Fello anco, acciò che '1 mal eh' avea dell' uno
Virile abito, errando, già concetto.
Ora con l'altro, discoprendo il vero.
Provasse di cacciar fuor del pensiero.
34 ORLANDO FURIOSO.
42 Comune il Ietto ebbon la notte insieme,
Ma molto differente ebbon riposo;
Che r una dorme, e V altra piange e gemo.
Che sempre il suo dìsir sia più focoso.
£ se '1 sonno talor gli occhi le preme.
Quel breve sonno è tutto immaginoso:
Le par veder che '1 ciel V abbia concesso
Bradamante cangiata in miglior sesso.
43 Come r infermo acceso di gran sete,
S'in quella ingorda voglia s'addormenta,
Neir interrotta e turbida quiete,
D' ogni acqua che mai vide si rammenta;
Così a costei di far sue voglie liete
L* immagine del sonno rappresenta.
Si desta; e nel destar mette la mano,
£ ritrova pur sempre il sogno vano.
44 Quanti prieghi la notte, quanti voti
Offerse al suo Macone e a tutt'i Dei,
Che con miracoli apparenti e noti
Mutassero in miglior sesso costei !
Ma tutti vede andar d' effetto voti ;
£ forse ancora il ciel ridea di lei.
Passa la notte; e Febo il capo biondo
Traea del mare, e dava luce al mondo.
45 Poi che '1 dì venne, e che lasciare il letto.
A Fiordispina s' augumenta doglia ;
Che Bradamante ha del partir già detto,
Ch' uscir di questo impaccio avea gran voglia.
La gentil donna un ottimo ginetto
In don da lei vuol che partendo teglia,
Guernito d'oro, ed una sopravvesta
Che riccamente ha di sua man contesta.
46 Accompdgnolla un pezzo Fiordispina ;
Poi fé, piangendo, al suo caste! ritoriio.
La mia sorella sì ratto cammina.
Che venne a Montalbano anco quel giorno.
Noi suoi fratelli e la madre meschina
Tutti le siamo festeggiando intorno ;
Che di lei non sentendo, avuto forte
Dubbio e tema avevam della sua morte.
1
CANTO VENTESIMOQUINTO. 35
47 Mirammo (al trar dell' elmo) al mozzo crine,
Gh' intorno al capo prima s' avvolgea ;
Cosi le sopravveste peregrine
Ne fer meravigliar, eh' indosso avea.
Ed ella il tatto dal principio al fine
Narronne, come dianzi io vi dicea :
Come ferita fosse al bosco, e come
Lasciasse, per guarir, le belle éhiome;
48 E come poi dormendo in ripa ali! acque,
La bella cacciatrìce sopraggiunse,
A cui la falsa sua sembianza piacque ;
E come dalla schiera la disgiunse.
Del lamento di lei poi nulla tacque,
Che di pielade r anima ci punse:
E come alloggiò seco, e tutto quello
Che fece, fin che ritornò al castello.
49 Di Fiordìspina gran notizia ebb' io,
Ch' in Siragozza e già la vidi in Francia ;
E pìacquer molto all' appetito mio
I suoi begli occhi e la polita guancia:
Ma non lasciai fermarvisì il disio.;
Che r amar senza speme è sogno e ciancia.
Or, quando in tal ampiezza mi si porge,
L' antiqua fiamma subito risorge.
60 Di questa speme Amore ordisce i nodi ;
Che d' altre fila ordir non li potea :
Onde mi piglia, e mostra insieme i modi,
Che dalla donna avrei quel eh' io chìedea.
A succeder saran facil le frodi;
Che, come spesso altri ingannato avea.
La simìglianza e' ho di mia sorella,.
Forse anco ingannerà questa donzella.
61 Faccio, o noi faccio? Alfin mi par che buono
Sempre cercar quel che diletti, sia. .
Del mio pensier con altri non ragiono,
Né vo' eh' in ciò consiglio altri mi dia.
Io vo la notte ove queir arme sono,
Che s' avea tratte la sorella mia :
Tolgole, e col destrìer suo via cammino;
Né sto aspettar che luca il mattutino.
38 ORLANDO FUBIOSO.
68 Ed ho possanza far cose stupende,
E sforzar gli elementi e la natura.
Chiedi tu quanto il mio valor s* estende,
Poi lascia a me di satisfarti cura.
Dal ciel la luna al mio cantar discende,
S' agghiaccia il fuoco, e V aria si fa dura;
Ed ho talor con semplici parole
Mossa la terra, ed ho fermato il sole.
63 Non le domando a questa offerta unire
Tesor, né dominar popoli e terre ;
Né in più virtù né in più vigor salire.
Né vincer con onor tutte le guerre ;
Ma sol che qualche via , donde il desire
Vostro s'adempia, mi schiuda e dlsserre:
Né più le domando un, eh' un altro effetto,
Ma tutta al suo giudicio mi rimetto.
64 Ebbile appena mia domanda esposta,
Ch' un' altra volta la vidi attuffata;
Né fece al mio parlare altra risposta,
Che di spruzzar ver me l' acqua incantata.
La qual non prima al viso mi s'accosta,
Ch'io, non so come, son tutta mutata,
lo'l veggo, io'l sento; e appena vero parmi:
Sento in maschio, di femmina, mutarmi.
66 E se non fosse che senza dimora
Vi potete chiarir, noi credereste: *
E, qual nell'altro sesso, in questo ancora
Ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.
Comandate lor pur; che fieno or ora,
E sempre mai per voi vigili e deste.
Cosi le dissi ; e feci eh' ella istessa
Trovò con man la veritade espressa.
66 Come interviene a chi già fuor di speme
Di cosa sia che nel pensier molt' abbia.
Che, mentre più d'esserne privo geme,
Più se n'afiQigge e se ne strugge e arrabbia;
Sebben la trova poi, tanto gli preme
L'aver gran tempo seminato in sabbia,
E la disperazion l' ha si male uso.
Che non crede a sé stesso ^ e sta confuso:
Canto ventesimoquìnto. 39
67 Cosi la donna, poiché tocca e vede
Quéi di ch'avuto avea tanto desire,
Agli occhi, al tatto, a sé stessa non crede^
£ sta dubbiosa ancor di non dormire;
E buona prova bisognò a far fede
Che sentìa quel che le parea sentire.
Fa, Dio, (diss'ella) se son sogni questi.
Ch'io dorma sempre, e mai più non mi desti.
68 Non rumor di tamburi o suon di trombe
Furon principio all'amoroso assalto;
Ma baci ch'ìmitavan le colombe,
Davan segno or di gire, or di fare alto.
Usammo altr'arme, che saette o frombe.
Io senza scale in su la rocca salto,
E lo stendardo piantovi di botto,
E la nimica mìa mi caccio sotto.
69 Se fu quel letto la notte dinanti
Pien di sospiri e di querele gravi.
Non stette l' altra poi senz' altreittanti
Risi, feste, gioir, giochi soavi.
Non con più nodi i flessuosi acanti
Le colonne circondano e le travi,
Di queUi con che noi legammo stretti
E colli e fianchi e braccia e gambe e petti.
70 La cosa stava tacita fra noi,
Si che durò il piacer per alcun mese:
Pur si trovò chi se n' accorse poi,
Tanto che con mio danno il re lo 'ntese.
Voi che mi liberaste da quei suoi
Che nella piazza avean le fiamme accese,
Comprendere oggìmai potete il resto;
Ma Dio sa ben con che dolor ne resto.
7i Così a Ruggier narrava Ricciardetto,
• E la notturna via facea men grave ,
Salendo tuttavia verso un poggetto
Cinto di ripe e di pendici cave.
Un erto calle, e pien di sassi e stretto
Apria il cammin con faticosa chiave.
Sedea al sommo un castel detto Agrismonte,
Ch' avea in guardia Aldigier di Chiaramente.
^^
io ORLANDO BORIOSO.
72 Di Baovo era costui Ggliuol bastardo,
Fratel di Malagigi e di Viviano:
Chi legittimo dice di Gherardo,
£ testimonio temerario e vano.
Fosse come si voglia, era gagliardo,
Prudente, liberal, cortese, umano;
£ facea quivi le fraterne mura
La notte e il di guardar con buona cura.
^. 73 Raccolse il cavalier cortesemente,
'r:\ Come dovea, il cugin suo Ricciardetto,
:f^' Ch'amò come fratello; e parimente
% Fu ben visto Ruggier per suo rispetto.
^- Ma non gli usci già incontra allegramente,
ti- Come era usato, anzi con tristo aspetto,
^; Perch' uno avviso il giorno avuto avea ,
Che nel viso e nel cor mesto il facea.
"j/ 74 A Ricciardetto, in cambio di saluto,
Disse: Fratello, abbiam nova non buona.
Per certissimo messo oggi ho saputo
Che Bertolagi iniquo di Baiona
Con Lanfusa crudel s' è convenuto.
Che preziose spoglie esso a lei dona.
Ed essa a lui pon nostri frati in mano,
Il tuo buon Malagigi e il tuo Viviano.
76 Ella dal dì che Ferraù li prese,
Gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello,
Finché '1 brutto contratto e discortese
N' ha fatto con costui di eh' io favello.
Gli de' mandar domane al Maganzese
Nei confin tra Baiona e un suo castello.
Verrà in persona egli a pagar la mancia
Che compra il miglior sangue che sia in Francia.
76 Rinaldo nostro n' ho avvisato or ora,
Ed ho cacciato il messo di galoppo:
Ma non mi par eh' arrivar possa ad ora
Che non sia tarda; che '1 cammino è troppo.
Io non ho meco gente da uscir fuora:
L' animo è pronto, ma il potere è zoppo.
Se gli ha quel traditor, li fa morire:
Si che non so che far, non so che dire.
CANTO VENTESIMOQUINTO. 41
77 La dura naova a Ricciardetto spiace;
E perchè spiace a lui, spiace a Ruggiero,
Che poiché questo e quel vede che tace,
Né tra' proGtto alcun del suo pensiero.
Disse con grande ardir : Datevi pace :
Sopra me quest'impresa tutta chero;
E questa mia varrà per mille spade
A riporyi i fratelli in libertade.
78 Io non voglio altra gente, altri sussidi;
Gh' io credo bastar solo a questo fatto.
Io vi domando solo un che mi guidi
Al luogo ove si dee fare il baratto.
10 vi farò sin qui sentire i gridi
Di chi sarà presente al rio contratto.
Cosi dicea; né dicea cosa nuova
Air un de' dui, che n' avea visto pruova.
79 L'altro non l'ascoltava, se non quanto
S'ascolti un ch'assai parli, e sappia poco:
Ma Ricciardetto gli narrò da canto.
Come fu per costui tratto del foco,
E eh' era certo che maggior del vanto
Farìa veder l' effetto a tempo e a loco.
Gli diede allor udienza più che prima,
E riverillo, e fé di lui gran stima.
80 Ed alla mensa, ove la Copia fuse
11 corno , r onorò come suo donno.
Quivi senz' altro aiuto si concluse
Che liberare i duo fratelli ponno.
Intanto sopravvenne e gli occhi chiuse
Ai signori e ai sergenti il pigro Sonno,
Fuor eh' a Ruggier; che, per tenerlo desto.
Gli punge il cor sempre un pensier molesto.
81 L' assedio d' Agramante, eh' avea il giorno
Udito dal corrier, gli sta nel core.
Ben vede ch'ogni minimo soggiorno,
Che faccia d' aiutarlo, è suo disnore.
Quanta gli sarà infamia, quanto scorno,
Se coi nemici va del suo signore I
Oh come a {^ran v iliade, a gran delitto.
Battezzandosi allor, gli sarà ascritto!
4'
iì ORLANDO FURIOSO.
S2 Potria in ogni altro tempo esser creduto
Che ver§i religion V avesse mosso:
Ma ora che bisogna col suo aiuto
Agramante d' assèdio esser riscosso,
Piuttosto da ciascun sarà tenuto
{ Che timore e viltà T abbia percosso,
|f. Gh' alcuna opinion di miglior fede.
g Questo il cor di Ruggier stimola e fìede.
tv 83 Che s'abbia da partire anco lo punge
lo. Senza licenzia della sua regina.
ff^' Quando questo pensier, quando quel giunge,
l^-v Che *1 dubbio cor diversamente inchina.
|ì>. Gli era r avviso riuscito lungo
fe Di trovarla al Castel di Fiordispina,
|-;> Dove insieme dovean, come ho già detto,
0^-: In soccorso venir di Ricciardetto.
^r S4 Poi gli sovvien ch'egli le avea promesso
1^ Di seco a Vallombrosa ritrovarsi.
rfyr Pensa eh' andar v' abbi' ella, e quivi d' esso,
Che non vi trovi poi, maravigliarsi.
Potesse almen mandar lettera o messo,
Sì eh' ella non avesse a lamentarsi
Che, oltre eh' egli mal le avea ubbidito,
Senza far motto ancor fosse partito.
8& Poi che più cose immaginate s'ebbe.
Pensa scriverle alfin quanto gli accada;
E bench' egli non sappia come debbe
La lettera inviar, si che ben vada.
Non però vuol restar; che ben potrebbe
Alcun messo fedel trovar per strada.
Più non s'indugia, e salta delle piume.
Si fa dar carta, inchiostro, penna e lume.
86 . I camerier discreti ed avveduti
Arrecano a Ruggier ciò che comanda.
Egli coniincia a scrivere, e i saluti,
Come si suol, nei primi versi manda:
Poi iiarra degli avvisi che venuti
Son dal suo re, eh' aiuto gli domanda;
E se r andata sua non è ben presta,
0 morto 0 in man degV inimici resta.
?-.-.-,
^.v
CANTO VENTESIMOQUINTO. 43
S7 Poi seguita, ch'essendo a tal partito,
E eh' a ini per aiate si volgea,
Yedess'ella, che '1 biasmo era inOnito
S' a qael punto negar gli lo volea:
E ch'esso, a lei dovendo esser marito,
Guardarsi da ogni macchia si dovea;
Che non si convenia con lei, che tutta
Era sincera, alcuna cosa brutta.
88 E se mai per addietro un nome chiaro.
Ben oprando, cercò di guadagnarsi;
E guadagnato poi, se aVuto caro,
Se cercato l' avea di conservarsi;
Or lo cercava, e n' era fatto avaro.
Poiché dovea con lei parttciparsi.
La qual sua moglie, e totalmente in dui
Corpi esser dovea un' anima con lui.
80 E si come già a bocca le avea detto,
Le ridicea per questa carta ancora:
Finito il tempo in che per fede astretto
Era al suo re, quando non prima muora,
Che si farà Cristian cosi d' effetto.
Come di buon voler stato era ogni ora;
E ch'ai padre e a Rinaldo e agli altri suoi
Per moglie domandar la farà poi.
90 Voglio, le soggiungea, quando vi piaccia ^
L' assedio al mio signor levar d' intorno,
Acciò che r ignorante vulgo taccia,
11 qual direbbe, a mia vergogna e scorno:
Ruggier, mentre Agramante ebbe bonaccia,
Mai non l' abbandonò notte né giorno ;
Or che fortuna per Carlo si piega,
Egli col vincitor l' insegna spiega.
91 Voglio quindici di termine, o venti,
Tanto che comparir possa una volta.
Si che degli africani alloggiamenti
La grave ossedion per me sia tolta.
Intanto cercherò convenienti
Cagioni, e che sian giuste^ di dar volta*
Io vi domando per mio onor sol questo;
Tutto poi vostro è di mia vita il resto,
44 OBLANDO FORIOSO.
92 In simili parole si diffuse
Ruggier, che tutte non so dirvi appieno;
E segui con moli' altre, e non concluse,
Finché non vide tutto il foglio pieno:
E poi piegò la lettera e la chiuse,
E suggellata se la pose in seno,
Con speme che gli occorra il di seguente
Chi alla donna la dia secretamente.
So Chiusa eh' ebbe la lettera, chiuse anco
Gli ouchi sul letto, e ritrovò quiete;
Che 1 Sonno venne, e sparse il corpo stanco
Cui ramo intinto nel liquor di Lete:
£ [ìGÈò fin eh' un nembo rosso e bianco
Dì imi sparse le contrade liete
Del lucido oriente d' ognintorno.
Et ìndi usci dell'aureo albergo il giorno.
94 E pai eh' a salutar la nova luce
Veì verdi rami incominciar gli augelli,
AUligier che voleva essere il duce
Di lliiggiero e dell' altro, e guidar quelli
Ove fac«in che dati in mano al truce
Bertolagi non siano i duo fratelli.
Fu 1 primo in piede; e quando sentir lui.
Del IcUo uscirò anco quegli altri dui.
05 Poi che vestiti furo e bene armati.
Coi duo cugin Ruggier si mette in via.
Già mollo indarno avendoli pregati
Ctio questa impresa a lui tutta si dia.
M;i essi, pel desir c'han de'lor frati,
E [lerchè lor parea discortesia,
glurou negando più duri che sassi,
Né i^onsentiron mai che solo andassi.
m Giunsero al loco il di che si dovea
Mala^igL mutar nei carriaggi.
Eia un'ampia campagna che giacea
Tultti scoperta agli apollinei raggi.
Quivi né allòr né mirto si vedea,
Né {:ipressi né frassini né faggi;
Mu tiuiia ghiara, e qualche umil virgulto,
K^in mar da marra o mai da vomcr cullo.
CANTO VBNTESIHOQUINTO.
d7 I tre gaerrìeri arditi si fermaro
Dove an sentier fendea quella pianura;
£ giunger quivi un cavalier mirare,
Ch'avea d'oro fregiata Tannatura,
£ per insegna in campo verde il raro
£ bello augel che più d' un secol dura.
Signor, non più ; che giunto al fin mi veggio
Di questo Canto, e riposarmi chieggio.
45
irOTB.
St, 14. 9, ^%.'-'llgran diavol ee.:
t dato ad an cannone di straordina-
rio calibro 9 appartenente al duca Al-
fonso.
St.\ò, 9, l-^.-^FaUrina ec. Ve-
dansi nel Boiardo le circostante della
fàbbricaiione di Baliiarda.
St, 27. V, 7. — Fiordispina di Spa^
gma :eV accennata nella Stansa 39 del
Canto XXII, v.l-S.
SL 89. V. A.— Fisso : traBtto. —
Punta : pantura amorosa.
St. SS. 9, 1-3. — Ippolita: famosa
amaisone che combattè con Ercole e con
Tette—Camilla: vedi la nota alla St. 1
del Canto XX jitzilla : la Zitia di
Plinio, notata sulle odierne mappe col
nome di Arxilia, nel regno di Fes.
St. 36. 9. ò-l.—La moglie di Nino:
Semiramide.— ilf/rra.' figlia di Gioirò.
— Za Cretense: Pasifae, moglie di Mi-
Dos re di Creta. Vedi in Ovidio le fa-
vole di queste due.
St* 37. 9. ^.'—Dedalo: ingegnosis-
simo artefice ateniese, a cui si attribui-
scono dai poeti diverse invenaioni , fra
le quali il labirinto di Creta, d'onde
usci volando, con Icaro suo figlio.
St, 45. 9, 5. — Ginettot sorta di ca-
vallo spagnuolo.
Si. 49. 9, S. — Siragona: Saragoi*
sa, città nel regno d'Aragona.
St. 60. 9. 6.— Un Fauno: nome
di una famiglia di divinità boscherecce,
secondo i mitologi.
St, 75. 9. 6. — • Baiona: città di
Francia non lungi dal golfo di Guasco-
gna, nel dipartimento dei Bassi-Pirenei.
St, $i.9, 3. — Soggiorno: dimorai
qui indugio.
St. 83. P. 5-6.— G/i ara V a9*
piso ec: erasi ingannato nell'opinione
dì ritrovarla ec.
St. 91. 9. 4. — Ossedion : assedio.
St. 93. 9. 4. — Col ramo ec. Ram-
menta il ramo con cui Virgilio finge che
il Sonno bagnò le tempie a Palinuro per
farlo dormire. — I.e<e.* fiume dell* in-
ferno, le acque del quale toglievano I4
memoria del passato.
St. 97. 9. 5-6.—// raro e bello aum
gel ec. .' la fenice.
46 OBLANDO FURIOSO.
CASTO WEXTE»WBam»Em!0.
Marfisa^ il cavaliere giunto ove i dae dt Chiaramente dovevano esser vendati
ai loro nemici. I Magantesi, uniti a numerosa schiera di Morì, sono disfatti,
^ e i due prigioni restano liberi. Malagigi dichiara il signi6cato delle figure aool-
f':^ pitc sulla fontana di Merlino. Arriva Ippalca sensa Frontino, e Ruggiero' va
i^i. con lei per recuperarlo. Mandricardo giunge alla fontana. Combattimento tra
^.~ lui e Marfisa, interrotto da Rodomonte, che dispone Marfisa a recarsi al
^< . campo di Agramante. Ruggiero viene alla fontana, ed ivi, per diverse ragioni,
y\- accade una auffa fra i guerrieri pagani. Malagigi la divide, facendo con ìo-
f'. : centesimi allontanar Dorico dal luogo* I quattro guerrieri muovono verso
P * Parigi.
5' ■ ■
C'
:^: i Cortesi donne ebbe r antiqua etade,
;' Che le virtù, non le ricchezze amaro.
^- Al tempo nostro si ritrovan rade
^^ A cai, più del guadagno, altro sia caro.
^ Ma qaelle che per lor vera boutade
l' Non seguon delle più lo stile avaro,
f Vivendo, degne son d' esser contente;
Gloriose e immortai poi che fian spente.
t 2 Degna d'eterna lande è Bradamante,
Che non amò tesor, non amò impero,
Ma la virtù, ma l'animo prestante»
Ma r alta gentilezza di Ruggiero;
£ meritò che ben le fosse amante
' Un cosi valoroso cavaliere ;
£ per piacere a lei facesse cose
Nei secoli a venir miracolose.
3 Ruggier, come di sopra vi fu detto,
Coi duo di Chiaramonte era venuto;
Dico con Aldigier, con Ricciardetto,
Per dare ai duo f ratei prigioni aiuto.
■■: Vi dissi ancor, che di superbo aspetto
^- , Venire un cavaliere avean veduto,
'' Che portava l'augel che si rinnova,
L £ sempre unico al mondo si ritrova.
CANTO VENTESIMOSBSTO. 47
4 Come di qaesti il cavalier s' accorse,
Che stavan per ferir quivi su V ale,
In prova disegnò di voler porse,
S' alla sembianza avean virtude ugnale.
£ di voi, disse loro, alcuno forse
Che provar voglia chi di noi più vale
A colpi o della lancia o della spada.
Finché F un resti in sella, e V altro cada ?
) Farei, disse Aldigier, teco, o volessi
Menar la spada a cerco, o correr Tasta;
Ma un'altra impresa che, se qui tu stessi.
Veder potresti, questa in modo guasta,
Ch'a parlar teco, non che ci traessi
A correr giostra, appena tenapo basta;
Seicento uomini al varco, o più, attendiamo.
Coi qua' d' oggi provarci obbligo abbiamo.
) Per tor lor duo de' nostri che prigioni
Quinci trarran, pleiade e amor n' ha mosso.
E seguitò narrando le cagioni
Che li fece venir con l' arme indosso*
Si giusta è questa escusa che m' opponi ,
Disse il guerrier, che contraddir non posso ;
E fo «erto giudicio che voi siate
Tre cavalier che pochi pari abbiate.
r Io chiedea un colpo o dui con voi seontrarme,
Per veder quanto fosse il valor vostro ;
Ma quando all' altrui spese dimostrarme
Lo vogliate, mi basta, e più non giostro.
Vi priego ben, che por con le vostr'arme
Quest'elmo io possa e questo scudo nostro;
E spero dimostrar, se con voi vegno,
Che di tal compagnia non sono indegno.
Panni veder eh' alcun saper desia
Il nome di costui, che quivi giunto
A Ruggiero e a' compagni si ofieria
Compagno d' arme al periglioso punto.
Costei (non più costui detto vi sia)
Era Marfisa, che diede l' assunto
Al misero Zerbin della ribalda
Vecchia Gabrina ad ogni mal si calda.
48 ORLANDO FURIOSO.
9 I dao dì Ghiaramonte e il boon Ruggiero
L' accettar volentier nella lor schiera ,
Ch'esser credeano certo un cavaliero,
£ non donzella, e non quella eh' eli' era.
Non molto dopo scoperse Aldigiero,
E veder fé ai compagni una bandiera
Che facea l'aura (remolare in volta,
£ molta gente intomo avea raccolta.
40 £ poi che più lor fur fatti vicini,
E che meglio notar l' abito moro,
Conobbero che gli eran Saracini,
E videro i prigioni in mezzo a loro
Legati, e tratti su piccol ronzini
A'Maganzesi, per cambiarli in oro.
Disse Marfisa agli altri: Ora che resta,
Poiché son qui , di cominciar la festa ?
il Ruggier rispose: Gl'invitati ancora
Non ci son tutti, e manca una gran parte.
Gran ballo s' apparecchia di fare ora,
E perchè sia solenne, usiamo ogni arte:
Ma far non ponno omai lunga dimora.
Cosi dicendo, veggono in disparte
Venire i traditori di Maganza :
Si eh' eran presso a cominciar la danza.
42 Giungean dall' una parte i Maganzesi,
E conducean con loro i muli carchi
D' oro e di vesti e d' altri ricchi arnesi ;
Dall'altra, in mezzo a lance, spade ed archi ,
Venìan dolenti i duo germani presi,
Che si vedeano essere attesi ai varchi ;
E Bertolagi, empio inimico loro,
Udian parlar col capitano Moro.
43 Né di Buovo il figliuol, né quel d'Amene,
Veduto il Maganzese, indugiar puote:
La lancia in resta l' uno e V altro pone,
E r uno e l' altro il traditor percuote.
L' un gli passa la pancia e '1 primo arcione,
E r altro il viso per mezzo le gote.
Cosi n'andasser pur tutti i malvagi.
Come a quei colpi n' andò Bertolagi.
CANTO VENTESIM0SE8T0. 49
U Marfisa con Bqggiero a questo segno
Si màove e non aspetta altra trombetta ;
Né prima rompe V arrestato legno,
Che tre, Tun dopo V altro, in terra getta.
Dell' asta di Raggier fa il pagan degno,
Che guidò gli altri, e usci di vita in fretta;
E per quella medesima con lui
Uno ed un altro andò nei regni bai.
15 Di qai nacque un error tra gli assaliti^
Che lor causò lor ultima ruina.
Da un lato i Maganzesi esser traditi
Credeansi dalla squadra saracina;
Dall'altro, i Mori in tal modo feriti
V altra schiera chiamavano assassina:
£ tra lor cominciar con fiera clàde
A tirare archi, e a menar lance e spade.
^6 Salta ora in questa squadra ed ora in quella
Ruggiero, e via ne toglie or dieci or venti:
Altri tanti per man della donzella
Di qua e di là ne son scemati e spenti.
Tanti si veggon gir morti di sella.
Quanti ne toccan le spade taglienti,
A cui dan gli elmi e le corazze loco,
Come nel bosco i secchi legni al fuoco.
17 Se mai d' aver vedalo vi raccorda,
0 rapportato v' ha fama air orecchie.
Come, allorché 'i collegio si discorda,
E vansi in aria a far guerra le pecchie,
Entri fra lor la rondinella ingorda,
E mangi e uccìda e guastine parecchie;
Dovete immaginar che similmente
Ruggier fosse e Marfisa in quella gente.
i% Non cosi Ricciardetto e il suo cagino
Tra le due genti variavan danza.
Perché, lasciando il campo Saracino,
Sol tenean V occhio air altro di Maganza.
Il fratel di Rinaldo paladino
Con molto animo avea molta possanza,
E quivi raddoppiar glie la facea
L' odio che centra ai Maganzesi avea.
II. 5
n Fa
Ub Ibmì fino fl 1
Oecoabsinda]
Vtmàt osw da», • lo grfciacra eame m oyo.
Nm sana coaqariU ■■ Etlor Mava,
Maifisa aTOMla ia caiapagaia e Kaggiero,
Cb'cfan la icdU e 1 fior d'ogaì gaeniero?
50 Marfisa talUTotta coorinUoMlo,
Speno ai compagni gii oeehi rÌTcllaTa;
E di lor forza paragon Tcdeado,
Gm BuraTìgiia tatti li lodara :
Ma di Roggìer por il Talor stopeado
E Mina pari al mondo le sembraTa;
E talor 8i credea che foese Marte
Scesa dal quinto cielo in quella parte.
51 Mirara qoeDe orrìbili percosse,
Mirayale non mai calare in fallo:
Psffea che cantra Balisarda fosse
Il ferro carta, e non doro metallo.
Gli elmi tagliava e le corazze grosse,
£ gli oomtni fendea fin sol cavallo,
E li mandava in parti ogoali al prato.
Tanto dall' on qaanto dall'altro lato.
22 Continuando la medesma botta,
Uccidea col signore il cavallo anche.
I capi dalle spalle alzava in frotta,
E spesso i basti dipartia dall' anche.
Cinque e più a un colpo ne tagliò talotta;
E se non che pur dubito che manche
Credenza al ver, e' ha faccia di menzogna.
Di più direi; ma di men dir bisogna.
23 U buon Turpin, che sa che dice il vero,
E lascia creder poi quel ch'ali' uom piace,
Narra mirabil cose di Ruggiero,
Ch' udendolo, il direste voi mendace.
Cosi parea di ghiaccio ogni guerriero
Con tra Marfisa, ed ella ardente face ;
E non men di Ruggier gli occhi a sé trasse^
Ch' ella di lui V alto valor mirasse.
CANTO VENTESIMOSBSTO. tti
24 E s'ella lui Marte stimato avea,
Stimato egli avria lei forse Bellona,
Se per donna cosi la conoscea,
Come parca il contrario alla persona.
£ forse emulazion tra lor nascea
Per quella gente misera, non baona.
Nella cai carne e sangue e nervi ed ossa
Fan prova chi di loro abbia più possa.
25 Bastò di quattro V animo e il valore
A far eh' un campo e l' altro andasse rotto.
Non restava arme, a chi foggia, migliore
Che quella che si porla più di sotto.
Beato chi il cavallo ha corridore ;
Ch' in prezzo non è quivi ambio né trotto :
E chi non ha destrier, quivi s' avvede
Quanto il mestier dell'arme è tristo a piede.
26 Riman la preda e '1 campo ai vincitori,
Che non è fante o mulattier che resti.
Là Maganzesi, e qua fuggono i Mori ;
Quei lasciano i prigion , le some questi.
Furon, con lieti visi e più coi cori,
Malagigi e Viviano a sciòglier presti :
Non fur men diligenti a sciorre i paggi,
£ por le some in terra e i carriaggi.
27 Oltre una buona quantità d' argento
Che in diverse vasella era formato,
Ed alcun muliebre vestimento.
Di lavoro bellissimo fregiato,
E per stanze reali un paramento
D'oro e di seta in Fiandra lavorato.
Ed altre cose ricche in copia grande ;
Fiaschi di vin trovar, pane e vivande.
28 Al trar degli elmi, tutti vider come
Avea lor dato aiuto una donzella.
Fu conosciuta all'auree crespe chiome,
Ed alla faccia delicata e bella.
L'onoran molto, e pregano che '1 nome
Di gloria degno non asconda ; ed ella,
Che sempre tra gli amici era cortese,
A dar di sé notizia non contese.
5*2 ORLAMOO FURIOSO.
29 Non si ponno saziar dì rìgaardarla ;
Che tal vista Y avean nella battaglia.
Sol mira ella Ruggier, sol con lui parla :
Altri non prezza ; altri non par che vaglia.
Vengono i servi intanto -ad invitarla
Coi compagni a goder la vettovaglia,
Ch' apparecchiala avean sopra una fonte
Che difendea dal raggio estivo un monte.
30 Era una delle fonti di Merlino,
Delle quattro di Francia da lui fatte,
D' intorno cinta di bel marmo fino
Lucido e terso, e bianco più che latte.
Quivi d' intaglio con lavor divino
Avea Merlino immagini ritratte:
Direste che spiravano; e, se prive
Non fossero di voce, eh' eran vive.
31 Quivi una bestia uscir della foresta
Parea, di crudel vista, odiosa e brutta,
Ch'avea l'orecchie d'asino, e la testa
Di lupo e i denti, e per gran fame asciutta:
Branche avea di leon; l'altro che resta,
ITutto era volpe ; e parea scorrer tutta
£ Francia e Italia e Spagna ed Inghilterra,
L' Europa e V Asi«, e alfin tutta la terra.
lì Per tutto avea genti ferite e morte.
La bassa plebe e i più superbi capi:
Anzi nuocer parea molto più forte
A re, a sigùori, a principi, a satrapi.
Peggio facea nella romana corte;
Che v' avea uccisi cardinali e papi:
Contaminato avea la bella sede
Di Pietro, e messo scandol nella fede.
33 Par che dinanzi a questa bestia orrenda
Cada ogni muro, ogni ripar che tocca.
Non si vede città che si difenda:
Se r apre incontra ogni castello e rocca.
Par che agli onor divini anco s' estenda,
E sia adorata dalla gente sciocca,
E che le chiavi s' arroghi d' avere
Del ciclo e deir abisso in suo jQolere.
CA!<tO VBNTESIMOSESTO. 63
34 Poi si vedea d'imperiale alloro
Cinto le chiome an cavalier venire
Con tre giovini a par, che i gìgli d' oro
Tessati avean nel lor real vestire;
E, con insegna simile, con loro
Parea an leon centra qael mostro ascire.
Avean lor nomi chi sopra la testa,
E chi nel lembo scritto della vesta.
36 V an eh' avea fin air elsa nella pancia
La spada immersa alla maligna fera,
Francesco primo, avea scritto, di Francia:
Massimigliano d' Aastrìa a par seco era ;
E Carlo qainto, imperator, di lancia
Avea passato il mostro alla gorgiera ;
E r altro che di strai gli figge il petto ^
L'ottavo Enrigo d'Inghilterra è detto.
36 Decimo ha qael leon scrìtto'sal dosso,
Ch' al bratto mostro i denti ha negli orecchi 'r
E tanto l'ha già travagliato e scosso, ■
Che vi sono arrivati altri parecchi.
Parea del mondo ogni timor rimesso ;
Ed in emenda degli errori vecchi
Nobil gente accorrea, non però molta ,
Onde alla belv^ era la vita tolta*
87 I cavalieri stavano e Marfisa
Con desidarìo di conoscer questi,
Per le cui mani era la bestia accisa,
Che fatti avea tanti laoghi atri e mestL
Avvengachè la pietra fosse incisa
Dei nomi lor, non eran manifesti.
Si pregavan tra lor, che, se sapesse
L'istoria alcuno, agli altri la dicesse.
35 Voltò Viviano a Malagigi gli occhi,
Che stava a udire, e non facea lor motto:
A te, disse, narrar l'istoria tocchi,
Ch'esser ne dei, per quel ch'io vegga, dotto.
• Chi son eostor che con saette e stocchi
E lance a morte han l'animai condotto?
Bispose Malagigi : Non è Istoria
Di eh' abbia autor fin qui fatto memoria.
5*
B4 OBLÀNDO PUBIOSO.
m Sappiate che costor che qui scrìtto hanno
Nel marmo i nomi, al mondo mai non faro;
Ma fra settecento anni vi saranno.
Con grande onor del secolo futuro.
Merlino, il savio incantator britanno.
Fé far la fonte al tempo del re Arturo ;
£ di cose eh* al mondo hanno a venire.
La fé da buoni artefici scolpire.
40 Questa bestia crudele usci del fondo
. Dello 'nfemo a quel tempo che far fatti
Alle campagne i termini, e fu il pondo
Trovato e la misura, e scrìtti i patti.
Ma non andò a principio in tutto '1 mondo:
Di sé lasciò fdolti paesi intatti.
Al tempo nostro in molti lochi sturba ;
Ma i popularì offende e la vii turba.
41 Dal suo'prìncipio inin al secol nostro
Sempre à cresciuto, e sempre andrà crescendo :
Sempre crescendo, al lungo andar fia il mostro
U maggior (die mai fosse e lo più orrendo.
Quel Piton, che per carte e per inchiostro
S' ode che fu si orrìbile e giopendo,
Alla metà di questo non fu tutto,
Né tanto abbominevol nò si brutto.
tì Farà strage erode!, né sarà loco
Che non guasti, contamini ed infetti:
£ quanto mostra la scultura, è poco
De' suoi nefandi e abbominosi effetti.
Al mondo, di grìdar mercè già reco.
Questi, dei quali i nomi abbiamo letti,
Che chiarì splenderan più che piropo.
Verranno a dare aiuto al maggior uopo»'
48 Alla fera crudele il più molesto
Non sarà di Francesco il re de' Franchi :
£ ben convien che molti ecceda in questo,
£ nessun prima e pochi n' abbia a' fianchi ;
Quando in splendor real, quando nel reste
Di virtft farà molti parer manchi.
Che già parver compiati; come cede
Tosto ogni altro splendor, che '1 Sol si vede.
CANTO TENTESIMOSESTO. bìi
44 L'anno primìer del fortunato regno»
Non ferma ancor ben la corona in fronte ,
Passerà l'Alpe, e romperà il disegno
Di chi air incontro avrà occupato il monte ;
Da giusto spinto e generoso sdegno,
Che vendicate ancor non sieno l'onte
Che dal furor da paschi e mandre uscito
L' esercito di Francia avrà patito.
45 E quindi scenderà nel ricco piano
Di Lombardia , col fior di Francia intorno ;
E si l'Elvezio spezzerà, ch'in vano
Farà mai più pensier d' alzare il corno.
Con grande e della Chiesa', « dell' ispano
Campo e del fiorentin vergogna e scorno,
Espugnerà il Castel che prima stato
Sarà non espugnabile stimato.
46 Sopra ogni altr'arme ad espugnarlo, molto
Più gli varrà quella onorata spada.
Con la qual prima avrà di vita tolto
Il mostro corruttor d' ogni contrada.
Convien eh' innanzi a quella sia rivolto
In fuga ogni stendardo, o a terra vada;
Nò fossa né ripar né grosse mura
Possan da lei tener città sicura.
47 Questo principe avrà quanta eccellenza -
Aver felice imperator mai debbia:
L' animo del gran Cesar, la prudenza
Di chi mostrolla a Trasimeno e a Trebbia,
Con la fortuna d'Alessandro, senza
Cui saria fumo ogni disegno, e nebbia.
Sarà si liberal, eh' io lo contemplo
Qui non aver né paragon né esemplo.
48 Cosi diceva Malagigi, e messe
Desire a' cavalier d' aver contezza
Del nome d' alcun altro eh' uccidesse
L' infornai bestia, uccider gli altri avvezza.
Quivi un Bernardo tra' primi si lesse.
Che Merlin molto nel suo scritto apprezza*
Fia nota per costui, dicea, Bibiena,
Quanto Fiorenza sua vicina e Siena.
M ÒftLlUDO FOUOSO.
49 Non mette fnede ionanzi ivi pertona
A SismoodOy a Giovanni, a Lodovico:
Un Goniaga, on Salviati, vn d' Aragona,
Ciascono al bratto mostro aspro nimico.
V è Francesco Gonzaga, né abliandona
Le sue vestìgio il figlio Federico ;
Ed ha il cognato e il genero vicino,
Quel di Ferrara, e qnel doca d*^ Urbino.
fio Deir nn di questi il figlio Goidobaldo
Non vuol che '1 padre o ch'altri addietro il metta.
Con Ottobon dal Flisco, Sinibaldo
Caccia la fera, e van di pari in fretta.
Luigi da Gazolo il ferro caldo
Fatto nel collo le ha d' nna saetta
Che con l'arco gli die Febo, quando anco
Marte la spada sua gli messe al fianco.
M Duo Ercoli, duo Ippoliti da Este,
Un altro Ereole, un altro Ippolito anco
Da Gonzaga, de' Medici, le peste
Seguon del mostro, e Phan, cacciando. Bianco.
Né Giuliano al figliuol, né par che reste
Ferrante al fratel dietro ; né che manco
Andrea Boria sia pronto ; né che lassi
Francesco Sforza, eh' ivi uomo lo passi.
is Bel generoso, illustre e chiaro sangue
B' Avalo vi son dui e' han per insegna
Lo scoglio, che dal capo ai piedi d' angue
Par che l' empio Tifeo sotto si legna.
Non é di questi duo, per fare esangue
L'orrìbil mostro, chi più innanzi vegna:
L'uno Francesco di Pescara invitto.
L'altro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto.
63 Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato,
L' Ispano onor, ch'in tanto pregio v'era,
Che fu da Malagigi si lodato.
Che pochi il pareggiar di quella schiera ?
Guglielmo si vedea di Monferrato
Fra quei che morto avean la brutta fera ;
Ed eran pochi, verso gl'infiniti
Ch' ella v' avea chi morti e chi feriti.
CANTO VENTESIUOSKSTO. 57
54 In giochi onesti e parlamenti lieti ,
Dopo mangiar, spesero il caldo giorno,
Corcati su Gn issimi tappeti
Tra gli arbuscelli ond' era il rivo adorno.
Malagigi e Yivian, perchè quieti
Più fosser gli altri, tenean l'arme intorno;
Quando una donna senza compagnia
Yider, che verso lor ratto venia.
65 Questa era quella Ippalca, a cai fa tolto
Frontino, il buon destrier, da Rodomonte.
L' avea il di innanzi ella seguito molto,
Pregandolo ora, ora dicendogli onte;
Ma non giovando, avea il cammin rivolta
Per ritrovar Ruggiero in Agrismonte.
Tra via le fu, non so già come, detto
Che quivi il troveria con Ricciardetto.
56 E perchè il luogo ben sapea (che v' era
Stala altre volte) , se ne venne al dritto
Alla fontana ; ed in quella maniera
Ve lo trovò, ch'io v* ho di sopra scritto.
Ma come buona e cauta messaggiera,
Che sa meglio eseguir che non V è ditto,
Quando vide il f ratei di Bradamante,
Non conoscer Ruggier fece sembiante.
57 A Ricciardetto tutta rivoltosse.
Sì come drittamente a lui venisse:
E quel, che la conobbe, se le mosse
Incontra, e domandò dove ne gisse.
Ella, eh' ancora avea le luci rosse
Del pianger lungo, sospirando disse;
Ma disse forte, acciò che fosse espresso
A Ruggiero il suo dir, che gli era presso.
68 Mi traea dietro, disse, per la briglia,
Come imposto m'avea la tua sorella,
Un bel cavallo e buono a maraviglia.
Ch'ella molto ama, e che Frontino appella;
E r avea tratto più di trenta miglia
"Verso Marsilia, ove venir debb'ella
Fra pochi giorni, e dove ella mi disse
Ch' io r aspettassi finché vi venisse.
58 ORLANDO FURIOSO.
59 Era si baldanzoso il creder mìo,
Ch'io non stimava alcon di cor si saldo ,
Che me l'avesse a tor, dicendogli io;
Ch' era della sorella di Rinaldo.
Ma vano il mio disegno ier m'ascio,
Che me lo tolse nn Saracin ribaldo ;
Nò per adir di chi Frontino fasse,
A volermelo rendere s' indasse.
60 Tati' ieri ed oggi l' ho pregato ; e qaando
Ho visto ascir prieghi e minacce invano,
Maledicendol molto e bestemmiando ,
L'ho lasciato di qai poco lontano,
Dove il cavallo e sé molto affannando,
S'alata, qaanto paò, con l'arme in mano
Centra an guerrier eh' in tal travaglio il mette,
Che spero eh' abbia a far le mie vendette.
61 Baggiero a qael parlar salito in piede,
Ch'avea potato appena il tatto adire.
Si volta a Ricciardetto, e per mercede
E premio e gaidardon del ben servire,
(Prieghi aggiangendo senza fin) gli chiede
Che con la donna solo il lasci gire
Tanto, che '1 Saracin gli sia mostrato,
Ch' a lei di mano ha il baon destrier levato.
62 A Ricciardetto, ancorché discortese
Il conceder altrai troppo paresse
Di terminar le a sé debite imprese.
Al voler di Ruggier par si rimesse :
E quel licenzia dai compagni prese,
E con Ippalca a ritornar si messe.
Lasciando a qaei che rimanean stapore,
Non maraviglia par del sao valore.
63 Poi che dagli altri allontanato alqaanto
Ippalca r ebbe, gli narrò eh' ad esso
Era mandata da colei che tanto
Avea nel core il sao valore impresso :
E, senza finger più, segaitò quanto
La saa donna al partir le avea commesso :
E che se dianzi avea altrimente detto,
Per la presenzia fa di Ricciardetto.
CANTO VBNTESIMOSESTO . 59
64 Disse» che chi le avea tolto il destriero,
Ancor detto V avea con molto orgoglio:
Perché so che '1 cavallo è di Ruggiero,
Più volentier per questo te lo toglie.
S' egli di racquistarlo avrà pensiero.
Fagli saper (eh' asconder non gli voglio]
Ch'io son quel Rodomonte, il cui valore
Mostra per tutto '1 mondo il suo splendore.
05 Ascoltando, Ruggier mostra nel volto
Di quanto sdegno acceso il cor gli sia;
Si perchè caro avrìa Frontino molto.
Si perchè venia il dono onde venia,
SI perchè in suo dispregio gli par tolto.
Vede che biasmo e disonor gli fia.
Se torlo a Rodomonte non s' affretta,
E sopra lui non fa degna vendetta.
66 La donna Ruggier guida, e non soggiorna;
Che por lo brama col pagano a fronte :
E giunge ove la strada fa dua corna ;
L'un va giù al piano, e l'altro va su al monte:
E questo e quel nella vallea ritorna,
Dov* ella avea lasciato Rodomonte.
Aspra , ma breve era la via del colle ;
L'altra pia lunga assai, ma piana e molle.
67 II desiderio che conduce Ippalca,
D'aver Frontino e vendicar l' oltraggio.
Fa che '1 sentier della montagna calca.
Onde molto più corto era il viaggio.
Per r altra intanto il re d' Algier cavalca
Col Tartaro e cogli altri che detto aggio ;
E giù nel pian la via più facil tiene,
Né con Ruggiero ad incontrar si viene.
65 Già son le lor querele differite
Finché soccorso ad Ag ramante sia
(Questo sapete) ; ed han d' ogni lor lite
La cagion, Doralice, in compagnia.
Ora il successo dell' istoria udite.
Alla fontana è la lor dritta via.
Ove Aldigier, Marfisa, Ricciardetto,
Ualagigi e Vivian stanno a diletto.
M OKLASCDO FCUOSO.
• Maffisa a' pneghi de* compagni ayea
Teste da donna ed ornamenti preà.
Di quelli eh' a Lanfosa à credea
Mandare il tradìtor de'Maganzeà:
E benché Teder raro à soiea
Senia V osbergo e gli altri boom arnesi.
Por quel di se lì trasse ; e come donna, V
A' prieghi lor lasciò Tedersi in gonna.
70 Tosto che yede il Tartaro Marfisa,
Per la credenza e' ha di goadagnarla.
In ricompensa e in cambio ugnai s* ayrisa
IH Doralice, a Rodomonte darla ;
Si come amor si regga a questa guisa.
Che Tender la sua donna o permutarla
Possa ramante, né a ragion s'attrista.
Se quando una ne perde, una n'acquista.
71 Per dunque provredergli di donzella.
Acciò per sé quest' altra si ritegna,
Bfarfisa che gli par leggiadra e bella,
E d'ogni cayalier femmina degna,
Come abbia ad aver questa, come quella
Subito cara, a lui donar disegna ;
E tutti i cavalier che con lei yede,
A giostra seco ed a battaglia chiede.
72 Malagigi e Vivian, che l'arme aveano
Come per guardia e sicurtà del resto,
Si mossero dal luogo ove sedeano,
L' un come 1' 2L\lfo alla battaglia presto.
Perchè giostrar con amenduo credeano ;
Ma r African, che non venia per questo.
Non ne fé segno o movimento alcuno:
Si che la giostra restò lor contra uno.
73 Viviano è il primo, e con gran cor si muove,
E nel venir abbassa un' asta grossa ;
E '1 re pagan dalle famose prove.
Dall' altra parte vien con maggior possa.
Dirizza l' uno e V altro, e segna dove
Crede meglio fermar T aspra percossa.
Viviano indarno all' elmo il pagan fere ;
Che non lo fa piegar, non che cadere.
^I"*lr!'-
GANTQ YENTESIMOSBSTO. 61
74 II re pagan, ch'avea più Fasta darà,
Fé lo scado a Vivian parer di ghiaccio;
£ fuor di sella in mezzo alla verdura,
Air eii)e e ai fiori il fé cadere in braccio.
Vien Malagigi, e pensi in avventura
Di vendicare il sao fratello avaccio ;
Ma poi d'andargli appresso ebbe tal fretta^
Che gli fé compagnia più che vendetta.
75 L'altro fratel fo prima del cugino
Coir arme indosso, e sul destrìer salito;
£ disfidato centra il Saracino
Venne a scontrarlo a tutta briglia ardito.
Risonò il colpo in mezzo ali' elmo fino
Di quel pagan sotto la vista an dito :
Volò al ciel Fasta in quattro tronchi rotta ;
Ma non mosse il pagan per quella botta.
76 II pagan feri lui dal Iato manco;
£ perchè il colpo fu con troppa forza,
Poco lo scudo e la corazza manco
Gli valse, che s'aprir come una scorza^
Passò il ferro crudel F omero bianco :
Piegò Aldigier ferito a poggia e ad orza ;
Tra fiori ed erbe alfin si vide avvolto,
Rosso sa l'arme, e pallido nel volto.
77 Con molto ardir vien Ricciardetto appresso :
£ nel venire arresta si gran lancia.
Che mostra ben, come ha mostrato spesso,
Che degnamente è paladin di Francia :
£d al pagan ne facea segno espresso,
Se. fosse stalo pari alla bilancia ;
Ma sozzopra n'andò, perchè il cavallo
Gli cadde addosso, e non già per suo fallo.
78 Poich' altro cavalier non si dimostra.
Ch'ai pagan per giostrar volti la fronte,
Pensa aver guadagnato della giostra
La donna, e venne a lei presso alla fonte,
£ disse: Damigella, sete nostra,
S' altri non è per voi eh' in sella monte.
Noi potete negar, né farne scusa ;
Chò di ragion di guerra cosi s'usa.
fi. C
62 ORLAKDO FUIIOSO.
79 Marfisaty alzando con on rìso altiero
La faccia, disse : D too parer mollo erra.
Io ti concedo che diresti il vero,
; Ch* io sarei tea per la ragion di guerra,
Quando mio signor fosse o cavaliero
Alcan di questi e* hai gittate in terra.
Io sua non son ; né d' altri son , che mia :
Dunque me tolga a me chi mi desia.
V 80 So scudo e lancia adoperare anch' io,
l' E più d'un cavaliere in terra ho posto.
Datemi Tarme, disse, e il destrìer mio,
i Agli scudier che Tubbidiron tosto.
1^' Trasse la gonna, ed in farsetto uscio ;
K £ le belle fattezze e il ben disposto
y\' Corpo mostrò, eh' in ciascuna sua parte,
Fuorché nel viso, assimigliava a Marte.
^ Si Poi che fu armata, la spada si cinse,
} E sul destrìer montò d'un leggìer salto ;
E qua e là tre volte e più lo spinse,
E quinci e quindi fé girare in alto ;
E poi, sfidando il Saracino, strinse
La grossa lancia, e cominciò l'assalto.
Tal nel campo troian Pentesilea
Centra il tessalo Achille esser dovea.
S2 Le lance infin al calce si fiaccaro,
A quel superbo scontro, come vetro ;
Né però chi le corsero, piegare,
Che si notasse, un dito solo addietro.
Marfisa, che volea conoscer chiaro
S' a più stretta battaglia simil metro
Le servirebbe centra il fier pagano.
Se gli rivolse con la spada in mano.
83 Bestemmiò il cielo e gli elementi il crudo
Pagan, poiché restar la vide in sella:
Ella, che gli pensò romper lo scudo,
Non men sdegnosa centra il ciel favella.
Già l'uno e l'altro ha in mano il ferro nudo,
£ su le fatai arme si martella :
L'arme fatali han parimente intorno,
Che mai non bisognar più di quel giorno.
I
CANTO VENTBSIMOSBSTO. 63
84 Si baona è quella piastra e quella maglia,
Che spada o lancia non le taglia o fora :
Si che potea seguir l'aspra battaglia
Tnlto quel giorno, e l'altro appresso ancora.
Ma Rodomonte in mezzo lor si scaglia,
£ riprende il rivai della dimora,
Dicendo : Se battaglia pur far vuoi ,
Finiam la cominciata oggi fra noi.
85 Facemmo, come sai, triegua con patto
IH dar soccorso alla milizia nostra.
Non dobbiam, prima che sia questo fatto,
Incominciare altra battaglia o giostra.
Indi a Matusa, riverente in atto.
Si volta, e quel messaggio le dimostra ;
E le racconta come era venuto
A chieder lor per Agramante aiuto.
86 La priega poi , che le piaccia non solo
Lasciar quella battaglia o differire.
Ma che voglia in aiuto del figliuolo
Del re Troian con essi lor venire ;
Onde la fama sua con maggior volo
Potrà far meglio infin al ciel salire.
Che per querela di poco momento
Dando a tanto disegno impedimento.
87 Marfisa, che fu sempre disiosa
Di provar quei di Carlo a spada e a lancia ;
Né Tavea indotta a venire altra cosa
Di si lontana regione in Francia,
Se non per esser certa se famosa
Lor nominanza era per vero o ciancia ;
Tosto d'andar con lor partilo prese.
Che d' Agramante il gran bisogno intese.
88 Ruggiero in questo mezzo avea seguito
Indarno Ippalca per la via del monte ;
E trovò, giunto a loco, che partito
Per altra via se n'era Rodomonte:
E pensando che lungi non era ito,
E che '1 sentier tenea dritto alla fonte.
Trottando in fretta dietro gli venia
Per l'orme eh' eran fresche in sa la via.
64 ORLANDO FURIOSO.
89 Volse che Ippalca a Montalban pigliasse
La via, ch'ana gìoniala era vicino;
Perchè j'alla fontana ritornasse.
Si torria troppo dal dritto cammino.
E disse a lei, che già non dubitasse
Che non s'avesse a ricovrar Frontino :
Ben le farebbe a Montalbano, o dove
Ella si troviy udir tosto le nuove.
90 E le diede la lettera che scrìsse
In Agrismontè, e che si portò in seno;
E molte cose a bocca anco le disse ,
E la pregò che T escasasse appieno.
Nella memoria Ippalca il tutto Osse ;
Prese licenzia, e voltò il palafreno ;
E non cessò la buona messaggiera»
Ch'in Montalban si ritrovò la sera.
9i Seguia Ruggiero in fretta U Saracino
Per l'orme ch'apparian nella via piana;
Ma non lo giunse prima che vicino
Con Mandricardo il vide alla fontana.
Già promesso s'avean che per cammino
L'un non farebbe all'altro cosa strana,
Né fin eh' al campo si fosse soccorso,
A cui Cario era appresso a porre il morso.
9J Quivi giunto Ruggìer, Frontìn conobbe,
E conobbe per lui chi addosso gli era ;
E su la lancia fé le spalle gobbe,
E sfidò l'African con voce altiera.
Rodomonte quel di fé più che Giobbe,
Poiché domò la sua superbia fiera,
E ricusò la pugna, ch'avea usanza
Di sempre egli cercar con ogni istanza.
v^ Il primo giorno e l'ultimo , che pugna
Mai ricusasse il re d'Algler, fu questo ;
Ma tanto il desiderio che si giugna
In soccorso al suo re gli pare onesto,
Che se credesse aver Ruggier nell' ugna
Più che mai lepre il pardo snello e presto,
Non si vorria fermar tanto con lui.
Che fesse un colpo della spada o dui.
CANTO VEMTESIM0SB5T0. Uti
94 Aggiungi che sapea eh' era Raggiere ,
Che seco per Frontin facea battaglia,
Tanto famoso, eh' altro cavaliere
Non è eh' a par di lui di gloria saglia ;
L'uom che bramato ha di saper, per vero
Esperimento, quanto in arme vaglia:
Eppur non vuol seco accettar l'impresa ;
Tanto l'assedio dei suo re gli pesa.
95 Trecento miglia sarebbe ito e mine.
Se ciò non fosse, a comperar tal lite ;
Ma se l'avesse oggi sfidato Achille,
Più fatto non avria di quel eh' udite :
Tanto a quel punto sAtto le faville
Le fiamme avea del suo furor sopite.
Narra a Ruggier perchè pugna rifiuti :
Ed anco il priega che l'impresa aiuti ;
96 Che, facendol, farà quel ch0 far deve
Al suo signore un cavalier fedele.
Sempre che questo assedio poi si leve,
AvraH ben tempo da finir querele.
Ruggier rispose a lui : Mi sarà lieve
Differir questa pugna finché de-le
Forze di Carlo si traggia Agramante ;
Purché mi rendi il mio Frontino innante.
97 Se. di provarti e' hai fatto gran fallo,
E fatto hai cosa indegna ad un uom forte.
D'aver tolto a una donna il mio cavallo,
Vuoi ch'io prolunghi finché siamo in corte,
Lascia Frontino, e nel mio arbìtrio dallo.
Non pensare altrimente eh' io sopporto
Che la battaglia qui tra noi non segua,
O eh' io ti faccia sol d' un' ora triegua.
9S Mentre Ruggiero all' African domanda
O Frontino, o battaglia allora allora ,
E quello in lungo e l'uno e l'altro manda,
Né vuol dare il destrier, né far dimora ;
Mandricardo ne vien da un' altra banda,
E mette in campo un' altra lite ancora,
Poiché vede Ruggier che per insegna
Porta l'augel che sopra gli altri regna.
6-
66 ÒBLANOO FURIOSO.
99 Nel campo azzar raqaila bianca avea.
Che de' Troiani fo l'insegna bella :
Perchè Raggier l'orìgine traea
Dal fortissimo Ettor, portava qaella.
Ma qaesto Mandricardo non sapea.
Nò vaol patirete grande ingiaria appella,
Che nello scado nn altro debba porre
L'aqaila bianca del famoso Ettorre.
100 Portava Mandricardo similmente
L'aagel che rapi in Ida Ganimede.
Come Tebbe quel di, che fu vincente
Al Castel periglioso, per mercede,
Credo vi sia con l'altre istorie a mente;
E come qaella fata gli lo diede
Con tutte le beli' arme che Vulcano
Avea già date al cavalier troiano.
doi Altra volta a battaglia erano stati
Mandricardo e Ruggier solo per questo :
E per che caso fosser distornati.
Io noi dirò ; che già v' è manifesto.
Dopo non s'eran mai più raccozzati.
Se non quivi ora: e Mandricardo presto.
Visto lo scudo, alzò il superbo grìdo
Minacciando, e a Ruggier disse: Io ti sGdo.
i02 Tu la mia insegna, temerario, porti :
Nò questo è il primo di eh' io te l'ho detto.
E credi, pazzo, ancor eh' io tei comporti,
Per una volta eh' io t'ebbi rispetto?
Ma poiché nò minacce nò conforti
Ti pòn questa follia levar del petto.
Ti mostrerò quanto miglior partito
T'era d'avermi subito ubbidito.
d03 Come ben rìscaldato arìdo legno
A picciol soffio subito s'accende;
Cosi s'avvampa di Ruggier Io sdegno
Al primo motto che di questo intende.
Ti pensi, disse, farmi stare al segno,
Perchò quest* altro ancor meco contende?
Ma mostrerotti eh' io son buon per tórre
Frontino a lui, lo scudo a te d'£ttorre«
■^ Jf , J1 .■
CANTO VENTEStUOSBSTd. 6*t
404 Un'altra volta par per questo venni
Teco a battaglia, e non è gran tempo anco;
Ma d'accìderti allora mi contenni,
Perchè ta non avevi spada al fianco.
Qaesti fatti saran , qaellì fur cenni ;
E mal sarà per te queir aogel bianco,
Gh' antiqua insegna é stata di mia gente :
Ta te r usurpi ; io '1 porto giustamente.
105 Anzi t'usurpi ta l'insegna mia,
Rispose Mandricardo; e trasse il brando.
Quello che poco innanzi per follia
Avea gittate alla foresta Orlando.
Il buon Ruggier, che di sua cortesia
. Non può non sempre ricordarsi, qoando
Vide il pagan eh' avea tratta la spada,
Lasciò cader la lancia nella strada.
106 E tutto a un tempo Balisarda strìnge.
La buona spada, e me' lo scudo imbraccia :
Ma l'Africano in mezzo il destrier spinge,
E Marfisa con lui presta si caccia ;
E l'uno questo, e l'altro quel respinge,
E prìegano amendui che non si faccia.
Rodomonte si duol che rotto il patto
Due volte ha Mandricardo, che fu fatto.
107 Prima 9 credendo d' acquistar Marfisa,
Fermato s'era a far più d'una giostra;
Or, per privar Ruggier d'una divisa.
Di curar poco il re Agramante mostra.
Se pur, dicea, dèi fare a questa guisa,
Finiam prima tra noi la lite nostra.
Conveniente e più debita assai,
Ch' alcuna di quest' altre che prese hai.
108 Con tal condizion fu stabilita
La triegaa e questo accordo eh' è fra nui.
Come la pugna teco avrò finita ,
Poi del destrier rìsponderò a costai.
Tu del tuo scudo, rimanendo in vita,
La lite avrai da terminar con lui ;
Ma ti darò da far tanto, mi spero,
Che non n'avanzerà troppo a Ruggiero.
88 ORLANDO FURIÓSO.
109 La parte che ti pensi, non n'avrai
(Rispose Mandricardo a Rodomonte):
lo te ne darò più che non vorrai,
£ ti farò sadar dal pie alla fronte :
£ me ne rimarrà per darne assai
(Come non manca mai l'acqua del fonte)
£d a Ruggiero, ed a miir altri seco,
£ a tatto il mondo che la voglia meco.
iiO Moltiplicavan Tire e le parole
Quando da questo e quando da quel lato.
Con Rodomonte e con Ruggier la vuole
Tutto in un tempo Mandricardo irato.
Ruggier, ch'oltraggio sopportar non suole,
Non vuol più accordo, anzi litigio e piato.
MarQsa or va da questo or da quel canto
Per riparar, ma non può sola tanto.
114 Come il villan, se fuor per Talte sponde
' Trapela il fiume, e cerca nuova strada.
Frettoloso a vietar che non affondo
I verdi paschi e la sperata biada.
Chiude una via ed un' altra , e si confonde ;
Che se ripara quinci che non cada.
Quindi vede lassar gli argini molli,
£ fuor r.acqua spicciar con più rampolli :
113 Cosi, mentre Ruggiero e Mandricardo
£ Rodomonte son tutti sozzopra,
Ch' ognun vuol dimostrarsi più gagliardo,
£d ai compagni rimaner di sopra;
Marfisa ad acchetarli ave riguardo,
£ s'ffiatica, e perde il tempo e l'opra:
Che, come ne spicca uno e lo ritira,
Gli altri duo risalir vede con ira.
iis Marfisa, che volea porgli d'accordo,
Dìcea : Signori , udite il mio consiglio :
Differnre ogni lite è buon ricordo.
Fin eh' Agramante sia fuor di periglio.
S'ognun vuole al suo fatto essere ingordo,
Anch' io con Mandricardo mi ripiglio ;
£ vo' vedere alfin se guadagnarme,
Com' egli ha dello, è buon per forza d'arme
CANTO VENTESIMOSESTO. 69
ii4 Ma se si de' soccorrere Agramante,
Soccorrasi, e tra noi non si contenda.
Per me non si starà d'andare innante,
Disse Raggier, purché '1 destrier si renda.
0 che mi dia il cavallo (a far di tante
Una parola), o che da me il difenda :
O che qui morto ho da restare, o ch'io
In campo ho da tornar sai destrier mio.
il5 Rispose Rodomonte : Ottener questo
Non fia cosi, come quell' altro, lieve.
£ seguitò dicendo : Io ti protesto
Che, s' alcun danno il nostro re riceve,
Fia per tua colpa ; eh' io per me non resto
Di fare a tempo quel che far si deve.
Ruggiero a quel protesto poco bada ;
Ma, stretto dal furor, stringe la spada.
116 Al re d'Algier come cingìal si scaglia,
E l'urta con lo scudo e con la spalla ;
E in modo lo disordina e sbaraglia.
Che Ta che d'una stafifk il pie gli falla.
Mandrìcardo gli grida : 0 la battaglia
Difierisci, Ruggiero, o meco falla :
E crudele e fellon più che mai fosse,
Ruggier su l'elmo in questo dir percosse.
it7 Fin sul collo al destrier Ruggier s'inchina,
Né, quando vuoisi rilevar, si puote;
Perchè gli sopraggiunge la ruina
Del figlio d' Ulien , che lo percuote.
Se non era di tempra adamantina.
Fesso l'elmo gli avria fin tra le gote.
Apre Ruggier le mani per l'ambascia ;
E runa il fren, l'altra la spada lascia.
iìi Se lo porta il destrier per la campagna ;
. Dietro gli resta in terra fialisarda.
Marfisa, che quel dì fatta compagna
Se gli era d'arme, par ch'avvampi ed arda,
Che solo fra que' duo cosi rimagna :
E com'era magnanima e gagliarda,
Si drizza a Mandrìcardo, e col potere
Gh' aveà maggior, sopra la testa il fiere.
70 ORLANDO FOBIOSO.
119 Rodomonte a Raggier dietro si spinge :
Vinto è Frontin, s'un' altra gli n' appicca ;
Ma Ricciardetto con Yivian si ^inge,
E tra Ruggiero e '1 Saraci n si ficca.
L'ano urta Rodomonte, e lo rìspinge»
£ da Ruggier per forza lo dispicca ;
L'altro la spada sua, che fu Viviano,
Pone a Raggier, già risentito, in mano.
120 Tosto che '1 buon Ruggiero in sé ritorna,
E che Vivian la spada gli appresenta,
A vendicar l'ingiuria non soggiorna,
E verso il re d'Algìer ratto s'avventa;
Come il leon che tolto su le corna
Dal bue sia stato, e che '1 dolor non senta:
Si sdegno ed ira ed impeto l'affretta,
Stimola e sferza a far la sua vendetta.
i2i Ruggier sul capo al Saracin tempesta: «
E se la spada sua si ritrovasse.
Che, come ho detto, al cominciar di questa
Pugna, di man gran fellonia gli trasse ;
Mi credo eh' a difendere la testa
Dì Rodomonte l'elmo non bastasse.
L'elmo che fece il re far di Babelle,
Quando muover pensò guerra alle stelle.
122 La Discordia, credendo non potere
Altro esser quivi che contese e risse ,
Nò vi dovesse mai più luogo avere
0 pace 0 trìegua, alla sorella disse
Ch' omai sicuramente a rivedere
1 monachetti suoi seco venisse.
Lasciamle andare, e stiam noi dove in fronte
Ruggiero avea ferito Rodomonte.
123 Fu il colpo di Ruggier di si gran Terza,
Che fece in su la groppa di Frontino
Percuoter l'elmo e quella dura scorza *
Di eh' avea armato il dosso il Saracino,
E lui tre volte e quattro a poggia e ad orza
Piegar per gire in terra a capo chino ;
E la spada egli ancora avria perduta,
Se legata alla man non fusse suta.
CANTO VBNTESIM08BST0. 71
424 Avea Marfisa a Mandricardo intanto
Fatto sudar la fronte, il viso e il petto ;
Ed egli avea a lei fatto altrettanto :
Ma si Tosbergo d'ambi era perfetto.
Che mai poter falsarlo in nessun canto,
£ st^ti eran sin qui pari in effetto;
Ma in un voltar che fece il suo destriero,
Bisogno ebbe Marfisa di Ruggiero.
125 n destrier di Marfisa in un voltarsi
Che fece stretto, ov'era molle il prato.
Sdrucciolò in guisa, che non potè aitarsi
Di non tutto cader sul destro lato;
£ nel volere in fretta rilevarsi,
Da Brigliador fu pel traverso urtato,
Con che il pagan poco corte3e venne ;
Si che cader di nuovo gli convenne.
426 Ruggìer, che la donzella a mal partito
Vide giacer, non differì il soccorso.
Or che l'agio n*avea, poiché stordito
Da sé lontan queir altro era trascorso.
Feri su Telmo il Tartaro ; e partito
Quel colpo gli avria il capo come un torso.
Se Ruggier Balisarda avesse avuta,
0 Mandricardo in capo altra barbuta.
427 II re d'Algier, che si risente in questo,
Si volge intorno, e Ricciardetto vede ;
£ si ricorda che gli fu molesto
Dianzi, quando soccorso a Ruggier diede.
A lui si drizza ; e saria stato presto
A dargli del ben fare aspra mercede,
Se con grande arte e nuovo incanto tosto
Non se gli fosse Malagigi opposto.
428 Malagigi, che sa d'ogni malia
Quel che ne sappia alcun mago eccellente.
Ancorché '1 libro suo seco non sia.
Con che fermare il sole era possente,
Pur la scongiurazione, onde solia
Comandare ai demoni, aveva a mente:
Tosto in corpo al ronzino un ne constrìnge
Di Doralice, ed in furor lo spinge.
72 ORLANDO FURIOSO.
429 Nel mansueto ubino, che sai dosso
Avea la figlia del re Stordilano,
Fece entrar nn degli angel dì Minosso
Sol con parole il frate di Viviano :
E quel, che dianzi mai non s'era mosso.
Se non quanto ubbidito avea alla mano,
Or d'improvviso spiccò in aria un salto
Che trenta piò fu lungo, e sedici alto.
130 Fu grande il salto, non però di sorte.
Che ne dovesse alcun perder la sella.
Quando sj vide in alto, gridò forte
(Chò si tenne per morta) la donzella.
Quel ronzin, come il diavol se lo porte.
Dopo un gran salto se ne va con quella.
Che pur grida soccorso, in tanta fretta.
Che non l'avrebbe giunto una saetta.
i3i Dalla battaglia il figlio d'Ulieno
Si levò al primo suon di quella voce ;
E dove furiava il palafreno »
Per la donna aiutar, n'andò veloce.
Mandricardo di lui non fece meno :
Nò più a Ruggier, nò più a Marfisa nuoce ;
Ma, senza chieder loro o paci o tregue,
E Rodomonte e Doralice segue.
132 Marfisa intanto si levò di terra ;
E tutta ardendo di disdegno e d'ira,
Credesi far la sua vendetta, ed erra ;
Chò troppo lungi il suo nimico mira.
Ruggier, ch'aver tal fin vede la guerra,
Rugge come un leon, non che sospira.
Ben sanno che Frontino e Briglìadoro
Giunger non ponno coi cavalli loro.
433 Ruggier non vuol cessar finchò decisa
Col re d'Algier non l'abbia del cavallo :
Non vuol quietar il Tartaro Marfisa ;
Chò provato a suo senno anco non hallo.
Lasciar la sua querela a questa guisa
Parrebbe all' uno e all' altro troppo fallo.
Di comune parer disegno Tassi
Di chi offesi gli avea seguire i passi.
CANTO VENTESIMOSKSTO. 73
434 Nel campo saracìn lì troveranno,
Quando non possa ritrovarli prima;
Che per levar T assedio iti saranno,
Prima che 'I re di Francia il tutto opprima.
Cosi direttamente se ne vanno
Dove averli a man salva fanno stima.
Già non andò Ruggier cosi di botto,
Che non facesse ai suoi compagni motto.
iZb Ruggier se ne ritorna ove in disparte
Era il fratel della sua donna bella,
£ se gli proflerisce in ogni parte
Amico, per fortuna e buona e fella:
Indi lo priega (e lo fa con bell'arte)
Che saluti in suo nome la sorella ;
£ questo cosi ben gli venne detto,
Che né a lui die né agli altri alcun sospetto.
436 £ da lui, da Vivian, da Malagigi,
Dal ferito Aldigier tolse commiato.
Si profferirò anch' essi alti servigi
Di lui, debitor sempre in ogni lato.
Marfìsa avea si il cor d* ire a Parigi,
Che '1 salutar gli amici avea scordato;
Ma Malagigi andò tanto e Viviano,
Che pur la salutaron di lontano;
437 £ cosi Ricciardetto: ma Aldigiero
Giace, e convien che suo malgrado resti.
Verso Parigi avean preso il sentiero
Quelli duo prima, ed or lo piglian questi.
Dirvi, signor, nell'altro Canto spero
Miracolosi e soprumani gesti.
Che con danno degli uomini di Carlo
Ambe le coppie fer, di ch'io vi parlo.
KTOTE.
St. 4. V. 9. — Su l'aie .* pronti, ap-
parecchiati.
Si. 14. V. 3, — L' arrestato legno:
la lancia in resta.
St. ih. V, l.^Ctades voce latina,
strage,
St. i7. V. 3.— // collegio: Tadu-
nania delle prccbie, lo sciame.
II. 7
74
ORLANDO FURIOSO.
StA9, V, h^^.'-'Jusa: latinismo,
ardita.^ Un Ettor: Talente guerriero,
fijilio di Priamo re di Troia.
Si. SO. V, 7-8. — Marte ec..' favo-
losa Dio della guerra, e nome del pia-
ii«ia riguardato pel quinto dagli astro-
acmi aaikbi.
St. E4, V* 2. — Bellonat sorella di
Martf, e Bea essa pure della guerra.
Si. 31. 9. i-8. — Quivi iuta òe-
jlia^ ec. \n questa e nelle due seguenti
SLanic Inombrasi l*aTarizia«
St, 33. I». 4, — Satrapi: cosi chia-
ma va osi presso i Persiani i governatori
dì Provincie o d'eserciti.
ò't. 33, V. 7-8. — Le chiavi ec,: la
podestà di sciogliere e di legare, data a
Sau Pietro.
St, il. V. 6. — Quel Piton ec. .*
DOtnt di uno smisurato serpente che i
pdcii ÈDiero generato dalla Terra dopo
Il ililuviop e ucciso da Apollo.
SLk^.V.1'%. — Dal furor ec.t al-
WJe agli Sviiaeri, che, sebbene allora
pd&lorie Ufolchi, eransi armati contro
le fané di Francia.
St. 45. V, 1'%.-^ Espugnerà il ca^
ticl ec' quello di Milano.
Si* VI. V. 4-5. — Di chi mostrai'
la te: intende di Annibale, che scon-
1ì Kie i Homani nei luoghi indicati, come
Bltiave li e detto. — Con lajoriuna ec*.'
pattuii forse della fortuna che arrideva
al rt Francesco nel 4515, quando salì in
tronoj t quando!' Autore scriveva questi
vcrii^
St. 48. V. 6-7.— Q«iVi nn Ber»
nnriiù te.: il cardinale Bernardo Divizio
da Bibbiena, che scrisse una commedia
intitolata la Calandra.
St. 49. (^. S-3 A Sismomdo ec:
tre cardinali, Gismondo Gontaga^Gio»
vanni Salviatij Lodovico d'Aragona,
St. 50. V. 3 Dal Eliseo t dal
Fiesco.
St. 5S. V, 3-4. — Lo scoglio ec. :
risola d* Ischia. — lyiedi d' angue: i
poeti finsero che i giganti avessero i
piedi d*angue, ossia terminassero in av-
volgimenti serpentini, onde li dissero
angttipedi,
St. 81. 9. 7.8.— Tal nel campo
troian Pentesilea ec: questa regina
delle Amazsoni fu adtutrice de' Troiani
contro i Greci, e più volte combattè con
Achille.
St.2l. V. 8. •— Appresso a porre il
morso: vicino a dare l'estrema scon-
fitta.
St. 95. V. 5. — Faville: parti mi-
nutissime di fuoco: qui s' intende quella
cenere sottile che ricuopre la brace; e
metaforicamente le ragioni che impe-
divano Rodomonte di accettare la tanto
desiderata 1>attag1ia con Ruggiero.
St. 100. V. 2^8. -^L'augel ec:
r aquila. — Con l' altre istorie ec: ve-
dasi tutto questo nel Libro III, Canto II
dtW Orlando Innamorato.
St. 124. V. 5. — Falsarlo: adulte,
rarlo; qui guastarlo.
St. 129. V. 3. — Un degli angel di
Minosso: un diavolo di quelli che
ministrano a Minos, costituito da Gio-
ve , secondo i poeti , giudice nell' in-
ferno.
75
CJUVTO imnrarEsmosKirruiio.
Mandricardo* Rugi^iero, Rodomonte e MaT6ta« inseguendo DoralicCi giungono
sotto Parigi) assalgono l'esercilo cristiano, e respingono Carlo dentro le mura.
Ciò fatto, tornano alle precedenti gare. II re africano rimette aeH' arbitrio di
DoraUce lo scegliere fra Mandricardo e Rodomonte: questi è rifiotalOi onde si
parte indispettito, con disegno di tornarsene in Africa | ed alloggia una sera
presso un albergatore sulla Saona.
L Molti consìgli delle donne sono
Meglio improvviso, eh' a pensarvi, asciti;
Che questo è speziale e proprio dono
Fra tanti e tanti lor dal Giel largiti;
Ma può mal quel degli uomini esser buono,
Che maturo discorso non aiti ,
Ove non s' abbia a ruminarvi sopra
Speso alcun tempo, e molto studio ed opra.
Parve, e non fu però buono il consiglio
Di Malagigì, ancorché (come ho detto)
Per questo di grandissimo perìglio
Liberasse il cugin suo Ricciardetto.
A levare indi Rodomonte e il figlio
Del re Agrican, lo spirto avea constretto.
Non avvertendo che sarebbon tratti
Dove i Cristian ne rimarrìan disfatti.
Ma se spazio a pensarvi avesse avuto.
Creder si può che dato similmente
Al suo cugino avria debito aiuto,
Né fatto danno alla cristiana gente.
Comandare allo spirto avria potuto.
Ch'alia via di Levante o di Ponente
Si dilungata avesse la donzella,
Che non n' udisse Francia più novella.
70 OBLANDO FURIOSO.
4 Cosi gli amanti suoi Y avrian seguila,
Come a Parigi, anco in ogni altro loco;
Ma fu quest' avvertenza inavvertita
Da Malagigi, per pensarvi poco:
E la Malignità dal ciel bandita,
Che sempre vorria sangue e strage e fuoco,
Prese la via donde più Carlo aflQisse,
Poiché nessuna il mastro gli prescrisse.
5 II palafren eh' avea il demonio al Oanco
Portò la spaventata Doralice,
Che non potè arrestarla fiume , e manco
Fossa, bosco, palude, erta o pendice.
Finché per mezzo il campo inglese e franco,
£ l'altra moltitudine fautrice
Deir insegne di Cristo, rassegnata
Non r ebbe al padre suo re di Granata.
6 Rodomonte col figlio d'Agricane
La seguitare il primo giorno un pezzo.
Che le vedean le spalle, ma lontane.
Di vista poi perderonla da sezzo,
£ venner per la traccia, come il cane
La lepre o il capriol trovare avvezzo;
Né si fermar, che furo in parte dove
Di lei, ch'era col padre, ebbono nuove.
7 Guardati, Carlo; che '1 ti vien addosso
Tanto furor, eh' io non ti veggo scampo;
Né questi pur; ma '1 re Gradasso é mosso
Con Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per toccarti fin all'osso.
Ti tolte a un tempo l' uno e l' altro lampo
Di forza e di saper, che vivea teco;
E tu rimase in tenebre sei cieco.
8 Io ti dico d' Orlando e di Rinaldo ;
Che r un al tutto furioso e folle.
Al sereno, alla pioggia, al freddo, al caldo,
Nudo va discorrendo il piano e '1 colle:
L'altro, con senno non troppo più saldo,
D'appresso al gran bisogno ti si tolle;
Che, non trovando Angelica in Parigi,
Si parte, e va cercandone vestigi.
CANTO VENTESIMOSETTIHO. 77
9 Un fraudolente vecchio incantatore
Gli fé (come a principio vi si disse)
Creder per un fantastico suo errore,
Che con Orlando Angelica venisse:
Onde di gelosia tocco nel core,
Della maggior ch'amante mai sentisse,
Venne a Parigi; e come apparve in corte,
D' ire in Bretagna gli toccò per sorte.
40 Or, fatta la battaglia onde portonne
Egli r onor d'aver chiuso Agramante,
Tornò a Parigi, e monister di donne,
E case e rocche cercò tutte quante.
Se murata non è tra le colonne,
V avria trovata il curioso amante.
Vedendo alfin ch'ella non v'è né Orlando,
Amenduo va con gran disio cercando.
11 Pensò che dentro Anglante o dentro a Brava
Se la godesse Orlando in festa e in giuoco ;
E qua e là per ritrovarla andava,
Né in quel la ritrovò né in questo loco.
A Parigi di nuovo ritornava.
Pensando che tardar dovesse poco
Di capitare il paladino al varco;
Che il suo star fuor non era senza incarco.
12 Un giorno o duo nella città soggiorna
Rinaldo; e poich' Orlando non arriva,
Or verso Anglante, or verso Brava torna
Cercando se di lui novella udiva.
Cavalca e quando annotta e quando aggiorna,
Alla fresca alba e all'ardente ora estiva;
£ fa al lume del sole e della luna
Dugento volte questa via, non eh' una.
iZ Ma l'antiquo avversario, il qual fece Eva
All'interdetto pome alzar la mano,
A Carlo un giorno 1 lividi occhi leva,
Che '1 buon Rinaldo era da lui lontano ;
E vedendo la rotta che poteva
Darsi in quel punto al popolo cristiano.
Quanta eccellenzìa d' arme al mondo fusse
Fra tutti i Saracini, ivi condusse.
7"
98 ORLANDO FURIOSO.
H Al re Gradasso e al buon re Sacripante ^
€h* eran fatti compagni all' nscir faore
Della piena d'error casa d'Atlante,
Di venire in soccorso messe in core
Alle genti assediate d'Agramante,
E a distrnzion di Carlo imperatore :
Ed egli per V incognite contrade
Fé lor la scorta, e agevolò le strade.
i& Et ad an altro suo diede negozio
D'affrettar Rodomonte e Mandricardo
Per le vestigio donde \* altro sozio
A condor Doralice non è tardo.
Ne manda ancor un altro, perchè in ozio
Non stia MarGsa né Kaggier gagliardo :
Ma chi guidò V ultima coppia , tenne
La briglia più; né quando gli altri, venne.
i% La coppia di MarGsa e di Ruggiero
Di mezza ora più tarda si condusse ;
Però eh' astutamente V angel nero.
Volendo agli Cristian dar delle busse,
Provvide che la lite del destriero
Per impedire il suo desir aon fosse ;
Che rinnovata si saria, se giunto
Fosse Ruggiero e Rodomonte a un punto.
17 I quattro primi si trovare insieme
Onde potean veder gli alloggiamenti
Deir esercito oppresso e di chi '1 preme,
E le bandiere in che feriano i venti:
Si consigliare alquanto; e fur l'estreme
Conclosion dei lor ragionamenti.
Di dare aiuto, mal grado di Carlo,
Al re Agramante, e dell'assedio trarlo.
is Stringonsi insieme, e prendono la via
Per mezzo ove s'alloggiano i Cristiani,
Gridando, Africa e Spagna tuttavia;
E si scoprirò in tutto esser pagani.
Pel campo. Arme, arme risonar s'udia;
Ma menar si sentir prima le mani :
E della retroguardia una gran frotta.
Non ch'assalita sia, ma fogge in rotta.
CANTO VENTESlMOSETimO. 79
19 L'esercito Cristian, mosso a tumolto»
Sozzopra va senza sapere il fatto.
Estima alcan che sia un usato insulto
Che Svizzeri o Guasconi abbino fatto.
Ma perch'alia più parte è il caso occulto,
S* aduna insieme ogni nazion di fatto,
Altri a suon di tamburo, altri di tromba :
Grande è '1 rumore, e fin al ciel rimbomba.
20 II magno imperator, fuorché la testa,
È tutto armato, e i paladini ha presso;
E domandando vien che cosa è questa.
Che le squadre in disordine gli ha messo;
E minacciando, or questi or quelli arresta;
E vede a molti il viso o il petto fesso.
Ad altri insanguinare o il capo o il gozzo,
Alcun tornar con mano o braccio mozzo.
21 Giunge più innanzi, e ne ritrova molti
Giacere in terra , anzi in vermiglio lago
Nel proprio sangue orribilmente involti,
Né giovar lor può medico né mago ;
E vede dagli busti i capi sciolti,
E braccia e gambe con crudele imago ;
E ritrova, dai primi alloggiamenti
Agli ultimi , per tutto uomini spenti.
22 Dove passato era il piccol drappello
Di chiara fama eternamente degno,
Per lunga riga era rimase quello
Al mondo sempre memorabil segno.
Carlo mirando va il crudel macello,
Maraviglioso, e pien d'ira e di sdegno;
Come alcuno in cui danno il fulgur venne,
Cerca per casa ogni sentier che tenne.
23 Non era agli ripari anco arrivato
Del re african questo primiero aiuto.
Che con Marfisa fu da un altro lato
L' animoso Ruggier sopravvenuto.
Poi eh' una volta o due l' occhio aggirato
Ebbe la degna coppia, e ben veduto
Qual via più breve per soccorrer fosse
L' assediato signor, ratto si mosse*
L
80 ORLANDO FURIOSO.
24 Come quando sì dà fuoco alla mina,
Pel lungo solco della nostra polve
Licenziosa fiamma arde e cammina
Si, ch'occhio addietro a pena se le voi ve;
E qual si sente poi l' alta ruina
Che '1 duro sasso o il grosso muro solve :
Cosi Ruggiero e Marfìsa vanirò,
E tai nella battaglia si sentirò.
25 Per lungo e per traverso a fender teste
Incominciaro, e tagliar braccia e spalle
Belle turbe che mal erano preste
Ad espedire e sgombrar loro il calle.
Chi ha notato il passar delle tempeste,
Ch' una parte d' un monte o d' una valle
Offende, e V altra lascia ; s' appresenti
La vìa dì questi duo fra quelle genti.
26 Molti che dal furor di Rodomonte
E di quegli altri primi eran fuggiti.
Dio ringraziavan , eh' avea lor sì pronte
Gambe concesse, e piedi sì espediti;
E poi dando del petto e della fronte
In MarGsa e in Ru^gier, vedean, scherniti,
Come r uom né per star né per fuggire.
Al suo Asso destin può contraddire.
27 Chi fugge l'un pericolo, rimane
Neil' altro, e paga il Go d'ossa e dì polpe.
Cosi cader coi Ggli in bocca al cane
Suol, sperando fuggir, timida volpe,
Poiché la caccia dell' antique tane
Il suo vicin che le dà mille colpe,
E cautamente con fumo e con fuoco
Turbata l' ha da non temuto loco.
28 Negli ripari entrò de' Saracini
MarGsa con Ruggiero a salvamento.
Quivi tutti con gli occhi al ciel supini
Dio ringraziar del buono avvenimento.
Or non v'é più timor de' paladini;
Il più tristo pagan ne sGda cento;
Ed é concluso che senza riposo
Si torni a fare il campo sanguinoso.
CANTO VENTESIMOSETTIMO. 81
29 Corni, bussoni, tìmpani moreschi
Empiono il ciel di formidabil suoni:
Neil* aria tremolare ai venti freschi
Si veggon le bandiere e i gonfaloni.
Dall'altra parte i capitan Garleschi
Stringon con Alamanni e con Britoni
Qaei di Francia, d' Italia e d' Inghilterra;
£ si mesce aspra e sanguinosa guerra.
30 La forza del terribil Rodomonte,
Quella di Mandricardo furibondo,
Quella del buon Ruggier, di virtù fonte,
Del re Gradasso si famoso al mondo,
E di Marfisa l'intrepida fronte.
Col re Circasso a nessun mai secondo,
Feron chiamar San Gianni e San Dionigi
Al re di Francia, e ritrovar Parigi.
31 Di questi cavalieri e di Marfisa
L'ardire invitto e la mirabil possa
Non fu, signor, di sorte, non fu in guisa
Ch' immaginar, non che descriver possa.
Quindi si può slimar che gente uccisa
Fosse quel giorno, e che crudel percossa
Avesse Carlo. Arroge poi con loro
Con Ferraù più d' un famoso Moro.
32 Molti per fretta s' affogare in Senna
(Che '1 ponte non potea supplire a tanti),
E desiar, come Icaro, la penna.
Perchè la morte avean dietro e davanti.
Eccetto Uggieri e il marchese di Vienna,
1 paladin fur presi tutti quanti.
Olivier fitornò ferito sotto
La spalla destra, Uggier col capo rotto.
33 E se, come Rinaldo e come Orlando,
Lasciato Brandimarte avesse il giuoco,
Carlo n'andava di Parigi in bando.
Se potea vivo uscir di si gran fuoco.
Ciò che potè, fé Brandimarte; e quando
Non potè più, diede alla furia loco.
Cosi Fortuna ad Agramante arrise,
Ch' un' altra volta a Carlo assedio mise.
82 ORLANDO FURIOSO.
34 Dì vedovelle i gridi e le querele,
E d'orfani fanciulli, e di vecchi orbi,
Neir eterno seren, dove Michele
Sedea, salir fuor di questi aer terbi;
£ gli fecion veder come il fedele
Popol preda de' lupi era e de' cerbi ,
Di Francia, d' Inghilterra e di Lamagna,
Che tutta avea coperta la campagna.
35 Nel viso 6' arrossi l' Angel beato,
Parendogli che mal fosse ubbidito
Al Creatore, e si chiamò ingannato
Dalla Discordia perfida, e tradito.
D' accender liti tra i pagani dato
Le avea l'assunto, e mal era eseguito;
Anzi tutto il contrario al suo disegno
Parea aver fatto, a chi guardava al segno.
36 Come servo fedel, che più d'amore
Che di memoria abbondi, e che s'avveggia
Aver messo in oblio cosa eh' a core
Quanto la vita e l'anima aver deggia;
Studia con fretta d* emendar l' errore.
Né vuol che prima il suo signor lo veggia:
Cosi l'Angelo a Dio salir non volse.
Se dell' obbligo prima non si sciolse.
37 Al monisler, dove altre volte avea
La Discordia veduta, drizzò l'ali.
Trovolla eh' in capitolo sedea
A nuova elezion degli ufficiali ;
E di veder diletto si prendea,
Volar pel capo a' frati i breviali.
Le man le pose l' Angelo nel crine,
E pugna e calci le die senza fine.
3S Indi le roppe un manico di croce
Per la testa, pel dosso e per le braccia.
Mercè grida la misera a gran voce,
E le ginocchia al divin nunzio abbraccia.
Michel non l'abbandona, che veloce
Nel campo del re d'Africa la caccia;
E poi le dice: Aspettati aver peggio»
Se fuor di questo campo più ti veggio.
CANTO VENTESIMOSETTIMO. 83
SO Gomechè la Discordia avesse rotto
Tutto il dosso e le braccia, pur temendo
Uo' altra volta ritrovarsi sotto
A quei gran colpì, a quel furor tremendo,
Corre a pigliare i mantici di botto.
Ed agli accesi fuochi esca aggiungendo,
Ed accendendone altri , fa salire
Da molti cori un alto incendio d'ire.
40 E Rodomonte e Mandricardo e insieme
Ruggier n' inGamma si , che innanzi al Moro
Li fa tutti venire, or che non preme
Carlo i pagani, anzi il vantaggio è loro.
Le differenzie narrano, ed il seme
Fanno saper, da cui produtte foro:
Poi del re si rimettono al parere,
Chi di lor prima il campo debba avere.
41 Marfisa del suo caso anco favella,
E dice che la pugna vuol finire.
Che cominciò col Tartaro; perch'olla
Provocata da lui vi fu a venire:
Né, per dar loco air altre, volea quella
Un'ora^ non che un giorno, differire;
Ma d' esser prima fa Y instanzia grande ,
Ch' alla battaglia il Tartaro domande.
42 Non men vuol Rodomonte il primo campo
Da terminar col suo rivai V impresa
Che, per soccorrer l'africano campo,
Ha già interrotta, e fin a qui sospesa.
Mette Ruggier le sue parole a campo,
E dice che patir troppo gli pesa ,
Che Rodomonte il suo destrier gli tenga,
E eh' a pugna con lui prima non venga.
43 Per più intricarla il Tartaro viene anche ,
E niega che Ruggiero ad alcun patto
Debba l' aquila aver dall' ale bianche ;
E d'ira e dì furore è cosi matto.
Che vuol, quando dagli altri tre non manche,
Combatter tutte le querele a un tratto.
Nò più dagli altri ancor saria mancato ,
Se '1 consenso del re vi fosse stalo.
84 ORLANDO FORIOSO.
44 Con prìeghi il re Agramante e buon ricordi
Fa quanto poò, perchè la pace segna:
£ quando alfin tutti li vede sordi
Non volere assentire a pace o a triegua.
Va discorrendo come almen gli accordi
Si, che r un dopo V altro il campo assegua;
£ pel miglior partito alfin gli occorre,
Gh' ognuno a sorte il campo s' abbia a tórre.
45 Fé quattro brevi porre : un Mandricardo
£ Rodomonte insieme scritto avea,
Nell'altro era Ruggiero e Mandricardo;
Rodomonte e Ruggier T altro dicea;
Dicea r altro Marfìsa e Mandricardo.
Indi all'arbitrio dell' instabil Dea
Lì fece trarre ; e '1 primo fu il signore
Di Sarza a uscir con Mandricardo fuore.
46 Mandricardo e Ruggier fu nel secondo;
Nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte :
Restò Marfisa e Mandricardo in fondo ;
Di che la donna ebbe turbata fronte.
Né Ruggier più di lei parve giocondo:
Sa che le forze dei duo primi pronte
Han tra lor da finir le liti in guisa.
Che non ne fia per sé, né per Marfìsa.
47 Giacea non lungi da Parigi un loco,
Che volgea un miglio o poco meno intorno:
Lo cingea tutto un argine non poco
Sublime, a guisa d'un teatro adorno.
Un Castel già vi fu; ma a ferro e a fuoco
Le mura e i tetti ed a mina andorno.
Un simil può vederne in su la strada,
Qual volta a Borgo il Parmigiano vada.
4S In questo loco fu la lizza fatta.
Di brevi legni d' ogn' intorno chiusa.
Per giusto spazio quadra, al bisogno atta.
Con due capaci porte, come s' usa.
Giunto il dì eh' al re par che si combatta
Tra i cavalier che non ricercan scusa,
Foro appresso alle sbarre in ambi i Iati
Contra i rastrelli i padiglion tirati.
CANTO VENTESIMOSETTIMO. 85
49 Nel padiglion eh' è più verso ponente
Sta il re d' Algier, e' ha membra di gigante.
Gli pon lo scoglio indosso del serpente
L'ardito Ferraù con Sacripante.
Il re Gradasso e Falsiron possente
Sono in quell'altro al lato di levante,
E metton di saa man l' arme troiane
Indosso al successor del re Agricane.
so Sedeva in tribunale ampio e sublime
Il re d'Africa, e seco era l' Ispano;
Poi Stordilano, e l'altre genti prime
Che riveria l' esercito pagano.
Beato a chi pdn dare argini e cime
D'arbori stanza che gli alzi dal piano I
Grande è la calca, e grande in ogni lato
Popolo ondeggia intorno al graa steccato.
51 Eran con la regina di Castiglia
Regine e principesse e nobil donne
D'Aragon, di Granata e di Siviglia,
E fin di presso all' atlantee colonne :
Tra quai di Stordilan sedea la figlia.
Che di duo drappi avea le ricche gonne :
L'nn d'un rosso mal tinto, e l'altro verde;
Ma '1 primo quasi imbianca, e il color perde.
52 In abito succinto era Marfisa,
Qual si convenne a donna ed a guerriera.
Termoodonte forse a quella guisa
Vide Ippolita ornarsi e la sua schiera.
Già, con la cotta d' arme alla divisa
Del re Agramante, in campo venut' era
L'araldo a far divieto e metter leggi.
Che né in fatto né in detto alcun parteggi.
53 La spessa turba aspetta disiando
La pugna, e spesso incolpa il venir tardo
Dei duo famosi cavalieri ; quando
S'ode dal padiglion di Mandricardo
Alto rumor, che vien moltiplicando.
Or sappiate, signor, che '1 re gagliardo
Di Sericana e 'i Tartaro possente
Fanno il tumulto e '1 grido che si sente.
II. 8
86 OBLANDO FURIOSO.
64 Avendo armato il re di Sericana
Di 8oa man tolto il re di.Tartaria,
Per porgli al fianco la spada soprana,
Che già d' Orlando fu, se ne venia;
Quando nel pome scritto. Durindana,
Vide, e '1 quartier eh* Almonte aver solia,
Gh' a quel meschin fu tolto ad una fonte
Dal giovanetto Orlando in Aspramente.
66 Vedendola, fu certo eh' era quella
Tanto famosa del signor d' Angiante,
Per coi con grande armata, e la più bella
Che giammai si partisse di Levante,
Soggiogato avea il regno di Castella,
£ Francia vinta esso pochi anni innante :
Ma non può immaginarsi come avvenga
Ch' or Mandricardo in suo poter la tenga.
66 E dimandògli se per forza o patto
L' avesse tolta al conte, e dove e quando.
£ Mandricardo disse eh' avea fatto
Gran battaglia per essa con Orlando ;
E come finto quel s'era poi matto.
Cosi coprire il suo timor sperando,
Ch' era d' aver continua guerra meco,
Finché la buona spada avesse seco.
67 E dìcea ch'imitato avea il castoro,
Il qual si strappa i genitali sui.
Vedendosi alle spalle il cacciatore.
Che sa che non ricerca altro da lui.
Gradasso non udì tutto il tenore,
Che disse : Non vo' darla a te nò altrui.
Tant' oro, tanto afianno e tanta gente
Ci ho speso, che è ben mia debitamente.
68 Cercati pur fornir d' un' altra spada ;
Ch'io voglio questa, e non ti paia nuovo.
Pazzo 0 saggio ch'Orlando se ne vada.
Averla intendo ovunque io la ritrovo.
Tu senza testimoni in su la strada
Te l'usurpasti: io qui lite ne muovo.
La mia ragion dirà mia scimitarra;
E faremo il giodicio nella sbarra.
CANTO VBNTESIMOSETTIMO. 87
69 Prima, di gaadagnarla t'apparecchia,
Che ta r adopri contra a Rodomonte.
Di comprar prima Tarme ò usanza vecchia,
Gh' alla battaglia il cavalier s' afifronte.
Più dolce suon non mi viene all' orecchia.
Rispose alzando il Tartaro la fronte.
Che quando di battaglia alcan mi tenta ;
Ma fa che Rodomonte io consenta.
60 Fa che sia taa la prima, e che si tolga
Il re di Sarza la tenzon seconda ;
E non ti dubitar eh' io non mi volga,
E eh' a te et ad ogni altro io non risponda.
Ruggìer gridò: Non vo'che si disciolga
Il patto, o più la sorte ^i confonda:
0 Rodomonte in campo prima saglìa,
O sia la sna dopo la mia battaglia.
61 Se di Gradasso la ragion prevale.
Prima acquistar che porre in opra l'arme,
Né tu r aquila mia dalle bianche ale
Prima usar dèi , che non me ne disarme :
Ma poich' è stato il mio voler già tale.
Di mia sentenza non voglio appellarme.
Che sia seconda la battaglia mia.
Quando del re d' Algier la prima sia.
62 Se turberete voi V ordine in parte.
Io totalmente turberoUo ancora.
Io non intendo il mio scudo lasciarte,
Se contra me non lo combatti or ora.
Se l' uno e l' altro di voi fosse Marte,
Rispose Mandricardo irato allora.
Non saria l' un nò l' altro atto a vietarme
La buona spada, o quelle nobili arme.
63 E, tratto dalla collera, awentosse
Gol pugno chiuso al re di Sericana ;
E la man destra in modo gli percosse,
Gh' abbandonar gli fece Durindana.
Gradasso, non credendo ch'egli fosse
Di cosi folle audacia e cosi insana.
Gotto improvviso fu, che stava a bada.
E tolta si trovò la buona spada.
88 ORLANDO FURIOSO.
64 Cosi scornalo, di vergogna e d' ira
Nel viso avvampa, e par che getti faoco;
£ più r affligge il caso e lo martira,
Poiché gli accade in sì palese loco.
Bramoso di vendetta si ritira,
A trar la scimitarra, addietro an poco.
Jdandricardo in sé tanto si confida,
Che Ruggiero anco alla battaglia sfida.
65 Venite pure innanzi amenduo insieme,
£ vengane pel terzo Rodomonte,
Africa e Spagna e tutto Tuman seme;
Ch' io son per sempre mai volger la fronte.
Cosi dicendo, quel che nulla teme.
Mena d'intorno la spada d' Almonte;
Lo scudo imbraccia, disdegnoso e fiero.
Centra Gradasso e centra il buon Ruggiero.
66 Lascia la cura a me, dicea Gradasso,
Ch' io guarisca costui della pazzia.
Per Dio, dicea Ruggier, non te la lasso;
Ch' esser convien questa battaglia mia.
Va indietro tu ; vavvi pur tu : né passo
Però tornando, gridan tuttavia;
£d attaccossi la battaglia in terzo,
£d era per uscirne un strano scherzo,
67 Se molti non sì fossero interposti
A quel furor, non con troppo consiglio ;
Ch'a spese lor quasi imparar che costi
Voler altri salvar con suo periglio.
Né tutto '1 mondo mai gli avria composti.
Se non venia col re d' Ispagna il figlio
Del famoso Troiano, al cui conspetto
Tutti ebboQ riverenzia e gran rispetto,
68 Si fé Agramante la cagione esporre
Di questa nuova lite così ardente :
Poi molto affaticossi , per disporre
Che pir quella giornata solamente
A Mandricardo la spada d' £ttorre
Concedesse Gradasso umanamente,
Tanto eh' avesse fin l' aspra contesa
Ch' avea già incontra a Rodomonte presa.
CANTO VENTESIMOSBTTIHO. 89
69 Mentre stadia placarli il re Agramanle,
Ed or con questo ed or con quel ragiona ;
Dall' altro padiglion tra Sacripante
E Rodomonte an' altra lite suona.
Il re Circasso, come è detto innante,
Stava di Rodomonte alla persona ;
Ed egli e Ferraù gli aveano indotte
L'arme del suo progenitor Nembrotte.
70 Ed eran poi venuti ove il destriero
Facea, mordendo, il ricco fren spumoso ;
10 dico il buon Frontin, per cui Ruggiero
Stava iracondo e più che mai sdegnoso.
Sacripante eh' a por tal cavaliere
In campo avea, mirava curioso.
Se ben ferrato e ben guernito e in punto
Era il destrier, come doveasi a punto.
71 E venendo a guardargli più a minuto
I segni , le fattezze isnelle ed atte,
Ebbe, fuor d'ogni dubbio, conosciuto
Che questo era il destrier suo Frontalatte,
Che tanto caro già s'avea tenuto,
Per cui già avea mille querele fatte ;
E poi che gli fu tolto, un tempo volse
Sempre ire a piedi : in modo glie ne dolse.
72 Innanzi Albracca gli l'avea firunello
Tolto di sotto quel medesmo giorno
Ch' ad Angelica ancor tolse l'anello.
Al conte Orlando Balisarda e '1 corno,
E la spada a Marfisa; ed avea quello,
Dopo che fece in Africa ritorno.
Con Balisarda insieme a Ruggier dato,
11 qual l'avea Frontin poi nominato.
73 Quando conobbe non si apporre in fallo,
Disse il Circasso al re d'Algier rivolto :
Sappi, signor, che questo è mio cavallo,
Ch' ad Albracca di furto mi fu tolto.
Bene avrei testimoni da provallo;
Ma perchè son da noi lontani molto,
S' alcun lo niega, io gli vo' sostenere
Con l'arme in man le mie parole vere.
8*
-~m^gr^
90 ORLANDO FORIOSO.
74 fien son contento, per la compagnia
In questi pochi dì stata fra noi,
Che prestato il cavallo oggi ti sia ;
Ch' io veggo ben ciie senza far non puoi ;
Però con patto, se per cosa mia
E prestata da me conoscer vuoi :
Altrimente d'averlo non far stima,
O se non lo combatti meco prima.
76 Rodomonte, del qaale nn più orgoglioso
Non ebbe mai tatto il mestier dell' arme ;
Al quale in esser forte e coraggioso
Alcuno antico d'uguagliar non parme ;
Rispose: Sacripante, ogni altro ch'oso,
Fuorché tu, fosse in tal modo a parlarme,
Con suo mal si saria tosto avveduto
Che meglio era per lui di nascer muto.
76 Ma per la compagnia che, come hai detto,
Novellamente insieme abbiamo presa,
Ti son contento aver tanto rispetto,
Ch'io t'ammonisca a tardar questa impresa.
Finché della battaglia veggi effetto.
Che fra il Tartaro e me tosto fia accesa ;
Dove porti uno esempio innanzi spero,
Ch' avrai di grazia a dirmi : Abbi il destriero.
77 Gli é teco cortesia l'esser villano.
Disse il Circasso pien d'ira e di sdegno ;
Ma più chiaro ti dico ora e più piano.
Che tu non faccia in quel destrier disegno :
Che te lo difendo io, tanto ch'in mano
Questa vindice mia spada sostegno ;
E metterovvi insino l'ugna e il dente.
Se non potrò difenderlo altrimente.
78 Yenner dalle parole alle contese.
Ai gridi, alle minacce, alla battaglia.
Che per moli' ira in più fretta s'accese ,
Che s'accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha Tosbergo ed ogni arnese ;
Sacripante non ha piastra né maglia ;
Ma par (si ben con lo schermir s'adopra)
Che tutto con la spada si ricuopra.
CANTO VENTESIMOSETTIMO. 91
79 Non era la possanza e la fierezza
Di Rodomonte, ancorch'era infinita,
Più che la provldenza e la destrezza
Con che soe forze Sacripante aita.
Non voltò ruota mai con più prestezza
Il macigno sovran che '1 grano trita,
r4he faccia Sacripante or mano or piede
Di qaa di là, dove il bisogno vede.
80 Ma Ferraù, ma Serpentino arditi
Trasson le spade, e si cacciar tra loro,
Dal re Grandonio, da Isolier seguiti.
Da molt' altri signor del popol moro.
Questi erano i romori, ì quali uditi
Nell'altro padiglion fnr da costoro,
Quivi per accordar venuti in vano
Col Tartaro Ruggiero e '1 Sericano.
51 Venne chi la novella al re Agramante
Riportò certa, come pel destriero
Avea con Rodomonte Sacripante
Incominciato un aspro assalto e fièro.
Il re, confuso di discordie tante.
Disse a Marsilio : Abbi tu qui pensiero
Che fra questi guerrier non segua peggio,
Mentre all' altro disordine io provveggio*.
52 Rodomonte, che '1 re suo signor mira,
Frena l'orgoglio, e toma indietro il passo ;
Né con minor rispetto si ritira.
Al venir d'Agramante, il re Circasso.
Quel domanda la causa di tant' ira
Con real viso, e parlar grave e basso :
E cerea, poi che n' ha compreso il tutto,
Porli d'accordo ; e non vi fa alcun frntto.
53 II re Circasso il suo destrier non vuole
Ch'ai re d'Algier più lungamente resti,
Se non s' umilia tanto di parole.
Che lo venga a pregar che glie lo presti.
Rodomonte, superbo come suole.
Gli risponde : Né '1 ciel né tu faresti
Che cosa che per forza aver potessi ,
Da altri, che da me, mai conoscessi.
92 oblàKìdo furioso.
84 II re chiede al Circasso, che ragione
Ha nel cavallo, e come gli fa tolto:
E qael di parte in parte il tutto espone,
Ed esponendo s'arrossisce in volto,
Qaando gli narra che '1 sottil ladrone.
Ch'in un alto pensier l'aveva colto,
La sella su quattro aste gli suQblse,
E di sotto il destrier nudo gli tolse.
S5 MarGsa che tra gli altri al grido venne.
Tosto che '1 furto del cavallo udi.
In viso si turbò ; che le sovvenne
Che perde la sua spada ella quel di :
E quel destrier che parve aver le penne,
Da lei fuggendo, riconobbe qui:
Riconobbe anco il buon re Sacripante,
Che non avea riconosciuto innante.
86 Gli altri ch'erano intorno, e che vantarsi
Brunel di questo aveano udito spesso ,
Verso lui cominciare a rivoltarsi,
E far palesi cenni eh' era desso ;
Marflsa, sospettando, ad informarsi
Da questo e da queir altro eh' avea appresso,
Tante» che venne a ritrovar che quello
Che le tolse la spada, era Brunello :
87 E seppe che pel furto, ond'era degno
Che gli annodasse il collo un capestro unto,
Dal re Agramante al Tingitano regno
Fu, con esempio inusitato, assunto.
Marfisa, rinfrescando il vecchio sdegno,
Disegnò vendicarsene a quel punto,
E punir scherni e scorni che per strada
Fatti Tavea sopra la tolta spada.
88 Dal suo scudier l'elmo allacciar si fece ;
Che del resto dell' arme era guernita.
Senza osbergo io non trovo che mai diece
Volte fosse veduta alla sua vita.
Dal giorno eh' a portarlo assuefece
La sua persona, oltre ogni fede ardila.
Con Telmo in capo andò dove fra i primi
Brunel sedea negli argini sublimi.
CANTO VENTESIMOSETTIMO. 93
89 Gli diede a prima giunta ella di piglio
In mezzo il petto, e da terra levollo,
Come levar suol col falcato artiglio
Talvolta la rapace aquila il pollo ;
E là dove la lite innanzi al figlio
Era del re Troian, cosi portello,
firunel, che giunto in male nian si vede,
Pianger non cessa e domandar mercede.
90 Sopra tutti i rumor, strepiti e gridi ,
Di che '1 campo era pien quasi ugualmente,
Brune], ch'ora pietade, ora sussidi
Domandando venia, cosi si sente,
Ch'ai suono di rammarichi e di strìdi
Si fa d' intorno aocor tutta la gente»
Giunta innanzi al re d'Africa Marfisa,
Con viso altier gli dice in questa guisa:
91 Io voglio questo ladro tuo vassadlo
Con le mie mani impender per la gola.
Perchè il giorno medesmo che '1 cavallo
A costui tolle, a me la spada invola.
Ma s'egli è alcun che voglia dir eh' lo fallo,
Facciasi innanzi, e dica una parola;
Ch'in tua presenzia gli vo' sostenere
Che se ne mente, e eh' io fo il mio dovere.
92 Ma perchè si potria forse imputarme
C ho atteso a farlo in mezzo a tante liti ,
Mentre che questi, più famosi in arme,
D' altre querele son tutti impediti ;
Tre giorni ad impiccarlo io vo' indngiarme.
Intanto o vieni, o manda chi l' aiti ;
Che dopo, se non fia chi me lo vieti.
Farò di lui mille uccellacci lieti.
93 Di qui presso a ire leghe a quella torre
Che siede innanzi ad un piccol boschetto.
Senza più compagnia mi vado a porre.
Che d' una mia donzella e d' un valletto.
S' alcuno ardisce di venirmi a torre
Questo ladron, là venga, eh' io l'aspetto.
Cosi diss'ella, e dove disse, prese
Tosto la via, né più risposta attese.
94 ORLANDO FURIOSO.
94 Sol collo innanzi del destrìer si pone
firunel, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone,
In che sperar solia, chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusione
Di questi intrichi , che non vede come
Poterli sciorre ; e gli par via più greve
Che Marfisa Bninel cosi gli leve.
95 Non che l'apprezzi, o che gli porti amore,
Anzi più giorni son che l'odia molto;
E spesso ha d' impiccarlo avuto in core.
Dopo che gli era stato V anel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo onore ;
Si che n' avvampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta,
E a tutto suo poter fame vendetta.
96 Ma il re Sobrino, il quale era presente,
Da questa impresa molto il dissuade.
Dicendogli che mal conveniente
Era all' altezza di sua maestade,
Sebben avesse d' esserne vincente
Ferma speranza e certa sicurtade:
Più ch'onor, gli fia biasmo, che si dica
Gh' abbia vinta una femmina a fatica.
97 Poco r onore, e molto era il periglio
D' ogni battaglia che con lei pigliasse ;
E che gli dava per miglior consiglio.
Che Brunello alle forche aver lasciasse ;
£ se credesse eh' uno alzar di ciglio
A torlo dal capestro gli bastasse,
Non dovea alzarlo, per non contraddire
Che s' abbia la giustizia ad eseguire.
98 Potrai mandare un che Marflsa prieghi ,
Dicea, ch'in questo giudice ti faccia,
Con promifision eh' al ladroncel si leghi
Il laccio al collo, e a lei si soddisfaccia :
E quando anco ostinata te lo nieghi ,
Se l'abbia, e il suo desir tutto compiaccia :
Purché da tua amicizia non si spicchi,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi.
CANTO VENTESlMOSBTTlBfO. 95
99 II re Agramante volentìer s' altenne
AI parer di Sobrìn discreto e saggio;
E Marfisa lasciò, che non le venne,
Né pati ch'altri andasse a farle oltraggio:
Né di farla pregare anco sostenne;
E tollerò. Dio sa con che coraggio,
Per poter acchetar liti maggiori,
E del suo campo tor tanti romori.
100 Di ciò si ride la Discordia pazza,
Che pace o triegua ornai più teme poco.
Scorre di qua e di là tutta la piazza,
Né può trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
E legno ed esca va aggiungendo al fuoco ;
E grida si , che fin neir alto regno
Manda a Michel della vittoria segno.
101 Tremò Parigi, e turbidossi Senna
All'alta voce, a queir orribil grido;
Rimbombò il suon fin alla selva Ardenna
Si, che lasciar tutte le fiere il nido.
(Jdìron 1' Alpi e il monte di Gebenna,
Di Blaia e d' Arli e di Roano il lido ;
Rodano e Senna udi, Garonna e il Reno:
Si strinsero le madri i figli al seno.
102 Son cinque cavalier e' han fisso il chiodo
D' essere i primi a terminar sua lite,
L' una neir altra avviluppata in modo.
Che non Y avrebbe Apolline espedite.
Comincia il re Agramante a sciorre il nodo
Delle prime tenzon eh' aveva udite,
Che per la figlia del re Stordilano
Eran tra il re di Scizia e il suo Africano.
103 II re Agramante andò per porre accordo
Di qua e di là più volte a questo e a quello ;
E a questo e a quel più volte die ricordo
Da signor giusto e da fedel fratello :
E quando parimente trova sordo
L'un come l'altro, indomito e rubello
Di volere esser quel che resti senza
La donna, da cui vien lor differenza,
96 ORLANDO FURIOSO.
104 S'appiglia aIGn, come a miglior parlilo
(Di che amendui si coolenlàr gli amanli),
Che della bella donna sia marilo
L' ano de' dao, quel che voole essa innanli ;
E da quanto per lei sia stabilito,
Più non si possa andar dietro né avanti.
All'uno e all'altro piace il compromesso,
Sperando eh' esser debbia a favor d' esso.
i05 II re di Sarza, che gran tempo prima
Di Mandricardo amava Doralice,
Ed ella l' avea posto in so la cima
D' ogni favor eh' a donna casta lice;
Che debba in util sao venire eslima
La gran sentenzia che '1 può far felice :
Né egli avea questa credenza solo,
Ma con lui tutto il barbaresco stuolo.
106 Ognun sapea ciò eh' egli avea già fatto
Per essa in giostre, in torniamenli, in guerra;
E che stia Mandricardo a questo patto,
Dicono tutti che vaneggia ed erra.
Ma quel, che più fiate e più di piatto
Con lei fu mentre il Sol stava sotterra,
E sapea quanto avea di certo in mano,
Ridea del popular gìudicio vano.
407 Poi lor convenzion ratificaro
In man del re quei duo prochi famosi ,
Et indi alla donzella se n' andare ;
Ed ella abbassò gli occhi vergognosi,
E disse che più il Tartaro avea caro:
Di che tulli restar maravigliosi ;
Rodomonte sì attonito e smarrito ,
Che di levar non era il viso ardito.
iog Ma poi che l' usata ira cacciò quella
Vergogna che gli avea la faccia tinta ,
Ingiusta e ffllsa la sentenzia appella;
E la spada impugnando, ch'egli ha cinta.
Dice, udendo il re e gli altri, che vuol ch'ella
Gli dia perduta questa causa o vinta,
E non r arbitrio di femmina lieve,
Che sempre inchina a quel che men far deve.
CANTO VENTESIBfOSETTIHO. 07
-109 Di naovo Mandricardo era risorto,
Dicendo : Vada pur come ti pare.
Sì che prima che '1 legno entrasse in porlo,
\* era a solcare un gran spazio di mare :
Se non che '1 re Agramaute diede torlo
A Rodomonte, che non può chiamare
Più Mandricardo per quella querela;
£ fé cadere a quel furor la vela.
ilo Or Rodomonte che notar si vede
Dinanzi a quei signor di doppio scorno,
Dal suo re, a cui per riverenzia cede,
£ dalla donna sua, tutto in un giorno ;
Quivi non volse più fermare il piede:
£ della molla turba eh' avea intorno,
Seco non tolse più che duo sergenti,
£d uscì dei moreschi alloggiamenti.
1(1 Come, partendo, aflElilto tauro suole,
Che la giovenca al vincilor cesso abbia,
Cercar le selve e le rive più sole
Lungi dai paschi, o qualche arida sabbia;
Dove muggir non cessa air ombra e al sole,
Né però scema l'amorosa rabbia:
Così sen va di gran dolor confuso
Il re d'Algier, dalla sua donna escluso.
1 12 Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier, che già per questo s'era armato;
Ma poi dì Mandricardo ricordosse,
A cui della battaglia era ubblig'ato:
Non seguì Rodomonte, e ritornosse
Per entrar col re Tartaro in sleccato
Prima eh' entrasse il re di Sericana,
Che l' altra lite avea di Durindana.
113 Veder torsi Fronlin troppo gli pesa
Dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
Ma dato ch'abbia fine a questa impresa,
Ha ferma intenzion di ricovrarlo.
Ma Sacripante che non ha conlesa,
Come Ruggier, che possa distornarlo,
£ che non ha da far altro che questo.
Per r orme vien di Rodomonte presto.
II. »
OnLANDO FURIOSO.
il4 E tosto Tavria giunto, se non era
Un caso strano che trovò tra via,
Che lo fé dimorar fin alla sera,
E perder le vestigio che segnia.
Trovò una donna che nella riviera
Di Senna era caduta, e vi peria,
S* a darle tosto aiate non veniva :
Saltò neir acqua, e la ritrasse a riva.
US Poi quando in sella volse risalire ,
Aspettato non fu dal suo destriero,
Che fin a sera si fece seguire,
E non si lasciò prender di leggiero.
Preselo alfin ; ma non seppe venire
Più donde s' era tolto dal sentiero :
Ducente miglia errò tra piano e monte,
Prima che ritrovasse Rodomonte.
1 16 Dove trovollo, e come fu conteso
Con disvantaggio assai di Sacripante;
Come perde il cavallo, e restò preso.
Or non dirò ; e' ho da narrarvi innante
Di quanto sdegno e di quanta ira acceso
Centra la donna e centra il re Agramante
Del campo Rodomonte si partisse,
E ciò che centra air uno e all' altro disse.
ii7 Di cocenti sospir V aria accendea
Dovunque andava il Saracin dolente.
Eco, per la pietà che gli n' avea,
Da' cavi sassi rispondea sovente.
Oh femminile ingegno, egli dicea,
Come ti volgi e muti facilmente,
Contrario oggetto proprio della fede !
Oh infelice, oh miser chi ti credei
US Né lunga servitù, né grand' amore.
Che ti fu a mille prove manifesto ,
Ebbene forza di tenerti il core,
Che non fosse a cangiarsi almen si presto.
Non perch' a Mandricardo inferiore
Io ti paressi, di te privo resto ;
Né so trovar cagione ai casi miei ,
Se non quest'una, che femmina sei.
CANTO VENTESlMOSETTlMO. Dì)
119 Credo che l' abbia la Natura e Dio
Produtlo, 0 scellerato sesso, al mondo
Per una soma, per an grave fio
Deir Qom, che senza te saria giocondo:
Come ha prodotto anco il serpente rio,
E il lupo e r orso ; e fa T aer fecondo
E di mosche e di vespe e di tafani ;
E loglio e avena fa nascer tra i grani.
^20 Perchè fatto non ha Y alma Natura,
Che senza te potesse nascer l'uomo.
Come s' innesta per umana cura
L'un sopra l'altro il pero, il sorbo e '1 pomo?
Ma quella non può far sempre a misura :
Anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
Veggo che non può far cosa perfetta,
Poiché Natura femmina yien detta.
121 Non siate però tumide e fastose,
Donne, per dir che l' uom sia vostro figlio;
Che delle spine ancor nascon le rose,
E d'una fetida erba nasce il gìglio:
Importune, superbe, dispettose,
Prive d'amor, di fede e di consiglio,
Temerarie, crudeli, inique, ingrate.
Per pestilenzia eterna al mondo nate.
122 Con queste ed altre ed infinite appresso
Querele il re di Sarza se ne giva
Or ragionando in un parlar sommesso,
Quando in un suon che di lontan s'udiva,
In onta e in biasmo del femmineo sesso.
E certo da ragion si dipartiva;
Che per una o per due che trovi ree,
Che cento buone sien creder si dee.
123 Sebben di quante io n'abbia fin qui amate »
Non n' abbia mai trovata una fedele ;
Perfide tutte io non vo' dir né ingrate,
Ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e più già ne son state.
Che non dan causa ad uom che si querele;
Ma mia fortuna vuol che s' una ria
Ne sia tra cento, io di lei preda sia.
10^ ORLANDO FURIOSO.
d34 Indi roppe il silenzio, e con sembianti
Più dolci un poco, e viso men turbato ,
Domandò all' oste e agli altri circostanti ,
Se d' essi alcuno avea moglìere a lato.
Che r oste e che quegli altri tutti quanti
L'aveano, per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel che ciascun si crede
Della sua donna nel servargli fede.
i35 Eccetto Toste, fer tutti risposta.
Che si credeano averle e caste e buone.
Disse r oste : Ognun pur creda a sua posta ;
Ch' io so eh' avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere vi costa
Gh' io stimi ognun di voi senza ragione ;
£ cosi far questo signor deve anco.
Se non vi vuol mostrar nero per bianco.
i36 Perché, si come è sola la fenice.
Né mai più d' una in tutto il mondo vive ;
Cosi né mai più d' uno esser si dice.
Che della moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
D' esser quel sol eh' a questa palma arrìve.
Com' é possìbil che v' arrivi ognuno,
Se non ne può nel mondo esser più d' uno?
i37 • Io fui già neir error che siete voi.
Che donna casta anco più d' una fusse.
Un gentiluomo di Vinegia poi.
Che qui mia buona sorte già condusse,
Seppe far si con veri esempi suoi.
Che fuor dell' ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato ;
Che 'i nome suo non mi s' é mai scordato.
i38 Le fraudi che le mogli e che l' amiche
Sogliono osar, sapea tutte per conto:
£ sopra ciò moderne istorie e antiche,
E proprie esperienze avea si in pronto.
Che mi mostrò che mai donne pudiche
Non si trovare, o povere o di conto ;
£ s' una casta più deli' altra parse,
Venia, perché più accorta era a celarse.
CàNTO VENTESIHOSETTIUO.
i39 E fra V altre (che tante me ne disse,
Che non ne posso il terzo ricordarmi)
Sì nel capo una istoria mi si scrisse,
Che non si scrisse mai più saldo in marmi ;
£ ben parria a ciascuno che l' udisse,
Di queste rie quel eh' a me parve e parmi.
E se, signor, a voi non spiace udire,
A lor confusion ve la vo' dire.
440 Rispose il Saracin: Che puoi tu farmi.
Che più al presente mi diletti e piaccia,
Che dirmi istoria, e qualche esempio darmi.
Che con V opinion mia si confacela?
Perch'io possa udir meglio, e tu narrarmi.
Siedimi incontra, eh' io ti vegga in faccia.
Ma nel Canto che segue io v' ho da dire
Quel che fé l' oste a Rodomonte udire.
103
VOTE.
Sl 4. V. 5. — La Malignità dal
citi bandita: il diavolo cacciato dal pa-
radiso.
St. 11. V, 8. — Senta incarco:
•enaa biasimo.
St. 15. V. ^.^L'altro sonio: l'altro
compagno, 1* altro diavolo.
St. M. V, 6. — Maraviglioso : qui
maravigliato, pieno di maraviglia.
.S«.27. p. J. — Paga itjio d'ossa e
di polpe* paga il 60, lasciandovi lavila.
St. S9. ir. 1. — Bussoni : stromenti
da suonarci nsati dagli antichi.
St. 31. 9. 7. — Arrogo: da arro»
gen, aggiungi.
St, 3S. V, 3-5. — E desiar, come
Icaro, /«penna. Icaro, Bglìo di Dedalo,
altra volta ricordato, usci con lui dal
labirinto, merce dell* ali fabbricategli
dal padre. — Uggierit il danese, men-
tovato pi& addietro. -— // marchese di
Vienna s Oliviero, che il Poeta ha detto
ciier padre di Aquilante e di Grifone.
St. 34. V. 3.4. — NelPeterno sereni
nel cielo. — Torbi: torbidi.
St. 44. P. 6— -W, che Vun dopo
r altro il campo assegua: abbia, otten-
ga il campo.
Si. 47. f. 7-8.— Un simil ee.:
Castel Guelfo, situato fra Parma e la
piccola citt^ di Borgo San Donnino,
St. 51. V. 6-8 Che di duo drap-
pi ec. Sono i colori dei drappi a dimo-
strazione dell' amore di Doralice, in-
tiepidito per Rodomonte I e vivo per
Mandricardo.
St. 53. V. 3.5. -~ Termoodonte:
fiume di Cappadocia, che mette nel-
1* Eàsino, presso cui abitavano le Amai-
soni ; e probabilmente quello che vcdesi
notato nelle odierne mappe col nome di
Thermeh. Dissentono i critici suU* or>
tografia di quel nome, volendo alcuni
che debba leggersi Termodoontej ma
noi, senta entrare nella contesa, stiama
all*edisione del 1516^ che legge Ter*
^
I
I
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.#.7. — imémiit: màk
A.71L r.i^— /«MHi ^i
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A. 7S. r. S.— 0«».- «Cu
A.77.r. ». — Tci^
Jt SA. r. 7. — AlUife.- sMtcì
A.t9. r.i. — Cmrmfgi»: fai
felkggia per alkfrà.
A. 101. r. d^ _ Cr*c»M.-
idiaMMtiad
A» r«aafe£ Afd«adriMb di Od-
fa» cddbm» «n v«i& fcr k MB ràpo-
SL 107. r. 1. — Pirtki, m prwei .
AL 117. r. !.—&».• nilà &to.
elei
AL 1& r. 7. — ^«y— ff. Ve-
di h Mto alh SI. S3,Cwlo 11.
A.l».r.S^ir«r«Ac JTcFVM si-
A. 137. r. 7.— Gta Frmmeesco
VmteH»: ■eaéco ddDe doaac, e uoico
del Feda che feSage vivente ai tenpi
diCarfollagML
A. 138w r. S. ~ Ar c^mtm: ad ona
adau.
105
CAlIfTO TEIVXSISIIIIOTTATO.
L' albergatore di Rodomonte gli narra la novella di Fiammetta, in biasimo delle
donne. Bodomonle si parte di la; e mutato il pensiero d* andare in Africa
lerma sUnsa in una chiesetta abbandonata, alla quale giunge Isaliella col
romito, e con le spoglie mortali dell* ucciso Zerbino. Il pagano vuol distogliere
Isabella dalla presa risoluzione di ritirarsi dal mondo, e impazientisce alle
rimostranze del romito.
i Donne, e voi che le donne avete in pregio,
Per Dio, non date a questa istoria orecchia,
A questa che l'ostier dire in dispregio
E in vostra infamia e biasmo s'apparecchia;
Benché né macchia vi può dar né fregio
Lingua sì vile ; e sia T usanza vecchia,
Che '1 volgare ignorante ognun riprenda,
£ parli più di quel che meno intenda.
2 Lasciate questo Canto ; che senz' esso
Può star ristoria, e non sarà men chiara.
Mettendolo Turpino, anch'io Tho messo.
Non per malivolenzia né per gara.
Ch'io v'ami, oltre mia lingua che l'ha espresso,
Che mai non fu di celebrarvi avara.
N'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro
Ch' io son , né potrei esser se non vostro.
3 Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
Leggarne verso ; e chi pur legger vuole.
Gli dia quella medesima credenza
Che si suol dare a Gnzioni e a fole.
Ma, tornando al dir nostro, poi ch'udienza
Apparecchiata vide a sue parole,
£ darsi luogo incontra al cavaliere,
Cosi r istoria incominciò Tosliero.
^^ OB LANDÒ FintlOSO.
4 Astolfo, re de' Longobardi, quello
A cai lasciò il fratel monaco il regno.
Fu nella giovinezza saa si bello.
Che mai poch' aUri gionsero a qod segno.
N'avria a fatica no tal fatto a pennello
Apollo o Zeasi, o se v'é alcon più degno.
Bello era, ed a ciascan cosi parea;
Ma di molto egli ancor più si tenea.
6 Non stimava egli tanto per l'altezza
Del grado suo, d'avere ognun minore;
Né tanto, che di genti e di ricchezza.
Di tatti i re vicini era il maggiore ;
Quanto, che di presenzia e di bellezza
Avea per tutto '1 mondo il primo onore.
Godea, di questo udendosi dar loda.
Quanto di cosa volentier più s'oda.
6 Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavalier romano;
Con cui sovente essendosi lodato
Or del bel viso, or della bella mano,
Ed avendolo un giorno domandato
Se mai veduto avea, presso o lontano.
Altro uom di forma cosi ben composto ;
Contra quel che credea, gli fu risposto.
7 Dico (rispose Fausto) che, secondo
Ch'io veggo, e che parlarne odo a ciascuno.
Nella bellezza hai pochi pari al mondo ;
E questi pochi io lì restringo in uno.
Quest'uno è un fratel mio, detto Giocondo.
Eccetto lui, ben crederò ch'ognuno
Di beltà molto addietro tu ti lassi ;
Ma questo sol credo t'adegui e passi.
^ rà^ '® ^^^^ impossibil cosa udire.
Che sua la palma infin allora tenne;
E d'aver conoscenza alto desire
Di si lodalo giovene gli venne.
Fé si con Fausto, che di far venire
Quivi il fralel prometter gli convenne;
Bench'a poterlo indur che ci venisse
^aria fatica, e la cagion gli disse:
CANTO VENTBSIMOTTAVO. 107
9 Che '1 suo fratello era upm che mosso il piede
lilai non avea di Roma alla sua vita.
Che, del ben che fortuna gli concede,
Tranquilla e senz'affanni avea notrita;
La roba di che '1 padre il lasciò erede y
Né mai cresciuta avea né minuita;
E che parrebbe a lui Pavia lontana
Più che non parria a un altro ire alla Tana
10 E la difficoltà saria maggiore
A poterlo spiccar <l alla mogliere,
Con cui legato era di tanto amore.
Che non volendo Jei , non può volere.
Pur, per ubbidir lui che gli è signore.
Disse d'andare, e fare oltre il potere.
Giunse il re a' prieghi tali offerte e doni.
Che di negar non gli lasciò ragioni.
a Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
Dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto pregò, che 'l fratel mosse
Si, eh' a venire al re gli persuase:
E fece ancor (benché diflìcil fosse),
Che la cognata tacita rimase.
Proponendole il ben che n'uscirla.
Oltre eh' obbligo sempre egli l' avria.
12 Fisse Giocondo alla partita il giorno:
Trovò cavalli e servitori intanto;
Vesti fé far per comparire adomo;
Che talor cresce una beltà un bel manto.
La notte a lato, e 'i dì la moglie intorno.
Con gli occhi ad or ad or pregni di pianto.
Gli dice che non sa come patire
Potrà tal lontananza, e non morire;
i3 Che pensandovi sol, dalla radice
Sveller si sente il cor nel lato manco.
Deh, vita mia, non piagnere, le dice
Giocondo ; e seco piagne egli non manco.
Cosi mi sia questo cammin felice.
Come tornar vo' fra duo mesi almanco :
Né mi faria passar d' un giorno il segno.
Se mi donasse il re mezzo il suo regno.
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tf Gi€C4>Biio aocor dm mìziia ito bob era.
Che gli Teoae la croce raccorJala,
Ch'area sotto 3 goancial messo la sera»
Poi per obblì> ion T area laàctala.
Lajào! dicea tra sé, di che maniera
Troverò scosa che mi sia acceltata.
Che mia moglie non creda che gradilo
Poco da me &ia r amor suo infinito?
CANTO YENTESIMOTTATO. 109
i9 Pensa la scusa ; e poi gli cade in mente.
Che non sarà accettabile né buona,
Mandi famìgli, mandivi altra gente,
S' egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice: Or pianamente
Fin a Baccano al primo albergo sprona ;
Che dentro a Roma è forza eh' io rivada :
E credo anco di giugnerti per strada.
iO Non potria fare altri il bisogno mio :
Nò dubitar, ch'io sarò tosto teco.
Voltò il ronzin di trotto e disse: Addio;
Nò de' famigli suoi volse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio,
Dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa ; va al letto ; e la consorte
Quivi ritrova addormentata forte.
SI La cortina levò senza far motto,
£ vide quel che men veder credea ;
Chò la sua casta e fedel moglie, sotto
La coltre, in braccio a un giovene giacea.
Riconobbe l'adultero di botto.
Per la pratica lunga che n' avea ;
Ch'era della famiglia sua un garzone,
Allevato da lui, d'umil nazione.
22 S' attonito restasse e mal contento.
Meglio ò pensarlo e farne fede altrui,
Ch' esserne mai per far l'esperimento
Che con suo gran dolor ne fé costui.
Dallo sdegno assalito, ebbe talento
Di trar la spada, e ucciderli ambedui ;
Ma dall' amor che porta, al suo dispetto.
All' ingrata moglier, gli fu interdetto.
83 Nò lo lasciò questo ribaldo amore
(Vedi se si l'avea fatto vassallo)
Destarla pur, per non le dar dolore,
Che fosse da lui colta in si gran fallo.
Quanto potò più tacito usci fuore,
Scese le scale, e rimontò a cavallo ;
E punto egli d'amor, cosi lo punse.
Ch'air albergo non fu, che '1 fratel giunse.
II. 40
liO
91 Cambiato a tatti panr« esser nei toUo ;
Tìder totti ebe 1 cor b<hì area fieto :
ila non t* è cbi s^appooga già éi molto,
E possa pcBOtfar nd suo secreto. .
Credeano cbe da lor à fiisse tolto
Per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia del mai ca«a ogmm s'arrisa ;
Ma non è già chi dir sappia in che gnisa.
» Estimasi fl fratd che dolor ahbia
D'aTer la moglie sua soia lasciata ;
E pel contrario doolsi egli ed arrabbia
Che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
Sta rinfdice, e sol la terra guata.
Fausto eh' a confortarlo usa ogni prora ,
Perchè non sa la causa, poco gioTa.
» Di contrario liquor la piaga gli unge,
E dorè tor dorria, gli accresce doglie ;
Doto dorria saldar, più Fapre e punge:
Questo gli fa col ricordar la moglie.
Né posa <fi né notte : il sonno longe
Fugge col gusto, e mai non si raccoglie;
E la faccia» che diami era si beDa,
Si cangia si, che più non sembra quella.
27 Par che gli occhi si ascondan nella lesta;
Cresciuto il naso par nel viso scarno:
Delia beltà si poca gli ne resta.
Che ne potrà far paragone indarno.
Col dool venne una febbre si mdesta.
Che lo fé soggiornar all' Arbia e all'Amo :
E se di bello avea serbata cosa,
Tosto restò come al Sol colta rosa.
28 Oltre eh' a Fausto incresca del fratello,
Che veggia a simìl termine condotto,
Via più gì' incresce che bugiardo a quello
Prìncipe, a chi lodoUo, parrà in tutto.
Mostrar di totti gli uomini il più bello
Gli avea promesso, e mostrerà il più brutto
Ma par continuando la sua via.
Seco lo trasse alfin dentro a Pavia.
1
CANTO VENTESIMOTTAVO. Ut
29 Già non vuol che lo vegga il re improvviso ,
Per non mostrarsi di giudicio privo :
Ma per lettere innanzi gli dà avviso,
Che '1 sao fratel ne viene appena vivo ;
E eh' era stato air aria del bel viso
Un affanno di cor tanto nocivo,
Accompagnato da una febbre ria,
Che più non parea quel eh' esser solia.
30 Grata ebbe la venuta di Giocondo,
Quanto potesse il re d'amico avere;
Che non avea desiderato al mondo
Cosa altrettanto, òhe di lui vedere.
Né gli spiace vederselo secondo,
E di bellezza dietro rimanere ;
Benché conosca, se non fosse il male.
Che gli saria superiore o uguale.
31 Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio ;
Lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode ;
Fa gran provvision che stia con agio,
E d'onorarlo assai si studia e gode.
Langue Giocondo ; che '1 pensier malvagio
G'ha della ria moglier, sempre lo rode:
Né '1 veder giochi, né musici udire.
Dramma del suo dolor può minuire.
32 Le stanze sue, che sono appresso al tetto
L'ultime, innanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perchè ogni diletto,
Perch' ogni compagnia prova nimica)
Si ritraea, sempre aggiungendo al petto
Di più gravi pensier nuova fatica ;
E trovò quivi (or chi Io crederla?)
Chi lo sanò della sua piaga ria.
33 In capo della sala, ove è più scaro
(Che non vi s'usa le Gnestre aprire),
Vede che '1 palco mal si giunge al muro,
E fa d'aria più chiara un raggio uscire.
Pon l'occhio quindi, e vede quel che duro
A creder fora a chi l'udisse dire :
Non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede ;
Ed anco agli occhi suoi propri non crede.
112 ORLANDO FURIOSO.
34 Quindi scoprìa della regina latta
La più secreta stanza e la più bella,
Ove persona non veiria introdotta,
Se per molto fedel non l'avess' ella.
Quindi mirando vide in strana latta
Ch'an nano avviticchiato era con quella;
Ed era quel piccin stato si dotto.
Che la regina avea messa di sotto.
36 Attonito Giocondo e stupefatto,
E credendo sognarsi, un pezzo stette;
E quando vide pur, eh' egli era in fatto,
E non in sogno, a sé stesso credette.
A uno sgrignuto mostro e contraffatto
Dunque, disse, costei si sottomette,
Che i maggior re del mondo ha per marito,
Più bello e più cortese? Oh che appetito!
36 E della moglie sua, che cosi spesso
Più d'ogni altra biasmava, ricordosse,
Perchè '1 ragazzo s'avea tolto appresso ;
Ed or gli parve che scusabil fosse.
Non era colpa sua più che del sesso.
Che d'un solo uomo mai non contentosse :
E s'han tutte una macchia d'uno inchiostro,
Almen la sua non s'avea tolto un mostro.
37 II di seguente, alla medesima ora.
Al medesimo loco fa ritorno ;
E la regina e il nano vede ancora.
Che fanno al re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro di ancor che si lavora,
E l'altro ; e alfin non si fa festa giorno :
£ la regina (che gli par più strano)
Sempre si duol che poco l'ami il nano.
38 Stette fra gli altri un giorno a veder, ch'ella
Era turbata e in gran malenconia,
Ghò due volte chiamar per la donzella
Il nano fatto avea, nò ancor venia.
Mandò la terza volta ; et udi quella,
Che: Madonna, egli giuoca; riferia;
E per non stare in perdita d'un soldo,
A voi niega venire il manigoldo.
CANTO VENTESlMotTAVO. ll^
39 A 8i Strano spettacolo Giocondo
Rasserena la fronte e gli occhi e il viso;
E, quale in nome, diventò giocondo
D'effetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo,
Che sembra on chembin del paradiso;
Che '1 re, il fratello e tutta la famiglia
Di tal motazion si maraviglia.
40 Se da Giocondo il re bramava odire
Onde venisse il subito conforto.
Non men Giocondo lo bramava dire,
£ fare il re di tanta ingiuria accorto.
Ma non vorrìa che più di sé, punire
Volesse il re la moglie di quel torto;
Si che per dirlo, e non far danno a lei,
11 re fece giurar su ì* agnusdei.
41 Giurar lo fé, che né per cosa detta,
Né che gli sia mostrata che gli spiaccia,
Ancorch' egli conosca che diretta-
Mente a sua Maestà danno si faccia.
Tardi o per tempo mai farà vendetta:
£ di più, vuol ancor che se ne taccia;
Si che né il malfattor giammai comprenda
In fatto 0 in detto, che '1 re il caso intenda.
43 II re, ch'ogni altra cosa, se non questa,
Creder potria, gli giurò largamente.
Giocondo la cagion gli manifesta,
Ond' era molti di stato dolente:
Perchè trovata avea la disonesta
Sua moglie in braccio d' un suo vii sergente;
£ che tal pena alfin l'avrebbe morto,
Se tardato a venir fosse il conforto.
43 Ma in casa di sua Altezza avea veduto
Cosa che molto gli scemava II duolo ;
Che sebbene in obbrobrio era caduto.
Era almen certo di non v' esser solo.
Cosi dicendo, e al bucolin venuto,
Gli dimostrò il bruttissimo omicciuolo.
Che la giumenta altrui sotto si tiene,
Tocca di sproni, e fa giuocar di schene.
40*
Il4 OBLÀNDa FURIOSO.
44 Se parve al re vitaperoso V allo ,
Lo crederete ben, senza ch'io '1 giurì.
Ne fa per arrabbiar, per venir matto ;
Ne fa per dar del capo in tutti i muri:
Fa per gridar, fa per non stare al patto ;
Ma forza é che la bocca alfin si turi,
E che r ira trangugi amara ed aera ,
Poiché giurato avea sa l'ostia sacra.
46 Che debbo far, che mi consigU, frate,
Disse a Giocondo, poiché tu mi tolli
Che con degna vendetta e crudeltate
Questa giustissima ira io non satolli?
Lasciam, disse Giocondo, queste ingrate,
£ proviam se son V altre cosi molli :
Facciam delle lor femmine ad altrui
Quel eh' altri delle nostre han fatto a noi.
46 Ambi gioveni siamo , e di bellezza
Che facilmente non troviamo pari.
Qual femmina sarà che n' usi asprezza,
Se contra i brutti ancor non han ripari?
Se beltà non varrà né giovinezza,
Varranno almen V aver con noi danari.
Non vo'che torni, che non abbi prima
Di mille mogli altrui la spoglia opima.
47 La lunga absenzia, il veder varj luoghi.
Praticare altre femmine di fuore.
Par che sovente disacerbi e sfoghi
Deir amorose passioni il core.
Lauda il parer, né vuol che si proroghi
Il re l'andata; e fra pochissime ore
Con duo scudieri, oltre alla compagnia
Del cavalìer roman, si mette in via.
48 Travestiti cercare Italia, Francia,
Le terre de' Fiamminghi e degl' Inglesi ;
E quante ne vedean di bella guancia,
Trovavan tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e data loro era la mancia;
E spesso rimetteano i danar spesi.
Da lor pregate foro molte, e foro
Anch' altrettante che pregaron loro.
CANTO VENTESntOTTATO. IIÉJ
49 In questa terra un mese, in quella dui
Soggiornando, accertarsi a vera prova
Che non men nelle lor, che nell'altrui
Femmine, fede e castità si trova.
Dopo alcun tempo increbbe ad ambedui
Di sempre procacciar di cosa nuova;
Che mal poteano entrar neir altrui porte.
Senza mettersi a rischio della morte.
hO Gli ò meglio una trovarne, che di faccia
£ di costumi ad ambi grata sìa.
Che lor comunemente soddisfaccia,
E non n' abbin d' aver mai gelosia.
E perchè, dicea il re, vuo'che mi spiacela
Aver più te eh' un altro in compagnia?
So ben eh' in tutto il gran femmineo stuolo
Una non è che stia contenta a un solo.
51 Una (senza sforzar nostro potere,
Ma quando il naturai bisogno inviti)
In festa goderemoci e in piacere ;
Che mai contese non avrem, né liti.
Né credo che si debba ella dolere ;
Che s'anco ogni altra avesse duo mariti.
Più eh' ad un solo, a duo saria fedele;
Né forse s' udirian tante querele.
62 Di quel che disse il re, molto contento
Rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
Cercar molte montagne e molto piano.
Trovaro alfin, secondo il loro intento.
Una Ogliuola d' uno ostiere Ispano,
Che tenea albergo al porto di Valenza,
Bella di modi e bella di presenza.
63 Era ancor sul fiorir di primavera
Sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat*era,
£ nimico mortai di povertade :
Si eh' a disporlo fu cosa leggiera.
Che desse lor la figlia in potestade;
Ch'ove piacesse lor potesson ti aria.
Poiché promesso avean di ben trattarla.
Ii6 omLAmo fubioso.
M Pigliano la fancialla, e piacer n' hanno
Or r ono or V altro, in caritade e in pace.
Come a vicenda i mantici che danno.
Or r ano or V altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno ,
E passar poi nel regno di Siface:
£ *ì dk che da Valenza si partirò.
Ad albergare a Zattiva veniro.
55 I patroni a veder strade e palazzi
Ne vanno, e lochi pubblici e divini;
Ch' usanza han di pigliar simil sollazzi
In ogni terra ov'enlran peregrini;
E la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
Altri hanno cura che sia alla tornata
Dei signor lor la cena apparecchiata»
66 Neir albergo un garzon slava per fante,
Ch' in casa della giovene già stette
A' servigi del padre, e d' essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante;
Ch'esser notato ognun di lor temette:
Ma tosto eh' i patroni e la famiglia
Lor dieron luogo, alzar ira lor le ciglia.
67 II fante domandò dov' ella gisse,
E qual dei duo signor l' avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(Cosi avea nome, e quel garzone il Greco).
Quando sperai che '1 tempo, oimè! venisse
(Il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
E non so più di rivederti mai.
68 Fannosi i dolci miei disegni amari,
Poichò sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
Con gran fatica e gran sudor riposti,
Ch' avanzato m' avea de' miei salari
E delle bene andate di molti osti.
Di tornare a Valenza, e domandarti
Al padre tuo per moglie, e di sposarti.
CANTO VENTESIMOTTAVO. 117
69 La fanciDlla oegli omeri si stringe,
E risponde che fa tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge.
Vuommi, dice, lasciar cosi morire?
Con le tue braccia i fianchi almen mi cinge ;
Lasciami disfogar tanto desire:
Ch' innanzi che ta parta, ogni momento
Che teco io stia, mi fa morir contento.
eo La pietosa fanciulla rispondendo :
Credi, dicea, che men di te noi bramo;
Ma né luogo né tempo ci comprendo
Qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo.
Il Greco soggiungea: Certo mi rendo.
Che s'un terzo ami me di quel ch'io t'amo,
In questa notte almen troverai loco
Che ci potrem godere insieme nn poco.
M Come potrò, diceagli la fanciulla.
Che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
E meco or l'uno or T altro si trastulla,
E sempre all' un di lor mi trovo in braccio?
Questo ti fìa, soggiunse il Greco, nulla ;
Che ben ti saprai tor di questo impaccio,
E uscir di mezzo lor, purché tu voglia :
E dèi voler, quando di me ti doglia.
62 Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
Quando creder potrà eh' ognuno dorma ;
E pianamente come far convegna,
E dell'andare e del tornar l'informa.
Il Greco, si come ella gli disegna.
Quando sente dormir tutta la torma.
Viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
Entra pian piano, e va a tenton col piede.
63 Fa lunghi i passi , e sempre in quel di dietro
Tutto si ferma, e l'altro par che muova
A guisa che di dar tema nel vetro ;
Non che '1 terreno abbia a calcar, ma l'uova :
E tien la mano innanzi simil metro ;
Va brancolando infìn che '1 letto trova ;
E di là dove gli altri avean le piante.
Tacito si cacciò col capo innante.
Chètaaa
e yr* ti ìk«k
[ carak jfa» a
1 1 re. sBua ala
i il Bj» caa cOTTCìe ■■ tnlto,
Se ■'arcsB praslato n p»* il cavaBo,
Taala cke 1 bìo btsoeao avessi 6Mol
Gìmmmìo replicò: Sob taa vassallo,
E pMÌ far meco e ronpoe osai paUo,
Si die aoB cooTeaìa lai ccaai asue;
Bea flu poCefì dir: Lasciala stare.
Tanto replica r oa, tanto soggiunge
V altro, che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar clie punge;
Cb'ad amendoo Tesser beffiaito preme.
Cbiaman Fiammetta (che non era tango,
E della fraade esser scoperta teme),
Per fare io viso Fono all'altro dire
Qoel che negando ambi parean mentire.
CANTO YENTESIMOTTATO. 119
09 Dimmi, le disse il re con fiero sguardo,
£ non temer di me nò di costai ;
Chi tatta notte fa quel si gagliardo.
Che ti godè senza Tar parte altrui? /
Credendo V un provar V altro bugiardo,
La risposta aspettavano ambedui.
Fiammetta a' piedi lor si gittò incerta
Di viver più, vedendosi scoperta.
70 Domandò lor perdono, chò d'amore,
Gh' a un giovinetto avea portato, spinta,
• E da pietà d'un tormentato core.
Che molto avea per lei patito, vinta,
Caduta era la notte in quello errore:
£ seguitò, senza dir cosa finta.
Come tra lor con speme sì condusse,
Ch' ambi credesson che '1 compagno fusse.
71 II re e Giocondo si guardare in viso,
Di maraviglia e di stupor confusi ;
Né d' aver anco udito lor fu avviso,
Ch' altri duo fusson mai cosi delusi :
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso,
Che, con la bocca aperta e gli occhi chiusi,
Potendo a pena il fiato aver del petto.
Addietro si lasciar cader sol letto.
72 Poi ch'ebbon tanto riso, che dolere
Se ne sentiano il petto, e pianger gli occhi,
Disson tra lor: Come potremo avere
Guardia, che la moglier non ne l'accocchi.
Se non giova tra duo questa tenere,
£ stretta sì, che l'uno e l'altro tocchi?
Se più che crini avesse occhi il marito.
Non potria far che non fosse tradito.
73 Provate mille abbiamo, e tutte belle;
Nò di tante una è ancor che ne contraste.
Se proviam l'altre, fian simili anch'elle;
Ma per ultima prova costei baste.
Dunque possiam creder che più felle
Non sien le nostre, o men dell'altre caste;
£ se son come tutte l' altre sono.
Che torniamo a godercile fia buono.
i QwìcnM MB d*clà,cfc-aTM pia retta
OpmioB desìi aAbrì, e m^egno e ardire;
E MB polc^ ^nÈai^ cbe sk aeglelU
0|su leamiBa fosse, pia patire;
Si ▼ohe a qad ck'aTta r isloffìa daUa,
K ^ disse: Assai cose adiamo dire,
Cke Terìlade m sé aoa Iobbo akma;
E beo di queste è b toa fiiTola ima.
77 A chi te la narrò BOB do (
S'eran^dista bea fosse nel resto;
Ch'opinione, piò ch'esperienza
Ch' ^itiia di donne, lo focea dir qneslo.
L'avere ad una o doe malivolenza.
Fa eh' odia e biasma r altre oltre ali* onesto;
Ma se gU passa l'ira, io to' tu l'oda.
Pio ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.
n E se Torrà lodarne, avrà maggiore
D campo assai, eh' a dime mal non ebbe:
Di cento potrà dir degne d' onore.
Verso ana trista che biasmar si debbe.
Non biasmar latte, ma serbarne fuore
La bontà d' infinite si doTrebbe;
E se '1 Valerio tuo disse altrimente.
Disse per ira, e non per quel che sente.
CANTO VENTESIMOTTAVO. 121
79 Ditemi an poco: è di voi forse alcano
Ch* abbia servato alla saa moglie fede?
Che nieghi andar, quando gli sia opportano.
All' altrai donna, e darle ancor mercede?
Credete in tatto '1 mondo trovarne ono?
Chi '1 dice, mente; e folle è ben chi '1 crede.
Trovatene vo' alcuna che vi chiami?
(Non parlo delle pubbliche ed infami.)
80 . Conoscete alcun voi, che non lasciasse
La moglie sola, ancorché fosse bella,
Per seguire altra donna, se sperasse
In breve e facilmente ottener quella ?
Che farebb'egli, quando lo pregasse,
0 desse premio a lui donna o donzella?
Credo, per compiacere or queste or quelle,
Che tutti lascieremmovì la pelle.
81 Quelle che i lor mariti hanno lasciati,
Le più volte cagione avuta n' hanno.
Del suo di casa li veggon svogliati ,
E che fuor dell' altrai bramosi vanno.
Dovriano amar, volendo essere amati;
£ tor con la mianra eh' a lor danno,
lo farei (se a me stesse il darla e torre)
Tal legge, eh' uom non vi potrebbe opporre.
82 Saria la legge, ch'ogni donna colta
In adulterio, fosse messa a morte.
Se provar non potesse eh' ana volta
Avesse adulterato il sao consorte;
Se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
Né temerla il marito né la corte.
Cristo ha lasciato nei precelti suoi:
Non far altrai quel che patir non vuoi.
83 La incontinenza é quanto mal si puote
Imputar lor, non già a tutto lo stuolo.
Ma in questo, chi ha di noi più brutte note?
Che continente non si trova un solo.
£ molto più n' ha ad arrossir le gote.
Quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
Usura ed omicidio, e se v'é peggio,
Raro, se non dagli uomini , far veggio.
IL 4à
122 OftLATSDO Fcaioso.
S4 Appresso alle ragioni avea il sincero
E giosto yecchio in pronto aleuno esempio
Di donne ehe né in fatto né in pensien)
Mai di lor castità patiron scempio.
Ma il Saracin, che foggia ndire il Tero,
Lo minacciò con viso erodo ed empio,
Si che lo fece per timor tacere;
Ma già non lo moto di suo parere.
86 Posto eh' ebbe alle liti e alle oantes^
Termine il re pagan, lasciò la mensa:
Indi nel letto, per dormir, si stese
Fin al partir dell' aria scora e densa;
Ma della notte, a sospirar Y offese
Più della donna, eh' a dormir, dispensa.
Quindi parte air uscir del nooYO raggio,
E far disegna in nave il soo viaggio.
56 Però eh' avendo tatto quel rispetto
Gh' a baon cavallo dee buon cavaliere,
A quel SQO bello e boono, eh' a dispetto
Tenea di Sacripante e di Ruggiero;
Vedendo per duo giorni averlo stretto
Più che non si dovria al buon destriero,
Lo pon, per riposarlo, e lo rassetto
In una barca, e per andar più in fretto.
57 Senza indugio al nocchìer varar la barca,
E dar fa i remi all' acqua dalla sponda»
Quella, non molto grande e poco carca.
Se ne va per la Senna giù a seconda.
Non fogge il suo pensier, nò se ne scarca
Rodomonte per terra nò per onda:
Lo trova in so la proda e in so la poppa;
E se cavalea, il porta dietro in groppa.
88 Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
E di fuor caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
Dappoichò gli nìmicì ha nella terra.
Non sa da chi sperar possa mercede.
Se gli fanno i domestici suoi guerra:
La notte e '1 giorno e sempre ò combattolo
. Da quel crude! che dovria dargli aiuto.
CANTO VBNTBSIMOTTAVO. 123
89 Naviga il giorno e la notte segaente
Rodomonte col cor d' affanni grave;
£ non si paò T ingiuria tor di mente ,
Che dalla donna e dal suo re avnto have;
£ la pena e il dolor medesmo sente,
Che sentiva a cavallo, ancora in nave:
Né spegner pnò, per star nell'acqua, il fuoco;
Né può stato mutar, per mutar loco.
90 Come r infermo che, dirotto e stanco
Di febbre ardente, va cangiando Iato;
0 sia su r ano, o sia su l' altro fianco.
Spera aver, se si volge, miglior stato;
Né sul destro riposa né sul manco,
£ per tutto ugualmente é travagliato:
Cosi il pagano al male, ond'era infermo.
Mal trova in terra e male in acqua schermo.
91 Non puote in nave aver più pazienza,
£ si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza»
£ vede in Avignone il ricco ponte;
Che queste terre ed altre ubbidienza,
Che son tra il fiume e '1 celtibero monte,
Rendean al re Agramante e al re di Spagna
Dal di che far signor della campagna.
98 Verso Acquamorta a man dritta si tenne,
Con animo in Algier passare in fretta;
£ sopra un fiume ad una villa venne
£ da Racco e da Cerere diletta*.
Che per le spesse ingiurie che sostenne
Dai soldati, a votarsi fu costretta.
Quinci il gran mare, e quindi nell' apriche
Valli vede ondeggiar le bionde spiche.
93 Quivi ritrova una piccola chiesa
Di nuovo sopra un monticel murata.
Che, poich' intomo era la guerra accesa,
1 sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa;
Che pel sito, e perch'era sequestrata
Dai camipi, onde avea in odio udir novella.
Gli piacque si, che mutò Algieri in quella.
124 OBLANDO FORIOSO.
94 Mutò d'andare in Africa pensiero:
SI comodo gli parve il luogo e bello.
Famìgli e carriaggi e il suo destriero
Seco alloggiar fé nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero,
E ad alcun altro ricco e buon castello
Siede il villaggio a Iato alla riviera;
Si che d' avervi ogni agio il modo v' era.
96 Standovi un giorno il Saracin pensoso
(Come pur era il più del tempo usato),
Vide venir per mezzo un prato erboso,
Che d' un pìccol sentiero era segnato ,
Una donzella di viso amoroso
In compagnia d' un monaco barbatp ;
£ si traeano dietro un gran destriero
Sotto una soma coperta di nero.
96 Chi la donzella, chi '1 monaco sia,
Chi portin seco, vi debb' esser chiaro.
Conoscere Isabella si dòvria,
Che '1 corpo avea del suo Zerbino caro.
Lasciai che per Provenza ne venia
Sotto la scorta del vecchio preclaro ,
Che le avea persuaso tutto il resto
Dicare a Dio del suo vivere onesto.
97 Comecché in viso pallida e smarrita
Sia la donzella, ed abbia i crini inconti;
E facciano i sospir continua uscita
Del petto acceso, e gli occhi sien duo fonti;
Ed altri testimoni d' una vita
Misera e grave in lei stveggan pronti;
Tanto però di bello anco le avanza.
Che con le Grazie Amor vi può aver stanza.
98 Tosto che '1 Saraciq vide la bella
Donna apparir, messe il pensiero al fondo,
Ch' avea di biasmar sempre e d' odiar quella
Schiera gentil che pur adorna il mondo.
E ben gli par dignissima Isabella,
In cui locar debba il suo amor secondo,
E ^penger totalmente il primo, a modo
Che dair asse si trae chiodo con chiodo.
Canto vBNTEsiMOTtAVo. i2li
99 Incontra se le fece, e col più molle
Parlar che seppe, e col miglior sembiante,
Di sua condizione domandone:
Ed ella ogni pensier gli spiegò innante;
Come era per lasciare il mondo folle,
Er farsi amica a Dio con opre sante.
Ride il pagano altier, eh' in Dio non crede,
D' ogni legge nimico e d' ogni fede :
iOO E chiama intenzione erronea e lieve ;
E dice che per certo ella troppo erra ;
Né men biasm.ar che l'avaro si deve,
Che '1 suo ricco tesor metta sotterra:
Alcuno util per sé non ne riceve,
E dall' uso degli altri uomini il serra.
Chiuder leon si donno, orsi e serpenti,
E non le cose belle ed innocenti.
101 II monaco eh' a questo avea l'orecchia,
E per soccorrer la giovane incauta,
Che ritratta non sia per la via vecchia,
Sedea al governo qual pratico nauta;
Quivi di spiritual cibo apparecchia
Tosto una mensa sontuosa e lauta.
Ma il Saracin, che con mal gusto nacque,
Non pur la saporò, che gli dispiacque:
(02 E poi eh' invano il monaco interroppe,
E non potè mai far si che tacesse,
E che di pazienza il freno roppe.
Le mani addosso con furor gli messe.
Ma le parole mìe parervi troppe
Potriano omai, se più se ne dicesse:
Si che finirò il Canto; e mi fia specchio
Quel che per troppo dire accadde al vecchio.
itròTz.
Si.k,9,ì^%-^AMtof/otmoòìBct' I monaùóf Bachi, cbe aMicò la corona,
di jiitUtf/o, come nelle tlorie si t e abbracciò la vita monastica.
quel « longobardo. — IlfraUl \ St. 9. 9. 8.— ^//« Tana: al Tanai,
ir
lld ORLANDO FURIOSO.
54 Pigliano la fanciulla, e piacer n' hanno
Or r ano or V altro, in carìtade e in pace.
Come a vicenda i mantici che danno,
Or r uno or V altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno ,
E passar poi nel regno di Siface:
E '1 di che da Valenza si partirò,
'''■ ■ Ad albergare a Zàttiva veniro.
^ ■ 55 I patroni a veder strade e palazzi
y^' Ne vanno, e lochi pubblici e divini;
Ch' usanza han di pigliar simil sollazzi
P In ogni terra ov' enlran peregrini ;
p E la fanciulla resta coi ragazzi.
l- Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
Altri hanno cura che sia alla tornata
Dei signor lor la cena apparecchiata.
56 Neir albergo un garzon stava per fante,
Ch' in casa della giovene già stette
pi' A' servìgi del padre, e d'essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante;
Ch'esser notato ognun diJor temette:
Ma tosto eh' i patroni e la famiglia
Lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.
57 II fante domandò dov' ella gisse,
E qual dei duo signor V avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(Cosi avea nome, e quel garzone il Greco).
Quando sperai che '1 tempo, oimèl venisse
(Il Greco le dicea) di vìver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
E non so più di rivederti mai.
58 Fannosi i dolci miei disegni amari.
Poiché aei d' altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
Con gran fatica e gran sudor riposti,
Ch' avanzato m' avea de' miei salari
E delle bene andate di molti osti.
Di tornare a Valenza, e domandarti
Al padre tuo per moglie, e di sposarti.
^.
P
CANTO VBNTESIMOTTAVO. 117
09 La fancialla negli omeri si stringe,
£ risponde che fa tardo a venire.
Piange il Greco e sospira 9 e parte finge.
YDommi, dice, lasciar cosi morire?
Con le tue braccia i fianchi almen mi cinge ;
Lasciami disfogar tanto desire:
Ch' innanzi che ta parta, ogni momento
Che teco io stia, mi fa morir contento.
60 La pietosa fanciulla rispondendo :
Credi, dicea, che men di te noi bramo;
Ma nò loogo né tempo ci comprendo
Qai, dove in mezzo di tanti occhi siamo.
11 Greco soggiangea: Certo mi rendo,
Che s'un terzo ami me di quel ch'io t'amo,
In questa notte almen troverai loco
Che ci potrem godere insieme un poco.
Si Come potrò, diceagli la fanciulla.
Che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
£ meco or l'uno or l'altro si trastulla,
£ sempre all' un di lor mi trovo in braccio?
Questo ti fia, soggiunse il Greco, nulla ;
Che ben ti saprai tor di questo impaccio,
£ uscir di mezzo lor, purché tu voglia :
£ dèi voler, quando di me ti doglia.
SS Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
Quando creder potrà eh' ognuno dorma ;
£ pianamente come far convegna,
£ dell'andare e del tornar l'informa.
Il Greco, si come ella gli disegna.
Quando sente dormir tutta la torma.
Viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
£ntra pian piano, e va a tenton col piede.
63 Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
Tutto si ferma, e l'altro par che muova
A guisa che di dar tema nel vetro ;
Non che '1 terreno abbia a calcar, ma l'uova :
£ tien la mano innanzi simil metro ;
Va brancolando infìn che '1 letto trova ;
£ di là dove gli altri avean le piante,
Tacito si cacciò col capo innante.
Il6 ORLANDO FURIOSO.
64 Pigliano la fanciulla, e piaeer n' hanno
Or r ano or \* altro, in carìtade e in pace,
Come a vicenda i mantici che danno,
Or r uno or V altro, Oato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno ,
£ passar poi nel regno di Sìface:
E '1 di che da Valenza si partirò,
Ad albergare a Zàttiva venire.
55 I patroni a veder strade e palazzi
Ne vanno, e lochi pubblici e divini;
Ch'usanza han di pigliar sìmii sollazzi
In ogni terra ov' entran peregrini ;
E la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
Altri hanno cura che sia alla tornata
Dei signor lor la cena apparecchiata.
56 Neir albergo un garzon stava per fante,
Ch' in casa della giovene già stette
A' servigi del padre, e d' essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante;
Ch'esser notato ognun di. lor temette:
Ma tosto ch'i patroni e la famiglia
Lor dìeron luogo, alzar tra lor le ciglia.
57 II fante domandò dov' ella gisse,
E qual dei duo signor V avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(Cosi avea nome, e quel garzone il Greco).
Quando sperai che '1 tempo, oimèl venisse
(Il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
E non 80 più di rivederti mai.
58 Fannosi i dolci miei disegni amari.
Poiché «ei d' altri , e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
Con gran fatica e gran sudor riposti,
Ch' avanzato m' avea de' miei salari
£ delle bene andate di molti osti.
Di tornare a Valenza, e domandarti
Al padre tuo per moglie, e di sposarti.
1
CANTO VENTBSIMOTTAVO. 117
69 La fancialla negli omeri si stringe,
E risponde che fa tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge.
Voemmi, dice, lasciar cosi morire?
Con le tue braccia i fianchi almen mi cinge ;
Lasciami disfogar tanto desire :
Ch' innanzi che tu parta, ogni momento
Che teco io stia, mi fa morir contento.
60 La pietosa fancialla rispondendo :
Credi, dicea, che men di te noi bramo;
Ma né luogo né tempo ci comprendo
Qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo.
Il Greco soggiungea: Certo mi rendo.
Che s'nn terzo ami me di quel ch'io t'amo,
In questa notte almen troverai loco
Che ci potrem godere insieme un poco.
M Come potrò, diceagli la fanciulla.
Che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
E meco or l'uno or l'altro si trastulla,
E sempre all' un di lor mi trovo in braccio?
Questo ti fia, soggiunse il Greco, nulla ;
Che ben ti saprai tor di questo impaccio,
E uscir di mezzo lor, purché tu voglia :
E dèi voler, quando di me ti doglia.
68 Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
Quando creder potrà eh' ognuno dorma ;
E pianamente come far convegna,
E dell'andare e del tornar l'informa.
Il Greco, si come ella gli disegna.
Quando sente dormir tutta la torma.
Viene all' uscio e lo spinge, e quel gli cede:
Entra pian piano, e va a tenton col piede.
63 Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
Tutto si ferma, e l'altro par che muova
A guisa che di dar tema nel vetro ;
Non che '1 terreno abbia a calcar, ma l'uova :
E tien la mano innanzi simil metro ;
Va brancolando infìn che '1 letto trova ;
E di là dove gli altri avean le piante.
Tacito si cacciò col capo innante.
Il6 ORLANDO FURIOSO.
64 Pigliano la fanciulla, e pìaeer n' hanno
Or V uno or \* altro, in carìlade e in pace,
Come a vicenda i mantici che danno,
Or r uno or V altro, flato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno ,
£ passar poi nel regno di Siface:
E '1 di che da Valenza si partirò,
Ad albergare a Zàttiva venire.
55 I patroni a veder strade e palazzi
Ne vanno, e lochi pubblici e divini;
Ch'usanza han di pigliar simil sollazzi
In ogni terra ov' entran peregrini ;
£ la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
Altri hanno cura che sia alla tornata
Dei signor lor la cena apparecchiata.
56 Neir albergo un garzon stava per fante,
Ch' in casa della gìovene già stette
A' servìgi del padre, e d' essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben 8*^ adocchiar, ma non ne fer sembiante;
Ch'.eisser notato ognun di lor temette:
Ma tosto ch'i patroni e la famiglia
Lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.
67 II fante domandò dov' ella gisse,
E qual dei duo signor V avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(Cosi avea nome, e quel garzone il Greco).
Quando sperai che '1 tempo, oimèl venisse
(li Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
£ non so più di rivederti mai.
68 Fannosi i dolci miei disegni amari,
Poiché sei d' altri , e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
Con gran fatica e gran sudor riposti ,
Ch' avanzato m' avea de' miei salari
£ delle bene andate di molti osti.
Di tornare a Valenza, e domandarti
Al padre tuo per moglie, e di sposarti.
CANTO VENTESIMOTTAVO. 117
69 La fancialla negli omeri si stringe,
E risponde che fa tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge.
Yoommi, dice, lasciar cosi morire?
Con le tue braccia i fianchi almen mi cìnge ;
Lasciami disfogar tanto desire:
Ch' innanzi che ta parta, ogni momento
Che teco io stia, mi fa morir contento.
60 La pietosa fanciulla rispondendo :
Credi, dicea, che men di te noi bramo;
Ma né luogo né tempo ci comprendo
Qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo.
Il Greco soggiungea: Certo mi rendo.
Che 8* un terzo ami me dì quel ch'io t'amo,
In questa notte almen troverai loco
Che ci potrem godere insieme un poco.
H Come potrò, diceagli la fanciulla.
Che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
£ meco or l'uno or l'altro si trastulla,
£ sempre all' un di lor mi trovo in braccio?
Questo ti fia, soggiunse il Greco, nulla ;
Che ben ti saprai tor di questo impaccio,
£ uscir di mezzo lor, purché tu voglia :
£ dèi voler, quando di me ti doglia.
S2 Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
Quando creder potrà eh' ognuno dorma ;
£ pianamente come far convegna,
£ dell'andare e del tornar l'informa.
11 Greco, si come ella gli disegna.
Quando sente dormir tutta la torma.
Viene all' uscio e lo spìnge, e quel gli cede:
£ntra pian piano, e va a tenton col piede.
63 Fa lunghi i passi , e sempre in quel di dietro
Tutto si ferma, e l'altro par che muova
A guisa che di dar tema nel vetro ;
Non che '1 terreno abbia a calcar, ma l'uova :
£ tien la mano innanzi simil metro ;
Va brancolando infìn che '1 letto trova ;
£ di là dove gli altri avean le piante,
Tacito si cacciò col capo innante.
132 ORLANDO FURIOSO.
S7 Vattene in pace, alma beata e bella.
Cosi i miei versi avesson forza, come
Ben m' affaticherei con tutta qaella
Arte che tanto il parlar orna e come,
Perchè mille e mill'anni, e più, novella
Sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vaitene in pace alla superna sede,
E lascia all' altre esempio di taa fede.
28 Air atto incomparabile e stopendo ,
Dal cielo il Creator giù gli occhi volse,
E disse: Più di quella ti commendo.
La cui morte a Tarquinio il regno tolse ;
E per questo una legge fare intendo
Tra quelle mìe che mai tempo non sciolse,
J^a qual per le inviolabil acque giuro
Che non muterà secolo futuro.
29 Per V avvenir vo' che ciascuna eh' aggia
Il Bome tuo, sia di sublime ingegno,
E sia bella, gentil, cortese e saggia,
E di vera onestade arrivi al segno :
Onde materia agli scrittori caggia
Di celebrare il nome inclito e degno ;
Talché Parnasso, Pindo ed Elicone
Sempre Isabella, Isabella rìsuone.
30 Dio cosi disse, e fé serena intorno
L'aria, e tranquillo il mar, più che mai fosse.
Fé l'alma casta al terzo ciel ritorno,
£ in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
Quel fier senza pietà nuovo Breusse ;
Che, poi che '1 troppo vino ebbe digesto,
Biasmò il suo errore, e ne restd funesto.
31 Placare o in parte satisfar pensosse
Air anima beata d' Isabella,
Se^, poich* a morte il corpo le percosse,
Desse almen vita alla memoria d' ella.
Trovò per mezzo, acciò che cosi fosse.
Di convertirle quella chiesa, quella
Dove abitava, e dov'ella fu uccisa.
In un sepolcro; e vi dirò in che guisa.
CANTO VBNTESlMOftONO. 133
32 Di tutu i lochi intorno fa venire
Mastri, chi per amore e chi per tema;
£ fatto ben sei mila uomini onire,
De' gravi sassi i vicin monti scema,
£ ne fa una gran massa stabilire,
Che dalla cima era alla parte estrema
Novanta braccia^ e vi rinchiude dentro
La chiesa, che i duo amanti bave nel centro.
33 Imita quasi la superba mole
Che fé Adriano all' onda tiberina:
Presso al sepolcro una torre alta vuole;
Ch' abitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto, e di due braccia sole,
Fece su l' acqua che correa vicina.
Lungo il ponte, ma largo era si poco,
Che dava appena a duo cavalli loco;
34 A duo cavalli che venuti a paro,
0 eh' insieme si fossero scontrati :
£ non avea né sponda né riparo,
. £ si potea cader da tutti i lati.
Il passar quindi vuol che costi caro
A guerrieri o pagani o battezzati ;
Che delle spoglie lor mille trofei
Promette al cimiterio di costei.
35 In dieci giorni e in manco fu perfetta
L'opra del ponticel, che passa il fiume;
Ma non fu già il sepolcro cosi in fretta.
Né la torre bondotta al suo cacume :
Pur fu levata si, eh' alla veletta
Starvi in cima una guardia avea costume
Che d'ogni cavalier che venia al ponte,
Col corno facea segno a Rodomonte.
36 £ quel s'armava, e se gli venia a opporre
Ora su l'una, ora su l'altra riva;
Che se il guerrier venia di ver la torre.
Su l'altra proda il re d' Algier veniva.
Il ponticello è il campo ove si corre ;
£ se '1 destrier poco del segno usciva,
Gadea nel fiume , eh' alto era e profondo :
Ugual periglio a quel non avea il mondo.
II. ^2
134 OBLANOO FUAIOSO.
37 Aveasi immaginato il Saracino,
Che per gir spesso a rischio di cadere
Dal ponticel nel fiume a capo chino , *
Dove gli converria molt' acqua bere.
Del fallo a che l'indusse il troppo vino,
Dovesse netto e mondo rimanere ;
Come r acqua, non men che il vino, estingua
L' error che fa pel vino o mano o lingua.
38 Molti fra pochi di vi capitare.
Alcuni la via dritta vi condusse ;
Gh' a quei che verso Italia o Spagna andare.
Altra non era che più trita fusse:
Altri l'ardire, e più che vita caro
L'onore, a farvi di sé prova indusse;
E tutti, ove acquistar credean la pahna,
Lasciavan l' arme, e molti insieme l' alma.
30 Di quelli eh' abbattea, s' eran pagani.
Si contentava d' aver spoglie ed armi ;
E di chi prima foro, i nomi piani
Vi facea sopra, e sospendeale ai marmi :
Ma ritenea in prigion tutti i cristiani ;
E che in Algier poi li mandasse parmi.
Finita ancor non era l' opra, quando
Vi venne a capitare il pazzo Orlando.
40 , A caso venne il furioso conte
A capitar su questa gran riviera,
Dove, come io vi dico. Rodomonte
Fare in fretta facea, nò finita era
La torre, né il sepolcro, e appena il ponte :
E di tutte arme, fuorché di visiera,
A queli' ora il pagan si trovò in punto,
Gh' Orlando al fiume e al ponte é sopraggiunto.
41 Orlando (come il suo furor lo caccia)
Salta la sbarra, e sopra il ponte corre.
Ma Rodomonte con turbata faccia,
A pie, com'era innanzi alla gran torre,
Gli grida di lontano e gli minaccia.
Né se gli degna con la spada opporre :
Indiscreto villan, ferma le piante,
Temerario, importuno ed arrogante.
CANTO VBNTBSIHONONO. 135
42 Sol per signori e cavalieri è fatto
Il ponte, non per te, bestia balorda.
Orlando, ch'era in gran pensier distratto,
Vìen pnr innanzi, e fa l'orecchia sorda.
Bisogna eh' io castighi questo inatto ,
- Disse il pagano ; e con la voglia ingorda
Y^nidL per traboccarlo giù nell' onda ,
Non pensando trovar chi gli risponda.
43 In questo tempo nna gentil donzella,
Per passar sovra il ponte, al fiame arriva,
Leggiadriamente ornata, e in viso bella,
E nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda , signor) quella
Che per ogni altra via cercando giva
Di Brandimarte, il suo amator, vestigi
Fuorché, dov' era, dentro da Parigi.
44 Neil' arrivar di Fiordiligì al ponte
(Che cosi la donzella nomata era).
Orlando s'attaccò con Rodomonte,
Che lo volea gittar nella riviera.
La donna, ch'avea pratica del conte,
Subito n' ebbe conoscenza vera ;
E restò d' alta maraviglia piena,
Della follia che cosi nudo il mena.
45 Ferman a riguardar che fine avere
Debba il furor dei duo tanto possenti.
Per far del ponte l' un l' altro cadere
A por tutta lor forza sono intenti.
Come è eh' un pazzo debba si valere?
Seco il fiero pagan dice tra' denti;
E qua e là si volge e si raggira ,
Pieno di sdegno e di superbia e d' ira.
46 Con r una e l' altra man va ricercando
Far nova presa, ove il suo meglio vede :
Or tra le gambe or fuor gli pone, quando
Con arte il destro, e quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intomo a Orlando
Lo stolido orso, che sveller si crede
L' arbor onde è caduto ; e come n' abbia
Quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
136 ORLANDO FURIOSO.
47 Orlando y che l'ingegno avea sommerso
Io non 80 dove, e sol la forza usava,
V estreiDa forza, a cai per V universo
Nessuno o raro paragon si dava;
Cader del ponte si lasciò riverso
Col pagano, abbracciato come stava.
Cadon nel flume, e vanno al fondo insieme:
Ne salta in aria V onda, e il lite geme.
48 ^ L' acqua li fece distaccare in fretta.
Orlando ò nudo, e nuota com' un pesce:
Di qua le braccia, e di là ì piedi getta,
E viene a proda ; e come di fuor esce.
Correndo va, né per mirare aspetta,
Se in biasmo o in loda questo gli riesce.
Ma il pagan, che dall' arme era impedito.
Tornò più tardo e con più affanno al lite.
40 Sicuramente Fiordifa'gi intanto
Avea passato il ponte e la riviera,
E guardato il sepolcro in ogni canto.
Se del suo Brandimarte insegna v' era.
Poiché nò Tarme sue vede né il manto,
Di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del conte.
Che lascia addietro e torre e fiume e ponte.
60 Pazzia sarà, se le pazzie d'Orlando
Prometto raccontarvi ad una ad una ;
Che tante e tante fur, eh' io non so quando
Finir: ma ve n'andrò scegliendo alcuna
Solenne ed atta da narrar cantando,
E eh' air istoria mi parrà opportuna ;
Né quella tacerò miracolosa.
Che fu ne' Pirenei sopra Tolosa.
51 Trascorso avea molto paese il conte,
Come dal grave suo furor fu spinto ;
Ed alfin capitò sopra quel monte.
Per cui dal Franco é il Tarracon distinto;
Tenendo tuttavia volta la fronte
Verso là dove il Sol ne viene estinto:
E quivi giunse in uno angusto calle.
Che pendea sopra una profonda valle.
CANTO V£NTESIH0N0NO. 137
52 Si vennero a incontrar con esso al varco
Duo boscherecci -gioveni eh' innante
Avean di legna un lor asino carco:
E perchè ben s'accorsero al sembiante,
Gh'avea di cervel sano il capo scarco,
Gli gridano con voce minacciante, ^
O ch'addietro o da parte se ne vada,
E che si levi di mezzo la strada.
53 Orlando non risponde altro a quel detto,
Se non che con furor tira d' un piede,
E giunge a punto V asino nel petto '
Con quella forza che tutte altre eccede;
Ed alto il leva si, ch'uno augelletto
Che voli in aria sembra a chi lo vede.
Quel va a cadere alla cima d' un colle
Gh' un miglio oltre la valle il giogo estolle.
54 Indi verso i duo gioveni s' avventa.
Dei quali un, più che senno, ebbe avventura:
Che dalla balza che due volte trenta
Braccia cadea, si gittò per paura.
A mezzo il tratto trovò molle e lenta
Una macchia di rubi e di verzura,
A cui bastò graffiargli un poco il volto;
Del resto, lo mandò libero e sciolto.
55 L' altro s' attacca ad un scheggion eh' usciva
Fuor della roccia, per salirvi sopra;
Perchè si spera, s'alia cima arriva,
Di trovar via che dal pazzo lo cuopra.
Ma quel nei piedi (che non vuol che viva)
Lo piglia, mentre di salir s'adopra;
£ quanto più sbarrar puote le braccia.
Le sbarra si, eh' in duo pezzi lo straccia;
56 A quella guisa che veggìam talora
Farsi d'uno aeron, farsi d'un pollo,
Quando si vuol delle calde interiora
Che falcone o eh' astor resti satollo.
Quanto è bene accaduto che non muora
Quel che fu a risco di fiaccarsi il collo I
Ch'àd altri poi questo miracol disse,
Si che r udì Turpino, e a noi lo scrisse.
4r
138 ORLANDO FURIOSO.
57 E queste ed altre assai cose stupende
Fece nel traversar della montagna.
Dopo molto cercare, alfin discende
Verso merigge alla terra di Spagna;
E tango la marina il cammin prende
Ch* intorno a Tarracona il lite bagna:
E come vuol la furia che lo mena,
Pensa farsi uno albergo in queir arena,
(8 Dove dal sole alquanto si ricuopra;
E nel sabbion si caccia arido e trito.
Stando cosi, gli venne a caso sopra
Angelica la bella e il suo marito,
Gh'eran (siccome io vi narrai di sopra)
Scesi dai monti in su ì* Ispano lito.
A men d' un braccio ella gli giunse appresso,
Perché non s* era accorta ancora d' esso.
69 Che fosse Orlando, nulla le sovviene;
Troppo é diverso da quel eh* esser suole.
Da indi in qua che quel furor lo tiene,
È sempre andato nudo all' ombra e al sole.
Se fosse nato air aprica Siene,
0 dove Ammone il Garamante cole,
0 presso ai monti onde il gran Nilo spiccia.
Non dovrebbe la carne aver più arsiccia.
W Quasi ascosi avea gli occhi nella testa,
La faccia macra, e come un osso asciutta,
La chioma rabbuffata, orrida e mesta,
La barba folta, spaventosa e brutta.
Non più a vederlo Angelica fu presta.
Che fosse a ritornar, tremando tutta :
Tutta tremando, e empiendo il ciel di grida.
Si volse per aiuto alla sua guida.
61 Come di lei s' accorse Orlando stollo.
Per ritenerla si levò di botto ,
Cosi gli piacque il delicato volto.
Cosi ne venne immantinente ghiotto.
D' averla amata e riverita molto
Ogni ricordò era in lui guasto e rotto.
Gli corre dietro, e tien quella maniera
Che terria il cane a seguitar la fera.
CANTO VBNTESUIOMONO. 139
62 11 giovine, che '1 pazzo seguir vede
La donna saa, gli urta il cavallo addosso ^
E tatto a an tempo lo percuote e fìede,
Come lo trova che gli volta il dosso.
Spiccar dal busto il capo se gli crede:
Ma la pelle trovò dura come osso,
Anzi via più eh' acciar; eh' Orlando nato
Impenetrabil era ed affatato.
63 Come Orlando senti battersi dietro,
Girossi, e nel girare ii pugno strinse,
E con la forza che passa ogni metro.
Feri il destrier che '1 Saracino spìnse.
Ferii sol capo ; e come fosse vetro,
Lo spezzò si, che quel cavallo estinse ;
E rivoltosse in un medesmo istante
Dietro a colei che gli fuggiva innante.
64 Caccia Angelica in fretta la giumenta;
E con sferza e con spron tocca e ritocca;
Che le parrebbe a quel bisogno lenta,
Sebben volasse più che strai da cocca.
Dell' anel e' ha nel dito si rammenta.
Che può salvarla, e se lo getta in bocca ;
E l'anel, che non perde il suo costume.
La fa sparir come ad un soffio il lume.
65 0 fosse la paura, o che pigliasse
Tanto disconcio nel mutar l'anello,
Oppur che la giumenta traboccasse,
Che non posso affermar questo né quello ;
Nel medesmo momento che si trasse
L'anello in bocca, e celò il viso bello.
Levò le gambe, ed usci dell'arcione,
E si trovò riversa in sul sabbione.
66 Più corto che quel salto era dna dita.
Avviluppata rimanea col matto.
Che con l' orto le avria tolta la vita ;
Ma gran ventura l' aiutò a quel tratto.
Cerchi pur eh' altro furto le dia aita
D'un' altra bestia, come prima ha fatto;
Che più non è per riaver mai questa
Ch' innanzi al paladin l' arena pesta.
140 ORLANDO FUBIOSO.
67 Non dabitate già eh' ella non s' abbia
A provvedere ; e seguitiamo Orlando,
In coi non cessa V impeto e la rabbia,
Perchè si vada Angelica celando.
Segue la bestia per la nada sabbia,
E se le vien più sempre approssimando:
Già già la tocca, ed ecco l' ha nel crine,
Indi nel freno, e la ritiene alfine.
^ 6S Con quella festa il paladin la piglia,
Gh'an altro avrebbe fatto una donzella:
Le rassetta le redine e la briglia,
E spicca nn salto, ed entra nella sella;
E correndo la caccia molte miglia,
Senza riposo, in questa parte e in quella:
Mai non le leva nò sella nò freno,
Nò le lascia gustare erba nò fieno.
40 Volendosi cacciare oltre una fossa,
Sozzopra se ne va con la cavalla.
Non nocque a lui, nò senti la percossa ;
Ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando come trar la possa,
£ finalmente se l'arreca in spalla,
E su ritorna, e va con tutto il carco,
Quanto in tre volte non trarrebbe un arco.
70 Sentendo poi che gli gravava troppo,
La pose in terra, e volea trarla a mano:
Ella il seguia con passo lento e zoppo.
Dicea Orlando: Cammina ; e dicea invano.
Se r avesse seguito di galoppo ,
Assai non era al desiderio insano.
Alfin dal capo le levò il capestro,
E dietro la legò sopra il piò destro ;
71 E cosi la strascina, e la conforta
Che lo potrà seguir con maggior agio.
Qoal leva il pelo, e quale il cuoio porta,
Dei sassi eh' eran nel cammin malvagio.
La mal condotta bestia restò morta
Finalmente di strazio e di disagio.
Orlando non le pensa e non la guarda ;
E via correndo, il suo cammin non tarda.
CANTO VBNTESIBIONONO.
72 Di trarla , anco che morta, non rimase,
Continuando il corso ad occidente:
E tuttavia saccheggia ville e case,
Se bisogno di cibo aver si sente;
E frutte e carne e pan, purch' egli invase,
Rapisce, ed usa forza ad ogni gente :
Qual lascia morto, e qoal storpiato lassa;
Poco si ferma, e sempre innanzi passa.
73 Avrebbe cosi fatto, o poco manco.
Alla sua donna, se non s'ascondea;
Perchè non dìscernea il nero dal bianco,
E di giovar, nocendo, si credea.
Deh maledetto sia ranelle, ed anco
Il cavalier che dato le 1* aveal
Che se non era, avrebbe Orlando fatto
Di sé vendetta e di miir altri a un tratto.
74 Né questa sola, ma fosser pur state
In man d' Orlando quante oggi ne sono:
Ch'ad ogni modo tutte sono ingrate.
Né si trova tra loro oncia di buono.
Ma prima che le corde rallentate
Al Canto disugual rendano il suono,
Fia meglio differirlo a un' altra volta.
Acciò men sia noioso a chi V ascolta.
141
BTOTB.
Si. 4. V. 5. — Faida .* qui detto me*
Uforìcamente a sigaificare difesa.
St. 6. f .6. — Né si ragguaglia : noo
h concorde.
St.il. V. 7. — ìnviùlabil: iovulae-
rabfle.
St. 49. 9. i. — Cigno : personaggio
mitologico, diverso dal re ligure oomi-
Dato Della St. 34 del Canto III. I poeti
lo finsero figliuol di Nettuno, e inTnloe*
rabile come Achille.
St. 23. 9. 6. — Dispaia : separa,
dÌKcroe.
St. 27. V. 4.— Come: fa bello;
voce latina.
«{"r. 28. e. 4-7. —la ctt j morie ee.
Perla di Lucresia moglie dì Collatioo,
violata da Sesto Tarquinio; onde la cae«
ciata di quella famiglia da Roma.—
Per le inviolabil acque : per la palude
Stigia; frase adoperata dai poeti, on-
d* esprimere il giuramento inviolabile
degli Dei.
«fi. 30. <^. 3-8 — Al Uno del: al
cielo di Venere^ sede delle anime inna-
morate. — Breusse : personaggio di cui
142
ORLANDO FURIOSO.
parlano i romaoti della Tavola Roton-
da, ivi pure soprannomioato senui jnie-
tà,-^ Funesto,' funestato , afllitto.
St. 33. f . 1*2. — La superba mo»
1% te. : il sepolcro di Adriano sai Te-
vere» ora Castel Sant'Angelo.
ó'/. 35. V, 4-5. — Cacume : cima.—
Veletta e vedetta dicesi il soldato che fa
la sentinella, e il luogo dov'egli si sta.
St^Zl, 9,1'%. — Come l'acqua ec.
Il sentimento di questi due versi non
ha bisogne^ di dicbiarasione; ma non
dispiacerai che si noti come sono nell'edi-
sione del 1516, che legge:
Pur oome l'acqua il vino, eoal estingaa
L*error eha fa per vino o mano o lingaa.
St, 54. ir. 5-6. — Lenta t qvàjlessim
bile, cedevole. — Rubi e rovi, pruni.
St. 56. ¥, 4. -~ Aeron :
grande uccello acquatico.
St. òd.v.òJÌ.—Jirapriea Siene.-
città d* Egitto, delta dai Latini Semee,
ai confini dell' Etiopia , sotto la tona
torrida. «^ O dove Ammone il Gara-
mante cole» Gararoaoti chiamaronsi al-
cuni popoli della Libia, ora forse i 2Ì6-
bous, come altrove si è detto; ivi fa il
tempio e l' oracolo di Giove Ammooe.
— O presso ai monti ec. : i monti della
Luna in Etiopia , altra volta ricordati.
St. 64. V. 4. — Cocca.' la tacca della
freccia, dov'entra la corda dell'arco; e
qui, per estensione, l'arco stesso, o il
luogo della corda dove si posa la freccia.
St, 72. V. 5. — Purch'egli invase .-
purché invasi, metta nel vaso, ossia nel
venire; mangi.
CASSTO TREKTESraiO.
dìm(B^Oìmov(D»
Aìlre strane passie di Orlando. Mandricardo e Ruggiero combattono insieme per
lo scudo di Ettore e per la spada di Orlando. Ruggiero vi resta ferito, e Man-
dricardo vi muore. Bradamanie riceve da Ippalca la lettera di Ruggiero, e si
duole di lui. Rinaldo viene a Montalbano, e conduce seco i fratelli e i cugini
in aiuto di Carlo.
Quando vìncer dall' ìmpeto e dall' ira
Si lascia la ragion, né si difende,
E che *1 cieco furor si innanzi tira
O mano o lingoa, che gli amici offende;
Sebben di poi si piange e si sospira,
Non è per qaesto che 1* error s' emende.
Lasso l io mi doglio e affliggo invan di quanto
Dissi per ira al fin deir altro Canto.
CANTO TRENTESIMO. 143
2 Ma simile son fatto ad uno inferjno,
Che, dopo molta pazienziae molta,
Quando contra il dolor non ha più schermo,
Cede alla rabbia ^ e a bestemmiar si volta.
Manca il dolor,, né V impeto sta fermo,
Che la lingua al dir mal facea si sciolta:
E si ravvede e pente, e n'ha dispetto;
Ma quel e' ha detto, non può far non detto.
3 Ben spero, donne, in vostra cortesia
Aver da voi perdon, poich' io ve '1 chieggio.
Voi scuserete, che per frenesìa,
Vinto dair aspra passion , vaneggio.
Date la colpa alla nimica mia.
Che mi fa star, ch'io non potrei star peggio;
£ mi fa dir quel di eh' io son poi gramo:
Salto Iddio, s'ella ha il torto; essa, s'io l'amo.
4 Non men son fuor di me, che fosse Orlando;
£ non son men di lui di scusa degno ,
Ch'or per li monti, or per le piaggie errando,
Scorse in gran parte di Marsilio il regno.
Molti di la cavalla strascinando
Morta, com'era, senza alcun ritegno;
Ma giunto ove un gran fiume entra nel mare,
Gli fu forza il cadavero lasciare.
5 £ perchè sa nuotar come una lontra,
Entra nel fiume, e surge all' altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra,
Che per abbeverarlo al fiume arriva.
Colui, benché gli vada Orlando incontra,
Perchè egli è solo e nudo, non io schiva.
Vorrei del tuo ronzin, gli disse il matto,
Con la giumenta mia far un baratto.
6 Io te la mostrerò di qui, se vuoi;
Che morta là su l' altra ripa giace :
la potrai far tu medicar di poi:
Altro difetto in lei non mi dispiace.
Con qualche aggiunta il ronzin dar mi puoi :
Smontane in cortesia, perchè mi piace.
Il pastor ride , e senz' altra risposta
Va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
144 OBLANDO FDBIOSO.
7 Io. voglio il tao cavallo: olà, non odi?
Soggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Avea un baston con nodi spessi e sodi
Quel pastor seco, e il paladin percosse.
La rabbia e l' ira passò tutti i modi
Del conte, e parve fier più che mai fosse.
Sul capo del pastore un pugno serra.
Che spezza Fosso, e morto il caccia in terra.
8 Salta a cavallo, e per diversa strada
Va discorrendo 9 e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzin mai fieno né biada;
l'anto ch'in pochi di ne rìman fiacco:
Ma non però eh* Orlando a piedi vada,
Che di vetture vuol vivere a macco;
E quante ne trovò, tante ne mise
In uso, poi che i lor patroni accise.
9 Capitò alfin a Malega, e più danno
Vi fece, ch'egli avesse altrove fatto;
Che, oltre che ponesse a saccomanno
Il popol si, che ne restò disfatto.
Né si potè rifar quel né raltr'anno.
Tanti n' uccise il periglioso matto ,
Vi spianò tante case, e tante accese.
Che disfo più. che 'i terzo del paese.
iO Quindi partito, venne ad una terra ,
Zizera detta, che siede allo stretto
Di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra;
Che r uno e V altro nome le vien detto:
Ove una barca che sciogliea da terra.
Vide piena di gente da diletto ,
Che sollazzando all' aara mattutina
Già per la tranquillissima marina.
il Cominciò il pazzo a gridar forte: Aspetta;
Che gli venne disio d' andare in barca,
ma bene invano e i gridi e gli urli getta;
Che volentier tal merce non si carca.
Per r acqua il legno va con quella fretta ,
Che va per l' aria irondine che varca.
Orlando urta il cavallo e batte e stringe ,
E con un mazzafrusto al mar lo spinge.
CANTO TBENTBSIUO. 14^
42 Forza è eh' alfin neir acqua il cavallo entre ;
Ch' invan contrasta, e spende invano ogni opra :
Bagna i. ginocchi, e poi la groppa e '1 ventre,
Indi la testa, e appena appar di sopra.
Tornare addietro non si speri, mentre
La verga tra V orecchie se gli adopra.
Misero! o si convien tra via affogare,
O nel lite african passare il mare.
43 Non vede Orlando più poppe nè«ponde,
Che tratto in mar l' avean dal lite asciutto ;
Che son troppo lontane, e le nasconde
Agli occhi bassi V alto e mobil flutto:
E tuttavia il destrier caccia tra V onde ;
Ch'andar di là dal mar dispone in tutto.
Il destrier, d'acqua pieno e d'alma voto,
Finalmente fini la vita e il nuoto.
i4 Andò nel fondo, e vi traea la salma.
Se non si tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe, e l' una e l' altra palma,
E soffia, e l' onda spinge dalla faccia.
Era l'aria soave, e il mare in calma:
E ben vi bisognò più che bonaccia ;
Ch'ogni poco che '1 mar fosse più sorto.
Restava il paladin nell' acqua morto.
i5 Ma la Fortuna, che dei pazzi ha cura.
Del mar lo trasse nel lito di Setta,
In una spiaggia, lungi dalle mura,
Quanto sarian duo tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alla ventura
Verso Levante andò correndo in fretta ,
Finché trovò, dove tendea sol lito.
Di nera gente esercito infinito.
46 Lasciamo il paladin eh' errando vada;
Ben di parlar di lui tornerà tempo.
Quanto, signore, ad Angelica accada
Dopo ch'usci di man del pazzo a tempo,
E come a ritornare in sua contrada
Trovasse e buon navilio e miglior tempo,
E dell' India a Medor desse lo scettro.
Forse altri canterà con miglior plettro.
•I. ^3
146 ORLANDO FURIOSO.
i7 Io sono a dir tante altre cose intento,
Che di seguir più questa non mi cale.
Volger convienimi il bel ragionamento
Al Tartaro che, spìnto il suo rivale,
Quella bellezza si godea contento,
A cai non resta in tutta Europa eguale,
Poscia che se n' è Angelica partita,
E la casta Isabella al ciel salita.
18 Dtlla sentenzia Mandrìcardo altiero,
Ch'in suo favor la bella donna diede.
Non può fruir tutto il diletto intero ;
Che centra lui son altre liti in piede.
L'una gli muove il giovine Ruggiero,
Perchè l'aquila bianca non gli cede;
L'altra il famoso re di Serìcana,
Che da lui vuol la spada Durindana.
i9 S'affatica Agramante, nò disciorre,
Nò Marsilio con lui, sa questo intrico:
Nò solamente non li può disporre
Che voglia l' un dell' altro esser amico ;
Ma che Ruggiero a Mandrìcardo torre
Lasci lo scudo del Troiano antico ,
O Gradasso la spada non gli vieti,
Tanto che questa o quella lite accheti.
20 Ruggier non vuol eh' in altra pugna vada
Con lo suo scudo ; nò Gradasso vuole
Che, fuor che centra so, porti la spada
Che '1 glorioso Orlando portar suole.
Alfin veggiamo in cui la sorte cada,
Disse Agramante, e non sian più parole:
Yeggiam quel che Fortuna ne disponga,
E sia preposto quel eh' ella preponga.
21 £ se compiacer meglio mi volete.
Onde d'aver ve n'abbia obbligo ognora.
Chi dò' di voi combatter sortirete;
Ma con patto, eh' al primo che esca fuora ,
Amendue le querele in man porrete ;
Si che, per sé vincendo, vinca ancora
Pel compagno; e perdendo l'un di vui,
Cosi perduto abbia per ambidui.
CANTO TRENTESIMO. 147
32 Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
Di valor nolla o poca differenza ;
£ di lor qaal si vaol venga fuor pria,
So eh' in arme farà per eccellenza.
Poi la vittoria da quel canto stia.
Che vorrà la divina Provvidenza.
11 cavalier non avrà colpa alcuna,
Ma il tutto impaterassi alla Fortuna.
83 Steron taciti al detto d' Agramante
E Ruggiero e Gradasso ; ed accordarsi
Che qualunque di loro uscirà innante,
E r una briga e V altra abbia a pigliarsi.
Cosi in duo brevi eh' avean simigliante
Ed ugual forma, i nomi lor notarsi;
E dentro un' urna quelli hanno rinchiusi.
Versati molto, e sozzopra confusi.
84 Un semplice fanciul neir urna messe
La mano, e prese un breve; e venne a caso
Gh' in questo il nome di Ruggier si lesse ,
Essendo quel del Serican rimase.
Non si può dir quanta allegrezza avesse
Quando Ruggier si senti trar del vaso,
E d'altra parte il Sericano doglia;
Ma quel che manda il cìel, forza è che teglia.
86 Ogni suo studio il Sericano, ogni opra
A favorire, ad aiutar converte,
Perchè Ruggiero abbia a restar di sopra;
E le cose in suo prò, eh' avea già esperte,
Come or di spada, or di scudo si còpra,
Qual sien botte fallaci, e qual sien certe,
Quando tentar, quando schivar fortuna
Si dee, gli torna a mente ad una ad una.
26 n resto di quel di che dall' accordo
E dal trar delle sorti sopravanza,
fi speso dagli amici in dar ricordo.
Chi all'un guerrier, chi all'altro, com'è usanza.
Il popol, di veder la pugna ingordo, '
S'aflTretta a gara d' occupar la stanza:
Né basta a molti innanzi giorno andarvi,
Che voglion tutta notte anco vegghiarvi.
UH OBLANDO FURIOSO.
27 La sciocca torba disiosa attende
Ch' i dao buon cavalier vengano in prova ;
Che non mira più lungi nò comprende
Di qnel eh' innanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsilio, e chi più intende,
£ vede ciò che naoce e ciò che giova,
fiiasma questa battaglia, ed Agramante,
Che voglia comportar che vada innante.
28 Nò cessa raccordargli il grave danno
Che n' ha d' avere il popol Saracino,
Muora Ruggiero o il tartaro tiranno.
Quel che preGsso è dal suo fier destino.
D' un sol di lor via più bisogno avranno
Per contrastare al figlio di Pipino,
Che di dieci altri mila che ci sono.
Tra' quai fatica ò ritrovare «n buono.
29 Conosce il re Agramante che gli ò vero ;
Ma non può più negar ciò e' ha promesso.
Ben prega Mandricardo e il buon Ruggiero,
Che gli ridonìn quel e' ha lor concesso;
£ tanto più, che '1 lor litigio ò un zero,
Nò degno in prova d' arme esser rimesso :
£ s' in ciò pur noi vogliono ubbidire.
Veglino almen la pugna differire.
30 Cinque o sei mesi il singnlar certame,
O meno o più, si differisca, tanto
Che cacciato abbin Carlo del reame,
Tolto lo scettro, la corona e il manto.
Ma f un e l' altro, ancorchò voglia e brame
Il re ubbidir, pur sta duro da canto;
Chò tale accordo obbrobrioso stima
A chi '1 consenso suo vi darà prima.
31 Ma più del re, ma più d' ognun eh* invano
Spenda a placare il Tartaro parole ,
La bella figlia del re Storditane
Supplice il priega, e si lamenta e duole:
Lo prega che consenta al re africano,
£ voglia quel che tutto il campo vuole ;
Si lamenta e si duol che per lui sia
Timida sempre e piena d' angonia.
CANTO TRENTESIMO. 140
32 Lassa! dicea, che ritrovar possMo
Rimedio mai, eh' a riposar mi vaglia,
S' or contra questo, or qael, naovo disio
Vi trarrà sempre a vestir piastra e maglia?
C ha potuto giovare al petto mio
Il gaudio che sia spenta la battaglia
Per me da voi contra quell'altro presa,
Se un' altra non minor se n' è già accesa?
33 Oimél eh' invano ì' me n' andava altiera
Gh'un re si degno, un'cavalier si forte
Per me volesse in perigliosa e fiera
Battaglia porsi al rlsco della morte ;
Ch'or veggo per cagion tanto leggiera
Non meno esporvi alla medesma sorte.
Fu naturai ferocità di core,
Ch'a quella v'ipstìgò, più che 'I mio amore.
34 Ma se gli é ver che '1 vostro amor sìa quello
Che vi sforzate di mostrarmi ognora.
Per lui vi prego, e per quel gran flagello
Che mi percuote l'alma e che m'accora,
Che non vi caglia se 'l candido augello
Ha nello scudo quel Ruggiero ancora.
Utile o danno a vói non so ch'importi.
Che lasci quella insegna, o che la porti.
35 Poco guadagno, e perdita uscir molla
Della battaglia può, che per far sete.
Quando abbiate a Ruggier l' aquila tolta ,
Poca mercè d' un gran travaglio avrete ;
Ma se fortuna le spalle vi volta
(Che non però nel crin presa tenete),
Causate un danno, eh' a pensarvi solo
Mi sento il petto già sparar di duolo.
36 Quando la vita a voi per voi non sia
Cara, e più amate un'aquila dipinta,
Vi sia almen cara per la vita mia:
Non sarà l' una senza l' altra estinta.
Non già morir con voi grave mi fia:
Son di seguirvi in vita e in morte accinta;
Ma non vorrei morir si malcontenta.
Come io morrò, se dopo voi son spenta.
150 ORLANDO FURIOSO.
37 Con tai parole e simili altre assai,
Che lacrime accompagnano e sospiri,
Pregar non cessa lotta notte mai ,
Perch' alla pace il sao amator ritiri.
E quel, saggendo dagli umidi rai
Quel dolce pianto, e quei dolci martiri
Dalle vermìglie labbra più che rose,
Lacrimando egli ancor, cosi rispose:
38 Deh, vita mia, non vi mettete affanno.
Deh non, per Dio, dì cosi lieve cosa.
Che se Carlo e '1 re d'Africa, e ciò e' hanno
Qui di gente moresca e di franciosa,
Spiegasson le bandiere in mio sol danno,
Voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere,
Se per me un Roggier sol vi fa temere.
39 E vi dovria por rammentar che, solo,
(E spada io non avea né scimitarra]
Con un troncon di lancia a un grosso stuolo
D' armati cavalìer tolsi la sbarra.
Gradasso, ancor che con vergogna e duolo
Lo dica, pure, a chi '1 domanda, narra
Che fu in Seria a un caste! mio prigioniero ;
Ed è pur d' altra fama, che Ruggiero.
40 Non niega similmente il re Gradasso,
E salto Isolier vostro e Sacripante,
Io dico Sacripante il re Circasso,
E '1 famoso Grifone ed Aquilante,
Cent' altri e più, che pure a questo passo
Stati eran presi alcuni giorni innante,
Macomettani e gente di battesmo,
Che tutti liberai quel di medesmo.
41 Non cessa ancor la maraviglia loro
Della gran prova ch'io feci quel giorno,
Maggior che se V esercito del Moro
E del Franco inimici avessi in tomo.
Ed or potrà Ruggier, giovine soro.
Farmi da solo a solo o danno o scorno?
Ed or e' ho Durindana e l' armatura
D' Ettor, vi de' Ruggier metter paura?
CINTO TRENTESIMO. 15 i
42 Deh perchè dianzi in prova non yenn' io,
Se far di voi con l' arme io potea acquisto?
So che v' avrei si aperto il valor mio,
Ch' avreste il fin già di Raggier previsto.
Asciugate le lacrime, e per Dio
Non mi fate uno augurio cosi tristo;
E siate certa che '1 mio onor m' ha spinto,
Non nello scudo il bianco augel dipinto.
43 Cosi diss' egli, e molto ben risposto
Gli fu dalla mestissima sua donna.
Che non pur lui mutato di proposto ,
Ma di luogo avria mossa una colonna.
EUa era per dover vincer lui tosto ,
Ancor ch'armato, e ch'ella fosse in gonna;
E r avea indotto a dir, se '1 re gli parla
D'accordo più, che volea contentarla.
44 E lo facea ; se non tosto eh' al sole
La vaga aurora fé l' usala scorta,
V animoso Ruggier, che mostrar vuole
Che con ragion la bella aquila porta.
Per non udir più d' atti e di parole
Dilazion, ma far la lite corta.
Dove circonda il popol Io steccato.
Sonando il corno, s' appresenta armato.
45 Tosto che sente il Tartaro superbo
Ch' alla battaglia il suono altier Io sfida,
Non vuol più dell'accordo intender verbo.
Ma si lancia del letto, ed arme grida;
E si dimostra si nel viso acerbo
Che Doralice istessa non si fida
Di dirgli più di pace né di triegua:
E forza è infìn che la battaglia segua.
46 Subito s'arma, ed a fatica aspetta
Da' suoi scudieri i debiti servigi :
Poi monta sopra il buon cavallo in fretta,
Che del gran difensor fu di Parigi ;
E vien correndo inver la piazza eletta
A terminar con l' arme i gran litigi.
Vi giunse il re e la corte allora allora.;
Si eh' air assalto fu poca dimora.
152 ORLANDO FURIOSO.
47 Posti lor furo ed allacciali in Cesia
I lucici elmi» e date lor le lance.
Segue la tromba a dare il segno presta,
Che fece a mille impallidir le guance.
Posero r aste i cavalieri in resta,
E i corridori punsero alle pance ;
E venner con tale impeto a ferirsi,
Che parve 11 ciel cader, la terra aprirsi.
48 Quinci e quindi venir si vede il bianco
Augel che Giove per l' aria sostenne ;
Come nella Tessalia si vide anco
Venir più volte, ma con altre penne.
Quanto sia V uno e l'altro ardito q. franco,
Mostra il portar delle massicce antenne ;
E molto più, eh' a quello incontro duro
Quai torri ai venti , o scogli air onde furo.
49 I tronchi fin al ciel ne sono ascesi :
Scrive Turpin, vera&e in questo loco,
Che dui 0 tre giù ne tornaro accesi,
eh' eran saliti alla sfera del fuoco.
I cavalieri i brandi aveano presi:
E come quei che si temeano poco,
Si ritornaro incontra; e a prima giunta
Ambi alla vista si ferìr di punta.
60 Ferirsi alla visiera al primo tratto ;
E non miraron, per mettersi in terra.
Dare ai cavalli morte; eh' è mal' atto,
Perch' essi non han colpa della guerra.
Chi pensa che tra lor fosse tal patto,
Non sa l' usanza antiqua, e di molto erra :
Senz'altro patto, era vergogna e fallo
E biasmo eterno a chi feria il cavallo.
51 Ferirsi alla visiera, ch'era doppia,
Ed appena anco a tanta furia resse.
L'un colpo appresso all'altro si raddoppia:
Le botte, più che grandine, son spesse.
Che spezza fronde e rami e grano e stoppia,
E uscir invan fa la sperala messe.
Se Durindana e Balisarda taglia
Sapete, e quanto in queste mani vaglia.
CANTO TRBNTESIHO. 133
62 Ma degno di sé colpo ancor non fanno,
Si r uno e ]' altro ben sta su V avviso.
Usci da Mandrìcardo il primo danno,
Per cui fu quasi il buon Ruggiero ucciso.
D'uno di quei gran colpi che far sanno,
Gli fu lo scudo pel mezzo diviso,
)S> la corazza apertagli di sotto;
£ fin sul vivo il crudel brando ha rotto.
53 L' aspra percossa agghiacciò il cor nel petto,
Per dubbio di Ruggiero, ai circostanti,
Nel cui favor si conoscea lo affetto
Dei più inchinar, se non di tutti quanti.
£ se Fortuna ponesse ad effetto
Quel che la maggior parte vorria innanti.
Già Mandrìcardo saria morto o preso:
Si che 'l suo colpo ha tutto il campo offeso.
64 Io credo che qualche agnol s' interpose
Per salvar da quel cólpo il cavaliere.
Ma ben senza più indugio gli rispose,
Terribif più che mai fosse, Ruggiero.
La spada in capò a Mandrìcardo pose ;
Ma si lo sdegno fu subito e fiero,
£ tal fretta gli fé, eh' io men l' incolpo
Se non mandò a ferìr di taglio il colpo.
55 Se Balisarda lo giungea pel dritto,
V elmo d' £ttorre era incantalo invano.
Fu si del colpo Mandrìcardo afflitto.
Che si lasciò la brìglia uscir di mano.
D'andar tre volte accenna a capo fitto.
Mentre scorrendo va d' intorno il piano
Quel Brìgliador che conoscete al nome,
Dolente ancor delle mutate some.
56 Calcata serpe mai tanto non ebbe.
Né ferito leon, sdegno e furore.
Quanto il Tartaro, poi che si rìebbe
Dal colpo che di sé lo trasse fuore :
£ quanto l' ira e la superbia crebbe.
Tanto e più crebbe in lui forza e valore.
Fece spiccare a Brigliadoro un salto
Verso Ruggiero, e alzò la spada in alto.
154 OBLANDO FURIOSO.
57 Levossi in sa le staffe, ed airelmetlo
Segnògli, e si credette veramente
Partirlo a quella volta fin al petto :
Ma fn di lai Ruggier più diligente ;
Gbò pria che '1 braccio scenda al darò effetto,
Gli caccia sotto la spada pungente,
£ gli fa nella maglia ampia finestra,
Che sotto difendea V ascella destra.
68 £ Balisarda al suo ritorno trasse
Di fuori il sangue tiepido e vermiglio,
£ vietò a Durindana che calasse
Impetuosa con tanto periglio ;
Benché fin su la groppa si piegasse
Ruggiero, e per dolor strignesse il ciglio:
£ s' elmo in capo avea di peggior tempre,
Gli era quel colpo memorabil sempre.
69 Ruggier non cessa, e spinge il suo cavallo,
£ Mandricardo al destro fianco trova.
Quivi scelta finezza di metallo,
£ bea condutta tempra poco giova
Centra la spada che non scende in fallo.
Che fu incantata non per altra prova.
Che per far eh' a' suoi colpi nulla vaglia
Piastra incantata ed incantata maglia.
60 Taglionne quanto ella ne prese, e insieme
Lasciò ferito il Tartaro nel fianco.
Che '1 ciel bestemmia, e di tant'ira freme.
Che '1 tempestoso mare è orribil manco.
Or s' apparecchia a por le forze estreme :
Lo scudo ove in azzurro è V augel bianco,
Vinto da sdegno, si gittò lontano,
£ messe al brando e i' una e V altra mano.
61 Ah, disse a lui Ruggier, senza più basti
A mostrar che non merli quella insegna,
Ch'or tu la getti, e dianzi la tagliasti;
Né potrai dir mai più che ti convegna.
Cosi dicendo, forza è ch'egli attasti
Con quanta furia Durindana vegna ;
Che si gli grava e si gli pesa in fronte.
Che più leggier potea cadervi un monte:
. CANTO TRENTESIMO. 155
62 E per mezzo gli fende la visiera ;
Buon per lai, che dal viso si discosta:
Poi calò su r arcion che ferrato era,
Nò lo difese averne doppia crosta :
Giunse alfin su V arnese, e come cera
L' aperse con la falda soprapposta ;
E feri gravemente nella coscia
Raggier, si eh' assai stette a guarir poscia.
O Deir un, come dell' altro, fatte rosse
Il sangue V arme avea con doppia riga ;
Talchò diverso era il parer, chi fosse
Di lor eh' avesse il meglio in quella briga.
Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse
Con la spada che tanti ne castiga :
Mena di punta, e drizza il colpo crudo
Onde gittate avea colui lo scudo.
64 Fora della corazza il lato manco,
E di venire al cor trova la strada ;
Ghò gli entra più d' un palmo sopra il fianco»
SI che convien che Mandricardo cada
D'ogni ragion che può nell'augel bianco,
0 che può^aver nella famosa spada ;
E della cara vita cada insieme.
Che, più che spada e scudo, assai gli preme.
65 Non mori quel meschin senza vendetta :
Gh'a quel medesmo tempo che fu colto.
La spada, poco sua, menò di fretta;
Ed a Ruggier avria partito il volto.
Se già Ruggier non gli avesse intercetta
Prima la forza, e assai del vigor tolto.
Di forza e di vigor troppo gli tolse
Dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
66 Da Mandricardo fu Ruggier percosso
Nel punto eh' egli a luì tolse la vita ;
Tal eh' un cerchio di ferro, anco che grosso,
E una cuffia d' acciar ne fu partita.
Durindana tagliò cotenna ed osso,
E nel capo a Ruggiero entrò due dita.
Ruggier stordito in terra si riversa,
E di sangue un ruscel dal capo versa.
156 ORLANDO FUBIOSO.
67 II primo fu Ruggier eh' andò per (erra ,
E di poi stette Y altro a cader tanto,
Che quasi crede ognun che della guerra
Riporti Mandricardo il pregio e il vanto :
E Doralice sua, che con gli altri erra,
E che quel di piò volte ha riso e pianto,
Dio ringraziò con mani al ciel supine,
Che avesse avuta la pugna tal fine.
€8 Ma poi eh' appare a manifesti segni
Vivo chi vive, e senza vita il morto,
Nei petti de' fautor mutano regni;
Di là mestizia, e di qua vien conforto.
I re, i signori, i cavalier più degni.
Con Ruggier di' a fatica era risorto,
A rallegrarsi ed abbracciarsi vanno,
E gloria senza Gne e onor gli danno.
69 Ognun s'allegra con Ruggiero, e sente
II medesmo nel cor, e' ha nella bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
Tutto da quel che fuor la lingua scocca.
Mostra gaudio nel viso, e occultamente
Del glorioso acquisto invidia il tocca ;
E maledice o sia destino o caso.
Il qual trasse Ruggier prima del vaso.
70 Che dirò del favor, che delle tante
Carezze e tante, affettuose e vere,
Che fece a quel Ruggiero il re Agramante,
Senza il qual dare al vento le bandiere,
Né volse muover d'Africa le piante.
Né senza lui si fidò in tante schiere?
Or che del re Agricane ha spento il seme,
Prezza più lui, che tutto il mondo insieme.
71 Né di tal volontà gli uomini soli
Eran verso Ruggier, ma le donne anco.
Che d' Africa e di Spagna fra gli stuoli
Eran venute al tenitorìo franco.
E Doralice istessa, che con duoli
Piangea l' amante suo pallido e bianco.
Forse con l'altre ita sarebbe in schiera,
Se di vergogna un duro fren non era.
CANTO TBENTBSIMO. 1^7
78 Io dico forse, non ch^ìo ve raccerti,
Ma potrebbe esser stato di leggiero;
Tal la bellezza, e tali erano i merli,
I costami e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel che già ne siamo esperti,
SI facile era a variar pensiero.
Che per non si veder priva d' amore,
Avria potuto in Buggìer porre il cuore.
73 Per lei buono era vivo Mandricardo :
Ida che ne volea far dopo la morte?
Provveder le convien d' un che gagliardo
Sia notte e di ne' suoi bisogni, e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
II più perito medico di corte.
Che di Ruggier veduta ogni ferita.
Già r avea assicurato della vita.
74 Con molla diligenzia il re Agramante
Fece colcar Ruggier nelle sue tende;
Che notte e di veder sei vuole innante:
Si r ama, si di lui cura si prende.
Lo scudo al letto e V arme tutte qnante
Che fur di Mandricardo, il re gli appende;
Tutte le appende, eccetto Durindana,
Che fu lasciata al re di Sericana.
75 Con Tarme l'altre spoglie a Ruggier sono
Date di Mandricardo, e insieme dato
Gli è Brigliador, quel destrier bello e buono,
Che per furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al re diede Ruggiero in dono ;
Che s' avvide eh' assai gli saria grato.
Non più dì questo; che tornar bisogna
A chi Ruggiero invan sospira e agogna.
76 Gli amorosi tormenti che sostenne
Bradamante, aspettando, io v'ho da dire.
A Montalbano Ippalca a lei rivenne,
E nuova le arrecò del suo desire.
Prima , di quanto di Frontin le avvenne
Con Rodomonte , l' ebbe a riferire ;
Poi di Ruggier, che ritrovò alla fonte
Con Ricciardetto e' frati d'Agrìsmonte;
H; ÌA
158 OELÀKDO FURIOSO.
77 E che eoo esso lei s' era partito
Con speme di trovare il Saracino,
E ponirlo di quanto avea fallito
D' aver tolto a ona donna il sao Frontino;
£ che '1 disegno poi non gli era oscito.
Perchè diverso avea fatto il cammino:
La cagione anco, perchè non venisse
A Montalban Raggier, tutta le disse;
78 E riferille le parole appieno,
Ch' in soa scasa Ruggier le avea commesse.
Poi si trasse la lettera di seno,
Ch' egli le die, perch' ella a lei la desse.
Con viso più turbato, che sereno.
Prese la carta Bradamante, e lesse;
Che, se non fosse la credenza stata
Già di veder Ruggier, fora più grata.
79 V aver Ruggiero ella aspettato, e, in vece
Di lui, vedersi ora appagar d'un scritto,
Del bel viso turbar Y aria le fece
Di timor, di cordoglio e di despitto.
Baciò la carta diece volte e dìece.
Avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Le lacrime vietar, che su vi sparse.
Che con sospiri aixlenti ella non Y arse.
80 Lesse la carta quattro volte e sei,
: E volse eh' altrettante Y imbasciata
Replicata le fosse da colei
Che r una e T altra avea quivi arrecata,
Pur tuttavia piangendo: e crederei
Che mai non si saria più racchetala,
Se non avesse avuto pur conforto
Di riveder il suo Ruggier di corto.
8t Termine a ritornar quindici o venti
Giorni avea Ruggier tolto, ed afiermato
L' avea ad Ippalca poi con giuramenti
Da non temer che mai fosse mancato.
Chi m'assicura, oimèi degli accidenti,
Ella dicea, c'han forza in ogni Iato,
Ma nelle guerre più, che non distorni
Alcun tanto Ruggier, che più non torni?
GAINTO TRBNtESlMO. j^O
S2 Oìmè ! Ruggiero, oìmè ! chi avria credato
Ch'avendoti amato io più di me stessa,
Ta, più di me, non ch'altri, ma potato
Abbi amar gente tua inimica espressa ?
A chi opprimer dovresti, doni aiuto;
Chi tu dovresti aitare, è da te oppressa.
Non so se biasmo o laude esser ti credi,
Gh' al premiar e al punir sì poco vedi.
83 Fa morto da Troian (non so se '1 sai)
Il padre tuo; ma fin ai sassi il sanno:
E tu del figlio di Troian cura hai
Che non riceva alcun disnor nò danno.
£ questa la vendetta che ne fai,
Ruggiero? e a quei che vendicato V hanno,
Rendi tal premio, che del sangue loro
Me fai morir di strazio e di martoro ?
U Dicea la donna al suo Ruggiero absenle
Queste parole ed altre, lacrimando,
Non una sola volta, ma sovente.
Ippalca la venia pur confortando
Che Ruggier serverebbe interamente
Sua fede, e eh' ella l' aspettasse, quando
Altro far non poteia, fino a quel giorno
Ch' avea Ruggier prescritto al suo ritorno.
85 I conforti d' Ippalca, e la speranza
Che degli amanti suole esser compagna,
Alla tema e al dolor tolgon possanza
Di far che Bradamante ognora piagna.
In Montalbàn, senza mutar mai stanza,
Voglion che fin al termine rimagna;
Fin al promesso termine e giurato.
Che poi fu da Ruggier male osservato.
86 Ma ch'egli alla promessa sua mancasse ,
Non però debbe aver la colpa affatto;
Ch' una causa ed un' altra si lo trasse.
Che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto si colcasse,
E più d' un mese si stesse di piatto
In dubbio di morir: si il dolor crebbe
Dopo la pugna che col Tartaro ebbe.
160 OULANDO FCRIOSÒ.
87 L^ innamorata giovane V attese
Tatto quel giorno» e desìollo invano;
Né mai ne seppe, faor quanto ne 'ntese
Ora da Ippalca, e poi dal suo germano,
Che le narrò che Ruggier lui difese,
E Malagigi liberò e Viviano.
Questa novella, ancor ch'avesse grata,
Pur di qualche amarezza era turbata :
88 Che di Marfisa in quel discorso udito
V alto valore e le bellezze avea :
Udì come Ruggier s' era partito
Con esso lei, e che d' andar dicea
Là dove con disagio in debol sito
Mal sicuro Agramante si tenea.
Si degna compagnia la donna lauda.
Ma non che se n'allegri, o che l'applauda.
89 Nò picciolo è il sospetto che la preme;
Che se Marfisa è bella, come ha fama,
E che fin a quel di sien giti insieme,
£ maraviglia se Ruggier non V ama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme ;
E '1 giorno che la può far lieta e grama,
Misera aspetta ; e sospirando stassi.
Da Montalban mai non movendo i passi.
90 Stando ella quivi, il principe, il signore
Del bel castello, il primo de' suoi frati
(Io non dico d'etade, ma d'onore;
Che di lui prima duo n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore
Gli ha, come il Sol le stelle, illuminati.
Giunse al castello un giorno in so la nona;
> Né, fuor eh' un paggio, era con lui persona.
91 Cagion del suo venir fu, che da Rrava
Ritornandosi un di verso Parigi,
Come v' ho detto che sovente andava
Per ritrovar d' Angelica vestigi,
Avea sentita la novella prava
Del suo Viviano e del suo Malagigi,
Ch' eran per esser dati al Maganzese ;
E perciò ad Agrismonte la via prese :
CANTO TRENTESIMO. 16l
92 Dove intendendo poi ch'eran salvati,
E gli avversarj lor morti e distratti ,
£ Marfìsa e Raggiero erano stati,
Che gli ayeano a quei termini rìdattì;
E suoi fratelli e saoi cagin tornati
A Montalbano insieme erano tatti ;
Gli parve un' ora un anno di trovarsi
Con esso lor là dentro ad abbracciarsi.
93 Venne Rinaldo a Montalbano , e quivi
Madre, moglie abbracciò, figli e fratelli,
E i caginì cbe dianzi eran captivi;
E parve, quando egli arrivò tra quelli,
Dopo gran fame irondìne eh' arrivi
Gol cibo in bocca ai pargoletti augelli :
E poi eh' un giorno vi fu stato o dui.
Partissi, e fé partire altri con lui.
94 Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, ed' essi
Figli d' Amone, il più vecchio Guicciardo,
Malagigi e Vivian, si furon messi
In arme dietro al paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s' appressi
Il tempo ch'ai disio suo ne vien tardo.
Inferma, disse alli fratelli, ch'era;
£ non volse con lor venire in schiera.
95 E ben lor disse il ver, eh' ella era inferma ,
Ma non per febbre o corporal dolore :
Era il disio ohe l'alma dentro inferma,
E le fa alterazion patir d' amore.
Rinaldo in Montalban più non si ferma,
E seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquosse, e quanto
Carlo aiutò, vi dirà l' altro Canto.
VOTS.
Si. 8. p. 6. — Che di vetture I Si,9.v.^,-~Poiiesse4 saccoman*
pmel ¥i¥ere a macco : vuole che non 1 no .* a sacco } tacrheggiatse.
glie ne nanchi mai, a lensa alcnn 1 ^<,i5. e. 2. — .S<;Ma. Vedi la nota
coti». I alla lU 82 del canto XIV.
162
OBLANOO ^DBtOSO.
I Si, 16. V. 8. — Forse altri canterà
con miglior plettro, \\ BrutanUno ne
ba cantato, ma il miglior plettro si de-
ftidera io quel poema.
Si. 17. V, 4. — Spinto t qui caccia^
io, allontanato.
Si, 81. V. Z.^ Sortirete: trarrete
a torte.
Si, 23. V, 8.— VersaU: agitati, ri-
mescolati.
Si, 41. 9, h.-^Soro: inesperto,
Boviiio.
Si. 45. V» 3. — f^erfto .* parola.
Si, 46. (». k.-— Del gran di/en»
sor ec, * à* Orlando.
Si, 48. V, i-4. — // bianco augel:
Y aquila, che il Poeta dice bianca,
perche di quel colore Tedesi nello
»temma di Casa d' Este, di cui si notò
in principio essere Ruggiero V antico
ceppo.— - Come nella Tetsalia ee. Al-
lude probabilmente alle battaglie com>
battute in quei luoghi dalle legioni ro-
mane, di cui r insegna er» l'aquila.
Si, 50. V. 2. — Non miraron: ooa
pensarono.
St. 61. V, b.-^Àttasti: provi, senta.
Si, 6S. 9. 6 — Falda: diconsi/a/<lc
quelle strìsce metalliche che attorniano
la cintura dell' rnbergo, e soendono •
riparare i fianchi e le cosce del guerriero.
Ciò riguardisi come giunta della nota
alla St. 84 del Canto XXIII.
Si. 68. 9. ZJL-^Muiano regni ec:
mutano sedi; dov'era mestiiia subentra
conforto, e viceversa.
St, 76. », 4. — Del suo desire : del
suo desiderato amante.
St. 86. 9. 6, — Di pialto: ritirato,
«enea &rsi vedere.
St, 93. 9. %— Madre, moglie. Bea-
trice, figlia di Naroo duca di Baviera, fa
madre di Rinaldo, e la di lui moglie era
Clarice, sorella di Ugone di Bordò. Si
ha del Tasso un poema sugli amori di
Rinaldo e Clarice, intitolato fi Rinaldo.
CABBTO mEmrXESIllIOFBIllIO^
Bel ragionamento del Poeta sulla gelosia. Pugna di Rinaldo con Guidon Selvag-
gio ; riconoscimento di quest'ultimo, e unione di lui col drappello di Montalbano,
che insieme alle genti di Carlo fa grave danno ai Mori. Brandimarte va con
Fiordiligi in traccia di Orlando , e capita al ponticello di Rodomonte, di coi
riman prigioniero. Ritirata dell'esercito moresco in Arli.
1 Che dolce più, che più giocondo stato
Saria di qael d' un amoroso core?
Che viver più felice e più beato,
Che ritrovarsi in servitù d' amore?
Se non fosse V aom sempre stimolato
Da quel sospetto rio, da quei timore,
Da quel martir, da quella frenesia ^
Da quella rabbia ^ detta gelosìa.
CANTO TREMTRSiMotaiMO. 163
Però eh' ogni allro amaro che sì pone
Tra questa soavissima dolcezza,
È un augumento, una perfezione.
Ed è un condurre amore a più finezza.
L' acque parer fa saporite e buone
La sete, e il cibo pel digiun s' apprezza:
Non conosce la pace e non 1* estima
Chi provato non ha la guerra prima.
Sebben non veggon gli occhi ciò che vede
Ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano, poi quando si riede,
Quanto più lungo fu, più riconforta.
Lo stare in servitù senza mercede.
Purché non resti la speranza morta,
Patir si può; che premio al ben servire
Pur viene alfin , sebben tarda a venire.
» Gli sdegni, le repulse, e finalmente
Tutti i martir d' amor, tutte le pene
Fan per lor rimembranza, che si sente
Con miglior gusto un piacer quando viene.
Ma se r infornai peste una egra mente
Avvien ch'infetti, ammorbi ed avveleno;
Sebben segue poi festa ed allegrezza.
Non la cura V amante 'e non V apprezza.
• Questa è la cruda e avvelenata piaga,
A cui non vai liquor, non vale impiastro,
Né murmure, né immagine di saga,
Né vai lungo osservar di benigno astro,
Né quanta esperienzia d' arte maga
Fece mai l' inventor suo Zoroastro;
Piaga crudel che sopra ogni dolore
Conduce V uom che disperato muore.
1 O ìncurabii piaga che nel petto
D' un amator si facile s' imprime
Non men per falso che per ver sospetto!
Piaga che Fuom si crudelmente opprime,
Che la ragion gli oflusca e V intelletto
E lo tra' fuor delle sembianze prime l
Oh iniqua gelosia, che cosi a torto
Levasti a Bradamante ogni conforto !
164 ORLANDO FUBIOSO.
7 Non di questo eh' Ip]>alca e che '1 fratello
Le avea nel core amaramente impresso ,
Ma dico d' uno annunzio crudo e fello-,
Che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla a paragon di quello
Ch' io vi dirò, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente,
Che ver Parigi vien con la sua gente.
8 Scontrare il di seguente ìnver la sera
Un cavalier eh' avea una donna al fianco,
Con scudo e sopravvesta tutta nera,
Se non che per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò alla giostra Ricciardetto, ch'era
Dinanzi, e vista avea di guerrier franco:
£ quel che mai nessun ricusar volse.
Girò la brìglia, e spazio a correr tolse.
9 Senza dir altro, o più notizia darsi
Dell'esser lor, si vengono all'incontro.
Rinaldo e gli altri cavalier fermarsi,
Per veder come seguiria lo scontro.
Tosto costui per terra ha da versarsi,
Se in luogo fermo a mio modo lo incontro
(Dicea tra sé medesrao Ricciardetto) ;
Ma contrario al pensier seguì 1' effetto :
10 Perocché lui sotto la vista offese
Di tanto colpo il cavaliere istrano,
Che lo levò di sella, e Io dislese
Più di due lance al suo destrier lontano.
' Di vendicarlo incontinente prese
L' assunto Alardo, e rilrovossi al piano
Stordito e male acconcio : si fu crudo
Lo scontro fior, che gli spezzò lo scudo.
11 Guicciardo pone incontinente in resta
L'asta, che vede i duo germani in terra,
Benché Rinaldo gridi: Resta, resta;
Che mia convien che sia la terza guerra:
Ma l' elmo ancor non ha allacciato in testa ;
Si che Guicciardo al corso si disserra ;
Né più degli altri si seppe tenere,
£ rilrovossi subilo a giacere.
CANTO TRBNTESIMOPRIMO. 16d
i2 Vuol Ricciardo, Viviano e Malagigi,
E r OD prima dell' altro essere in giostra :
Ma Rinaldo pon fine ai lor litigi ;
Ch' innanzi a .tutti armato si dimostra.
Dicendo loro : É tempo ire a Parigi ;
E saria troppo la tardanza nostra»
S' io volessi aspettar finché ciascano
Di voi fosse abbattuto ad uno ad uno.
i3 Dìssel tra sé, ma non che fosse inteso;
Che sana stato agli altri ingiuria e scorno.
L'uno e l'altro del campo avea già pireso,
E si faceano incontra aspro ritorno.
Non fu Rinaldo per terra disteso ;
Che valea tutti gli altri eh' avea intorno.
Le lance si fiaccar, come di vetro ;
Né j cavalier si piegar oncia addietro.
i4 L' uno e l' altro cavallo in guisa urtosse,
Che gli fu forza in terra a por le groppe.
Baiardo immantinente ridrizzosse,
Tanto eh' appena il correre interroppe.
Sinistramente si l'altro percosse.
Che la spalla e la schena insieme roppe.
Il cavalier che '1 destrier morto vede,
Lascia le staflìe, ed ò subito in piede.
16 Ed al figlio d' Amen, che già rivolto
Tornava a lui con la man vota, disse:
Signore, il buon destrier che tu m' hai tolto,
Perché caro mi fu mentre che visse.
Mi farla uscir del mio debito molto,
Se cosi invendicato si morisse :
Si che vientene, e fa ciò che tu puoi ;
Perché battaglia esser convien tra noi.
i6 Disse Rinaldo a lui : Se 4 destrier morto,
E non altro ci de' porre a battaglia,
Un de' miei ti darò, piglia conforto.
Che men del tuo non crederò che vaglia.
Colui soggiunse: Tu sei mal accorto.
Se creder vuoi che d' un destrier mi caglia.
Ma poiché non comprendi ciò eh' io voglio,
Ti spiegherò più chiaramente il foglio.
166 ORLANDO FUaiOSO.
17 Vo' dir che mi parria commetter fallo,
Se con la spada non ti provassi anco,
£ non sapessi s'in quest'altro ballo
Ta mi sia pari, o se più vali, o manco.
Come li piace, o scendi, o sta a cavallo:
Parche le man to non ti tegna al fianco,
10 son contento ogni vantaggio darti ;
Tanto alla spada bramo di provarti.
i8 Rinaldo molto non lo tenne in lunga,
£ disse : La battaglia ti prometto ;
£ perchè ta sia ardito, e non ti punga
Di questi e' ho d' intorno, alcun sospetto,
Andranno innanzi finch' io gli raggiunga ;
Né meco resterà fuor eh' un valletto
Che mi tenga i( cavallo : e cosi disse
Alla sua compagnia che se ne gisse.
i9 La cortesia del paladin gagliardo
Commendò molto il cavaliere estrano.
Smontò Rinaldo, e del destrier Baiardo
Diede al valletto le redine in mano :
E poi che più non vede il sao stendardo,
11 qual di lungo spazio è già lontano.
Lo scudo imbraccia e stringe il brando Gero,
£ sfida alla battaglia il cavaliere.
20 £ quivi s'incomincia una battaglia,
Di eh' altra mai non fu più fiera in vista.
Non crede Tua che tanto l'altro vaglia,
Che troppo lungamente gli resista.
Ma poiché '1 paragon ben li ragguaglia.
Né r un dell' altro più s' allegra o attrista,
Pongon l'orgoglio ed il furor da parte,
£d al vantaggio loro usano ogni arte.
21 S' odon lor colpi dispietati e crudi
Intorno rimbombar con suono orrendo.
Ora i canti levando a' grossi scudi.
Schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.
Né qui bisogna tanto che si studi
A ben ferir, quanto a parar, volendo
Star r uno all' altro par ; eh' eterno danno
Lor può causar il primo error che fanno.
CANTO TRENTESmOPRIHO. 167
22 Darò r assalto un' ora, e più che '1 mezzo
D' un'altra; ed era il Sol già sotto Tonde,
Ed era sparso il tenebroso rezzo
Dell' orizzon fin all' estreme sponde ;
Né riposato, o fatto altro intermezzo
Aveano alle percosse furibonde
Questi guerrier, che non ira o rancore,
Ma tratto all' arme avea disio d' onore.
23 Rivolve tuttavia tra sé Rinaldo
Chi sia r estrano cavalier si forte.
Che non pur gli sta centra ardito e saldo,
Ma spesso il mena a risco della morte ;
E già tanto travaglio e tanto caldo
Gli ha posto, che del fin dubita forte ;
E volentìer, se con suo onor potesse,
Yorria che quella pugna rimanesse.
24 Dall'altra parte il cavalier estrano.
Che similmente non avea notizia
Che quel fosse il signor di Montalbano,
Quel si famoso in tutta la milizia,
Che gli avea incontra con la spada in mano
Condotto cosi poca nìmicizia.
Era certo che d' uom di più eccellenza
Non potesson dar l' arme esperienza.
25 Vorrebbe dell' impresa esser digiuno,
Ch' avea dì vendicare il suo cavallo ;
E se potesse senza biasmo alcuno,
Si trarrla fuor del periglioso ballo.
Il mondo era già tanto oscuro e bruno,
Che tutti ì colpi quasi ivano in fallo.
Poco ferire, e men parar sapeano:
Ch' appena in man le spade si vedeano.
26 Fu quel da Montalbano il primo a dire
Che far battaglia non donno allo scuro.
Ma quella indugiar tanto e differire,
Ch' avesse dato volta il pigro Arturo ;
E che può intanto al padiglion venire.
Ove di sé non sarà men sicuro.
Ma servito, onorato e ben veduto,
Quanto in loco ove mai fosse venuto.
168 ORLANDO FURIOSO.
27 Non bisognò a Rinaldo pregar molto ;
Che '1 cortese baron tenne lo 'nvito.
Ne vanno insieme ove il drappel raccolto
Di Montalbano era in sicuro sito.
Rinaldo al suo scudiero avea già tolto
Un bel cavallo, e molto ben guernito,
A spada e a lancia e ad ogni prova baono^
Ed a qael cavalier fattone dono.
28 n guerrier peregrin conobbe quello
Esser Rinaldo, che venia con esso;
Che prima che giungessero air ostello,
Venuto a caso era a nomar sé stesso :
E perchè Tun dell' altro era fratello.
Si senti dentro di dolcezza oppresso,
E di pietoso affetto tocco il core ;
E lacrimò per gaudio e per amore.
29 Questo guerriero era Guìdon Selvaggio,
Che dianzi con MarGsa e Sansonetto
E' figli d' Olivier molto viaggio
Avea fatto per mar, come v' ho detto.
Di non veder più tosto il suo lignaggio
Il fellon Pinabel gli avea interdetto,
Avendol preso, e a bada poi tenuto
Alla difesa del suo rio statuto.
30 Guidon, che questo esser Rinaldo udio.
Famoso sopra ogni famoso duce.
Ch'avuto avea più di veder disio.
Che non ha il cieco la perduta luce,
Con molto gaudio disse : O signor mio,
Qual fortuna a combatter mi conduce
Con voi che lungamente ho amato ed amo»
E sopra tutto il mondo onorar bramo ?
31 Mi partorì Costanza neir estreme
Ripe del mar Eusino: io son Guidone,
Concetto dpllo illustre inclito seme.
Come ancor voi, del generoso Amone.
Di voi vedere e gli altri nostri insieme
Il desiderio è del venir cagione ;
E dove mia intenzion fu d'onorarvi.
Mi veggo esser venuto a ingiuriarvi.
CANTO TRENTESIMOPRIMO. 169
32 Ma scasimi appo voi d'un error tanto,
Ch' io non ho voi né gli altri conosciuto ;
£ s'emendar si può, ditemi quanto
Far debbo, eh' in ciò far nulla riGuto.
Poi che si fu da questo e da quel canto
De* complessi iterati al fin venuto,
Rispose a lui Rinaldo: Non vi caglia
Meco scusarvi più della battaglia ;
33 Che per certificarne che voi sete
Di nostra antiqua stirpe un vero ramo,
Dar miglior testimonio non potete.
Che '1 gran valor eh' in voi chiaro proviamo.
Se più pacifiche erano e quiete
Vostre maniere, mal vi credevamo;
Che la damma non genera il leone.
Né le colombe l' aquila o il falcone.
34 Non, per andar, di ragionar lasciando.
Non di seguir, per ragionar, lor via.
Vennero ai padiglioni ; ove narrando
Il buon Rinaldo alla sua compagnia
Che questo era Guidon, che disiando
Veder, tanto aspettato aveano pria,
Molto gaudio apportò nelle sue squadre ;
E parve a tutti assimigliarsi al padre.
35 Non dirò l' accoglienze che gli fero
Alardo, Ricciardetto e gli altri dui;
Che gli fece Viviano ed Aldigiero,
E Malagigi , frati e cugin sui ;
Ch' ogni signor gli fece e cavaliero ;
Ciò ch'egli disse a loro, ed essi a lui:
Ma vi concluderò, che finalmente
Fu ben veduto da tutta la gente.
36 Caro Guidone a' suoi fratelli stato
Credo sarebbe in ogni tempo assai ;
Ma lor fu al gran bisogno ora più grato,
Ch' esser potesse in altro tempo mai.
Poscia che '1 nuovo sole incoronato
Del mare usci di luminosi rai,
Guidon coi frati e coi parenti in schiera
Se ne tornò sotto la lor bandiera.
II. 45
170 ORLANDO FURIOSO.
37 Tanto un giorno ed un altro se n'andato,
Che di Parigi alle assediate porte
A men di dieci miglia s' accoslaro
In ripa a Senna ; ove per buona sorte
Grifone ed Aquilante ritrovaro,
I dao gaerrier dall' armatura forte :
Grifone il bianco, ed Aquilante il nero.
Che partorì Gismonda d'Oliviero.
38 Con essi ragionava una donzella,
Non già di vìi condizione in vista,
Che di sciamilo bianco la gonnella
Fregiata intorno avea d' aurata lista ;
Molto leggiadra in apparenza e bella,
Fosse quantunque lacrimosa e trista :
E mostrava ne' gesti e nel sembiante
Di cosa ragionar molto importante.
39 Conobbe i cavalier, com' essi lui,
Guidon, che fu con lor pochi di innanzi;
Ed a Rinaldo disse : Eccovi dui
A cui van pochi di valore innanzi ;
E se per Carlo ne verran con nui,
Non ne staranno i Saracini innanzi.
Rinaldo di Guidon conferma il detto.
Che r uno e V altro era guerrier perfetto.
40 Gli avea riconosciuti egli non manco ;
Perocché quelli sempre erano usati,
L'un tutto nero, e l'altro tutto bianco
Vestir su l'arme, e molto andare ornati.
Dall' altra parte essi conobber anco
£ salutar Guidon, Rinaldo e i frati ;
Ed abbracciar Rinaldo come amico.
Messo da parte ogni lor odio antico.
41 S' ebbero un tempo in urta e in gran dispetto
Per Truffaldìn, che fora lungo a dire ;
Ma quivi insieme con fraterno affetto
S'accarezzar, tutte obbliando l'ire.
Rinaldo poi si volse a Sansonetto,
Ch'aera lardato un poco più a venire ,
E lo raccolse col debito onore,
Appieno instrutto del suo gran valore.
CANTO TBENTESIMOPRIMO. 171
43 Tosto che la donzella più vicino
Vide Rinaldo, e conosciuto V ebbe
(Ch'avea notizia d'ogni paladino),
Gli disse una novella che gV increbbe ;
£ cominciò: Signore, il tuo cugino,
A cui la Chiesa e l'alto Inoiperio debbe,
Quel già si saggio ed onorato Orlando,
È fatto stolto, e va pel mondo errando.
43 Onde causato cosi strano e rio
Accidente gli sia, non so narrarte.
La sua spada e Faltr'arme ho vedute io,
Che per li campi avea gittate e sparte ;
E vidi un cavalier cortese e pio
Che le andò raccogliendo da ogni parte;
£ poi di tutte quelle un arbuscello
Fé, a guisa di trofeo, pomposo e bello.
44 Ma la spada ne fu tosto levata
Dal figliuol d' Agricane il di medesmo.
Tu puoi considerar quanto sia stata
Gran perdita alla gente del battesmo
L'essere un' altra volta ritornata
Durindana in poter del paganesrao.
Né firìgliadoro men, ch'errava sciolto
Intorno all' arme , fu dal pagan tolto.
46 Son pochi di eh' Orlando correr vidi,
Senza vergogna e senza senno, ignudo,
Con urli spaventevoli e con gridi :
Ch'è fatto pazzo in somma ti conchìudo;
£ non avrei, fuor eh* a questi occhi Odi,
Creduto mai si acerbo caso e crudo.
Poi narrò che lo vide giù dal ponte
Abbracciato cader con Rodomonte.
46 A qualunque io non creda esser nimico
D'Orlando, soggìungea, di ciò favello;
Acciò ch'alcun di tanti a eh' io lo dico,
Mosso a pietà del caso strano e fello,
Cerchi o a Parigi o in altro luogo amico
Ridurlo, fìn che si purghi il cervello.
Ren so, se Rrandimarte n'avrà nuova,
Sarà per farne ogni possibil prova.
172 ORLANDO FURIOSO.
47 Era costei la bella Fìordiligi,
Più cara a Brandìmarle che sé stesso ;
La qual per lui trovar, venia a Parigi :
£ della spada ella soggiunse appresso,
Che discordia e contesa e gran litigi
Tra il Sericano e '1 Tartaro avea messo;
£ eh' avuta V avea, poiché fu casso
Di vita Mandricardo, alfin Gradasso.
4S Di cosi strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole ;
Né il core intenerir men se ne sente,
Che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole:
£ con disposta ed immutabil mente.
Ovunque Orlando sia, cercar lo vuole.
Con speme, poi che ritrovato l'abbia,
Di farlo risanar di quella rabbia.
49 Ma già lo stuolo avendo fatto unire,
Sia volontà del cielo o sia avventura,
Vuol fare i Saracin prima fuggire,
£ liberar le parigine mura.
Ma consiglia V assalto differire
(Che vi par gran vantaggio) a notte scura,
Nella terza vigilia o nella quarta,
Ch' avrà l' acqua di Lete il Sonno sparla.
óO Tutta la gente alloggiar fece al bosco,
£ quivi la posò per tutto M giorno :
Ma poi che '1 Sol, lasciando il mondo fosco,
Alla nutrice antiqua fé ritorno,
Ed orsi e capre, e serpi senza losco,
E r altre fere ebbene il cielo adorno,
Che state erano ascose al maggior lampo ,
Mosse Rinaldo il taciturno campo :
61 E venne con Grifon , con Aquilante,
Con Yivian, con Alardo e con Guidone,
Con Sansonetto, agli altri un miglio innante,
A cheti passi e senza alcun sermone. /
Trovò dormir l'ascolta d' Agramante:
Tutta l'uccise, e non ne fé un prigione.
Indi arrivò tra V altra gente mora,
Che non fu visto né sentito ancora.
CANTO TBEMTESIMOPfilMO. 173
62 Del campo d' infedeli a prima gianta
La rìtrovata gaardia all' improvviso
Lasciò Rinaldo si rotta e consunta,
Gh' un sol non ne restò, se non uccìso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
I Saracin non V avean più da riso ;
Che sonnolenti, timidi ed inermi,
Poteano a tai guerrier far pochi schermi.
63 Fece Rinaldo per maggior spavento
Dei Saracini, al mover dell' assalto,
A trombe e a corni dar subito vento,
E, gridando, il suo nome alzar in alto.
Spinse Baiardo, e quel non parve lento;
Chò dentro all' alte sbarre entrò d' un salto,
E versò cavalier, pestò pedoni,
Ed atterrò trabacche e padiglioni.
64 Non fu si ardito tra il popol pagano,
A cui non s' arricciassero le chiome,
Quando senti Rinaldo e Monlalbano
Sonar per l'aria, il formidato nome.
Fugge col campo d' Africa l' Ispano,
Né perde tempo a caricar le some;
Ch'aspettar quella furia più non vuole,
Ch' aver provala anco si piagne e duole.
66 Guidon lo segue, e non fa men di lui;
Né men fanno i duo figli d'Oliviero,
Alardo e Ricciardetto e gli altri dui :
Col brando Sansonetto apre il sentiero ;
Aldigiero e Yivian provar altrui
Fan quanto in arme l' uno e l' altro è fiero.
Cosi fa ognun che segue lo stendardo
DI Chiaramente, da guerrier gagliardo.
66 Settecento con lui tenea Rinaldo
In Montalbano e intorno a quelle ville.
Usati a portar l'arme al freddo e al caldo,
Non già più rei dei Mirmidon d' Achille.
Ciascun d'essi al bisogno era si saldo,-
Che cento insieme non fuggian per mille;
E se ne polean molti sceglier fuori.
Che d' alcun dei famosi eran migliori*
15'
174 ORLANDO FURIOSO.
57 E se Rinaldo ben non era molto
Ricco né di città né di tesoro ,
Facea si con parole e con buon volto,
E ciò eh' avea partendo ognor con loro,
Gh' an di quel namer mai non gli fa tolto
Per offerire attrai più somma d' oro.
Qaesti da Montalban mai. non rimove»
Se non lo stringe an gran bisogno altrove.
58 Ed or, perch'abbia il Magno Carlo aiate,
Lasciò con poca guardia il suo castello.
Tra gli African qaesto drappel venuto ,
Questo drappel del cui valor favello.
Ne fece quel che del gregge lanuto
Sul falanteo Galeso il lupo fello,
O quel che soglia del barbato, appresso
Il barbaro Ginifìo , il leon spesso.
59 Carlo, eh' avviso da Rinaldo avuto
Avea, che presso era a Parigi giunto,
E che la notte il campo sprovveduto
Yolea assalir, stato era in arme e in punto:
E, quando bisognò, venne in aiuto
Coi paladini; e ai paladini aggiunto
Avea il fìgliuol del ricco Monodante,
Di Fiordiligi il fido e saggio amante;
00 Ch' ella più giorni per si lunga via
Cercato avea per tutta Francia invano.
Quivi, all' insegne che portar solia.
Fu da lei conosciuto di lontano.
Come lei Rrandìmarte vide pria.
Lasciò la guerra, e tornò tutto umano,
E corse ad abbracciarla; e d'amor pieno,
Mille volte baciolla, o poco meno.
61 Delle lor donne e delle lor donzelle
Si fidar molto a quella antica etade.
Senz' altra scorta andar lasciano quelle
Per piani e monti, e per strane contrade;
Ed al ritorno V han per buone e belle.
Né mai tra lor suspizione accade.
Fiordiligi narrò quivi al suo amante,
Che fatto stollo era il signor d' Anglante
Canto TRENtEStMOPRiMò. 1*75
62 Brandimarte si strana e ria novella
Credere ad altri a pena avria potuto ;
Ma lo credette a Fìordiligi bella,
A cai già maggior cose area creduto.
Non pur d'averlo udito gli dice ella.
Ma che con gli occhi proprj V ha veduto ;
C* ha conoscenza e pratica d' Orlando,
Quanto alcun altro ; e dice dove e quando :
63 E gli narra del ponte periglioso ,
Che Rodomonte ai cavalier difende,
Ove un sepolcro adorna e fa pomposo
Di sopravveste e d' arme di chi prende.
Narra e' ha visto Orlando furioso
Far cose quivi orribili e stupende ;
Che nel fiume il pagan mandò riverso,
Con gran periglio di restar sommerso.
64 Brandimarte, che '1 conte amava quanto
Si può compagno amar, fratello o figlio,
Disposto di cercarlo; e di far tanto.
Non ricusando affanno né periglio.
Che per opra di medico o d' incanto
Si ponga a quel furor qualche consiglio.
Cosi come tro vessi armato in sella,
Si mise in via con la sua donna bella.
65 Verso la parte ove la donna il conte
Avea veduto, il lor cammin drizzare,
Di giornata in giornata, fin eh' al ponte
Che guarda il re d' Algier si ritrovare. .
La guardia ne fé segno a Rodomonte,
E gli scudieri a un tempo gli arrecare
L'arme e il cavallo; e quel si trovò in punto,
Quando fu Brandimarte al passo giunto.
66 Con voce qual conviene al suo furore.
Il Saracino a Brandimarte grida :
. Qualunque tu ti sia, che, per errore
Di via 0 di mente, qui tua sorte guida.
Scendi e spogliati l'arme, e fanne onore
Al gran sepolcro, innanzi ch'io t' uccida,
E che vittima all' ombre tu sia offerto;
Ch'io '1 farò poi, né te n'avrò alcun merlo.
176 ORLANDO FURIOSO.
67 Non volse Brandimarte a quell' altiero
AUra risposta dar, che della lancia.
Sprona Batoldo, il sao gentil destriero,
E inverso qael con tanto ardir si lancia,
Che mostra che può star d' animo fiero
Con qual si voglia al mondo alla bilancia :
£ Rodomonte, con la lancia in resta.
Lo stretto ponte a tutta briglia pesta.
6S II suo destrier, ch'avea continuo uso
D'andarvi sopra, e far di quel sovente
Quando uno e quando un altro cader giuso.
Alla giostra correa sicuramente.
L'altro, del corso insolito confuso,
Venia dubbioso, timido e tremente.
Trema anco il ponte, e par cader neir onda.
Oltre che stretto e che sia senza sponda.
69 I cavalier, di giostra ambi maestri.
Che le lance avean grosse come travi,
Tali qua! fur nei lor ceppi silvestri,
Si dieron colpi non troppo soavi.
Ai lor cavalli esser possenti e destri
Non giovò mollo agli aspri colpi e gravi ;
Che si versar di pari ambi sul ponte,
£ seco i signor lor tutti in un monte.
70 Nel volersi levar con quella fretta
Che lo spronar de' Oanchi insta e richiede,
L'asse del ponticel lor fu si stretta.
Che non trovare ove fermare il piede;
Si che una sorte uguale ambi li getta
Nell'acqua; e gran rimbombo al ciel ne riede.
Simile a quel eh' usci del nostro fiume.
Quando ci cadde il mal rettor del lume.
71 I duo cavalli andar con tutto '1 pondo
Dei cavalier, che steron fermi in sella,
A cercar la riviera insin al fondb.
Se V' era ascosa alcuna Ninfa bella.
Non è già il primo salto né '1 secondo.
Che giù del ponte abbia il pagano in quella
Onda spiccato col destriero audace ;
Però sa ben come quel fondo giace:
Càl^TO TKENTESIMOPRIAIO. 177
72 Sa dove è saldo , e sa dove è più molle :
Sa dove ò l'acqua bassa, e dove è l'alta.
Dal fiume il capo e il petto e i fianchi estolle,
E Brandimarte a gran vantaggio assalta.
Brandi marte il corrente in giro tolle :
Nella sabbia il destrier, che '1 fondo smalta,
Tutto si ficca, e non può riaversi,
Con rischio di restarvi ambi sommersi
73 L' onda si leva, e li fa andar sozzopra,
E dove è più profonda li trasporta.
Va Brandimarte sotto, e '1 destrier sopra.
Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta
E le lacrime e i voti e i prieghì adopra :
Ah Rodomonte, per colei che morta
Tu riverisci, non esser si fiero.
Ch'affogar lasci un tanto cavaliero!
74 Deh, cortese signor, s* unqua tu amasti,
Di me, ch'amo costui, pietà ti vegna.
Di farlo tuo prigion, per Dio, ti basti ;
Che s' orni il sasso tuo di quella insegna :
Di quante spoglie mai tu gli arrecasti.
Questa fia la più bella e la più degna.
E seppe si ben dir, eh' ancorché fosse
Si crudo il re pagan, pur lo commosse;
75 E fé che '1 suo amator ratto soccorse.
Che sotto acqua il destrier tenea sepolto,
E della vita era venuto in forse,
E senza sete avea bevuto molto.
Ma aiuto non^però prima gli porse,
Che gli ebbe il brando e di poi l' elmo tolto
Dell'acqua mezzo morto il trasse, e porre
Con molti altri lo fé nella sua torre.
76 Fu nella donna ogni allegrezza spenta,
Quando prigion vide il suo amante gire ;
Ma di questo pur meglio si contenta,
Che (R vederlo nel fiume perire.
Di sé stessa, e non d'altri, si lamenta,
Che fu cagion di farlo ivi venire.
Per avergli narrato eh' avea il conte
Biconosciuto al periglioso ponte.
178 ORLANDO FCU050.
77 Quindi si parte, avendo già concetto
Di menarvi Rinaldo paladino ,
O il Selvas:gio Guidone, o Sansonetto ,
O altri della corte di Pipino,
In acqua e in terra cavalier perfetto
Da poter contrastar col Saracino ;
Se non più forte, almen più fortunato,
Che Brandimarte suo non era stato.
78 Va molti giorni, prima che s* abbatta
In alcun cavalier eh' abbia sembiante
D'esser come lo vuol, perchè combatta
Col Saracino, e liberi il suo amante.
Dopo molto cercar di persona atta
Al suo bisogno, uir le vien pur avante,
Che soprawesta avea ricca ed ornata ,
A tronchi di cipressi ricamata.
78 Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi ;
Che prima ritornar voglio a Parigi,
E della gran sconfitta seguitarvi,
Ch' a' Mori die Rinaldo e Malagigi.
Quei che fuggirò, io non saprei contarvi,
Né quei che far cacciati ai fiumi stigi.
Levò a Turpino il conto l'aria oscura.
Che di contarli s' avea preso cura.
80 Nel primo sonno dentro al padiglione
Dormia Agramante ; e un cavalier lo desta,
Dicendogli che fia fatto prigione,
Se la fuga non è via più che presta.
Guarda il re intomo, e la confusione
Vede dei suoi, che van senza far testa
Chi qua chi là fuggendo inermi e nudi.
Che non han tempo di pur tor gli scudL -
SI Tutto confuso e privo di consiglio
Si facea porre indosso la corazza.
Quando con Falsiron vi giunse il figlio
Grandonio, e Balagante, e quella razza;
E al re Agramante mostrano il periglio
Di restar morto o preso in quella piazza;
E che può dir, se salva la persona,
Che Fortuna gli sìa propizia e buona.
CANTO TBENTESIMOPBIMO. 179
82 Cosi Marsilio e cosi il buon Sobrino,
E cosi dicon gli altri ad ana voce^
€h' a sua distruzion tanto è vicino.
Quanto a Rinaldo il qual ne vien veloce ;
Che s' aspetta cbe giunga il paladino
Con tanta gente, e un uom tanto feroce,
Render certo si può eh' egli e i suo' amici
Rìmarran morti, o in man degli nimici.
83 Ma ridur si può in Arti o sia in Narbona
Con quella poca gente e' ha d'intorno;
Che r una e l' altra terra é forte e buona
Da mantener la guerra più d' un giorno :
£ quando salva sia la sua persona.
Si potrà vendicar di questo scorno.
Rifacendo V esercito in un tratto,
Onde aIGn Carlo ne sarà disfatto.
84 11 re Agramante al parer lor s'attenne.
Benché il partito fosse acerbo e duro.
Andò verso Arli, e parve aver le penne.
Per quel cammin che più trovò sicuro.
Oltre alle guide, in gran favor gli venne,
Che la partita fu per l' aer scuro.
Venti mila tra d'Africa e di Spagna
Fur, eh' a Rinaldo uscir fuor della ragna.
85 Quei ch'egli uccise, e quei che i suoi fratelli,
Quei che i duo figli del signor di Vienna,
Quei che prò varo empj nimici e felli
I settecento a cui Rinaldo accenna,
£ quei che spense Sansonetto, e quelli
Che nella fuga s'affogare in Senna,
Chi potesse contar, conteria ancora
Ciò che sparge d' aprii Favonio e Flora.
86 Istima alcun che Malagigi parte
Nella vittoria avesse della notte ;
' Non che di sangue le campagne sparte
Fosser per lui, né per lui teste rotte;
Ma che gì' infernali angeli per arte
Facesse uscir dalle tartaree grotte,
E con tante bandiere e tante lance,
Ch' insieme più non ne porrian due France :
180 ORLANDO FURIOSO.
$7 E che facesse udir tanti metalli.
Tanti tamburi, e tanti varj snoni,
Tanti annìtriri in voce di cavalli,
Tanti gridi e tumulti di j)edoni,
Che risonare e piani e monti e valli
Dovean delle longinque regioni ,
Ed ai Mori con questo un timor diede.
Che li fece voltare in fuga il piede.
8S Non si scordò il re d'Africa Ruggiero,
Ch'era ferito e slava ancora grave.
Quanto potè più acconcio s' un destriero
Lo fece por, eh' avea l' andar soave ;
E poi che i' ebbe tratto ove il sentiero
Fu più sicuro, il fé posare in nave,
E verso Arli portar comodamente,
Dove s' avea a raccor tutta la gente.
S9 Quei eh' a Rinaldo e a Carlo dier le spalle
(Fur, credo, cento mila o poco manco),
Per caiApagne, per boschi e monte e valle
Cercare uscir di man del popol franco ;
Ma la più parte trovò chiuso il calle,
E fece rosso ov' era verde e bianco.
Cosi non fece il re di Sericana,
Ch'avea da lor la tenda più lontana:
90 Anzi , come egli sente che 'l signore
Di Montalbano è questo che gli assalta.
Gioisce di tal giubilo nel core,
Che qua e là per allegrezza salta.
Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,
Che quella notte gli occorra tant' alta
E si rara avventura, d'acquistare
Baiardo, quel destrìer che non ha pare.
91 Avea quel re gran tempo desiato
(Credo ch'altrove voi l'abbiate letto)
D' aver la buona Durindana a lato,
E cavalcar quel corridor perfetto.
E già con più di cento mila armato
Era venuto in Francia a questo effetto ;
E con Rinaldo già sfìdato s' era
Per quel cavallo alla battaglia fiera :
CANTO TRBNTESIfifOPRIMO. 181
92 E sai lito del mar s' era condutlo
Ove dovea la pugna diffinire ;
Ma Malagigi a turbar venne il tatto,
Che fé il cagin, mal grado suo, partire,
Avendol sopra an legno in mar ridotto.
Lungo saria tutta Y istoria dire.
Da indi in qua stimò timido e vile
Sempre Gradasso il paladin gentile.
93 Or che Gradasso esser Rinaldo intende
Costui eh' assale il campo, se n' allegra.
Si veste r arme, e la sua alfana prende,
E cercando lo va per V aria negra :
E quanti ne riscontra , a terra stende ;
Ed in conroso lascia afiSilta ed egra
La gente o sia di Libia o sia di Francia :
Tutti li mena a an par la buona lancia.
94 Lo va di qua di là tanto cercando.
Chiamando spesso, e quanto può più forte,
E sempre a quella parte declinando.
Ove più folte son le genti morte,
Ch' alfin s' incontra in lui brando per brando ;
Poiché le lance loro ad una sorte
Eran salite in mille schegge rotte
Sin al carro stellato della Notte.
95 Quando Gradasso il paladin gagliardo
Conosce, e non perchè ne vegga insegna.
Ma per gli orrendi colpi, e per Baiardo
Che par che sol tutto quel campo legna;
Non è, gridando, a improverargli tardo
La prova che di sé fece non degna :
Ch' al dato campo il giorno non comparse.
Che tra lor la battaglia dovea farse.
93 Soggiunse poi : Tu forse avevi speme.
Se potevi nasconderti quel punto, "^
Che non mai più per raccozzarci insieme
Fossimo al mondo : or vedi eh' io t' ho giunto.
Sie certo, se tu andassi nell'estreme
Fosse di Stige, o fossi in cielo assunto,
Ti seguirò, quando abbi il destrier teco,
Neil' alta luce, e giù nel mondo cieco.
II. 46
182 ORLANDO FURIOSO.
97 Se d' aver meco a far non ti dà il corey
E vedi già che non puoi starmi a paro,
E più stirai la vita che l'onore,
Senza periglio ci puoi far riparo,
Quando mi lasci in pace il corridore ;
E viver puoi, se si t' è il viver caro :
Ma vivi a pie ; che non merli cavallo,
S' alla cavalleria fai si gran fallo.
9S A qnel parlar si ritrovò presente
Con Ricciardetto il cavalìer Selvaggio ;
E le spade ambì trasser agoalmente.
Per far parere il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo s'oppose immantinente,
E non pali che se gli fesse oltraggio,
Dicendo: Senza voi dunque non sono
A chi m' oltraggia per risponder buono?
99 Poi se ne ritornò verso il pagano,
E disse: Odi, Gradasso; io voglio farle,
Se tu m' ascolti , manifesto e piano
Ch' io venni alla marina a ritrovarle ;
E poi ti sosterrò con V arme in mano.
Che t' avrò detto il vero in ogni parte ;
E sempre che tu dica, mentirai,
Gh' alla cavalleria mancass' io mai.
iOO Ma ben ti priego che prima che sia
Pugna tra noi, che pianamente intenda
La giustissima e vera scusa mia.
Acciò eh' a torto più non mi riprenda ;
E poi fiaiardo al termine di pria
Tra noi vorrò eh' a piedi si contenda
Da solo a solo in solitario lato,
SI come appunto fu da te ordinato.
dOl Era cortese il re di Sericana,
Come Ogni cor magnanimo' esser suole ;
Ed è contento udir la cosa piana,
E come il paladin scusar si vuole.
Con lui ne viene in ripa alla fiumana,
Ove Rinaldo in semplici parole
Alla sua vera istoga trasse il velo,
E chiamò in testimonio tutto '1 cielo :
CANTO TRENTESIMOPBIMO. 183
i03 E poi chiamar fece il figliaci di Baovoy
L' uom che di questo era informato appieno ;
Gh' a parte a parte replicò di nuovo
L' incanto sao , né disse più nò meno.
Soggiunse poi Rinaldo : Ciò eh' io provo
Col testimonio , io vo' che V arme sieno ,
Che ora, e in ogni tempo che ti piace ,
Te n' abbiano a far prova più verace.
103 II re Gradasso, che lasciar non volle
Per la seconda la querela prima,
Le scuse di Rinaldo in pace tolte ;
Ma se son vere o false , in dubbio stima.
Non tolgon campo più sul lite molle
Di Barcellona , ove lo tolser prima ;
Ma s' accordare per V altra mattina
Trovarsi a una fontana indi vicina:
104 Ove Rinaldo seco abbia il cavallo ,
Che posto sia comunemente in mezzo.
Se 1 re uccide Rinaldo , o il fa vassallo ,
Se ne pigli il destrier senz' altro mezzo :
Ma se Gradasso è quel che faccia fallo ,
Che sia condotto air ultimo ribrezzo ,
0 , per più non poter, che gli si renda ,
Da lui Rinaldo Durindana prenda.
i06 Con maraviglia molla , e più dolore ,
Come v' ho detto , avea Rinaldo udito
Da Fiordiligi bella , eh' era fuore
Dell* intelletto il suo cugino uscito.
Avea detrarrne inteso anco il tenore,
£ del litigio che n' era seguito ;
E eh' in somma Gradasso avea quel brando
Ch'ornò di mille e mille palme Orlando.
i06 Poi che furon d' accordo , ritomosse
Il re Gradasso ai servitori sui ;
Benché dal paladin pregato fosse
Che ne venisse ad alloggiar con lui.
Come fu giorno , il re pagano armosse :
Cosi Rinaldo : e giunsero ambedui
Ove dovea non lungi alla fontana
Combattersi Baìardo e Durindana.
i84 ORLANDO FURIOSO.
iu? Della battaglia che Rinaldo avere
Con Gradasso dovea da solo a solo ,
Parean gli amici suoi tatti temere ;
£ innanzi il caso ne faceano il duolo.
Molto ardir , molta forza , alto sapere
Avea Gradasso ; ed or che del figliuolo
Del gran Milone avea la spada al fianco ,
Di timor per Rinaldo era ognun bianco.
103 £ più degli altri il frate di Viviano
Stava di questa pugna in dubbio e in tema ;
£d anco volentier vi porria mano ,
Per farla rimaner d* effetto scema :
Ma non vorria che quel da Montalbano
Seco venisse a inimicizia estrema ;
Ch'anco avea di quell'altra seco sdegno,
Che gli turbò, quando il levò sul legno.
i09 Ma stiano gli altri in dubbio, in tema, in doglia;
Rinaldo se ne va lieto e sicuro.
Sperando ch'ora il biasmo se gli teglia,
Gh' avere a torto gli parea pur duro ;
Sì che quei da Pontieri e d' Allafoglia
Faccia cheti restar, come mai furo.
Va con baldanza e sicurtà di core
Di riportarne il trionfale onore.
HO Poi che r un quinci e l' altro quindi ^giunto
Fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,
S' accarezzare ; e fero a punto a punto
Cosi serena ed amichevol fronte,
Come di sangue e d' aipistà congiunto
Fosse Gradasso a quel di Chiaramente.
Ma come poi s' andassero a ferire.
Vi voglio a un' altra volta differire.
VOTS.
St. 5. V, 3.6. Murmutet'^OTmuit
di parole uiate nel far gì* incantesimi ,
ditte carmi nella St.43 del Canto II. —
Immagine: figure magiche, adoperale
per lo stesso ef&tto. — Saga: incanta»
trice. — Zoroastro: re de'Battriani:
creduto inventore dell' arte magica.
St. 1 3. V, 8. — Oncia : è anche mi»
f
CANtO taENTÈSIMOPRlHO.
185
■ara lineare^ cioè la duodecima parte
^ì piede.
«n. 86. f». 4. — // pigro Arturo :
una delle stelle vicine al Polo artico; e
l'epiteto che le Hk il Poeta è relativo
alla maggior preatesia, con che le altre
stelle pi& discoste dal Polo terminano
r apparente loro rivolgersi intorno alla
Terra.
St, 38. 9, 3. — Sciamilo: sorta di
drappo.
Si. 41. 9, 1-S. — In urta: in odio.
•^Per Truffaldin: uomo di mal affare,
per cui Grifone, Aqnilante e Rinaldo
vennero un tempo a contesa. Vedi que-
sto fatto nel Boiardo, Lib. I, Canto XV
e XXYI.
St. 49. 9. 7.— Vigilia: cosi chia-
mavasi dai Romani ognuna delle quat-
tro parti in cui dividevano la notte j e
tal denominasione traevano dal vigilare
o vegliare delle sentinelle, dette simil-
mente 9igilet.
St. M). 9. 4-7 Jlla nutrice an.
tìqua: alla terra, come nella St. 139 del
Canto XY 1 1. — Ed orti e capre ec: indi-
ca diverse costellasioni, alle quali i poetir
e gli astronomi diedero i nomi di vari
animali; come le due Orse, la Capra
J malica, e il Serpente, che si accen-
nano nel quinto verso. — jél maggior
lampo: alla luce del sole, o durante il
giorno,
St. 51. 9. h.-^^ Ascolta, o scolta:
sentinella; ma qui è da intendersi un
numero di soldati che stanno a guardia,
detto comunemente corpo di guardia.
St, 53. e. 8.— Trabacche: casotti
posticci di legno o di tela, sostenuti da
travicelli, per alloggiare i soldati in ae-
campamento. — Padiglioni: tende,
sotto cui alloggiano i capi dell'esercito
accampato.
St. 54. 9. 4-8. — Formidato: te-
muto.— Si piagne: si rammarica.
St. 56. 9. 4. — Non già più rei dei
Mirmidon di' Achille: non inferiori in
valore ai Mirmidoni,condotti da Achille
air assedio di Troia.
St, 58. t». 5-8. — Del gregge lanu^
io: del gregge pecorino. — Sulfalanteo
Galeso: fiume non lontano da Taranto
che credesi edificata da Falanto, come
altrove si disse; e qui si prende per
tutta la regione Tarentina, le cui pecore
producono lana di molto pregio. — Del
barbato: del gregge caprino. — libarm
baro Cinijto: il fiume Magra in Africa,
detto dai Latini Oynips o Cyniphus,
lungo il quale sogliono pascere le ca*
pre.
St. 63. 9, 3. _ Di/endet vieU,
impedisce.
St. 70. 9. 7-8 — Del nostro fw^
me: del Po. — limai rettor del lume:
Fetonte i vedi la St. 34 del Canto Ili, e
la nota corrispondente.
St. 85. 9, 4. -^ Accenna: qui co*
manda,
St. 87. 9. ^.^Annitrtri: nitrii
^«.102. 9.Ì — Ilfgliuol di Buo»
90: Malagigi.
St. 104. 9. 6 Air ultimo rtbre-
«o: al freddo della morte.
W
jl86 OBLAKDO FURIOSO.
CAXEO XBEIiTJESIlIOSfieOiniO.
Care di Agramante per rinforsare Tesercito. Bradamante, ingelosita di Ruggiero
per cagioD di Mar6sa, parte dal suo castello, e capita alla rocca di Triatano.
Itì è obbligata a combattere eoo tre principi; e dopo averli tolti di acIU> ode
l'origine di quell* usanaa.
I Soyyìemmi che cantare io vi dovea
(Già lo promisi, e poi m* asci di mente)
D' una sospizion che fatto avea
La bella donna di fiaggier dolente,
Deir altra più spiacevole e più rea,
E di più acato e venenoso dente,
Che, per quel ch'ella adi da Ricciardetto,
A devorare il cor V entrò nel petto.
Dovea cantarne, ed altro incominciai,
Perchè Rinaldo in mezzo sopravvenne ;
E poi Gaidon mi die che fare assai,
Che tra cammino a bada an pezzo il tenne.
D' una cosa in an' altra in modo entrai ,
Che mal di Bradamante mi sovvenne.
Sovvienmene ora, e vo* narrarne innanti
Che di Rinaldo e di Gradasso io canti.
Ma bisogna anco, prima ch'io ne parli,
Che d' Agramante io vi ragioni un poco,
Ch'avea ridutte le reliquie in Arli,
Che gli restar del gran notturno fuoco ;
Quando a raccor lo sparso campo, e a darM
Soccorso e vettovaglie era atto il loco :
L' Africa incontra, e la Spagna ha vicina,
Ed è in sul Oume assiso alla marina.
CANTO TaENTESIlfOSECONDO. IS?
t Per (alto '1 regno fa scriver Marsilio
Gente a piedi e a cavallo, e trista e buona.
Per forza e per amore ogni navilio
Atto a battaglia s' arma in Barcellona.
Agramante ogni dk chiama a concìlio ;
Né a spesa né a fatica si perdona.
Intanto gravi esazioni e spesse
Tutte hanno le città d' Africa oppresse.
Egli ha fatto offerire a Rodomonte,
Perché ritomi (ed impetrar noi paote] ,
Una cagina saa, figlia 4' Almonte,
E '1 bel regno d' Oran dargli per dote.
Non si volse ì* altier muover dal ponte,
Ove tant'armee tante selle vote.
Di quei che son già capitati al passo,
Ha ragunate, che ne cuopre il sasso.
Già non volse M arfisa imitar V atto
Di Rodomonte: anzi com'ella intese
Gh' Agramante da Carlo era disfatto.
Sue genti morte, saccheggiate e prese,
E che con pochi in Adi era ritratto.
Senza aspettare invito, il cammin prese ;
.Venne in aiuto della sua corona,
E r aver gli profferse e la persona:
E gli menò Brunello, e gli ne fece
Libero dono, il qual non avea offeso.
V avea tenuto dieci gior|ii e diece
Notti sempre in timor d' essere appeso :
E poiché né con forza né con prece
Da nessun vide il patrocinio preso,
In si sprezzato sangue non si volse
Bruttar T altiere mani, e lo disciolse.
Tutte r antique ingiurie gli rimesse,
E seco in Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete pensar che gaudio avesse
Il re di lei eh' ad aiutarlo andasse :
E del gran conto eh' egli ne facesse.
Volse che Brunel prova le mostrasse ;
Che quel, di ch'ella gli avea fatto cenno,
Di vederlo impiccar, fé da buon senno.
188 OBLANDO CURIOSO.
9 11 manigoldo, in loco occalto ed ermo,
Pasto di corvi e d' avoltoi lascioUo.
Baggier, eh' un' altra volta gli fq schermo,
E che '1 laccio gli avria tolto dal collo,
La giustizia di Dio fa eh' ora infermo
S'è ritrovato, ed aiutar non paollo :
E quando il seppe, era già il fatto occorso ;
Si che restò Brunel senza soccorso.
iO Intanto Bradamante iva accusando
Che cosi lunghi sian quei venti giorni.
Li quai finiti, il termine era, quando
A lei Buggiero ed alla fede torni.
A chi aspetta di carcere o di bando
Uscir, non par che '1 tempo più soggiorni
A dargli libertade, o dell'amala
Patria vista gioconda e desiata.
li In quel duro aspettare ella talvolta
Pensa eh' Eto e Piroo sia fatto zoppo,
O sia la ruota guasta ; eh' a dar volta
Le par che tardi, oltr' all' usato, troppo.
Più lungo dì quel giorno a cui, per molta
Fede, nel cielo il giusto Ebreo fé intoppo ;
Più della notte eh' Ercole produsse,
Parea lei ch'ogni notte, ogni di fusse.
i2 0 quante volte da invidiar le diero
E gli orsi e i ghiri e i sonnacchiosi tassi !
Che quel tempo voluto avrebbe intero
Tutto dormir, che mai non si destassi;
Né potere altro udir, finché Buggiero
Dal pigro sonno lei non richiamassi.
Ma non pur questo non può far, ma ancora
Non può dormir di tutta notte un' ora.
13 Di qua di là va le noiose piume
Tutte premendo, e mai non si riposa.
Spesso aprir la finestra ha per costume,
Per veder s' anco di Titon la sposa
Sparge dinanzi al mattutino lume
Il bianco giglio e la vermìglia rosa :
Non meno ancor, poi che nasciuto è *\ giornOi
Brama vedere il ciel di stelle adorno.
CANTO TRENTBSIMOSECOMDO. iSD
ié Poi che fu quattro o cinque giorni appresso
Il termine a finir, piena di spene
Stava aspettando d' ora in ora il messo
Che le apportasse : Ecco Ruggier che viene.
Montava sopra un'alta torre spesso,
Ch' i folti boschi e le campagne amene
Scopria d'intorno, e parte della via
Onde di Francia a Montalban si già.
ib Se di lontano o splendor d' arme vede,
0 cosa tal eh' a cavalier simiglia,
Che sia il suo disiato Ruggier crede, '
£ rasserena i begli occhi e le ciglia :
Se disarmato o viandante a piede.
Che sia messo di lui speranza piglia ;
E sebben poi fallace la ritrova,
Pigliar non cessa una ed un* altra nuova.
16 Credendolo incontrar, talora armossi.
Scese dal monte, e giù calò nel piano:
Né lo trovando, si sperò che fossi
Per altra strada giunto a Montalbano ;
E col disir con eh' avea i piedi mossi
Fuor del Castel, ritornò dentro invano :
Né qua né là tro volle ; e passò intanto
Il termine aspettato da lei tanto.
17 II termine passò d'uno, di dui.
Di tre giorni, di sei, d'otto e di venti;
Né vedendo il suo sposo, né di lui
Sentendo nuova, incominciò lamenti
Ch' avrian mosso a pietà nei regni bui
Quelle Furie crinite di serpenti ;
E fece oltraggio a' begli occhi divini,
Al bianco petto, agli aurei crespi crini.
18 Dunque fia ver, dicea, che mi convegna
Cercare un che mi fugge e mi s' asconde?
Dunque debbo prezzare un che mi sdegna?
Debbo pregar chi mai non mi risponde?
Patirò che chi m'odia, il cor mi tegna?
Un che si stima sue virtù profonde.
Che bisogno sarà che dal ciel scenda
Immortai Dea che '1 cor d'amor gli accenda?
100 ORLANDO FURIOSO.
19 Sa questo altier eh' io Y amo e eh' io V adoro;
Né mi vuol per amante, né per serva.
11 cradel sa ehe per lui spasmo e moro;
E dopo morte a darmi aiuto serva.
E perchè io non gli narri il mio martore,
Atto a piegar la sua voglia proterva,
Da me s'asconde, come aspide suole,
Che, per star empio, il canto udir non vuole.
20 Deh ferma. Amor, costui che cosi sciolto
Dinanzi al lento mio correr .s' affretta ;
0*tomami nel grado onde m'hai tolto,
Quando né a te né ad altri era suggetta!
Deh come è il mìo sperar fallace e stolto.
Ch'in te con prieghi mai pietà si metta;
Che ti diletti, anzi ti pasci e vivi
Di trar dagli occhi lacrimosi rivi l
21 Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa!
Fuorché del mio desire irrazionale?
Ch'alto mi leva, e si nell'aria passa,
Ch' arriva in parte ove s' abbrucia l' ale;
Poi, non potendo sostener, mi lassa
Dal ciel cader : né qui finisce il male ;
Che le rimette, e di nuovo arde: ond'io
Non ho mai fine al precipizio mio^
22 Anzi, via più che del disir, mi deggio
Dì me doler, che si gli apersi il seno ;
Onde cacciata ha la ragion di seggio.
Ed ogni mio poter può di lui meno.
Quel mi trasporta ognor di male in peggio,
Né lo posso frenar, che non ha freno :
E mi fa certa che mi mena a morte,
Perch' aspettando il mal neccia più forte.
23 Deh perché voglio anco di me dolermi?
Ch'error, se non d'amarti, unqua commessi?
Che maraviglia, se fragili e infermi
Femminil sensi fur subito oppressi?
Perché dovev' io usar ripari e schermi,
Che la somma beltà non mi piacessi.
Gli alti sembianti, e le saggio parole?
Misero ò ben chi veder schiva il sole I
CANTO TRENTESIMOSECONDO. 191
24 Ed oltre al mio destino, io ci fui spinta
Dalle parole altrui degne di fede.
Somma felicità mi fu dipinta,
Gh' esser dovea di questo amor mercede.
Se la persuasione, oimèi fu fìnta,
Se fa inganno il consiglio che mi diede
Merlin, posso di lui ben lamentarmi ;
Ma non d' amar Ruggier posso ritrarmi.
25 Bi Merlin posso e di Melissa insieme
Dolermi , e mi dorrò d' essi in eterno ;
Che dimostrare i frutti del mio seme
Mi fero dagli spirti dello 'nferno.
Per pormi sol con questa falsa speme
In servitù : né la cagion discerno,
Se non eh' erano forse invidiosi
De' miei dolci, sicuri, almi riposi.
26 Si r occupa il dolor, che non avanza
Loco, ove in lei conforto abbia ricetto:
Ma, malgrado di quel, vien la speranza,
E vi vuole alloggiare in mezzo il petto,
Rifrescandole pur la rimembranza
Di quel ch'ai suo partir l'ha Ruggier detto;
E vuol, centra il parer degli altri affetti.
Che d' ora in ora il suo ritorno aspetti.
27 ' Questa speranza dunque la sostenne,
Finito ì venti giorni, un mese appresso ;
Si che il dolor sì forte non le tenne,
Come tenuto avria, V animo oppresso.
Un di che per la strada se ne venne,
Che per trovar Ruggier solea far spesso.
Novella udì la mìsera, ch'insieme
Fé dietro all' altro ben fuggir la speme.
2S Venne a incontrare un cavalier guascone
Che dal campo african venia diritto.
Ove era stato da quel di prigione.
Che fu innanzi a Parigi il gran conflitto.
Da lei fu molto posto per ragione.
Finché si venne al termine prescritto.
Domandò di Ruggiero, e in lui fermosse;
Nò fuor di questo segno più si mosse«
192 ORLANDO FURIOSO.
29 II cavalier buon conto ne rendette ;
Che ben conoscea tutta quella corte :
£ narrò dì Rnggier, che contrastette
Da solo a solo a Mandricardo forte ;
E come egli V uccise, e poi ne stette
Ferito più d'un mese presso a morte:
E s'era la sua istoria qui conclusa,
Fatto avria di Ruggier la vera escusa.
30 Ma come poi soggiunse, una donzella
Esser nel campo, nomata MarGsa,
Che men non era, che gagliarda, bella.
Né meno esperta d' arme in ogni guisa ;
Che lei Ruggiero amava , e Ruggiero ella ;
Ch'egli da lei, ch'ella da lui divisa
Si vedea raro ; e eh' ivi ognuno crede
Che s' abbiano tra lor data la fede ;
3t E che come Ruggier si faccia sano.
Il matrimonio pubblicar si deve ;
E ch'ogni re, ogni principe pagano
Gran piacere e letizia ne riceve :
Che dell' uno e dell' altro sopromano
Conoscendo il valor, sperano in breve
Far una razza d' uomini da guerra.
La più gagliarda che mai fosse in terra.
32 Credea il Guascon quel che dìcea non senza
Cagion ; che nell' esercito de' Mori
Opinione e uni versai credenza,
E pubblico parlar n' era di fuori.
I molti segni di benivolenza
Stati tra lor facean questi romorì ;
Che tosto, o buona o ria che la fama esce
Fuor d' una bocca, in inGnito Cresce.
33 L' esser venuta a' Morì ella in aita
Con lui, né senza lui comparir mai,
Avea questa credenza stabilita ;
Ma poi l'avea accresciuta pur assai.
Ch'essendosi del campo già partita.
Portandone Brunel, come io contai.
Senz'esservi d'alcuno richiamata, .
Sol per veder Ruggier v' era tornata.
CANTO TRENTESIMOSECONDO. 193
34 Sol per lai visitar, che gravemente
Langoia ferito, in campo venuta era
Non una sola volta, ma sovente:
Vi stava il giorno, e si partia la sera:
E mollo più da dir dava alla gente;
Ch'essendo conosciuta così altiera,
Che tutto '1 mondo a sé le parea vile,
Solo a Ruggier fosse benigna e umile^
35 Come il Guascon questo affermò per vero.
Fu Bradamante da cotanta pena,
Da cordoglio assalita cosi fiero,
Che di quivi cader si tenne a pena.
Voltò, senza far motto, il suo destriero,
Di gelosia, d'ira e di rabbia piena;
£, da sé discacciata ogni speranza,
Ritornò furibonda alla sua stanza :
36 £ senza disarmarsi, sopra il letto,
Col viso Volta in giù, tutta si stese.
Ove per non gridar, si che sospetto
Di sé facesse, i panni in bocca prese;
E ripetendo quel che V avea detto
Il cavaliere, in tal dolor discese.
Che più non lo potendo sofferire,
Fu forza a disfogarlo, e cosi a dire :
37 Misera! a chi mai più creder debb'io?
Yo' dir eh' ognuno é perfido e crudele,
Se perfido e crudel sei, Ruggier mio,
•Che si pietoso tenni e si fedele.
Qual crudeltà, qual tradimento rio
Unqua s' udi per tragiche querele.
Che non trovi minor, se pensar mai
Al mio morto e al tuo debito vorrai?
38 Perché, Ruggier, come di te non vive
Cavalier di più ardir, di più bellezza.
Né che a gran pezzo al tuo valore arrivo.
Né a' tuoi costumi, né a tua gentilezza;
Perché non fai che, fra tue illustri e dive
Virtù, si dica ancor ch'abbi fermezza?
Si dica eh' abbi inviolabil fede,
A chi ogni altra virtù s' inchina e cede?
IL <T
l94 ORLANDO FURIOSO.
30 Non sai che non compar, se non v' é quella,
Alcun valore, alcun nobil costume?
Come né cosa (e sia quanto vuol bella)
Si può vedere ove non splenda lume.
Facil ti fu ingannare una donzella ,
Dì cui tu signor eri, idolo e nume ;
A cui potevi far con tue parole
Creder che fosse oscuro e freddo il sole.
40 Crudel, di che peccato a doler t'hai,
Se d' uccider chi t' ama non ti penti?
Se '1 mancar di tua fé' si leggier fai,
Di ch'altro peso il cor gravar ti senti? :
Come tratti il nimico, se tu dai
A me, che t' amo si, questi tormenti?
Ben dirò che giustizia in cìel non sia,
S' a veder tardo la vendetta mia.
41 Se d' ogni altro peccato assai più quello
Dell'empia ingratitudine l'uom grava,
E per questo dal ciel l' angel più bello
Fu relegato in parte oscura e cava ;
E se gran fallo aspetta gran flagello.
Quando debita emenda il cor non lava ;
Guarda ch'aspro flagello in te non scenda,
Che mi se' ingrato, e non vuoi farne emenda.
42 Di furto ancora, oltre ogni vizio rio,
Di te, crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi tenga il cor, non ti dico io;
Di questo io vo' che tu ne vada assolto :
Dico di te che t'eri fatto mio,
E poi centra ragion mi ti sei tolto.
Renditi, inìquo, a me; che tu sai bene
Che non si può salvar chi V altrui tiene.
43 Tu m'hai, Ruggier, lasciata: io te non voglio,
Né lasciarti volendo anco potrei ;
Ma, per uscir d' affanno e di cordoglio,
Posso e voglio finire i giorni miei.
Dì non morirti in grazia sol mi doglio;
Che se concesso m' avessero i Dei
Ch'io fossi morta quando t'era grata,
Morte non fu giammai tanto beata.
CANTO TRENTESIMOSECONDO. 19tt
44 Cosi dicendo, di morir disposta.
Salta del letto, e dì rabbia inGammata
Si pon la spada alla sinistra costa ;
Ma si ravvede poi che tutta è armata.
Il miglior spirto in questo le s'accosta,
£ nel cor le ragiona : 0 donna nata
Di tanl'alto lignaggio, adunque vuoi
Finir con si gran bìasmo i giorni tuoi?
45 Non è meglio eh' al campo tu ne vada ,
Ove morir si può con laude ogni ora?
Quivi s'avvien ch'innanzi a Ruggier cada.
Del morir tuo si dorrà forse ancora ;
Ma s'a morir t'avvien per la sua spada,
Chi sarà mai che più contenta mora?
Ragione è ben che di vita ti privi,
Poich' è cagion eh' in tanta pena vivi.
46 Verrà forse anco che prima che muori
Farai vendetta di quella Marfisa
Che t'ha con fraudi e disonesti amori,
Da te Ruggiero alienando, uccisa.
Questi pensieri parveno migliori
Alla donzella ; e tosto una divisa
Si fé su r arme,, che volea inferire
Disperazione, e voglia di morire.
47 Era la sopravveste del colore
Jn che riman la foglia che s' imbianca
Quando del ramo è tolta, o che l' umore
Che facea vivo l'arbore, le manca.
Ricamata a tronconi era, di fuore.
Di cipresso che mai non si rinfranca,
Poic'ha sentita la dura bipenne;
L' abito al suo dolor molt^ convenne.
48 Tolse il destrier eh' Astolfo aver solea,
E quella lancia d'or, che, sol toccando.
Cader di sella i cavalier facea.
Perchè la le die Astolfo, e dove e quando,
£ da chi prima avuta egli l' avea.
Non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse, non però sapendo
Che fosse del valor, ch'era, stupendo.
196 ORLANDO FURIOSO.
49 Senza scudiero e senza compagnia
Scese dal monte, e si pose in cammino
Verso Parigi alla più dritta via,
Ove era dianzi il campo Saracino ;
Che la novella ancora non s' odia,
Che r avesse Rinaldo paladino,
Aiutandolo Carlo e Malagìgi,
Fatto tor dall' assedio di Parigi.
60 Lasciali avea i Cadurci e la cittade
Di Caorse alle spalle, e tutto '1 monte
Ove nasce Dordona, e le contrade
Scopria di Monferrante e di Clarmonte;
Quando venir per le medesme strade
Vide una donna di benigna fronte,
Ch' uno scudo all' arcion avea attaccato ;
E le venian tre cavalieri a lato.
bi Altre donne e scudier venivano anco,
Qual dietro e qoal dinanzi, in lunga schiera
Domandò ad un che le passò da fianco, ,
La figliuola d'Amon, chi la donna era; ^
£ quel le disse: Al re del popol franco ,
Questa donna, mandata messaggiera j
Fin di là dal polo artico, è venuta . |
Per lungo mar dall' Isola Perduta. i
62 Altri Perduta, altri ha nomala Islanda i
L'isola, donde la regina d'essa.
Di beltà sopra ogni bella miranda,
Dal ciel non mai, se non a lei, concessa,
Lo scudo che vedete, a Carlo manda ;
Ma ben con patto e condizione espressa,
Ch'ai miglior cavalier lo dia, secondo
11 suo parer, eh' oggi si trovi al mondo.
63 Ella, come si slima, e come in vero
È la più bella donna che mai fosse.
Cosi vorria trovare un cavaliere
Che sopra ogni altro avesse ardire e posse :
Perchè fondato e fisso è il suo pensiero ,
Da non cader per cento mila scosse.
Che sol chi terrà in arme il primo onore,
Abbia d' esser suo amante e suo signore.
CANTO TRENTESiaiOSECONDO. l97
64 Spera eh' in Francia, alla famosa corte
Di Carlo Magno, il cavalier si (rove.
Che d' esser più d' ogni altro ardito e forte
Abbia fatto veder con mille prove.
I tre che son con lei come sae scorte.
Re sono tutti, e diroyvi anco dove: i
Uno in Svezia, ano in Gozia, in Norvegia ano, !
Che pochi pari in arme hanno o nessuno. |
65 Qaesti tre, la cai terra non vicina ,
Ma men lontana é all'Isola Perduta,
Detta cosi, perchè quella marina
Da pochi naviganti è conosciuta,
Erano amanti, e son, della regina,
£ a gara per moglier l' hanno voluta;
£, per aggradir lei, cose fatt' hanno.
Che, fin che giri il ciel, dette saranno.
66 Ma né questi ella, né alcun altro vuole,
Ch' al mondo in arme esser non creda il primo.
Ch' abbiate fatto prove, lor dir suole,
In questi luoghi appresso, poco istìmo.
E s' un di voi, qual fra le stelle il sole.
Fra gli altri duo sarà, ben lo sublimo ;
Ma non però che tenga il vanto parme
Del miglior cavalier eh' oggi port' arme.
67 A Carlo Magno, il quale io stimo e onoro
Pel più savio signor eh' al mondo sia,
Son per mandare un ricco scudo d' oro,
Con patto e condizion eh' esso lo dia
Al cavaliere il quale abbia fra loro
II vanto e il primo onor di gagUardia.
Sia il cavaliere o suo vassallo o d' altri.
Il parer di quel re vo' che mi scaltri.
68 Se, poi che Carlo avrà lo scudo avuto,
£ r avrà dato a quel si ardito e forte,
Che d' ogni altro migliore abbia creduto.
Che 'n sua si trovi o in alcun' altra corte.
Uno di voi sarà, che con l'aiuto
Di sua virtù lo scudo mi riporte;
Porrò in quello ogni amore, ogni disio,
E quel sarà il marito e '1 signor mio.
17*
iM ORLANDO FURIOSO.
69 Queste parole han qui fatto venire
Questi tre re dal mar tanto discosto;
Che riportarne Io scodo, o morire
Per man di chi l'avrà, s' hanno proposto.
Stè molto attenta firadamante a adire
Quanto le fu dallo scadier risposto ,
Il qoal poi r entrò innanzi, e cosi punse
Il suo cavallo, che i compagni giunse.
60 Dietro non gli galoppa né gli corre
Ella; eh' ad agio il suo cammin dispensa ,
£ molte cose tuttavia discorre.
Che son per accadere ; e in somma pensa
Che questo scudo in Francia sia per porre
Discordia e rissa e nimicizia immensa
Fra' paladini ed altri, se vuol Carlo
Chiarir chi sia il miglior, e a colui darlo.
61 Le preme il cor questo pensier; ma molto
Più le lo preme e strugge in peggior guisa
Quel eh* ebbe prima di Ruggier, che tolto
Il suo amor le abbia, e datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo è si sepolto.
Che non mira la strada, né divisa
Ove arrivar, né se troverà innanzi
Comodo albergo, ove la notte stanzi.
63 Come nave che vento dalla riva,
O qualch' altro accidente abbia disciolta,
Va di nocchiero e di governo priva
Ove la porti o meni il fiume in volta ;
Cosi ramante giovane veniva.
Tutta a pensare al suo Ruggier rivolta,
Ove vuol Rabican ; che molte miglia
Lontano è il cor che de' girar la briglia.
63 Leva alfin gli occhi, e vede il Sol che '1 tergo
Avea mostrato alle città di Rocco ;
£ poi s'era attuffato, come il mergo.
In grembo alla nutrice oltr' a Marocco :
£ se disegna che la frasca albergo
Le dia ne* campi, fa pensier di sciocco ;
Che soffia un vento freddo, e l' aria grieve
Pioggia la notte le minaccia o nieve.
Canto treNtesimoseconDo. lOD
64 Con maggior fretta fa movere il piede
Al suo cavallo ; e non fece via molta ,
Che lasciar le campagne a un paslor vede.
Che s' avea la sua gregge innanzi tolta.
La donna lui con molta instanzia chiede
Che le 'nsegni ove possa esser raccolta,
0 ben o mal; che mal si non s'alloggia,
Che non sia peggio star fuori alla pioggia.
65 Disse il pastore : Io non so loco alcuno
Ch' io vi sappia insegnar, se non lontano
Più di quattro o di sei leghe, fuor eh' uno
Che si chiama la rocca di Tristano.
Ma d' alloggiarvi non succede a ognuno ;
Perchè bisogna, con la lancia in mano,
Che se V acquisti e che se la difenda
11 cavalier che d' alloggiarvi intenda.
66 Se, quando arriva un cavalier, si trova
Vota la stanza, il castellan l'accetta;
Ma vuol, se sopravvien poi gente nuova,
Ch' uscir fuori alla giostra gli prometta.
Se non vien, non accade che si mova;
Se vien, forza è che l'arme si rimetta,
£ con lui giostri: e chi di lor vai meno,
Ceda r albergo, ed esca al ciel sereno.
67 Se duo, tre, quattro o più guerrieri a un tratto
Yi giungon prima, in pace albergo v' hanno;
E chi di poi vien solo, ha peggior patto,
Perchè seco giostrar quei più lo fanno.
Cosi, se prima un sol sì sarà fatto
Quivi alloggiar, con lui giostrar vorranno
1 duo, tre, quattro, o più, che verran dopo;
Si che, 8* avrà valor, gli fia a grande uopo.
6S Non men se donna capita o donzella.
Accompagnata o sola a questa rocca,
£ poi v' arrivi un' altra, alla più bella
L'albergo, ed alla men star di fuor tocca.
Domanda Bradamante ove sia quella ;
£ il buon pastor non pur dice con bocca,
Ma le dimostra il loco anco con mano,
Da cinque o da sei miglia indi lontano.
200 ORLANDO FURIOSO.
69 La donna, ancor che Rabican ben Irotfe,
Sollecitar però non Io sa tanto
Per quelle vie tutte fangose e rotte
Dalla stagion ch'era piovosa alquanto,
Che prima arrivi, che la cieca notte
Fati' abbia oscuro il mondo in ogni canto.
Trovò chiusa la porta ; e a chi n' avea
La guardia disse eh' alloggiar volea.
70 Rispose quel, ch'era occupato il loco
Da donne e da guerrier che venner dianzi ;
E stavano aspettando intorno al fuoco,
Che posta fosse lor la cena innanzi.
Per lor non credo V avrà fatta il cuoco,
S' ella v' è ancor, né V han mangiata innanzi,
Disse la donna: or va, che qui gli attendo;
Che so r usanza , e di servarla intendo.
71 Parte la guardia, e porta l'imbasciata
Là dove i cavalier stanno a grand' agio,
La qual non potè lor troppo esser grata,
Ch' ali'aer li fa uscir freddo e malvagio;
Ed era una gran pioggia incominciata.
Si levan pure, e piglian l' arme ad agio ;
Restano gli altri ; e quei non troppo in fretta
Escono insieme ove la donna aspetta.
72 Eran tre cavalier che valean tanto ,
Che pochi al mondo valean più di loro ;
Ed eran quei che '1 di medesmo accanto
Veduti a quella messaggiera foro ;
Quei eh' in Islanda s' avean dato vanto
Di Francia riportar lo scudo d' oro :
E perchè avean meglio i cavalli punti,
Prima di Bradamante erano giunti.
73 Di loro in arme pochi eran migliori ;
Ma di quei pochi ella sarà ben l' una :
Ch' a nessun patto rimaner di fuori
Quella notte intendea molle e digiuna.
Quei dentro alle finestre e ai corridori
Miran la giostra al lume della luna,
Che malgrado de' nugoli lo spande,
E fa veder, benché la pioggia è grande.
I
CANTO TRENTESIMOSECONDO. 201
74 Come s' allegra un bene acceso aroanle
Ch'ai dolci furti per entrar si trova,
Qaando alfin senla, dopo indogie tante,
Che '1 taciturno chiavistel si muova ;
Cosi, Yolontarosa Bradamante
Di far di sé coi cavalieri prova,
S'allegrò quando udì le porte aprire.
Calare il ponte, e fuor li vide uscire.
76 Tosto che fuor del ponte i guerrier vede
Uscire insieme o con poco intervallo,
Si volge a pigliar campo, e di poi riede
Cacciando a tutta briglia il buon cavallo,
E la lancia arrestando, che le diede
Il suo cugin, che non si corre in fallo.
Che fuor di sella è forza che trabocchi.
Se fosse Marte, ogni guerrier che tocchi.
76 II re di Svezia, che primier si mosse,
Fa primier anco a riversarsi al piano ;
Con tanta forza V elmo gli percosse
L' asta che mai non fa abbassata invano.
Poi corse il re di Gozia, e ritrovosse
Coi piedi in aria al suo destrier lontano.
Rimase il terzo sottosopra volto,
Neir acqua e nel pantan mezzo sepolto.
77 Tosto eh' ella ai tre colpi tutti gli ebbe
Fatto andar coi piedi alti e i capi bassi,
Alla rocca ne va, dove aver debbe
La notte albergo ; ma prima che passi,
V'è chi la fa giurar che n' uscirebbe.
Sempre eh' a giostrar fuori altri chiamassi.
Il signor di là dentro, che '1 valore
Ben n' ha veduto, le fa grande onore.
78 Cosi le fa la donna che venuta
Era con quelli tre quivi la sera,
Come io dicea, dall'Isola Perduta,
Mandata al re di Francia messaggiera.
Cortesemente a lei che la saluta ,
Siccome graziosa e aflabil era.
Si leva incontra, e con faccia serena
Piglia per mano, e seco al Taoco mena.
'^1
202 GELANDO FURIOSO.
79 La donna, cominciando a disarmarsi,
S' avea lo scudo e di poi Y elmo trailo ;
Quando una cufiQa d'oro, in che celarsi
Soleano i capei lunghi e star di piatto ,
Usci con V elmo ; onde caderon sparsi
Giù per le spalle, e la scoprirò a un tratto,
£ la feron conoscer per donzella.
Non men che fiera in arme, in viso bella.
80 Quale al cader delle cortine suole
Parer fra mille lampade la scena,
D* archi, e di più d' una superba mole,
D' oro e di statue e di pitture piena ;
O come suol fuor della nube il sole
Scoprir la faccia limpida e serena :
Cosi, Telmo levandosi dal viso,
Mostrò la donna aprisse il paradiso.
81 Già son cresciute, e fatte lunghe in modo
Le belle chiome che taglioUe il frate.
Che dietro al capo ne può fare un nodo,
Benché non sian come son prima state.
Che Bradamante sia, tien fermo e sodo
(Che ben V avea veduta altre fiate)
Il signor della rocca ; e più che prima
Or r accarezza, e mostra farne stima.
82 Siedono al fuoco, e con giocondo e onesto
Bagionamento dan cibo alT orecchia.
Mentre, per ricreare ancora il resto
Del corpo, altra vivanda s'apparecchia.
La donna alF oste domandò se questo
Modo d'albergo è nuova usanza o vecchia,
£ quando ebbe principio, e chi la pose ;
£ '1 cavaliere a lei cosi rispose :
83 Nel tempo che regnava Fieramente,
Clodione, il figliuolo, ebbe una amica
Leggiadra e bella, e di maniere conte,
Quant' altra fosse a quella etade antica ;
La quale amava tanto, che la fronte
Non rivolgea da lei più che si dica
Che facesse da Jone il suo pastore,
Perch' avea ugual la gelosia all' amore.
CANTO TRENTESIMOSECONDO. 203
84 Qai la tenea ; che '1 laogo avuto in dono
Avea dal padre, e raro^^gli n' uscia ;
E con lui dieci cavalìer ci sono,
E dei miglior di Francia tuttavia.
Qui stando, venne a capitarci il buono
Tristano, ed una donna in compagnia.
Liberata da lui poch' ore innante,
Che traea presa a forza un fier gigante.
S6 Tristano ci arrivò che '1 Sol già volto
Avea le spalle ai liti di Siviglia ;
E domandò qui dentro esser raccolto.
Perchè non e' è altra stanza a dieci miglia.
Ma Clodion, che molto amava e molto
Era geloso, in somma si consiglia
Che forestier, sia chi si voglia, mentre
Ci stia. la bella donna, qui non entre.
86 Poi che con lunghe ed iterate preci
Non potè aver qui albergo il cavaliere ;
Or quel che far con prieghi io non ti feci,
Che 'i facci, disse, tuo mal grado, spero.
E sOdò Clodion con tutti 1 dieci
Che tenea appresso ; e con un grido altiero
Se gli offerse con lancia e spada in mano
Provar che discortese era e villano ;
87 Con patto, che se fa che con lo stuolo
Suo cada in terra, ed ei stia in sella forte.
Nella rocca alloggiar vuole egli solo,
E vuol gli altri serrar fuor delle porte.
Per non patir quest'onta, va il figliuolo
Del re di Francia a rischio della morte ;
Ch'aspramente percosso cade in terra,
E cadon gli altri, e Trìstan fuor li serra.
88 Entrato nella rocca, trova quella
La qual v' ho detta a Clodion si cara,
E eh' avea, a par d'ogni altra, fatto bella
Natura, a dar bellezze cosi avara.
Con lei ragiona : intanto arde e martella
Di fuor r amante aspra passione amara ;
Il qual non differisce a mandar prieghi
Al cavalier, che dar non gli la nieghi.
904 OBLiXDo renoso.
tf Tràtan», ancorché lei molto non prezze,
Né prezzar, foor ch'Isotta, altra potrebbe;
Gì* altra uè eh' ami raol né che accarezzo
La pozion che già incantata bd>be;
Por, perchè Tendicarà deiP asprezze
Che Clodion gli ha osate si Torrei>be,
Di far gran torto mi parria, gli disse.
Che tal bellezza del soo albergo uscisse.
so E quando a Clodion dormire incresca
Solo alla frasca, e compagnia domandi.
Una giovane ho meco beUa e fresca.
Non però di bellezzo eoa grandL
Questa sarò contento che foor esca,
E eh' ubbidisca a tutti i suoi comandi ;
Ma la più bella mi por dritto e giusto
Che stia con quel di noi eh' è più robusto.
91 Escluso Clodione e mal contento.
Andò sbuffando tutta notte in volta.
Come s' a quei che nell' alloggiamento
Dormiano ad agio, fesse egU l'ascolta;
E molto più che del freddo e del vento.
Si dolea della donna che gli è tolta.
La mattina Tristano, a cui ne 'ncrebbe.
Gli la rendè; donde il dolor fin ebbe:
92 Perchè gli disse, e lo fé chiaro e certo.
Che qaal trovolla, tal gli la rendea:
E benché degno era d'ogni onta, in merlo
Della dìscortesia eh' usata avea;
Par contentar d' averlo allo scoperto
Fatto star tutta notte si volea :
Né r escusa accettò, che fosse Amore
Stato cagion di cosi grave errore ;
93 Ch'Amor de' far gentile un cor villano,
E non far d' un gentil contrario effetto.
Partito che si fu di qui Tristano,
Clodion non sle' mollo a mutar tetto ;
Ma prima consegnò la rocca in mano
A un cavalier che molto gli era accetto,
Con patto ch'egli e chi da lui venisse,
Quest' uso in albergar sempre seguisse :
CANTO TRENTESIMOSBCONDO. 205
94 Che '1 cavalier eh' abbia maggior possanza,
£ la donna beltà, sempre ci alloggi;
E chi vinto riman, voti la stanza,
Dorma sul prato, o altrove scenda e poggi.
£ finalmente ci fé por V usanza
Che vedete durar fin al di d' oggi.
Or, mentre il cavalier questo dicea,
Lo scalco por la mensa fatto avea.
95 Fatto r avea nella gran sala porre.
Di che non era al mondo la più bella ;
Indi con torchi accesi venne a torre
Le belle donne, e le condusse in quella.
Bradamante, all'entrar, con gli occhi scorre,
E similmente fa V altra donzella ;
£ tutte piene le superbe mura
Veggon di nobilissima pittura.
06 Di si belle figure è adorno il loco.
Che per mirarle obblian la cena quasi ;
Ancorché ai corpi non bisogni poco,
Pel travaglio del dì lassi rimasi ;
£ lo scalco si doglia e doglia il cuoco,
Che i cibi lascin raffreddar nei vasi.
Pur fu chi disse : Meglio fia che voi
Pasciate prima il ventre, e gli occhi poi.
97 S'erano assisi, e porre alle vivande
Yoleano man, quando il signor s'avvide
Che r alloggiar due donne è un error grande :
L' una ha da star, l' altra convien che snido.
Stia la più bella , e la men fuor si mando
Dove la pioggia bagna, e '1 vento stride.
Perché non vi son giunte amendue a un* ora,
L'una ha a partire, e l'altra a far dimora.
98 Chiama duo vecchi, e chiama alcune sue
Donne di casa, a lai giudizio buone;
£ le donzelle mira , e di lor due
Chi la più bella sia , fa paragone.
Finalmente parer di tutti fue,
eh' era più bella la figlia d' Amone ;
£ non men di beltà l'altra vincea.
Che di valore i guerrier vinti avea.
206 ORLANDO FUBIOSO.
99 Alla donna d' Islanda, che non sanza
Molta sospizion stava di questo.
Il signor disse : Che serviam V usanza,
Non v'ha, donna, a parer se non onesto.
A voi convien procacciar d' altra stanza,
Qaando a noi tatti è chiaro e manifesto
Che costei di bellezze e di sembianti.
Ancor eh' incolta sia, vi passa innantL
doo Come si vede in un momenta escara
Nube salir d'umida valle al ciào.
Che la faccia che prima era si pura,
Cuopre del Sol con tenebroso velo ;
Cosi la donna alla sentenzia dura.
Che fuor la eaccia ove è la pioggia e '1 gielo.
Cangiar si vide, e non parer più quella
Che fu pur dianzi si gioconda e bella.
101 S' impallidisce, e tutta cangia in viso;
Che tal sentenza udir poco le aggrada.
Ma Bradamante con un saggio avviso.
Che per pietà non vuol che se ne vada.
Rispose : A me non par che ben deciso
Né che ben giusto alcun giudicio cada,
Ove prima non s' oda quanto nieghi
La parte o affermi, e sue ragioni alleghi.
102 Io eh' a difender questa causa toglie.
Dico : 0 più bella o men eh' io sia di lei,
Non venni come donna qui, nò voglio
Che sian di donna ora i progressi miei.
Ma chi dirà, se tutta non mi spoglia,
S' io sono 0 s' io non son quel eh' è costei ?
E quel che non si sa, non si de' dire;
E tanto men, quando altri n' ha a patire.
403 fien son degli altri ancor, e' hanno le chiome
Lunghe, com' io ; né donne son per questo.
Se come cavalier la stanza, o come
Donna acquistata m' abbia, è manifesto.
Perchè dunque volete darmi nome
Di donna, se di maschio è ogni mio gesto?
La legge vostra vuol che ne sian spinte
Donne da donne, e non da guerrier vinte.
^J'^^'' -M
■rgi .- — .;•
CANTO TRENTESIMOSECONDO. 207
i04 Poniamo ancor che, come a voi pur pare,
Io donna sia (che non però il concedo).
Ma che la mia beltà non fosse pare
A quella di costei ; non però credo
Che mi vorreste la mercè levare
Di mia virtù, sebben di viso io cedo.
Perder per men beltà giusto non parmi
Quel e' ho acquistato per virtù con V armi.
105 E quando ancor fosse V usanza tale,
Che chi perde in beltà, ne dovesse ire ;
10 ci vorrei restare, o bene o male
Che la mia ostinazion dovesse uscire.
Per questo, che contesa diseguale
È tra me e questa donna, vo' inferire
Che, contendendo di beltà, può assai
Perdere, e meco guadagnar non mai.
406 E se guadagni e perdite non sono
In tutto pari, ingiusto è ogni partito:
SI eh' a lei per ragion , si ancor per dono
Speziai, non sia l'albergo proibito.
E s' alcuno di dir che non sia buono
E dritto il mio giudizio sarà ardito,
Sarò per sostenergli a suo piacere.
Che '1 mio sia vero, e falso il suo parere.
107 La figliuola d' Amen, mossa a pleiade
Che questa gentil donna debba a torto
Esser cacciata ove la pioggia cade.
Ove nò tetto, ove neppure è un sporto.
Al signor dell' albergo persuade
Con ragion molte e con parlare accorto.
Ma molto più con quel eh' alfin concluse,
Che resti cheto, e accetti le sue scuse.
i08 Qual sotto il più cocente ardore estivo,
Quando di ber più desiosa è l'erba,
11 fior eh' era vicino a restar privo
Di tutto quell' umor ch'in vita il serba,
Sente l' amata pioggia, e si fa vivo ;
Cosi, poiché difesa si superba
Si vide apparecchiar la messaggiera,
Lieta e bella tornò come prim' era.
20S OBLAKOO FURIOSO.
i09 La cena, stata lor boon pezzo aTante,
Né aocor par tocca, alGn godersi in festa,
Senza che pia di caTaliero errante
NooTa venuta fosse lor molesta.
La goder gli altri, ma non Bradamante,
Pare, all'usanza, addolorata e mesta;
Che qoel timor, che qoel sospetto ingiosto
Che sempre a?ea nel cor, le toUea il gusto.
410 Finita eh* ella fa (che saria forse
Stata più lunga, se '1 desir non era
Di cibar gli occhi), Bradamante sorse,
E sorse appresso a lei la messaggiera.
Accennò quel signore ad un che corse,
E prestamente aliamo molta cera,
Che splender fé la sala in ogni canto.
Quel che segui dirò neir altro Canto.
WOTS.
Si» 3. P. A* -— Del gf*"* notturno
fuoco: accenna la sconfitta del re moro,
con questa frase che par tradasione del
virgiliano tt tanti incendia belli.
St. k.9,\.'-^ Fa scriver: fa ar-
raolarc.
St. 10. ¥. 6. — Più soggiorni: ri-
tardi tanto.
St,\\. V, S-S. — Eto e Piroo: cosi
si chiamano due dei quattro cavalli
attaccati al carro del Sole. — Più
lungo di quel giorno ec. Allude a
quando Giosuè fermò il sole, cioè col
suo comando allungò di molte ore il
corso della giornata, affinchè gl'Israe-
liti riportaiiero intiera la vittoria sui re
della Palestina. — Più della notte ec.
Finsero i mitologi che la notte in cui
Ercole fu concepito, e quella in cui
nacque, venissero dagli Dei protratte
alla durata di più notti.
St. ì%. V. 6. — Sì.,,,, profonde:
tanto sublimi.
St. i9. V. k.7.^Serpaf serha, aspet-
ta.— Come aspide suole ec: crede vasi
in que" tempi che l'aspide, per non
udire 1* incantesimo che lo attraeva,
posasse un orecchio in terra, e chiu-
desse r altro con V estremità della coda.
St. 28. V, ò — Fu molto posto per
ragione : fu mollo interrogato, gli fa
chiesto minuto conto.
St. 29. V. 3. ~ Contrastette: con-
trastò, combattè.
St. 37. V. e, — Per tragiche qme*
rete : per tragiri poemi.
St. 47. V. 1-4. — Era la soprav»
veste ec. Vedi la nota alla Stanaa 13 del
Canto VI.
St. 50. V. i-4.— / Cadurci: eoo
tal nome si chiamavano in antico gli
abitanti di quella parte della Gallia
Aquilanica Marbonese che corrisponde
a una regione della Guienna, detta poi
Le Qnercy, — Eia citiade di Caorse :
Gahors, città della Gnienna, già terra
CANTO TRBNTBSIMOSECONDO.
209
prìocipale dei Cadarà^— Tutto '/ monte
ove nmteo Dordona : il Moni* d* Oro
Beli' AWernia; ivi acatarisce la Dor^
dogne, dia traTersa il Limosino e la
Goienna. "-E le contrade Scoppia di
Mon/arrante e di Ciarmonte. — Questi
dna luoghi dell* Alvaraia erano, nei
tanpi a^ietro, due eomani separate e
bievidistanti fra loro; ma nel i633,
sotto Luigi XIII, fnrono unite | ed ora
formano la cittli di Ciermont'Ferrand,
attuale capoluogo del dipartimento di
Puy-de-Dóme.
SL 67. «^.8.— Jf/ scaltri t mi scal-
trisca, mi faccia accorta.
St. 63. p. 1-A.^Jile città di Boc
co / alla Mauritania occidentale, signo-
reggiata anticamente da Bocco. — Ma'
rocco: citth ddla Berberia occidentale,
capitale dell' impero omonimo.
St. 83. f». 1-7. — Fieramente o Fa»
ramondof primo re dei Franchi. Questi
popoli erano dapprima Sicambrì, detti
poi Franchi, per una temporanea fran-
chigia da tributi che ebbero dati* im-
peratore Yalentiniano. Costoro, non
volendo pin aottomettersi dopo spi-
rato il termine della concessa franchi-
gia, furono battuti diverse volte; e i
pochi auperstiti pervennero nella Tu- |
riogia, guidati da Marcomiro loro capo. |
Egli insieme cop i suol pose la sede in
una regione denominata quindi Fran-
conia, e posta a settentrione fra la Ba-
viera e la Sassonia. Da lui nacque Fa-
ramondo, del quale qui si parla. -~
Di maniere conte* di maniere gentili.
— Chef accese da Jone il suo pastore.
Àllndesi qui alla favola d* Ione od Io,
amata da Giove, e da lui trasformata in
vacca, onde prevenire i aospetti di Gin-
none; la quale nondimeno la faceva cu-
stodire da un pastore di nome Argo,
che avea cent' occhi.
St, 89. y. 4. — La po*ion, che già
incantata bebbe, Leggesinel Triitano^
romanao cavalleresco, che la madre
d' Isotta aveva preparata una bevanda
incantata, per fare che sua 6g1ta fosse
amata da Marco re di Cornovaglia, a
cui l'avea destinata in moglie. Mentre
Isotta era condotta allo sposo da Tri-
stano, questi inavvedutamente bevette
insieme con la giovine la pocione ama-
toria, onde s' invaghirono perdutamente
r uno dell* altra.
St, 103. y, 1,^ Spinte: cacciate
fuori.
St, 107. v.i* — Sporto : parte del-
l' edi6aio che protendesi all' infuori del
muro principale, a sotto cai si può stare
al coperto.
18*
210 ORLANDO FURIOSO.
CANTTO TWLESSTE»WBnmnSMMO.
la una laU della rorca di Tristano, Bradamante vede dipiote le fntiin gmne
dei Francesi in Italia. Poi, afidata dai tre che aveva di giSi abbattali, li
caccia novaraente di sella. Rinaldo e Gradasso vengono alle mani per
BabrdOf il qnale^ spaventato da un mostruoso uccello, fogge in una advai
e cosi la pugna è sospesa. Astolfo sul!* Ippogrifo va in Etiopia, ed ivi col
suono del suo corno caccia nell* inferno le arpie die insouavano U i
del n Senapo.
[ Timagora , Parrasio » Polignoto ,
Protogene, Timanle, ApoUodoro,
Apelle, più di tutti questi noto,
£ Zeus!, e gii altri eh' a quei tempi foro;
De' qnai la fama (malgrado di Gloto,
Che spense i corpi, e di poi V opre loro)
Sempre starà, finché si legga e scriva,
Mercè degli scrittori, al mondo viva:
E quei che foro a' nostri di, o sono ora,
Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,
Duo Dossi, e quel eh' a par sculpe e colora,
Michel, più che mortale, Angel divino;
Bastiano, Rafael, Tizian ch'onora
Non men Gador, che quei Venezia e Urbino ;
£ gli altri di cui tal l'opra si vede,
Qual della prisca età si legge e crede :
Questi che noi vegglam pittori, e quelli
Che già mille e mill'anni in pregio furo,
Le cose che son state, coi pennelli
Fati' hanno, altri su V asse, altri sul mura
Non però udiste antiqui, né novelli
Vedeste mai dipingere il futuro :
£ppur si sono istorie anco trovate,
Che son dipinte innanzi che sian state.
733»^ "^
CANTO TRKNTESIMOTBRZO. ^ll
4 Ma di saperlo far non si dia vanto
Pittore antico, né pittor moderno ;
E ceda par qaest* arte al solo incanto,
Del qua! trieman gli spirti dello 'nferno.
La sala ch'io dicea nell'altro Canto,
Merlin col libro, o fosse al lago Averno,
O fosse sacro alle Nnrsine grotte.
Fece far dai demonj in ana notte.
ì Quest'arte, con che i nostri antiqui fenno
Mirande prove, a nostra etate è estinta.
Ma ritornando ove aspettar mi donno
Quei che la sala hanno a veder dipinta.
Dico eh' a ano scudier fa fatto cenno.
Ch'accese i torchi: onde la notte, vinta
Dal gran splendor, si dileguò d'intorno ;
Ne più vi si vedrìa, se fosse giorno.
6 Quel signor disse lor : Yo' che sappiate
Che delle guerre che son qui ritratte,
Fin al di d' oggi poche ne son slate ;
£ son prima dipinte, che sian fatte.
Chi l'ha dipinte, ancor V ha indovinate.
Quando vittoria avran, quando disfatte
In Italia saran le genti nostre.
Potrete qui veder come si mostre.
7 Le guerre ch'i Franceschi da far hanno
Dì là dall' Alpe, o bene o mal successe,
Dal tempo suo fin al millesìm' anno,
Merlin profeta in questa sala messe ;
11 qual mandato fu dal re britanno
Al franco re eh' a Marcomir successe :
E perchè lo mandassi, e perchè fatto
Da Merlin fu il lavor, vi dirò a un tratto.
8 Re Fieramente, che passò primiero
Con l'esercito franco in Gallia il Reno,
Poi che quella occupò, facea pensiero
Di porre alla superba Italia il freno.
Faceal per ciò, che più '1 romano Impero
Vedea di giorno in giorno venir meno :
E per tal causa col britanno Arturo
Volse far lega ; eh' ambi a un tempo furo.
212 ORLANDO FURIOSO.
9 Artur, eh' impresa ancor senza consiglio
Del profeta Merlin non fece mai ;
Di Merlin, dico, del demonio figlio,
Che del fataro antivedeva assai ;
Per lai seppe, e saper fece il periglio
A Fieramente, a che di molti guai
Porrà sua gente, s'entra nella terra
Gh'Apennin parte, e il mare e l'Alpe serra.
10 Merlin gli fé veder che quasi tutti
Gli altri che poi di Francia scettro avranno,
O di ferro gli eserciti distrutti,
O di fame o di peste si vedranno ;
£ che brevi allegrezze e lunghi lutti,
Poco guadagno ed infinito danno
Rìporteran d' Italia ; che non lice
Che '1 Giglio in quel terreno abbia radice.
il Re Fieramonte gli prestò tal fede,
Gh' altrove disegnò volger l' armata :
£ Merlin, che cosi la cosa vede
Ch'abbia a venir, come se già sia stata,
Avere a' prieghi di quel re si crede
La sala per incanto istoriata.
Ove dei Franchi ogni futuro gesto,
Come già stato sia, fa manifesto.
i2 Acciò chi poi succederà comprenda
Che, come ha d' acquistar vittoria e onore,
Qualor d' Italia la difesa prenda
Incontra ogni altro barbaro furore ;
Cosi, s'avvien eh' a danneggiarla scenda,
Per porle il giogo e farsene signore,
Comprenda, dico, e rendasi ben certo
Ch' oltre a quei monti avrà il sepulcro aperto.
43 Cosi disse ; e menò le donne dove
Incomincian l' istorie : e Singiberto
Fa lor veder, che per.tesor si muove.
Che gli ha Maurizio imperatore offerto.
£cco che scende dal monte di Giove
Nel pian dal Lambro e dal Ticino aperto.
Vedete £utar, che non pur l' ha respinto,
Ma volto in fuga e fracassalo e vinto.
CANTO TRENTESIMOTBRZO. 2i3
14 Vedete Clodoveo, eh' a più di cento
Mila persone fa passare il monte.
Vedete il daca là di Benevento,
Che con numer dispar vien loro a fronte.
Ecco Onge lasciar V alloggiamento,
E pon gli agguati: ecco, con morti ed onte,
Al yin lombardo la gente francesca
Gorre; e riman come la lasca all'esca.
ih Ecco in Italia Ghildi berte qaanta
Gente di Francia e capitani invia:
Né più che Glodoveo, si gloria e vanta
Gh' abbia spogliata o vinta Lombardia ;
Ghò la spada del Giel scende con tanta
Strage de' suoi, che n'è piena ogni via,
Morti di caldo e di profluvio d'alvo;
Si che di dieci un non ne torna salvo.
16 Mostra Pipino, e mostra Garlo appresso,
Geme in Italia un (iopo l'altro scenda,
E v' abbia questo e quel lieto successo :
Che venuto non v' è perchè l' offenda ;
Ma r uno, acciò il Pastor Stefano oppresso.
L'altro Adriano, e poi Leon difenda.
L' un doma Aistulfo ; e l' altro vince e prende
11 successore, e al papa il suo onor rende.
17 Lor mostra appresso un giovene Pipino,
Che con sua gente par che tutto cuopra
Dalle Fornaci al lite Pelestino ;
E faccia con gran spesa e con lung' opra
Il ponte a Malamocco ; e che vicino
Giunga a Rialto, e vi combatta sopra.
Poi fuggir sembra, e che i suoi lasci sotto
L'acque; che '1 ponte il vento e '1 mar gli han rodo
i% Ecco Luigi Borgognon , che scende
Là dove par che resti vinto e preso,
E che giurar gli faccia chi lo prende.
Che più dall' arme sue non sarà ofleso.
Ecco che '1 giuramento vilipende;
Ecco di nuovo cade al laccio teso;
Ecco vi lascia gli occhi, e come talpe
Lo riportano i suoi di qua dall' Alpe.
214 OBLANDO Foaioso.
f9 Vedete an Ugo d' Aiii far gran fallì,
E che d' Italia caccia i Berengari ;
E doe o (re volle gli ha rotti e dìsralti,
Or dagli Unni rimessi, or dai Bavari.
Poi da più forza è stretto di far patti
Con r inimico, e non sta in vita goarl;
Né guari dopo lai vi sta Y erede,
E '1 regno intéro a Berengario cede.
20 Vedete nn altro Carlo, che a' conforti
Del boon Pastor fuoco in Italia ha messo;
E in due 6ere battaglie ha duo re morti,
Manfredi prima, e Corradino appresso.
Poi la saa gente, che con mille torti
Sembra tenere il naovo regno oppresso,
Di qua e di là per le città divisa ,
Vedete a un saon di vespro tutta uccisa.
Si Lor mostra poi tma vi parea intervallo
Di molti e molti, non ch'anni, ma lustri)
Scender dai monti un capitano Gallo,
E romper guerra ai gran Visconti illustri ;
£ con genie francesca a piò e a cavallo
Par eh' Alessandria intorno cinga e lustri ;
E che '1 duca il presidio dentro posto,
E fuor abbia Y agguato un po' discosto ;
22 E la gente di Francia mal accorta»
Tratta con àrie ove la rete è tesa.
Col conte Armeniaco, la cui scorta
L'avea condotta air infelice impresa,
Giaccia per tutta la campagna morta.
Parte sia tratta in Alessandria presa :
E di sangue non men che d' acqua grosso,
Il Tanaro si vede il Po far rosso.
23 Un, detto della Marca, e tré Angioini
Mostra Y un dopo Y altro, e dice: Questi
A Bruci, a Danni, a Marsi, a Salentini
Vedete come son spesso molesti.
Ma né de' Franchi vai né de' Latini
Aiuto si, eh' alcun di lor vi resti :
Ecco li caccia fuor del regno, quante
Volle vi vanno y Alfonso, e poi Ferrante.
CANTO TRENTESIHOTBRZO. 215
S4 Vedete Carlo ottavo, che discende
Dall'Alpe, e seco ha il fior di tutta Francia ;
Che passa il Liri, e tatto '1 regno prende,
Senza mai stringer spada o abbassar lancia»
Faorchò lo scoglio eh' a Tifeo si stende
Sa le braccia, sul petto e so la pancia ;
Che del baon sangue d' Avalo al contrasto
La virtù trova d' Inico del Vasto.
25 n signor della rocca, che venia
Qaest* istoria additando a firadamante,
Mostrato che l'ebbe Ischia, disse: Pria
Ch' a vedere altro più vi meni avaute,
10 vi dirò quel eh' a me dir solia
11 bisavolo mio, quand'io era infante ;
£ qael che similmente mi dicea
Che da suo padre udito anch' esso avea ;
26 E '1 padre suo da un altro, o padre o fosse
Avolo, e l'un dall'altro, sin a quello
Ch'a udirlo da quel proprio ritrovosse,
Che r immagini fé senza pennello.
Che qui vedete bianche, azzurre e rosse:
Udì che quando al re mostrò il castello
Ch'or mostro a voi su quest' altiero scoglio,
Gli disse quel eh' a voi riferir voglio.
27 Udi che gli dicea eh' in questo loco
Di quel buon cavalier che lo difende
Con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco
Che d' ogn' intorno e sino al Faro incende.
Nascer debbe in quei tempi, o dopo poco
(E ben gli disse l' anno e le calende),
Un cavaliere, a cui sarà secondo
Ogni altro che sin qui sia stato al mondo.
28 Non fu Nireo sì bel, non si eccellente
Di forze Achille, e non si ardito Ulisse ,
Non sì veloce Lada, non prudente
Nestor, che tanto seppe e tanto visse,
Non tanto liberal, tanto clemente
L' antica fama Cesare descrisse ;
Che verso l' uom eh' in Ischia nascer deve,
Non abbia ogni lor vanto a restar lieve.
216 OftLAlfDO FUBIOSO.
S9 E 86 8i gloriò r antiqua Creta ,
Quando il nipote in lei nacque di Celo^
Se Tebe fece Ercole e Bacco lieta ,
Se si Tanto dei duo gemelli Belo ;
Né questa isola avrà da starsi cheta ,
Che non s' esalti e non si levi in cielo,
Quando nascerà in lei quel gran marchese
Ch'avrà ^ d'ogni grazia il Ciel cortese.
30 Merlin gli disse, e replicògli spesso,
Ch' era serbato a nascer all' etade
Che più il romano Imperio saria oppresso,
Acciò per lui tornasse in libertade.
Ma perchè alcuno de' suoi gesti appresso
Yi mostrerò, predirli non accade.
Cosi disse; e tornò all'istoria, dove
Di Carlo si vedean V inclite prove.
3t Ecco, dicea, sì pente Ludovico
D' aver fatto in Italia venir Carlo ;
Che sol per travagliar T emulo antico
Chiamato ve l' avea, non per cacciarlo :
£ se gli scnopre al ritornar nimico
Con Veneziani in lega, e vuol pigliarlo.
Ecco la lancia il re animoso abbassa.
Apre la strada, e, ior malgrado, passa.
32 Ma la sua gente, eh' a difesa resta
Del nuovo regno; ha ben contraria sorte ;
Che Ferrante, con l' opra che gli presta
11 signor manluan, torna si forte.
Ch'in pochi mesi non ne lascia testa,
O in terra o in mar, che non sia messa a morte :
Poi per un uom che gli è con fraudo estinto,
Non par che senta Jl gaudio d' aver vinto.
33 Cosi dicendo, mostragli il marchese
Alfonso di Pescara, e dice: Dopo
Che costui comparito in mille imprese
Sarà più risplendente che piropo,
Ecco qui neli' insidie che gli ha tese
Con un trattato doppio il rio Etiope,
Come scannato di saetta cade
11 miglior cavalier di quella etade.
CANTO TRBNTESIMOTBRZO. 217
Zh Poi mostra ove il duodecimo Laigi
Passa con scoria italiana i monti ;
£, svello il MorOj pon la Fiordallgì
Nel fecondo terren già de' Visconti :
Indi manda sua gente pei vestìgi
Di Carlo, a far sul Garigliano i ponti ;
La quale appresso andar rotta e dispersa
Si vede, e morta, e nel fiume summersa.
35 Vedete in Puglia non minor macello
Deir esercito franco, in fuga volto ;
£ Gonsalvo Ferrante Ispano è quello
Che due volle alla trappola 1' ha colto.
E come qui turbato, cosi bello
Mostra Fortuna al re Luigi il volto
Nel ricco pian che, fin dove Adria stride.
Tra r Apennino e V Alpe il Po divide.
36 Cosi dicendo, sé stesso riprende
Che quel eh' avea a dir prima, abbia lasciato:
E torna addietro, e mostra uno che vende
Il Castel che '1 signor suo gli avea dato ;
Mostra il perfido Svizzero, che prende
Colui eh' a sua difesa V ha assoldato :
Le quai due cose, senza abbassar lancia,
Han dato la vittoria al re di Francia.
37 Poi mostra Cesar fiorgia col favore
Di questo re farsi in Italia grande;
Ch'ogni baron di Roma, ogni signore
Suggello a lei par che in esilio mande.
Poi mostra il re che di Bologna fuore
Leva la Sega, e vi fa entrar le Giande ;
Poi come volge i Genovesi in fuga
Fatti ribelli, e la città soggioga.
38 Vedete, dice poi, di gente morta
Coperta in Giaradadda la campagna.
Par eh' apra ogni cillade al re la porta,
E che Venezia appena vi rimagna..
Vedete come al papa non comporta
Che, passati i confini di Romagna,
Modana al duca di Ferrara teglia ;
Né qui si fermi, e '1 resto tor gli voglia:
218 ORLANDO FURIOSO.
29 E fa, all' Incontro, a lai Bologna torre;
Che y' entra la Ben ti vola famiglia.
Vedete il campo de' Francesi porre
A sacco Brescia, poi che la ripiglia ;
E quasi a on tempo Felsina soccorre,
E '1 campo ecclesiastico scompiglia :
E r uno e V altro poi nei looghi bassi
Par si riduca del lito de' Chiassi.
40 Di qua la Francia, e di là il campo ingrossa
La gente ispana ; e la battaglia è grande.
Cader si vede, e far la terra rossa
La gente d' arme in amendaa le bande.
Piena di sangae nman pare ogni fossa :
Marte sta in dubbio a' la vittoria mando.
Per virtù d' un Alfonso alfin si vede
Che resta il Franco, e che V Ispano cede ;
41 E che Ravenna saccheggiata resta.
Si morde il papa per dolor le labbia,
E fa da' monti, a gaisa di tempesta.
Scendere in fretta una tedesca rabbia,
Ch'ogni Francese, senza mai far testa.
Di qna dall' Alpe par che cacciai' abbia,
E che posto un rampollo abbia del Moro
Nel giardino onde svelse i Gigli d' oro.
42 Ecco toma il Francese : eccolo rotto
Dall' infedele Elvezìo, eh' in suo aiuto
Con troppo rischio ha il giovine condotto.
Del quale il padre aveapreso e venduto.
Vedete poi l' esercito che sotto
La ruota di Fortuna era caduto.
Creato il nuovo re, che si prepara
Dell' onta vendicar eh' ebbe a Novara :
43 E con migliore auspizio ecco ritoma.
Vedete il re Francesco innanzi a tutti.
Che eosi rompe a' Svizzeri le corna.
Che poco resta a non gli aver distrutti :
Si che '1 titolo mai più non gli adorna,
Ch' usurpato s' avran quei villan bratti ;
Che domator de' prìncipi, e difesa
Si nomeran della cristiana Chiesa.
CANTO TRENTBSIMOTERZO. 2i9
44 Ecco, malgrado della Lega, prende
ìlilano, e accorda il giovene Sforzesco.
Ecco Borbon che la città difende
Pel re di Francia dal furor tedesco.
Eccovi poi, che mentre altrove attende
Ad altre magne imprese il re Francesco,
Né sa quanta superbia e crndeltade
Usino i suoi, gli è tolta la cittade.
45 Ecco un altro Francesco, eh' assimiglia
Di virtù air avo, e non di nome solo ;
Che, fatto uscirne i Galli, si ripiglia
Col favor della Chiesa il patrio suolo.
Francia anco torna, ma ritien la briglia,
Né scorre Italia, come suole, a volo;
Che '1 buon duca di Mantua sul Ticino
Le chiude il passo, e le taglia il cammino
46 Federico, eh' ancor non ha la guancia
De' primi fiori sparsa, si fa degno
Di gloria eterna, ch'abbia con la lancia.
Ma più con diligenzia e con ingegno,
Pavia difesa dal furor di Francia,
E del Leon del mar rotto il disegno.
Vedete duo marchesi, ambi terrore
Di nostre genti, ambi d'Italia onore;
47 Ambi d' un sangue, ambi in un nido nati.
Di quel marchese Alfonso il primo è figlio,
Il qual, tratto dal Negro negli agguati.
Vedeste il terren far di sé vermiglio.
Vedete quante volte son cacciati
D' Italia i Franchi pel costui consiglio.
L'altro, di sì benigno e lieto aspetto,
Il Vasto signoreggia, e Alfonso é detto.
48 Questo è il buon cavalier di cui dicea,
Quando l' isola d' Ischia vi mostrai,
Che già profetizzando detto avea
Merlino a Fieramente cose assai:
Che differire a nascere dovea
Nel tempo che d* aiuto più che mai
L'afflitta Italia, la Chiesa e l'Impero
Centra ai barbari insulti avria mistìero.
ORLANl>0 t^URIOSÒ.
59 Le belle donne, e gli altri quivi stati,
Mirando e ragionando insieme on pezzo,
Far dal signore a riposar menati ;
€h' onorar gli osti suoi molf era avvezzo.
Già sendo tatti gli altri addormentati,
Bradamante a corcar si va da sezzo ;
E si volta òr so questo or su quel fianco.
Né può dormir sul deMro nò sul manco.
IO Pur chiude alquanto appresso air alba i lomi,
E di veder le pare il suo Ruggiere,
Il qual le dica: Perchè ti consumi,
Dando credenza a quel che non è vero?
Tu vedrai prima all'erta andare i fiumi,
Ch'ad altri mai, eh' a te, volga il pensiero.
S' io non amassi te, né il cor potrei
Né le pupille amar degli occhi miei.
61 E par che le soggiunga: Io son venuto
Per battezzarmi, e far quanto ho promesso;
E s* io son stato tardi, m' ha tenuto
Altra ferita, che d'amore, oppresso.
Fuggesi in questo il sonno, né veduto
È più Ruggier, che se ne va con esso.
Rinnova allora i pianti la donzella,
E nella mente sua cosi favella:
62 Fu, quel che piacque, un falso sogno: e questo
Che mi tormenta, ahi lassa ! é un veggiar vero.
Il ben fu sogno a dileguarsi presto;
Ma non é sogno il martire aspro e fiero.
Perch* or non ode e vede il senso desto
Quel eh' udire e veder parve al pensiero ?
A che condizione, occhi miei, sete,
Che chiusi il ben, e aperti il mal vedete?
63 II dolce sonno mi promise pace ;
Ma r amaro veggiar mi torna in guerra :
Il dolce sonno è ben slato fallace ;
Ma r amaro veggiare, oimè ! non erra.
Se '1 vero annoia, e il falso si mi piace,
Non oda o vegga mai più vero in terra :
Se 'l dormii* mi dà gaudio, e il veggiar guai^
Possa io dormir senza destarmi mai.
Tq^^?5rLT
CaMTQ tRENtBSiatOTER20. 223
64 Oh felici animai eh* un sonno forte
Sei mesi tien senza mai gli occhi aprire!
Che s' assimigli tal sonno aHa morte ,
Tal vegglare alla vita , io non vo' dire ;
Cfa' a tutl' altre contraria la mia sorte
Sente morte a veggiar, vita a dormire :
Ma s' a tal sonno morte s' assimiglia,
Deh, Morte, or ora chiudimi le cigliai
65 Deir orizzonte il Sol fatte avea rosse
L'estreme parti, e dileguate intorno
S* eran le nubi, e non parea che fosse
limile air altro il cominciato giorno ;
Quando svegliata Bradamante armosse,
Per fìne a tempo al suo cammin ritorno,
^ «Rendule avendo grazie a quel signore
Del buono albergo e dell' avuto onore.
66 £ trovò che là donna messaggiera ,
Con damigelle sue, con suoi scudieri
Uscita della ròcca , venut' era
Là dove V attendean quei tre guerrieri ;
Quei che con V asta d' oro essa la sera
Fatto avea riversar giù dei destrieri,
£ che patito avean con gran disagio
La notte V acqua e il vento e il ciel malvagio.
67 Arroge a tanto mal, eh' a corpo voto
£d essi e i lor cavalli eran rimasi.
Battendo i denti e calpestando il loto ;
Ma quasi lor più incresce, e senza quasi
Incresce e preme più, che farà nolo
La messaggiera, appresso agli altri casi.
Alla sua donna, che la prima lancia
Oli abbia abbattuti, e' han trovala in Francia.
68 £ presti 0 di morire, o di vendetta
Subito far del ricevuto oltraggio.
Acciò la messaggiera che fu detta
UUania, che nomata più non aggio.
La mala opinion eh' avea concetta
Forse di lor, si tolga del coraggio,
La figliuola d' Amon sfidano a giostra
Tosto che fuor del ponte ella si mostra )
a% ÒBLÀNDO FUBlOSd.
69 Non pensando però che sia donzella;
Che nessan gesto di donzella avea.
Bradamante ricasa, come qaella
Gh*in fretta già, né soggiornar volea.
Par tanto e tanto for molesti, eh' ella,
Che negar senza biasmo non potea»
Abbassò V asta, ed a tre colpi in terra
Li mandò tolti ; e qai fini la guerra :
70 Che senza più roltarsi mostrò loro
Lontan le spalle, e dilegaossi tosto.
Quei che, per guadagnar lo scado d'oro,
Di paese venian tanto discosto,
Poi che senza parlar ritti si foro.
Che ben l'avean con ogni ardir deposto,
Stupefatti parean di maraviglia,
Né verso UUania ardian d' alzar le ciglia;
7i Che con lei molte volte per cammino
Dato s' avean troppo orgogliosi vanti :
Che non è cavalier né paladino
Ch' al minor di lor tre durasse avanti.
La donna, perchè ancor più a capo chino
Vadano, e più non sian cosi arroganti.
Fa lor saper che fu femmina quella^
Non paladin, che li levò di sella.
lì Orche dovete, diceva ella, quando
Cosi v'abbia una femmina abbattuti.
Pensar che sia Rinaldo o che sia Orlando,
Non senza causa in tant' onore avuti ?
S'un d'essi avrà lo scudo, io vi domando
Se migliori di quel che siate suti
Contra una donna, centra lor sarete?
Non credo io già^ nò voi forse il credete.
73 Questo vi pu6 bastar ; né vi bisogna-
Dei f*lor vostro aver più chiara prova :
£ quel di voi, che temerario agogna
Far di sé in Francia esperienza nuova.
Cerca giungere il danno alla vergogna
In che ieri ed oggi s' è trovato e trova ;
Se forse egli non stima utile e onore,
Qualor per man di tai guerrier si muore.
'■■Y.">'-^
CANtO TRENTESIMOTÉRZO. 12^
74 Poi ch« ben certi i cavalieri fece
Ullania, che quell'era una donzella,
La qaal fatto avea nera più che pece
La fama lor, ch'esser solca si bella;
£ dove una bastava, più di diece
Persone il detto confermar di quella ;
Essi fur per voltar V arme in sé stessi ,
Da tal dolor, da tanta rabbia oppressi.
75 E dallo sdegno e dalla furia spinti,
L' arme si spoglian , quante n' hanno indosso ;
Né si lascian la spada onde eran cinti,
E del Castel la gittano nel fosso ;
E giuran, poi che gli ha una donna vinti,
E fatto sul terren battere il dosso,
Che, per purgar si grave error, staranno
Senza mai vestir 1* arme intero un anno ;
76 £ che n'andranno a pie pur tuttavia,
O sia la strada piana , o scenda e saglia ;
Né, poi che V anno anco finito sia,
Saran per cavalcare o vestir maglia,
S'altr'arme, altro destrier da lor non fia
Guadagnato per forza di battaglia.
Cosi senz'arme, per punir lor fallo.
Essi a pie se n' andar, gli altri a cavallo.
77 Bradamante la sera ad un castello
Ch'alia via di Parigi si ritrova,
Di Carlo e di Rinaldo suo fratello,
Ch'avean rotto Agramante, udi la nuova.
Quivi ebbe buona mensa e buono ostello :
Ma questo ed ogni altro agio poco giova ;
Che poco mangia, e poco dorme, e poco,
Non che posar, ma ritrovar può loco.
7S Non però di costei voglio dir tanto,
Ch' io non ritorni a quei duo cavalieri
Che d' accordo legato aveano accanto
La solitaria fonte i duo destrieri.
La pugna lor, di che vo' dirvi alquanto,
Non è per acquistar terre né imperi ;
Ma perchè Durindana il più gagliardo
Abbia ad avere, e a cavalcar fiaìardo.
226 ORLANDO FURIOSO.
79 Senza che tromba o segno altro accennasse
Quando a muover s' avean, senza maestro
Che lo schermo e '1 ferir lor ricordasse,
£ lor pungesse il cor d' animoso estro,
L' uno e V altro d' accordo il ferro trasse,
£ si venne a trovare agile e destro.
I spessi e gravi colpi a farsi udire
Incominciare, ed a scaldarsi l'ire.
SO Due spade altre non so, per prova elette
Ad esser ferme e solide e ben dure,
Ch' a tre colpi di quei si fosser rette,
Ch'erano fuor di tutte le misure:
Ma quelle fur di tempre si perfette.
Per tante esperienzie si sicure.
Che ben poleano insieme riscontrarsi
Con mille colpi e più, senza spezzarsi.
81 Or qua Rinaldo or là mutando il passo
Con gran destrezza, e molta industria ed arte,
Fuggia di Durindana il gran fracasso ;
Che sa ben come spezza il ferro e parte.
Feria maggior percosse il re Gradasso ;
Ma quasi tutte al vento erano sparte :
Se coglieva talor, coglieva in loco
Ove pelea gravare e nuocer poco.
82 L' altro con più ragion sua spada inchina,
£ fa spesso al pagan stordir le braccia ;
£ quando ai fianchi e quando ove confina
La corazza con l'elmo, gli la caccia:
Ma trova l' armatura adamantina ;
Si eh' una maglia non ne rompe o straccia.
Se dura e forte la ritrova tanto,
Avvien perch' ella é fatta per incanto.
83 Senza prender riposo erano stati
Gran pezzo tanto alla battaglia fisi.
Che volti gli occhi in nessun mai de' lati
Aveano, fuor che nei turbati visi ;
Quando da un'altra zuffa distornati,
£ da tanto furor furon divisi.
Ambi voltare a un gran strepito il ciglio,
£ videro Baiardo in gran periglio.
1
J
CANTO TRENTESIHOTEBZO. 227
84 . Vider Baiardo a zaffa con un mostro
Ch'era più di lui grande, ed era augello :
Avea più lungo di tre braccia il rostro;
V altre fattezze avea di vipistrello ;
Avea la piuma negra come inchiostro y
Avea V artìglio grande, acuto e fello :
Occhi di fuoco, e sguardo avea crudele ;
L'ale avea grandi, che parean due vele.
85 Forse era vero auge! ; ma non so dove
O quando un altro ne sia stato tale.
Non ho veduto mai, nò letto altrove,
Fuor eh' in Turpin, d' un sì fatto animale.
Questo rispetto a credere mi muove
Che r augel fosse un diavolo infernale
Che Malagigi in quella forma trasse,
Acciò che la battaglia disturbasse.
86 Rinaldo il credette anco, e gran parole
E sconce poi con Malagigi n' ebbe.
Egli già confessar non glie lo vuole ;
£ perchò tor di colpa si vorrebbe,
Giura pel lume che dà lume al sole.
Che di questo imputato esser non debbo.
Fosse augello o demonio, il mostro scese
Sopra Baiardo, e con 1* artiglio il prese.
87 Le redine il destrier, eh' era possente,
Subito rompe, e con sdegnò e con ira
Centra l' augello i calci adopra e '1 dente ;
Ma quel veloce in aria si ritira :
Indi ritorna, e con l' ugna pungente
Lo va battendo, e d' ogn' intorno aggira.
Baiardo offeso, e che non ha ragione
Di schermo alcun, ratto a fuggir si pone.
88 Fugge Baiardo alla vicina selva,
E va cercando le più spesse fronde.
Segue di sopra la pennuta belva
Con gli occhi fisi ove la via seconde :
Ma pure il buon destrier tanto s' inselva,
Ch' alfin sotto una grotta si nasconde.
Poi che l'alato ne perdo la traccia.
Ritorna in «ìelo, e cerca nuova caccia.
229 OBLANDO PORIOSO.
89 Rinaldo e '1 re Gradasso, che partir^
Veggono la cagion delia lor pugna,
Restan d' accordo quella differire
Finché Raiardo salvino dall' ugna
Che per la scara selva il fa fuggire ;
Con patto, che qnal d'essi lo raggingna,
A quella fonte lo restituisca,
Ove la lite lor poi si fluisca.
90 Seguendo, si partir dalla fontana, -
1/ erbe novellamente in terra peste.
Molto da lor Raiardo s' allontana ,
Ch'ebbon le piante in seguir lui mal preste
Gradasso, che non lungi avea F Alfana,
Sopra vi salse, e per quelle foreste
Molto lontano il paladin lasciosse.
Tristo e peggio contento che mai fosse.
91 Rinaldo perde Torme in pochi passi
Del suo destrier, che fé strano viaggio ;
Ch'andò rivi cercando, arbori e sassi,
Il più spinoso luogo, il più selvaggio.
Acciò che da quella ugna si celassi.
Che cadendo dal ciel gli facea oltraggio.
Rinaldo, dopo la fatica vana.
Ritornò ad aspettarlo alla fontana ;
92 Se da Gradasso vi fosse condotto.
Si come tra lor dianzi si convenne.
Ma poi che far si vide poco frutto.
Dolente é a piedi in campo se ne venne.
Or torniamo a queir altro, al quale in tutto
Diverso da Rinaldo il caso avvenne.
Non per ragion, ma per suo gran destino
Senti annitrire il buon destrier vicino ;
93 £ lo trovò nella spelonca cava,
Dall'avola paura anco si oppresso,
Ch' uscire allo scoperto non osava :
Perciò r ha in suo potere il pagan messo.
Ren della convenzion si raccordava,
Ch'alia fonte tornar dovea con esso;
Ma non è più disposto d'osservarla,
£ cosi in mente sua tacito parla:
cìnto TRENTBSmOTBRZO. 229
94 Abbial chi aver lo vool con lite e guerra;
Io d'averlo con pace più disio.
Dall' ano all' altro* capo della terra
Già venni, e sol per far Baiardo mio.
Or ch'io l'ho in mano, ben vaneggia ed erra
Chi crede che depor lo voless' io.
Se Rinaldo lo vuol, non disconviene,
Come io già in Francia , or s' egli in India viene.
95 Non men sicura a lui fia Sericana,
Che già dae volte Francia a me sia stata.
Cosi dicendo, per la via più piana
Ne venne in Arli, e vi trovò l'armata;
E quindi con Baiardo e Durindana
Si parti sopra una galea spalmata.
Ma questo a un'altra volta; ch'or Gradasso,
Rinaldo e tutta Francia addietro lasso.
96 Voglio Astolfo seguir, eh' a sella e a morso
A uso facea andar di palafreno
L' Ippogrifo per l' aria a si gran corso,
Che r aquila e il falcon vola assai meno.
Poi che de' Galli ebbe il paese scorso
Da un mare all' altro, e da Pirone al Reno,
Tornò verso Ponente alla montagna
Che separa la Francia dalla Spagna.
97 Passò in Navarra, et indi in Aragona,
Lasciando a chi '1 vedea gran maraviglia.
Restò lungi a sinistra Tarracona,
Biscaglia a destra, ed arrivò in Castiglia.
Vide Gallizia e '1 regno d' Ulisbona ;
Poi volse il corso a Cordova e Siviglia :
Nò lasciò presso al mar né fra campagna
Città, che non vedesse tutta Spagna.
9S Vide le Gade, e la meta che pose
Ai primi naviganti Ercole invitto.
Per r Africa vagar poi si dispose
Dal mar d' Atlanle ai termini d' Egitto.
Vide le Baleariche famose,
£ vide Eviza appresso al cammin dritto.
Poi volse il freno, e tornò verso Arzilla
Spvra '1 mar che da Spagna dipartilla.
II. 20
m Tlde Marocco, Fen, Orano, Ippona,
Afaper, Boiea, lolle dui sopeibe,
C banDO d* allre ciUà UHle coroBa ,
Corona d' oro, e non di fronde o d' erbe.
Terso Biserta e Tnnìgi poi sprona :
Tide Capisse e l'isola d' Allerte,
E Tripoli e Bemicche e Tolomitla,
Sin dorè il Nilo in Asia si Iragilta.
100 Tra la manna e la siirosa schena
Del fiero Atlante Tide ogni contrada.
Poi die le spalle ai monti di Carena,
E sopra i Cirenei prese la strada ;
E Ira versando i campi dell' arena.
Venne a' confin di Nobia in Albaiada.
Rimase dietro il cimiter di Batto,
E '1 gran tempio d' Amon, ch'oggi è disfatto.
KM Indi gìanse^ad un' altra Tremisenne,
Che di Maometto por segue lo stilo.
Poi Tolse agli altri Etiopi le penne.
Che con tra questi son di là dal Nilo.
Alla città di Nobia il cammin tenne
Tra Dobada e Coalle in aria a filo.
Questi Cristiani son, quei Saracini ;
E stan con l' arme in man sempre a' confioi.
102 Senapo imperator della Etiopia,
Ch' in loco tien di scettro in man la croce,
Di gente, di ciltadi e d'oro ha copia
Quindi fin là dove il Mar Rosso ha foce ;
E serva quasi nostra Fede propia,
Che può salvarlo dall' esilio atroce.
Gli é, 8* io non piglio errore, in questo loco
Ove al batlesmo loro usano il fuoco.
403 Dìsmontò il duca Astolfo alla gran corte
Dentro di Nubia, e visitò il Senapo.
Il castello é più ricco assai che forte.
Ove dimora d' Etiopia il capo.
Le catene dei ponti e delle porte,
Gangheri e chiavislei da piedi a capo, .
E finalmente tutto quei lavoro
Che noi di ferro usiamo, ivi asan d'oro.
CANTO tKENtESlMOTER^O. 231
104 Ancorché del finissimo metallo
Vi sia tale abbondanza, è por in pregio.
Colonnate dì limpido cristallo
Son le gran logge del palazzo regio.
Fan rosso, bianco, verde, azzurro e giallo
Sotto ì bei palchi un relucente fregio,
Divisi tra proporzionati spazj ,
Rubin, smeraldi, zaffiri e topazj.
105 In mora, in tetti, in pavimenti sparte
Eran le perle, eran le ricche gemme.
Quivi il balsamo nasce ; e poca parte
N' ebbe appo questi mai Gerusalemme.
Il muschio eh' a noi vien, quindi si parte;
Quindi vien T ambra, e cerca altre maremme:
Yengon le cose in somma da quel canto,
Che nei paesi nostri vaglion tanto.
106 Si dice che '1 Soldan, re dell'Egitto,
A quel re dà tributo, e sta soggetto,
Perch' è in poter di lui dal cammin dritto
Levare il Nilo, e dargli altro ricetto, -
E per questo lasciar subito afflitto
Di fame il Cairo e tutto quel distretto.
Senapo detto è dai sudditi suoi :
Gli diciam Presto o Preteianni noi.
107 Di quanti re mai d' Etiopia foro.
Il più ricco fu questi e il più possente ;
Ma con tutta sua possa e suo tesoro^
Gli occhi perduti avea miseramente.
E questo era il minor d' ogni martore :
Molto era più noioso e più spiacente.
Che, quantunque ricchissimo si chiame,
Cruciato era da perpetua fame.
lOS Se per mangiare o ber quello infelice
Venia cacciato dal bisogno grande ,
Tosto apparia F infornai schiera ultrice.
Le monstruose Arpie brutte e nefande,
Che col grifo e con Y ugna predatrice
Spargeano i vasi, e rapian le vivande;
E quel che non capìa lor ventre ingordo,
Vi rimanea contaminato e lordo.
232 ORLANDO POIIOSO.
iO» £ questo, perch' essendo d' anni acerbo,
£ vistosi levato in tanto onore,
Che, oltre alle ricchezze, di più nerbo
£ra dì totti gli altri, e di più core;
Divenne, come Lacifer, superbo,
£ pensò muover guerra al suo Fattore.
Con la sua gente la via prese al dritto
Al monte ond' esce il gran fiume d'Egitto.
110 Inteso avea che su quel monte alpestre,
Ch' oltre alle nubi e presso al ciel si leva,
£ra quel paradiso che terrestre
Si dice, ove abitò già Adamo ed £va.
Con cammelli, elefanti, e con pedestre
Esercito, orgoglioso si moveva
Con gran desir, se v' abitava gente.
Di farla alle sue leggi ubbidiente.
Ili Dio gli rìpresse il temerario ardire,
E mandò TAngel suo tra quelle frotte.
Che cento mila ne fece morire,
E condannò lui di perpetua notte.
Alla sua mensa poi fece venire
L' orrenda mostro dall' infornai grotte.
Che gli rapisce e contamina i cibi,
Né lascia che ne gusti o ne delibi.
112 Ed in disperazion continua il messe
Uno che già gli avea profetizzato
Che le sue mense non sanano oppresse
Dalla rapina e dall' odore ingrato.
Quando venir per l' aria si vedesse
Un cavalier sopra un cavallo alato.
Perchè dunque impossibil parea questo,
Privo d' ogni speranza vivea mesto.
113 Or che con gran stupor vede la gente
Sopra ogni muro e sopra ogni alta torre
Entrare il cavaliero, immantinente
£ chi a narrarlo al re di Nubia corre,
A cui la profezia ritorna a mente ;
Ed obbliando per letizia torre
La fedel verga, con le mani innante
Vien brancolando al cavalier volante.
CANTO TBENTfiSIMOTERZO. 233
il4 Astolfo nella piazza del castello
Con spaziose roote in terra scese.
Poi che fo il re condotto innanzi a qaello,
Ingìnocchiossi, e le man giunte stese,
E disse: Angel di Dìo, Messia novello,
S'io non merto perdono a tante offese.
Mira che proprio è a noi peccar sovente,
A voi perdonar sempre a chi si pente.
115 Del mio error consapevole, non chieggio
Nò chiederti ardirei gli antiqui lami.
Che ta lo possa far, ben creder deggio ;
Che sei de' cari a Dio beali nami.
Ti basti il gran martir ch'io non ci veggio.
Senza eh' ognor la fame mi consumi.
Almen discaccia le fetide Arpie,
Che non rapiscan le vivande mie :
m E di marmore un tempio ti prometto
Edificar dell'alta reggia mia.
Che tutte d' oro abbia le porte e '1 tetto,
E dentro e fuor di gemme ornato sia ;
£ dal tuo santo nome sarà detto,
£ del miracol tuo scolpito fia.
Cosi dicea quel re che nulla vede.
Cercando invan baciare al duca il piede.
117 Rispose Astolfo : Né l' angel di Dìo,
Né son Messia novel, né dal ciel vegno;
Ma son mortale e peccatore anch'io.
Di tanta grazia a me concessa indegno.
Io farò ogni opra, acciò che '1 mostro rio.
Per morte o fuga, io ti levi del regno.
S'io il fo, me non, ma Dio ne luda solo.
Che per tuo aiuto qui mi drizzò il volo.
US Fa questi voti a Dio, debiti a lui ;
A lui le chiese edifica e gli altari.
Cosi parlando, andavano ambidui
Verso il castello fra i baron preclari.
lì re comanda ai servitori sui.
Che subito il convito si prepari.
Sperando che non debba essergli tolta
La vivanda di mano a questa volta.
20*
234 OnLANDO FURIOSO.
H9 Dentro ona ricca sala immantinente
Apparecchiossi il convito solenne.
Col Senapo s' assise solamente
Il duca Astolfo y e la vivanda venne.
Ecco per V aria lo strider si sente.
Percossa intorno dall' orribìl penne;
Ecco venir V Arpie brotte e nefande.
Tratte dal cielo a odor delle vivande.
420 Erano sette in nna schiera, e tatto
Volto di donne avean, pallide e smorte,
Per lunga fame attenuate e asciatte,
Orribili a veder più che la morte.
L' alaccie grandi avean , deformi e brotte ;
Le man rapaci, e V agno incurve e torte ;
Grande e fetido il ventre, e lunga coda.
Come di serpe che s' aggira e snoda.
i2l Si sentono venir per V aria, e quasi
Si veggon tutte a an tempo in su la mensa
Rapire i cibi, e riversare i vasi :
£ molta feccia il ventre lor dispensa.
Talché gli è forza d' atturare i nasi ;
Che non si può patir la puzza immensa.
Astolfo, come Tira lo sospinge,
Contra gF ingordi augelli il ferro stringe.
422 Uno sul collo, un altro su la groppa
Percuote, e chi nel petto, e chi nell'ala;
Ma come fera in s' un sacco di sloppa,
Poi langue il colpo, e senza effetto cala ;
E quei non vi lasciar piatto né coppa
Che fosse intatta ; né sgombrar la sala
Prima che le rapine e il fiero pasto
Contaminato il tutto avesse e guasto.
d23 Avuto avea qnel re ferma speranza
Nel duca, che 1* Arpie gli discacciassi ;
Ed or che nulla ove sperar gli avanza.
Sospira e geme, e disperato stassi.
Viene al duca del corno rimembranza.
Che suole aitarlo ai perigliosi passi ;
E conchiude tra so, che questa via
Per discacciare i mostri ottima sia.
CANtO tRENTESntOTBB20. 235
424 E prima fa che '1 re, con saoi baroni,
01 calda cera Y orecchia si serra,
Acciò che talli, come il corno suoni,
Non abbiano a fuggir fuor della terra.
Prende la briglia, e salta sa gli arcioni
Dell' Ippogrifo, ed il bel corno afferra ;
£ con cenni allo scalco poi comanda
Che riponga la mensa e la vivanda.
126 £ cosi in una loggia s' apparecchia
Con altra mensa altra vivanda nuova.
Ecco r Arpie che fan V usanza vecchia :
Astolfo il corno subito ritrova.
Gli augelli, che non han chiusa V orecchia,
Udito il suon , non puon slare alla prova ;
Ma vanno in fuga pieni di paura.
Nò di cibo nò d' altro hanno più cura.
126 Subito il paladin dietro lor sprona :
Volando esce il destrier fuor della loggia,
£ col Castel la gran città abbandona,
£ per l'aria cacciando ì mostri, poggia.
Aslolfo il corno tutlavolta suona ;
Fuggon r Arpie verso la zona roggia.
Tanto che sono all' altissimo monte.
Ove il Nilo ha, se in alcun luoigo ha, fonte
127 Quasi <lella montagna alla radice
£ntra sotterra una profonda grolla.
Che certissima porta esser si dice
Di eh' allo 'nferno vuol scender talotta.
Quivi s'ò quella turba predatrice.
Come in sicuro albergo, ricondotta,
£ già sin di Cocito in so la proda
Scesa, e più là, dove quel suon non oda.
12S All' infemal caliginosa buca
Ch'apre la strada a chi abbandona il lume,
Fini l'orribil suon l'inclito duca,
£ fé raccorre al suo destrier le piume.
Ma prima che più innanzi io lo conduca.
Per non mi dipartir dal mio costume,
Poichò da tulli i lati ho pieno il foglio ,
Finire il Canto, e riposar mi voglio.
236
OILANDO FUIIQSO.
«OTX.
A. 4 . P. 1-4. — Timmg9ra, Parrom
jf9 «r. Degli aaddii pittori qui n«Miii-
W0f etco bvmssimi ceoni; gli umi in
cai viiscio deUbono inteadeni STaati
Tera volgale. 7*im«f9ra di Caldde tu
eoBtnnponoeo di Paocao firatello di Ft-
dia^egaveggiò eoo esso lai.-' P«rr««la,
■alo in Efeso, cmolo di Zeui, 6oriva
▼eno il 4)0. — Poligmoto di Taso, isola
dell' Arcìpebgo, Tirerà intorno al 443,
e Al de' primi ad osare i colori. — Pro»
togene, nato a Caooo» cittì di Caria di-
pendente da Rodi , era in fiore circa il
336... TimtanU creden nato a Cidna,
una delle Cidadi, verso il 400| riva-
leggiò eoo Ferrano ecco altri rinomati
artisti di qoella tÙi,^'jipollodoro, ate-
nieae, era in gran fama circa il 4S8. —
jtpetU, oatÌTO di Coo, e cittadino di
Efeso, osenrò gli artisti die Io aTcrano
preoedntoi riveTa ai tempi di Alessan-
dro il Macedone. -^ Zemsi ebbe i natali
in Eradea, e contese la palma a Parra-
sio e ad ApoUodoro sooi contempo-
ranei.
IpL p, ò,-^ Cleto f nna delle tre
Paidie.
St. S. i^. 1-5. — E quei che furo ai
nostri dì ee. Seguono i nomi di alcnoi fra
gli artisti chiari nei tempi più Ticini al
Poete. Leonardo^ detto da Vinci, dal
luogo ore nacque nel 145S, e non nel
1446, come leggesi in alcune vite, fu io-
signe pittore, e anche idraulico ed archi-
tetto militani mori in Francia nel 1519.
— Jmdrom Mantogna, nato in Padova
nel 1430, lavorò molto in Mantova, ed
aveva cessato di vivere nel 1 605.— Gian
Boliino nacque in Vanesia nel 1436, e di
79 anni dipingeva uno de' suoi capi
d' opere che adornano il Louvre.— /!7«o
Dosai. Erano fratelli e ferraresi, uno di
nome Bosso, l'altro Giambattista,
Dosso wieqoe od 1474, fu grande amico
del Poeta «a cui fece il ritratto . Giambat-
tista era paesista, e lavorò assai pel duca
Alfonso. — Michel, pia che mortab,
jimgel dimmo : a Bnonarroti, eh' ebbe i
natali in Caprese del territorio ▲telino,
neir anno 1474; fu gigante ndle tre
arti sorelle, e cessò di vivere in Roma
nd 1564. -^ Bastiano t pin conoscìnto
sotto il nome di SdbasUumo delPiomhOt
benché Luciano fosse il vero sno nome.
Ebbe a patria Venesia, ove nacque nd
1485, e mori in Roma nd 1647. —
Rafael: Rafaello Sansio, nato in Urbino
nd 1483, pittore non ancora eguagliato
da alcuno I mancò ai viventi nd 16S0.
— Tiùam Tisiano Tecellio, nato nel
1477 a Pieve di Cadore, fu a piò fllo-
stre pennello ddla scuola veneta s il
contagio lo tolse di vita nd 1576.
St. 4. V. 6-7. — jil lago Aporno t
lago die tuttora esiste nei contorni di
Possuoli, e conserva lo stesso nome.
Ivi posero i mitologi l' ingresso eli' in-
fèrno. — Alle Nursine grotte. Indica
qui il Poeta nd numero del più una
groUa detu della Sibilla, che aprasi
sul monte San Vittore, presso ad un la-
go, nd territorio di Norcia, t dove cre-
devasi che si adunassero k streghe per
fan i loro incantesimi.
St. 7. V. 6. — Al franco re eh' a
Marcomir successe. Vedaai la nota alla
St. 83 del Canto precedente.
St. 8. 9. %.^Ch' ambi a ttn tempo
fUro. È questa una finsione del Poeta t
perchb Fieramonte o Faramondo visse
un secolo prima del re Arturo.
St. 9. V. 5-8. -^i^r lui: da Merlino.
~~Saperfeee il periglio A Fieramonte,
a che di molti guai ee.t costmiscix/ètfe
sapere a Fieramente il periglia di
molti guai, a che porrà sua gente. —
Nella terra eh' Apennin parte oca
neir Italia.
St. 13. p. 9.8 Singiberta Fa lor
veder ee. Vuol dire che Maurisio, im»
peratore di Costantinopoli, adescò con
denaro il re di Francia Singiberto a
CANTO TRENTE91H0TERZ0.
237
icendere in Italia per cacciarne i Lon-
gobardi. — Dai monte di Giove: uno
de' passaggi alpini per cni si Tiene nella
Panisola. Nel pian dal Lambro e dal
TUino aperto: intendasi ne/Za pianura,
iembarda: il Lambro h fiume che scorre
▼■tino a Monsai il Ticino procede dal
Lago Maggiore» e toccando Pavia, mette
foce nell'Adriatico. — Vedete Eutar ee.
Entari o Autari, re longobardo, fu
quello che battb e disfece Singiberto.
St. i4. V. iJè. — Fedete Clodo-
990 ec. Rammenta un altro re di Fran-
cia cbe condusse per l'Alpi numeroso
eacrcito alla conquista d'Italia; ma re-
stò sconfitto da Grìmoaldo» duca di Be*
novcBto, che, con finta ritirata e con la-
sciare negli alloggiamenti molti viveri
e Tino assai, adescò i soldati francesi ad
incbbriarsii e così gli distrusse.
St, 15. 9. 1-8. — £cco in Italia
Childiberto ee. Questi fu aio di Glodo-
vco| ed a vendicare la morte del nipote
fece scendere in Lombardia tre corpi
d'armata» i quali perirono quasi intie-
ramente per la spada del cielj cioè di
caldo e di dissenteria.
«Si. 16. 9, \'%,^Mostra Pipino^ e
moMtra Carlo appretto ee. Pipino e il
figlinol suo Carlo Magno vennero suc-
cessivamente in Italia a sostenere i papi
qui nominati contro i re Longo)>ardì.
Aistnlfo fu vinto da Pipino; e Carlo
Magno soggiogò e fece prigione il re
Desiderio, dando cosi fine a quel regno.
Su 17. V. 1-8. —Xor mostra ap^
presso un giovene Pipino ec. Ora il
Poeta introduce Pipino, figlio di Carlo
Magno, il quale movendo contro i Ve-
neziani, occupò un tratto di paese, dalle
Fornaci^ cioè dalla foce del Po detta
Bocca di Fessone, all'isola stretta e
bislunga che anche in oggi chiamasi Xi-
do di Palestina. Dopo ch'egli si fu im-
padronito delle isolette circostanti a
Ycnesia, fece gettare a Malamocco un
ponte di, legno per cut giunse presso
Rialto, dove combattè; e ritirandosi,
trovò il ponte disfatto dalla burrasca.
onde i suoi ebbero gravissima perdita.
St, 18. V, 1.-8.-» fcco Luigi Borm
gognon ee. Venne anche costui in Ita-
lia per farsela sua; ma vinto e preso
da Berengario I, riebbe la libertli sotto
promessa di non più muovere a danno
della Penisola ; ed avendo rotta la data
fede, fa preso di nuovo dal secondo Be-
rengario; e privato degli occhi, fu ri-
mandato in Borgogna. — Talpe gettai»
pa. Si credeva in que'tempi che a cosi
fatti animali fosse impedito da una pel-
licola l' organo della vista.
Si. 19. V. 1-8. -- Fedete un Ugo
d*Jrli ec. Berengario II, detronissato
da Rodolfo re di Borgogna , si rivolse
agli Unni o Uogheri , perchè lo soste-
nessero contro quel re; dai quali egli
mal difendendosi per la sua dappocag-
gine, gì' Italiani ricorsero ad Ugo conte
di Arli, che, riuscito nell'impresa, re-
gnò per dieci anni. Ma venuto anch'agli
nell'odio de' sudditi, dovè pattuire eoa
Berengario III, il quale dopo la morte
di Ugo e del di lui figlio Lottario, riebbe
il dominio d' Italia.
St. 20. V. 1-8.— Fedete un altro
Carlo ec.Fu questi Carlo d'Angiò, fra-
tello di Luigi IX re di Francia, che invi-
tato da Clemente IV discese in Italia; ed
avendo combattuto e vinto Manfredi a
Benevento, poi Corredino a Tagliacos-
lo, usurpò il regno di Napoli e la Sici-
lia, dove per le oppressioni dei Francesi
scoppiò la rivolta conosciuta sotto il
nome di Fespro Siciliano.
«re. Si. v.^'^.—Scender dai monti
un capitano Gallo ec. Il conte d'Arma-
gnac, detto nella Stanza seguente Jr»
meniaco. Venuto in Italia come alleato
de' Fiorentini coptro Galeazao Visconti
duca di Milano, fu preso in messo sotto
Alessandria, ed ivi battuto e rimasto
prigioniero, mori poco appresso, per le
riportate ferite.
St. 23. V. 1-8.— Un, detto della
Marca : Iacopo di Borbone, conte della
Marca. Fu marito della regina Giovan-
na, che poi lo scacciò dal regno, e adottò
238
ORLANDO FURIOSO.
Alfonso d'Aragona, il qoale sconfisse
succcssÌTainente Luigi e Rinieri d*An-
giò, pretendenti al regno di Napoli.
Morto Alfonso , il di lai figlio Ferran-
te, che gli succedette, vinse Giovanni
d'Angiò che contrastavagli il trono.
St.ii.vA'S.— Vedete Carlo otta"
PO ec. Parlasi della discesa di Carlo Vili
in Italia, il «piale dopo aver passato il
Liri, cio^ il Garìgliano, occupò senca
contrasto il reame di Napoli , meno 1* i«
sola d' Ischia (qui e nella St. 53 del
Canto XXVI detta scoglio, e monte
neHa St. 33 delCanto XVI), difesa da
laico del Vasto del sangue degli Avalos.
St, 37. V. 7-8.-^ Un cavaliero éc.
Accenna il marchese del Vasto, figlinolo
d' Inico nominato più sopra.
St. 38. V, 1-8. — ^Paragona le qualità
del marchese del Vasto a quelle che
Omero attribuisce a Nireo, ad Achille,
ad Ulisse e a Nestore, e che la Storia
òìl a Cesare. — Lada : velocissimo cur-
sore di Alessandro il Macedone.
St. 39. V. 3.4. — Quando il nipo'
te ec. Giove figliaolo di Saturno, ch'era
figlio di Celo e di Opi, ebbe i natali in
Creta, secondo i mitologi.— Dei dao gC"
melli Deh: Apollo e Diana, nati ad un
parto in queir isola da Latona, che
trovò ivi refugio dall' ira di Giunooe.
St. 31. V, 1-8. — Ecco, dicea, si
pente Ludovico. Lodovico Sforsa, emu-
lo di Alfooso d' Aragona, eccitò Car-
lo Vili a veuire in Italia. — Ecco la
lancia ec. Vedi nella nota alla St. 60
del Canto XIII il passaggio apertosi da
Carlo fra le schiere nemiche.
St. 33. f • 1-6. — Ma la suagenteec.
Ferrante figlio di Alfonso, con l' aiuto
de'Venetiani e del marchese di Man-
tova, cacciò intieramente dal regno i
Francesi; e 1* ultimo fatto d'armi a ciò
relativo fu la battaglia d'Atella, accen-
nata nella suddetta nota 60 del Can-
to XIII.
St, 33. V. 6-8. — Con un trattato
doppio il rio Etiope ec. Il marchese di
Pescara avea guadagnato con denaro un
negro schiavo neiresercito francese, che
gli promise d' introdurre gli Aragonesi
nel Castel Nuovo di Napoli; ma il aie-
grò, doppiamente traditore, scoperse
il tatto ai Francesi, e prexsolato, uccise
insidiosamente il Pescara.
St, 34. V, 1.8.— Poi mostra il dmo^
decimo Luigi ec. Luigi XII redi FraB->
eia, sceso in Italia circa il 1499, cacciò
Lodovico Sforsa dal ducato di Milano,
e quindi si volse ad occupare il regno
di Napoli ; ma le sue genti furono rotte
e disperse dagli Aragonesi al passaggio
del Garìgliano.
«y^35.c^.l-8.— Vedete in Paglia ec.
Si allude alla battaglia della CirignoU
vinta dagli Aragonesi sulle truppe di
"Fnnci»,— 'Nel ricco pian ec: nella pia-
nura lombarda.— i^</ria «£ri«/e.*rAdria-
tico percuote la spiaggia fremendo. *
St. 36. V. 3-6. — E mostra ttno che
vende ec. Bernardino da Corte, a coi
Io Sforza aveva affidata la custodia del
castello di Milano, lo cedb per danaro ai
Francesi. — Mostra il perfido Svizte^
ro. Vedi sullo Sforsa tradito dagli Svis-
ceri, la nota alla St. 63 del Canto XIII.
St. 37. V. 1-8.— Poi mostra Cesar
Borgia ee. Questo famoso ribaldo, fi-
gliuolo di papa Alessandro VI, sposata
ch'egli ebbe una parente del re di Na-
varrà, e divenuto signore di Romagna,
pose in opera ferro e veleno contro i
Colonnesi, i Gaetani, gli Orsini; spense
i Varano da Camerino, e tolse lo stalo
a molti baroni, fra i quali i Malatesta
di Rimini, i Manfredi di Faensa, Gio-
vanni Sforsa di Pesaro e Guidobaldo
di Montefeltro. — Poi mostra il re ec.
Parla ancora di Luigi XII, che dopo
avere espulsi di Bologna i Bentivoglio,
lo stemma de' quali presentava una «e-
ga, fece rientrare quella cittk sotto il
dominio di papa Giulio II, indicato con
l'emblema delle Giande nella St.4del
Canto XIV.
St. 38. V. i-l,^ Vedete, dice poi,
di gente morta ee. Accenna alla gior-
nata di Ghiaradadda, combattuta oel
CANTO TRENTBSIMOTBRZO.
239
14 maggio 4509, nella quale i Veneti
farouo seonfitti, essendovi rimasto pri-
gione il comandante del loro esercito ,
Baitolommeo d* AWiano.
St, 38. V. 5-S. — Fedele come al
papa ee. Lo stesso Luigi XII si oppose
a papa Giulio, che, dichiarata la guerra
al duca Alfonso, gli avea tolta Modena;
ed ansi fece riavere ai Bentivoglio la si-
gnorìa di Bologna, spogliandone il papa.
St. 39. V. 3-8.— Fedéle il campo
de' Franceschi. Del saccheggio di Bre-
scia si ^ dato cenno nella nota alla St. 9
del Canto Xiy.—i>«/ /ito de' Chiassi:
Classe, luogo presso Ravenna, antico
porto de* Romani, ora pienamente in-
tenito.
Si. 40. V. 4-8.— JDi qtia la Fran»
eia ec. Torna a rammentare la battaglia
di Ravenna , sulla quale vedansi le
Si. 2, 8 e 4 del Canto XIY e le note
corrispondenti.
Si. 41. V, 7-8. — Eehepoiio un
rampollo ec. Massimiliano, £gIio di
Lodovico Sforna, che riebbe il ducato di
Milano perduto dal padre.
St. 43. e. 4-4. — Ecco toma il
Francese ec. Accennasi qui la battaglia
della Riotta presso Novara, combattuta
e vinta da Massimiliano col messo delle
truppe STÌssere, che il Poeta dice /ii/è-
deli, pel tradimento anteriore, a danno
di Lodovico. Per tale vittoria, Leon X,
che aveva fornito il soldo agli Svisceri,
diede loro il titolo di difensori della
Chiesa.
St,itZ. V, 4-8.'— £ con miglior au-
spicio ec. Francesco I, succeduto a Lui-
gi XII, disfece gli Svisseri nella batta-
glia di Marignano, e quindi s' impadronì
di Milano; il che si accenna dal Poeta
■ella St. 45 del Canto XXVI.
Si. 44. V. 3-8. — fcctf Borbon ec.
Carlo di Borbone difendeva per France-
sco I Milano contro gFlmperiali, che
poi gliela tolsero.
Si. 45. V. 1.8. — Ecco un altro
Francesco ec Intende di Francesco
Sforsa, nipote dell'omonimo, che, aiu-
tato dal papa, riacquistò il Milanese; e
continuando nella guerra i Francesi,
questi furono trattenuti da Federigo
Gonsaga, duca di Mantova, che loro im-
pedì d'entrare in Pavia.
St. 46. V. 6-8. — E del Leon del
mar: de' Venesiani. — Duo marchcm
si ec: il marchese di Pescara e il mar-
chese del Vasto.
Si. 47. V. 3-4. — Il guai dal ne-
grò ec Vedi la nota alla St. 33.
«$"^49. V. 3.— £a Bicocca: castello
vicino a Pavia, sotto il quale gli Svis-
seri ed i Francesi perderono molta gente.
Si. 50. V. 4-7. — Ma quella ec:
la Fortuna. — A quel che diman gli
esce : alle grandi somme di denaro da
lui disposte per levare un esercito nu-
meroso.
Su 52. V, 4-8. — In questa e nella
Stansa seguente, accennasi alla batta'
glia di Pavia, perduta da Francesco I,
che vi restò prigioniero.
Sl 54. V. 5-8. — Ecco che 'l re
nella prigione ibera ec: Francesco ri-
cuperò la liberta, lasciando a Carlo V
due figliuoli in ostaggio; poi mandò un
altro esercito in Italia, mentr'egli stesso
era assalito in Francia dalle forse britan-
niche.
St. 55. ». 1-8. ^ Vedete f^li omi^
cidj e le rapine ec. Leggasi nel Guic-
ciardini la presa, il saccheggio di Ro-
ma, e la prigionia del pontefice insieme
coi cardinali, a cui qui si accenna. — //
campo della Lega ec» Per discordie
nate fra il marchese di Sai naso, Federigo
da Bossolo, e i duchi di Milano e di Ur«
bino che comandavano l' esercito detto
della Lega, Roma non fu soccorsa, ed
ebbero luogo gP indicati disastri.
St, 56. v.1-% La cittade ove se*
palta ec. Napoli, che fu detta Partenope
dal nome della Sirena che si favoleggia
ivi morta.
iS'C.57. «'.4.8.— Ecco tarmata im'
perial ec Carlo V spedì per mare un'ar-
mati a soccorso di Napoli; ma la flotta
genovese al servigio di Francia, coman*
240
ORLANDO FURIOSO.
data da Filippiao Dona, distrossa gl'im-
periali pietao la cotta di Amalfi. Le ma-
lattie però travagliarono gli auedianti
franceii per modo, che dovettero levare
il campo e lasciar libero il regno di Na«
poli
SL^LvA't.'^OMeiantmai te.
Vedili accennati nella SL 13, ▼. i-3 del
Canto precedente.
Su 68. 9, 6. ^Si tolga del eorag-
già: ai levi dalla mente, dall'animo.
St. 79. V, 4. — Estro: stimolo.
St. 98. V. 1-7.— le Cade: Cadice;
e il Poeta adopera questo nome nel no-
merò del più, perchè gli antichi geo-
grafi conobbero in quel luogo dne isole,
noa delle qnali, detU da Strabone JErt-
thim, h scomparsa. Vedi il Cellario,
lib. II, cap. 4, set. J, n. 30 — Eviza:
Iviea, ona delle isole Baleari. •— ^r-
KilUf citili dell'Africa, nel regno di
Fes, ricordata nel Canto XXV, St. 33.
Su 99. V. Ul.^Feui t Fet.—Ippo'
ne i Bona; — Bueee .* Bugia; ambedue
citlb dell'Algeria, come pnre Orano. —
Bis$rU: citt^ nel regno di Tunisi, di
cui si fece mensiooe nella nota alla
St.158 del Canto XyXil.^ Capisse:
Cabes, citte marittima dello Slato di
Tunisi , sul golfo omonimo. — ^Z-
eerbe: Gcrbi, piccola isola sullo stesso
golfo.—- ^erniccAe.* l'antica Berenice,
a levante di Cirene, sul golfo della gran
Sirte. — Tolomiita : anticamente Ptom
lemeiSj nello stato di Tripoli; se ne
diede cenno nella nota alla St. i66 del
Canto predetto.
St. iOO. v.^$.'--Monti di Carene:
diramaaione del monte Atlante. •— Ci-
renei : abitanti del paese di Barca, come
si accennò nella nota alla St. 79 del
Canto XVI.— Il eimiter di Batto : la
Cirene degli antichi , oggi Qrenah,
fabbricata da Batto, ov'cgli morì. —
// gran tempio d*Jmon t Giove ebbe
nn tempio nella Libia cirenaica, in oggi
deserto di Barca, ed ivi era adorato
aotto il nome di Ammone.
A. i01.(r.i.4.~.CrR'a/fpa TfemU
tenne. Di nna si disse nella nota «Uà
SL 73 del Canto XU; di quesu non si
è potuto rinvenir traccia; ne si può cre-
dere che il Poeta abbia voluto indicare
la Tremtstut della Pisidia, che giaco in
parte affatto diversa dalla dkesione die
tiene ÈL»lttMo.~~AgU altri Etiopi: agli
Abissini, la regione de* quali rigvarda-
vasi come una seconda Etiopia.
4$*!. i(ìi.».^.^DeW ttilioetroeeT
dall'inferno.
^«.104. V. 3-4.— a>/oMKat« di Itm^
pido erittello Son It gran logge ec.La
voce colonnato può prendersi per terie
di colonne, ed anche pel participio di
colonnerOj ornare di colonne, come
l'ha intesa il Batiarioi, che cita questo
verso.
St.\W.». 8.— Pre^fo o PrettUmnL
Cosi dai nostri antichi fu chiamatOysenaa
verun fondamento di verità, il sovrano
deU'Abissinia; ed ecco in succinto onde
ebbe origine questa opinione. Marco
Polo ed altri antichi viaggiatori scrissero
esistere in Asia un impero il cui sovrano
chiamavasi Preteianni e professava il
Cristianesimo. Giovanni II, re di Por-
togallo, mandò persone a fame ricerca ;
ed uno degl* inviati, fermatosi sulla co-
sta occidentale del Mar Rosso, odi par-
lare dell'imperatore d'Abissinia, di coi
gli fu detto eh' era cristiano, che por-
tava in mano la croce, e che tutti
quegV imperatori dovevano prendere
gli ordini sacri prima della loro incoro-
nasione. Questo bastò all' inviato, per
iscrivere dal Cairo al re Giovanni di
aver trovato il Preteianni nell' Abissi-
nia. Tal reiasione passò per vera, e cosi
invalse la credensa che l' imperator d'A-
bissiiiia fosse il vero Preteianni, e si
riguardò quello d' Asia come sapposto.
Si possono vedere, su questo proposito,
altre particolarità nel Costume antico e
moderno del dott. Giulio Ferreria.
St. 126. V. 6. — La eone roggia j
la sona torrida.
241
CAISTO XBiSVTESmOOIJABTO.
Dopo una eloquente invettiva contro 1* umana avidità, il Poeta narra che Astolfo,
entrato nella grotta onde si va nell' inferno, ode da un'anima la pena imposta
ai disconoscenti l'amore altrui. Sale quindi al paradiso terrestre, e di là al pia«
aeta lunare, ove gli h dato il metto di rendere il senno ad Orlando. Descri*
i del palaiao delle Parche.
i Oh fameliche, inìqae e fiere Arpie,
Ch' air accecata Italia e d' error piena.
Per panir forse antique colpe rie.
In ogni mensa alto giudicio mena !
Innocenti fanciulli e madri pie
Cascan di fame, e veggon eh' una cena
Di questi mostri rei tutto divora
Ciò che del viver lor sostegno fora.
s Troppo fallò chi le spelonche aperse.
Che già moti' anni erano state chiuse ,
Onde il fetore e V ingordigia emerse,
Gh' ad ammorbare Italia si diffuse.
Il bel vivere allora si summerse ;
E la quiete in tal modo s'escluse,
Ch' in guerre, in povertà sempre e in affanni
È dopo stata, ed è per star molt' anni;
3 Finch' ella un giorno ai neghittosi figli
Scuota la chioma, e cacci fuor di Lete,
Gridando lor: Non fia chi rassimigli
Alla virtù di Calai e di Zete?
Che le mense dal puzzo e dagli artigli
Liberi, e torni a lor mondizia liete?
Come essi già quelle di Fineo, e dopo
Fé il paladin quelle del re etiope.
I. 21
242 OELAMDO FURIOSO.
4 II paladin col suono orrìbil venne
Le brutte Arpìe cacciando in foga e in rotta,
Tanto ch'appiè d'un monte si ritenne,
Ov'esse erano entrate in una grotta.
L' orecchie attente allo spiraglio tenne,
E r aria ne senti percossa e rotta
Da pianti e d' urli, e da lamento eterno;
Segno evidente quivi esser lo 'nferno.
6 Astolfo si pensò d' entrarvi dentro,
£ veder quei e' hanno perduto il giorno,
E penetrar la terra fin al centro,
E le bòlge infernal cercare intorno.
Di che debbo temer, dicea, s'io v'entro?
Che mi posso aiutar sempre col corno.
Farò fuggir Plutone e Satanasso,
E '1 can trifauce leverò dal passo.
6 Dell'alato destrier presto discese,
E lo lasciò legato a un arboscello :
Poi si calò neir antro, e prima prese
11 corno, avendo ogni sua speme in quello.
Non andò molto innanzi, che gli offese
Il naso e gli occhi un fumo oscuro e fello.
Più che di pece grave e che di zolfo :
Non sta d' andar per questo innanzi Astolfo.
7 Ma quanto va più innanzi, più s'ingrossa
11 fumo e la caligine; e gli pare
Ch'andare innanzi più troppo non possa,
Che sarà forza addietro ritornare.
Ecco, non sa che sia, vede far mossa
Dalla volta di sopra, come fare
11 cadavere appeso al vento suole,
Che molti di sia stato all' acqua e al sole.
8 SI poco, e quasi nulla era di luce
In quell'affumicata e nera strada.
Che non comprende e non discerne il duce
Chi questo sia, che si per l' aria vada ;
E per notizia averne si conduce
A dargli uno o duo colpi della spada.
Stima poi eh' uno spirto esser quel debbia;
Che gli par di ferir sopra la nebbia.
CANTO TBENTESIMOQCARTO. 243
9 AHor senti parlar con voce mesta :
Deh, senza fare altrui danno, giù cala I
Par troppo il negro fumo mi molesta,
Che dal fuoco infornai qui tutto esala.
Il duca stupefatto allor s'arresta,
£ dice air ombra : Se Dio tronchi ogni ala
Al fumo si, eh' a te più non ascenda,
Non ti dispiaccia che '1 tuo stato intenda.
^0 E se vuoi che di te porti novella
Nel mondo su, per satisfarti sono.
L* ombra rispose : Alla luce alma e bella
Tornar per fama ancor si mi par buono ,
Che le parole è forza che mi svella
11 gran desir e' ho d* aver poi tal dono;
E che i mio nome e V esser mio ti dica,
Benché '1 parlar mi sia noia e fatica.
li E cominciò: Signor, Lidia son io.
Del re di Lidia in grande altezza nata.
Qui dal giudicio altissimo di Dio
Al fumo eternamente condannata.
Per esser stata al fido amante mio,
Mentre io vissi, spiacevole ed ingrata.
D'altre infinite è questa grotta piena,
Poste per simil fallo in simil pena.
ii Sta la cruda Anassarete più al basso.
Ove è maggiore il fumo, e più martire.
Restò converso al mondo il corpo in sasso,
E r anima quaggiù venne a patire;
Poi che veder per lei l' afflitto e lasso
Suo amante appeso potè sofi'erire.
Qui presso è Dafne, ch'or s'avvede quanto
Errasse a fare Apollo correr tanto.
13 Lungo sarìa se gì' infelici spirti
Delle femmine ingrate, che qui stanno,
Volessi ad uno ad uno riferirti;
Che tanti son, ch'in infinito vanno.
Più lungo ancor saria gli uomini dirti,
A' quai l'esser ingrato ha fatto danno,
E che puniti sono in peggior loco.
Ove il fumo gli accieca, e cuoce il fuoco.
244 OELAHOO FOEIOSO.
14 Perchè le donne piò facili e prone
A creder son, di più sapplicio è degno
Chi lor fa inganno. Il sa Teseo e Giasone,
E chi turbò a Latin l' antiqao regno :
Salto eh' incontra sé il frate Absalone
Per Tamar trasse a sanguinoso sdegno ;
Ed altri ed altre, che sono infiniti ,
Che lasciato han chi moglie e chi mariti.
16 Ma per narrar di me più che d' altrui,
E palesar V error che qui mi trasse.
Bella, ma altiera più, sì in Tita fui.
Che non so s' altra mai mi s' agguagliasse :
Né ti saprei ben dir, dì questi dui,
S'.in me V orgoglio o la beltà avanzasse;
Quantunque il fasto e 1* alterezza nacque
Dalla beltà eh' a tutti gli occhi piacque.
16 Era in quel tempo in Tracia un cavaliero
Estimato il miglior del mondo in arme,
Il qual da più d'un testimonio vero
Di singoiar beltà senti lodarme ;
Talché spontaneamente fé pensiero
Di voler il suo amor tutto donarme.
Stimando meritar per suo valore.
Che caro aver di lui dovessi il core.
17 In Lidia venne ; e d' un laccio più forte
Vinto restò, poi che veduta m' ebbe.
Con gli altri cavalier si messe in corte
Del padre mio, dove in gran fama crebbe.
L'alto valore, e le più d' una sorte
Prodezze che mostrò, lungo sarebbe
A raccontarti, e il suo merlo infinito.
Quando egli avesse a più grato uom servito
48 Pamfilia e Caria, e il regno de' Cilici
Per opra di costui mio padre vinse ;
Che l'esercito mal contra i nimici,
Se non quanto volea costui, non spinse.
Costui, poi che gli parve i benefici
Suoi meritarlo, un di col re si strinse
A domandargli, in premio delle spoglie
Tante arrecale, eh' io fossi sua moglie.
CANTO TRENTBSlMOOtiRTO. 245
49 Fa repalso dal re, ch'in grande stato
Maritar disegnava la flglioola :
Non a costai, che, cavalier privato ^
Altro non tien che la virtade sola :
E '1 padre mio, troppo al guadagno dato,
E all' avarizia, d'ogni vizio scuola.
Tanto apprezza costami, o virtù ammira.
Quanto l' asino fa il suon della lira.
so Alceste, il cavalier di eh' io ti parlo
(Che cosi nome.avea), poi che si vede
Repulso da chi più gratificarlo
Era più debitor, commiato chiede ;
E Io minaccia, nel partir,. di farlo
Pentir, che la figliuola non gli diede.
Se n'andò al re d'Armenia, emulo antico
Del re di Lidia, e capital nimico ;
21 £ tanto stimulò, che lo dispose
A pigliar l'arme, e far guerra a mio padre.
Esso, per l'opre sue chiare e famose,
Fu fatto capitan di quelle squadre.
Pel re d' Armenia tutte l' altre cose
Disse eh' acquisteria : sol le leggiadre
E belle membra mie volea per frutto
Dell'opra sua, vinto ch'avesse il tutto.
22 Io non ti potre' esprimere il gran danno
Gh' Alceste al padre mio fa in quella guerra.
Quattro eserciti rompe, e in men d*un anno
Lo mena a tal, che non gli lascia terra,
Fuor eh' un Castel eh' alte pendici fanno
Fortissimo ; e là dentro il re si serra
Con la famiglia che più gli era accetta,
E col tesor che trar vi puote in fretta.
23 Quivi assedionne Alceste ; ed in non molto
Termine a tal disperazion ne trasse.
Ohe per buon patto avria mio padre tolto
Che moglie e serva ancor me gli lasciasse
Con la metà del regno, s' indi assolto
Restar d' ogni altro danno si sperasse.
Vedersi in breve dell' avanzo privo
Era ben certo, e poi morir captivo.
21*
i4ù ORLANDO FOBIOSO.
24 Tentar, prima ch'accada, si dispone
Ogni rimedio che possibii sia;
E me, che d'ogni male era cagione,
Fnor della rocca, oy'era Alceste, invia.
Io Yo ad Alceste con intenzione
Di dargli in preda la persona mia,
£ pregar che la parte che vuol, tolga
Del regno nostro, e V ira in pace volga.
25 Come ode Alceste eh' io vo a ritrovarlo,
Mi viene incontra pallido e trepiante.
Di vinto e di prigione, a riguardarlo.
Più che di vincitore, ave sembiante.
Io che conosco ch'arde, non gli parlo.
Si come avea già disegnato innante :
Vista l'occasion, fo pensier nuovo
Conveniente al grado in eh' io lo trovo.
20 A maledir comincio l' amor d' esso,
E di sua crudeltà troppo a dolermi.
Ch'iniquamente abbia mio padre oppresso,
E che per forza abbia cercato avermi ;
Che con più grazia gli saria successo
Indi a non molti di, se tener fermi
Saputo avesse i modi cominciati,
Ch' al re ed a tutti noi si furon grati.
27 E sebben da principio il padre mio
Gli avea negata la domanda onesta
(Perocché di natura è un poco rio,
Né mai si piega alla prima richiesta).
Farsi per ciò di ben servir restio
Non doveva egli, e aver l' ira si presta;
Anzi, ognor meglio oprando, tener certo
Venire in breve al desiato morto.
28 E quando anco mio padre a lui ritroso
Stato fosse, io l' avrei tanto pregato,
Ch' avria V amante mio fatto mio sposo.
Pur, se veduto io l' avessi ostinato ,
Avrei fatto tal opra di nascoso.
Che di me Alceste si saria lodato.
Ma poich' a lui tentar parve altro modo,
Io di mai non l'amar Gsso avea il chiodo.
Tli«-,v
CAKTO tRENtfiSllttOQUiRTO. 2il
29 E sebben era a lui venuta, mossa
Dalla pietà eh' al mio padre portava,
Sia certo che non molto fruir possa
Il piacer eh' al dispetto mio gli dava ;
Ch' era per far di me la terra rossa ,
Tosto eh' io avessi alla sua voglia prava
Con questa mia persona satisfatto
Di quel che tutto a forza saria fatto.
30 Queste parole e simili altre usai,
Poiché potere in lui mi vidi tanto ;
E '1 pia pentito lo rendei, che mai
Si trovasse nell'eremo alcun santo.
Mi cadde a' piedi, e supplicommi assai,
Che col coltel che si levò da canto
(E volea in ogni modo eh' io '1 pigliassi)
Di tanto fallo suo mi vendicassi.
31 Poich'io lo trovo tale, io fo disegno
La gran vittoria insin al fin seguire.
Gli do speranza di farlo anco degno
Che la persona mia potrà fruire,
S' emendando il suo error, V antiquo regno
Al padre mio farà restituire ;
E nel tempo avvenir vorrà acquistarme
Servendo, amando, e non mai più per arme.
32 Cosi far mi promesse, e nella rocca
Intatta mi mandò, come a lui venni.
Né di baciarmi pur s' ardi la bocca :
Vedi 8' al collo il giogo ben gli tenni ;
Vedi se bene Amor per me lo tocca ,
Se convien che per lui più strali impenni.
Al re d'Armenia andò, di cui dovea
Esser per patto ciò che si prendea ;
33 E con quel miglior modo eh' usar puote,
Lo priega eh' al mio padre il regno lassi.
Del qual le terre ha depredate e vote.
Ed a goder l' antiqua Armenia passi.
Quel re d' ira infiammando ambe le gote^
Disse ad Alceste che non vi pensassi ;
Che non si volea tor da quella guerra.
Finché mio padre avea palmo di terra*
24S ORLANDO FURIOSO.
34 E 8' Alceste è mutato alle parole
D'una vii femminella, abbiasi il danno.
Già a' prieghi esso di lai perder non vaole
Qael eh' a fatica ha preso in tatto an anno.
Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole
Che seco effetto i prieghi suoi non fanno.
Air ultimo 8* adira, e lo minaccia,
Che vuol, per forza o per amor, lo faccia.
35 L' ira moltiplicò si, che li spinse
Dalle male parole ai peggior fatti.
Alceste centra il re la spada strinse
Fra mille ch'in suo aiuto s'eran tratti;
E, malgrado lor tutti, ivi l' estinse :
E quel di ancor gli Armeni ebbe disfatti
Con r aiuto de' Cilicj e de* Traci
Che pagava egli, e d'altri suoi seguaci
36 Seguitò la vittoria, ed a sue spese»
Senza dispendio alcun del padre mio,
Ne rendè tutto il regno in men d' un mese.
Poi per ricompensarne il danno rio,
Oltr'alle spoglie che ne diede, prese
In parte, e gravò in parte di gran 6o
Armenia e Cappadocia che confina,
£ scorse Ircania fin su la marina.
37 In luogo di trionfo, al suo ritorno,
Facemmo noi pensier dargli la morte.
Restammo poi, per non ricever scorno;
Che lo veggiam troppo d' amici forte.
Fingo d' amarlo, e più di giorno in giorno
Gli do speranza d' essergli consorte ;
Ma prima centra altri nimici nostri
Dico voler che sua virtù dimostri.
38 E quando sol, quando con poca gente »
Lo mando a strane imprese e perigliose »
Da farne morir mille agevolmente :
Ma lui successer ben tutte le cose ;
Che tornò. con vittoria, e fu sovente
Con orribil persone e monstmose,
Con giganti a battaglia e Lestrigoni ,
Ch'erano infesti a nostre regioni.
CANTO TBENTESIMOQUARTO. ^^^
39 Non fa da Earisteo mai, non fu mai tanto
Dalla matrigna esercitato Alcide
In Lorna, in Nomea, in Tracia, in Erimanto,
Alle valli d' Etolia, alle Numide ,
Sul Tevre, su Tlbero, e altrove; quanto
Con prieghi finti e con voglie omicide
Esercitato fu da me il mio amante.
Cercando io pur di tortomi davante.
40 Né potendo venire al primo intento ,
Vengono ad un di non minore effetto :
Gli fo quei tutti ingiuriar, ch'io sento
Che per lui sono, e a tutti in odio il metto.
Egli, che non sentia maggior contento
Che d'ubbidirmi, senza alcun rispetto
Le mani ai cenni miei sempre avea protate,
Senza guardare un più d' un altro in fronte.
4! Poi che mi fu, per questo mezzo, avviso
Spento aver del mio padre <igni nimico,
E per lui stesso Alceste aver conquiso ,
Che non si avea, per noi, lasciato amico;
Quel eh' io gli avea con simulato viso
Celato fin allor, chiaro gli esplico :
Che grave e capitale odio gli porto,
E pur tuttavia cerco che sia morto.
43 Considerando poi, s' io lo facessi,
Ch' in pubblica ignominia ne verrei
(Sapeasi troppo quanto io gli dovessi,
E crudel detta sempre ne sarei) ,
Mi parve fare assai, ch'io gli togliessi
Di mai venir più innanzi agli occhi miei.
Né veder né parlar mai più gli volsi,
Né messo adi', né lettera ne tolsi.
43 Questa mia ingratitudine gli diede
Tanto martir, eh' alfin dal dolor vinto,
E dopo un lungo domandar mercede,
Infermo cadde, e ne rimase estinto.
Per pena eh' al fallir mio si richiede^
Or gli occhi ho lacrimosi, e il viso tinto
Del negro fumo: e cosi avrò in eterno ;
Che nulla redenzione é nell' inferno.
250 ORLANDO FURIOSO.
44 Poiché non parla pia Lidia infelice.
Va il daca per saper s' altri vi stanzi :
Ma la caligine alta, eh' era ultrice
Deir opre ingrate, si gì* ingrossa innanzi ,
Ch' andar un palmo sol più non gli lice:
Anzi a forza tornar gli conviene; anzi,
Perché la vita non gli sia intercetta
Dal fumo, i passi accelerar con fretta.
45 II mntar spesso delle piante ha vista
Di corso, e non di chi passeggia o trotta.
Tanto, salendo inverso l'erta, acqaista.
Che vede dove aperta era la grotta ;
E r aria, già caliginosa e trista,
Dal lame cominciava ad esser rotta.
AlGn con molto affanno e grave ambascia
Esce dell* antro, e dietro il forno lascia.
46 E perché del tornar la via sia tronca
A quelle bestie e' han sì ingorde V epe,
Ragana sassi, e molti arbori tronca.
Che v' eran qaal d' amomo e qaal di pepe ;
E come può, dinanzi alla spelonca
Fabbrica di sua man quasi una siepe,
E gli succede cosi ben quell'opra.
Che più r Arpie non torneran di sopra. *
47 II negro fumo della scura pece,
Mentre egli fu nella caverna tetra.
Non macchiò sol quel ch'apparia, ed infece;
Ma sotto i panni ancora entra e penetra:
Si che per trovar acqua andar lo fece
Cercando un pezzo ; e alGn fuor d' una pietra
Vide una fonte uscir nella foresta.
Nella qual si lavò dal pie alla testa.
48 Poi monta il volatore, e in aria s'alza,
Per giunger di quel monte in su la cima,
Che non lontan con la superna balza
Dal cerchio della luna esser si stima.
Tanto é il desir che di veder Io 'ncalza.
Ch'ai cielo aspira, e la terra non stima.
Dell' aria più e più sempre guadagna :
Tanto eh' al giogo va della montagna.
CANTO TRENTESUfOQCARTO. 281
49 Zaffir, rubini, oro, topazj e perle
£ diamanti e crisoliti e jacinti
Potriano i fiori assimigliar, che per le
Liete piagge y' avea Y aara dipinti :
Si verdi V erbe, che possendo averle
Quaggiù, ne foran gli smeraldi vinti;
Né men belle degli arbori le f rondi,
£ di fratti e di fior sempre fecondi.
60 Cantan fra i rami gli augelletti vaghi
Azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti ruscelli e cheti laghi
Di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura che ti par che vaghi
A un modo sempre, e dal suo stil non falli,
Facea si V aria tremolar d' intorno.
Che non pelea noiar caler del giorno :
51 £ quella ai fiori, ai pomi e alla verzura
Gli odor diversi depredando giva ;
£ di tutti faceva una mistura
Che di soavità V alma notriva.
Surgea un palazzo in mezzo alla pianura,
Ch' acceso esser parea di fiamma viva :
Tanto splendore intorno e tanto lume
Raggiava, fuor d' ogni mortai costume.
52 Astolfo il suo destrier verso il palagio.
Che più di trenta miglia intorno aggira,
A passo lento fa muovere adagio,
£ quinci e quindi il bel paese ammira ;
£ giudica, appo quel, brutto e malvagio,
£ che sia al cielo ed a natura in ira
Questo eh' abitiam noi fetido mondo :
Tanto è soave quel, chiaro e giocondo.
is Come egli è presso al luminoso tetto.
Attonito riman di maraviglia ;
Che tutto d' una gemma è '1 muro schietto,
Più che carbonchio lucida e vermiglia^
Oh stupenda opra, oh dedalo architellol
Qual fabbrica tra noi le rassimiglia?
Taccia qualunque le mirabil sette
Moli del mondo in tanta gloria mette.
252 ORLANDO FURIOSO.
64 Nel lucente vestibolo di quella
Felice casa un vecchio al duca occorre,
Che '1 manto ha rosso, bianca la gonnella,
Che r un può al latte, e l'altro al minio opporre.
I crini ha bianchi , e bianca la mascella
Di folta barba eh' al petto discorre ;
Ed ò si venerabile nel viso,
Ch' un degli eletti par del paradiso.
65 Costui con lieta faccia al paladino,
Che riverente era d' arcion disceso.
Disse: 0 baron, che per voler divino
Sei nel terrestre paradiso asceso ;
Comechè nò la causa del cammino.
Né il fin del tuo desir da te sia inteso ;
Pur credi che non senza alto misterio
Venuto sei dall' artico emisperio.
66 Per imparar come soccorrer dei
Carlo, e la Santa Fé tor di periglio.
Venuto meco a consigliar ti sei
Per cosi lunga via senza consiglio.
Né a tuo saper nò a tua virtù vorrei
Ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio;
Chò nò il tuo corno nò il cavallo alato
Ti valea, se da Dio non t' era dato.
67 Ragionerem più adagio insieme poi,
E ti dirò come a procedere hai :
Ma prima vienti a ricrear con noi ;
Chò '1 digiun lungo dò' noiarti ormai. ^
Continuando il vecchio i detti suoi,
Fece maravigliare il duca assai,
Quando, scoprendo il nome suo, gli disse
Esser colui che l' Evangelio scrìsse ;
68 Quel tanto al Redentor caro Giovanni,
Per cui il sermone tra i fratelli uscio,
Che non dovea per morte finir gli anni ;
SI che fu causa che '1 Figliuol di Dio
A Pietro disse: Perchò pur t'affanni,
S'io vo' che cosi aspetti il venir mio?
Benchò non disse : Egli non dò' morire;
Si vede pur che cosi volse dire.
CANTO TBBIfTESDfOQUAaTO. 253
69 Qaivi fa assunto, e trovò compagnia ,
Che prima Enoch, il patriarca, v'era;
Bravi insieme il gran profeta Elia,
Che non han vista ancor l' ultima sera;
E fuor deir aria pestilente e ria
Si goderan l'eterna primavera.
Finché dian segno V angeliche tube
Che torni Cristo in su la bianca nube.
6Q Con accoglienza grata il cavaliero
Fa dai Santi alloggiato in una stanza:
Fu provvisto in un' altra al suo destriero
Di buona biada, che gli fu abbastanza.
De' fratti a lui del paradiso diero,
Di tal saper, eh' a suo gìudicio, sanza
Scusa non sono i duo primi parenti,
Se per quei far si poco ubbidienti.
61 Poi eh' a natura il duca avventuroso
Satisfece di quel che se le debbo,
Come col cibo, cosi col riposo.
Che tutti e tutti i comodi quivi ebbe ;
Lasciando già l' Aurora il vecchio sposo,
Ch' ancor per lunga età mai non l' increbbe,
Si vide incontra nell' uscir del letto
Il discepol da Dio tanto diletto ;
62 Che lo prese per mano, e seco scorse
Di molte cose di silenzio degne ;
E poi disse: Figliuol, tu non sai forse
Che in Francia accada, ancorché tu ne vegnc.
Sappi che '1 vostro Orlando, perché torse
Dal cammin dritto le commesse insegne,
£ punito da Dio, che più s' accende
Centra chi egli ama più , quando s' offende.
63 U vostro Orlando, a cui nascendo diede
Somma possanza Dio con sommo ardire,
E fuor dell' uman uso gli concede
Che ferro alcun non lo può mai ferire;
Perché a difesa di sua Santa Fede
Così voluto l'ha constituire.
Come Sansone incontra a' Filistei
Constitui a difesa degli Ebrei ;
11. 22
254 ORLANDO FURIOSO.
64 Rondato ha il vostro Orlando al sao Signore
Di tanti beneGcj iniquo morto ;
Che quanto aver più lo dovea in favore,
N* è stato il fedel popol più deserto.
Si accecato Y avea V incesto amore
D' una pagana, eh' avea già sofferto
Due volte e più venire empio e crudele,
Per dar la morte al suo cugin Tedele.
65 E Dio per questo fa eh* egli va folle,
£ mostra nudo il ventre , il petto e il fianco ;
E r intelletto si gli offusca e tolte,
Che non può altrui conoscere, e sé manco.
A questa guisa si legge che volle
Nabuccodonosor Dio punir anco.
Che sette anni il mandò di furor pieno
Si che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno.
66 Ma perch' assai minor del paladino,
Che di Nabucco, é stato pur l'eccesso,
Sol di tre mesi dal voler divino
A purgar questo error termine è messo.
Né ad altro effetto per tanto cammino
Salir quassù t' ha il Redentor concesso.
Se non perché da noi modo tu apprenda ,
Come ad Orlando il suo senno si renda.
67 Gli è ver che ti bisogna altro viaggio
Far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio della luna a menar t' aggio ,
Che dei pianeti a noi più prossima erra;
Perchè la medicina che può saggio
Rendere Orlando, là dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
Sopra nói giunta, ci porremo in via.
68 Di questo e d' altre cose fu diffuso
Il parlar dell' Apostolo quel giorno.
Ma poi che '1 Sol s' ebbe nel mar rinchiuso,
E sopra lor levò la luna il corno.
Un carro apparecchiossi , eh' era ad uso
D'andar scorrendo per quei cieli intorno:
Quel già nelle montagne dì Giudea
Da' mortali occhi Elia levalo avea.
CANTO TRENTESIMOQDARTO. 255
69 Qaattro deslrier via più che (tamma rossi
AI giogo il Santo Evangelisla aggiunse ;
£ poi che con Astolfo rassettossi ,
E prese il freno, inverso il ciel li pansé,
nuotando il carro, per l'aria levossi,
E tosto in mezzo il fuoco eterno giunse ;
Che *1 vecchio fé miracolosamente,
Che, mentre lo passar, non era ardente.
70 Tutta la sfera varcano del fuoco ,
Et indi vanno al regno della luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
Come un acciar che non ha macchia alcuna;
E io trovano uguale, o minor poco ,
Di ciò eh' in questo gloho si raguna ,
In questo ultimo globo della terra,
Mettendo il mar che la circonda e serra.
71 Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia,
Che quel paese appresso era si grande ,
Il quale a un picciol tondo rassimiglia
A noi che lo miriam da queste bande i
E ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia.
S'indi la terra e '1 mar, eh' intorno spande,
Discerner vuol ; che non avendo luce,
L' ìmmagin lor poco alta si conduce.
72 Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
Sono lassù, che non son qui tra noi ;
Altri piani, altre valli, altre montagne,
C'han le cìttadi, hanno i castelli suoi,
Con case delle quai mai le più magne
Non vide il paladin prima né poi :
E vi sono ampie e solitarie selve,
Ove le ninfe ognor cacciano belve.
73 Non stette il duca a ricercare il tutto ;
Che là non era asceso a quello effetto.
Dall' Apostolo Santo fa condulto
In un vallon fra duo montagne {stretto,
Ove mirabilmente era ridutto
Ciò che si perde o per nostro difetto,
O per colpa di tempo o di fortuna :
Ciò che si perde qui, là si ragona.
256 OBLANOO FORIOSO.
74 Non por di regni o di ricchezze parlo ,
In che la raota instabile lavora ;
Ma di quel eh' in poter di tor, di darlo
Non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è lassù, che, come tarlo.
Il tempo al lungo andar quaggiù divora:
Lassù infiniti prieghi e voti stanno,
Che da noi peccatori a Dio si fanno.
76 Le lacrime e i sospiri degli amanti,
V inotil tempo che si perde a giuoco,
E r ozio lungo d' uomini ignoranti,
Vani disegni che non han mai loco,
I vani desiderj sono tanti.
Che la più parte ingombran di quel loco :
Ciò che in somma quaggiù perdesti mai,
Lassù salendo ritrovar potrai.
76 Passando il paladin per quelle biche,
Or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vessiche.
Che dentro parea aver tumulti e grida ;
£ seppe eh' eran le corone antiche
E degli Assirj e della terra llda,
E de' Persi e de' Greci, che già furo
Incliti, ed or n' è quasi il nome oscuro.
77 Ami d' oro e d' argento appresso vede
In una massa, eh' erano quei doni
Che si fan con speranza di mercede
Ai re , agli avari principi , ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci ; e chiede,
Et ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate immagine hanno
Versi eh' in laude dei signor si fanno.
75 Di nodi d' oro e di gemmati ceppi
Vede e' han forma ì mal seguiti amori.
Y'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,
L' autorità eh* ai suoi danno i signori.
I mantici ch'intorno han pieni i greppi.
Sono i fumi dei principi, e i favori
Che danno un tempo ai Ganimedi suoi,
Che se ne van col fior degli anni poi.
'4ffM-+-'^
CANTO TBBNTBSmOQUABTO. 257
79 Raine di cittadi e di castella
Stavan con gran tesor qaivì sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
Congiara che si mal par che si caopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
Di monetieri e di ladroni V opra :
Poi vide bocce rotte di più «orti,
€h' era il servir delle misere corti*
80 Di versate minestre una gran massa
Vede, e domanda al suo dottor, ch'importo.
L'elemosina è, dice, che si lassa
Alcun , che fatta sìa dopo la morte.
Di vaij Gori ad un gran monte passa.
Ch'ebbe già buono 'odore, or putia forte.
Questo era il dono (sé però dir lece)
Che Costantino al buon Silvestro fece.
SI Vide gran copia di panie con visco,
Ch' erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
Le cose che gli fur quivi di mostre ;
Che dopo mille e mille io non finisco,
£ vi son tutte l' occorrenzie nostre :
Sol la pazzia non v' è poca né assai ;
Che sta quaggiù, nò se ne parte mai.
82 Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
Ch' egli già avea perduti , si converse ;
Che se non era interprete con lui.
Non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par si averlo a nui,
Che mai per esso a Dio voti non forse ;
Io dico il senno ; e n' era quivi un monte,
Solo assai più, che l' altre cose conte.
83 Era come un liquor suttile e molle.
Atto a esalar, se non si tien ben chiuso ;
E si vedea raccolto in varie ampolle,
Qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella ò maggior di tutte, in che del folle
Signor d'Anglante era il gran senno infuso ;
E fu dall' altre conosciuta, quando
Avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.
22'
258 ORLANDO FURIOSO.
84 £ COSÌ tatte V altre avean scritto anco
Il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco ;
Ma molto più maravigliar lo fenno
Molti eh' egli credea che dramma manco
Non dovessero averne, e quivi donno
Chiara notizia che ne tenean poco ;
Che molta quantità n' era in quel loco.
55 Altri in amar lo perde, altri in onori.
Altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
Altri nelle speranze de' signori.
Altri dietro alle magiche sciocchezze ;
Altri in gemme, altri in opre di pittori,
Ed altri in altro che più d'altro apprezzo.
Di sofisti e d* astrologhi raccolto,
£ di Qoeti ancor ve n' era molto.
56 Astolfo tolse il suo ; che gliel concesse
Lo scrittor dell' oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era, al naso sol si messe,
£ par che quello al luogo suo ne gisse ;
E che Turpin da indi in qua confesse
Ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
Ma eh' uno error che fece poi, fu quello
Ch' un' altra volta gli levò il cervello.
87 La più capace e piena ampolla, ov' era
Il senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non è si leggiera,
Come stimò, con l' altre essendo a monte.
Prima che 'l paladin da quella sfera
^ Piena di luce alle più basse smonte,
Menato fu dall'Apostolo Santo
In un palagio, ov' era un fium^ accanto;
ss Ck' ogni sua stanza avea piena di velli
Di lin, di seta, di coton, di lana.
Tinti in varj colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femmina eana
Fila a un aspo traea da tutti quelli ;
Come veggiam l' estate la villana
Traer dai bachi le bagnate spoglie.
Quando la nuova seta si raccoglie.
CANTO TRENTESIMOQDARTO. Ì59
89 ¥' è chi, finito un vello, rimettendo
Ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
Un' akra delle filze va scegliendo
Il bel dal brutto che quella confonde.
Che lavor si fa qui, eh' io non V intendo?
Dice a Giovanni Astolfo ; e quel risponde :
Le vecchie son le Parche, che con tali
Stami filano vite a voi mortali.
90 Quanto dura un de' velli, tanto dura
L' umana vita, e non di più un momento.
Qui tien l' occhio e la Morte e la Natura,
Per saper Y ora eh' un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha l'altra cura.
Perchè si tesson poi per ornamento
Del paradiso ; e dei più bruiti stami
Si fan per li dannati aspri legamf.
91 Di tutti i velli ch^ erano già messi
In aspo, e scelti a farne altro lavoro.
Erano in brevi piastre i nomi impressi:
Altri di ferro, altri d' argento o d' oro ;
£ poi fatti n' avean cumuli spessì ,
De' quali, senza mai farvi ristoro.
Portarne via non si vedea mai stanco
Un vecchio, e ritornar sempre per anco.
92 Era quel vecchio si espedito e snello,
Che per correr parea che fosse nato ;
E da quel monte il lembo del mantello
Portava pien del nome altrui segnato.
Ove n'andava, e perché facea quello,
Nell'altro Canto vi sarà narrato,
Se d' averne piacer segno farete
Con quella grata udienza che solete.
Si. S. v^ 4-S. — Troppo /allò ec. 1 in Italia, chiamandoTi gli Smzeri per
Vuole allndere a Giulio II, che, dopo la t discacciarne i Francesi.
|iornata di Ravenna, riaccese la guerra | St. 3. v. 2-7. — Cacci fuor di Ltte$
260
ORLANDO F0RIOSO.
laccM dimenticnc; e ciò riguarda la
misera coodinoiic degl* Italiani.— ^//a
Hrtà di Calmi e di ZeU ec.: due figli
di Borea e di Orìtia, i qoali caociarono
•ino alle StroEidi le Arpie cbe bralU-
▼ano le meaie di Fimeo n di Tracia.
Vedi i mitologi.
^/•1S. F. i«7. — jtmMSsaretet don-
mella di Cipro, la cui intenaibilitli all' a-
mora d' Ifi, principe ciprioUo, condusse
il gioTine ad appiccarsi; ed ella fu con-
▼ertiU ia sasso. — Dajntt ninfa, che
fnggBido da Apollo, da cui era amata,
▼enne cangiata in lauro.
SiAk.v, Z~&.-^Jl sa Teseo « Già-
soue ec. Rammenuil Poeta quattro in-
gannatori di donne: Teseo cioè e Già*
sone, ebe delusero, l*uno Arianna, 1* al-
tro Medea; Enea, ionquisUtora del
' Lasio, cbe abbandonò Didone, e Am^
non, figlio di David, che mutò in odio
il sno amore per Tamar; di cbe nacque
odio mortale fra lui e Absalon. Vedi il
Libro II di Samuele, Gap. 43.
SL 31. p, 6. » Pia strati impenni t
guarnisca di penne, prepari altri strali
per innamorarlo.
«S)r.33.«r.7. — lestrigoni t rotti po-
poli del Latio, rappresentati ntWOdiS'
sea di Omero come antropofagi.
St. 39. V. i.5. — Non fu da Euri»
steo mai ec- Vedi presso i mitologi le
molte prove a cui /4 ioide (Ercole) fu
sottoposto, per l'odio che gli portava
Giunone.
St, 46. F. %'^Epe! pance.
St. 47. 9. 3. — Imfeeet deturpò;
voce latina. |
StM. (r.5.— Vagkit seona intorno.
St. 63. 9. òJi.^Dedaio: qui inge-
gnoso, a modo di epiteto.— Le mirm
bil sette moli: le setu, chiamate dagE
antichi, maraviglie del memdej vale a
dire, le Piramidi egitiane, il scolerò
di Mausolo, il tempio di Diana in Bfe*
so, il colosso di Rodi, il palano di Ciro
re dei Medi, la sUtna di Giom Olim-
pico, e.le mura di Babilonia.
St, 61. 9. 5. — // 9eeehie spose:
.Titone, come altra volta si • detto.
St, 61 9, ì, — Scerses discorsa»
Hgionò.
St, 69. 9, 6.— E tosto in Htesao il
fuoco eterno giunse. Intendi nella sièra
del fuoco, cbe, secondo le Uoria di
Tolomeo, credevasi intermedia fra la
terra e il cielo della luna.
St. Ih. 9, 4. — Non ham mai loeos
non SODO mai eseguiti.
St,76.9.i . — Biche « masse di covo-
ni; qui semplicemente cumuli, mmechi,
St. 73. 9.0.^1 greppi: le pelli
de' mantici, che dilatandosi e restrin-
gendosi a vicenda, accolgono l'aria e
la respingono fuori.
«S"! .84. V, Z,— -Il duca franco : Astol-
fo, che, sebbene inglese, era paladino
di Francia.
St. 83. 9. 4. — Canm canuta; lati-
nismo.
St.9i.9.%.^E ritornar sempre
per ancot sottintendi a levarne.
261
CANTO TBXNTESitMOQVlXTO.
Comincia il Poeta con bellissima apostrofe alla sua donna parlandole dell' amoff
suo; poi, togliendo occasione dal lavoro delle Parche, fa uno splendido eI<^io
al caidinal d' Este. Mostra quindi come il tempo spenga i nomi degli nomini
oacwi» e come salga a fama immortale qnel dei preclarL E ripigliando il filo
del Poema, riferisce alcuni fatti di Bradamante, che, ponte tuttora di gelosia
per Ruggiero, lo sfida a battaglia.
Chi salirà per me, Madonna, in cielo
A riportarne il mio perdalo ingegno.
Che, poi eh' asci da' bei vostri occhi il telo
Che '1 cor mi fisse, ognor perdendo vegno?
Nò di tanta iattura mi querelo,
Parche non cresca, ma stia a qnesto segno ;
Ch' io dabito, se più si va scemando.
Di yenir tal, qoal ho descritto Orlando.
Per riaver V ingegno mìo m' è avviso
Che non bisogna che per l' aria io poggi
Nel cerchio della lana o in paradiso ;
Che '1 mio non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,
Nel sen d' avorio e alabastrini poggi
Se ne va errando ; ed io con qaeste labbia
Lo corrò, se vi par eh' io lo riabbia.
Per gli ampli tetti andava il paladino
Tolte mirando le fatare vite,
Poi eh' ebbe visto sai fatai molino
Volgersi qaelle eh' erana già ordite :
E scòrse un vello che più che d' òr fino
Splender parea; nò sarian gemme tritai
S' in filo si tirassero con arte.
Da comparargli alla mìllesma parte.
263 OKLANDO FUBIOSO.
4 Mirabiliiiente il bel yello gli piacque ,
Che tra inGniti paragon non ebbe ;
E di sapere alto disio gli nacque,
Quando sarà tal Yìta, e a chi si debbe.
L' Evangelista nulla glie ne tacque :
Che venti anni principio prima avrebbe,
Che con* H e col D fosse notato
L' anno corrente dal Verbo incarnato.
5 E come di splendore e di beltade
Quel vello non avea simile o pare ;
Cosi saria la fortunata etade.
Che dovea uscirne, al mondo singulare ;
Perchè tutte le grazie inclite e rade.
Ch'alma natura, o proprio studio dare,
0 benigna fortuna ad uomo puote.
Avrà in perpetua ed infallibil dote.
6 Del re de' fiumi fra l' altiere coma
Or siede umil, diceagli, e piccol borgo;
Dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna
D' alta palude un nebuloso gorgo ;
Che, volgendosi gli anni, la più adorna
Di tutte le città d'Italia scorgo.
Non pur di mura e d' ampli tetti regi,
Ma di bei stodj e di costumi egregi.
7 Tanta esaltazione e cosi presta,
Non fortuita o d' avventura casca ;
Ma l'ha ordinata il Ciel, perché sia questa
Degna in che Tuom, di ch'io ti parlo, nasca:
Che, dove il frutto ha da venir, s' innesta
E con studio si fa crescer la frasca ;
E l'artefice l' oro adinar suole.
In che legar gemma di pregio vuole.
8 Né si leggiadra né si bella veste
Unqua ebbe altr' alma in quel terrestre regno;
E raro é sceso e scenderà da queste
Sfere superne un spirito si degno.
Come per farne Ippolito da Este
N' ave l' eterna Mente alto disegno.
Ippolito da Esle sarà detto
L' uomo a chi Dio si ricco dono ha eletto.
CANTO TaENTESIMOQUINTO. 264
9 Qaegli ornamenti che divisi in molti,
A molti basterian per tutti ornarli.
In suo ornamento avrà tutti raccolti
Costui, di e' hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui soffolti
Saran gli studj ; e s' io vorrò narrar li
Alti suoi merti, al On son si lontano,
Gh' Orlando il senno aspetterebbe invano.
10 Così venia V imitator di Cristo
Ragionando col duca : e poi che tutte
Le stanze del gran luogo ebbene visto,
Onde l'umane vite eran condotte,
Sul fiume uscire, che d' arena misto
Con r onde discorrea torbide e brutte ;
£ vi trovar quel vecchio in su la riva,
Che con gì' impressi nomi vi veniva.
a Non so se vi sia a mente, io dico quello
Ch'ai fin dell'altro Canto vi lasciai.
Vecchio di faccia, e si dì membra snello.
Che d'ogni cervio è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empia il mantello ;
Scemava il monte, e non finiva mai:
Ed in quel fiume che Lete si noma,
Scarcava, anzi perdea la ricca soma.
^12 Dico che, come arriva in su la sponda
Del fiume, quel prodigo vecchio scuole
11 lembo pieno, e nella turbida onda
• Tutte lascia cader V impresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
Ch' uh minimo uso aver non se ne puole ;
E di cento migliaia che l' arena
Sul fondo inveivo, un se ne serva appena.
13 Lungo e d' intorno quel fiume volando
Givano corvi ed avidi avoltori.
Mulacchie e varj augelli, che gridando
Facean discordi strepiti e romori ;
Ed alla preda correan tutti, quando
Sparger vedean gli amplìssimi tesori :
E chi nel becco, e chi neirugna torta
Ne prende ; ma loiilan [.oco gli porla.
264 OBLANDO FURIOSO.
ié Come vogliono alzar per Y aria i voli,
Non han poi forza che '1 peso sostegna ;
Si che convien che Lete pur involi
De' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli.
Bianchi, signor, come è la vostra insegna,
Che vengon lieti riportjindo in bocca
Sicuramente il nome che lor tocca.
io Cosi contro i pensieri empi e maligni
Del vecchio, che donar li vorria al fiume,
Alcun ne salvan gli augelli benigni:
Tutto r avanzo obblivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni.
Ed or per l'aria battendo le piume.
Finché presso alla ripa del fiume empio
Trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
iS All' Immortalitade il luogo è sacro,
Ove una bella ninfa giù del colle
Viene alla ripa del leteo lavacro,
E di bocca dei cigni i nomi lolle ;
E quelli affigge intorno al simulacro
Ch' in mezzo il tempio una colonna estolle.
Quivi li sacra, e ne fa tal governo,
Che vi si puon veder tutti in eterno.
i7 Chi sia quel vecchio, e perchè tutti al rio
Senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
E degli augelli , e di quel luogo pio
Onde la bella ninfa al fiume viensi,
Aveva Astolfo di saper desio
I gran misteri e gli incogniti sensi ;
E domandò di tutte queste còse
L'uomo di Dìo, che cosi gli rispose:
48 Tu dèi saper che non si muove fronda
Laggiù, che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
In terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda.
Veloce si che mai nulla l'impaccia,
Gli effetti pari e la medesima opra
Che '1 Tempo fa laggiù, fa qui di sopra.
CANTO TBENTESIMOQDINTO. 265
i9 Volle che son le fìia in sa la ruota,
Laggiù la vita umana arrìva al fine.
La faooa là, qui ne riman la nota ;
Ch' immortali sariano ambe e divine,
Se non che qui quel dalla irsuta gota,
E laggiù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio:
E quel r immerge neir eterno obblio. *
20 E come quassù i corvi e gli avoUori
E le mulacchie e gli altri vari augelli
S' affaticano tutti per trar fuori
Deir acqua i nomi che veggion più belli ;
Cosi laggiù ruffiani, adulatori,
Buffon, cinedi, accusatori, e quelli
Che vivono alle corti, e che vi sono
Più grati assai che '1 virtuoso e '1 buono ;
21 E son chiamati cortìgìan gentili,
Perchè sanno imitar V asino e '1 ciacco ;
De' lor signor tratto che n' abbia i fili
La giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
Questi di ch'io li dico, inerti e vili.
Nati solo ad empir di cibo il sacco.
Portano in bocca qualche giorno il nome ;
Poi neir obblio lascian cader le some.
22 Ma come i cigni, che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio ;
Cosi gli nomini degni da' poeti
Son tolti dall' obblio, più che morte empio.
0 bene accorti prìncipi e discreti.
Che seguite di Cesare l'esempio,
E gli scrittor vi fate amici, donde
Non avete a temer di Lete l' onde!
23 Son, come i cigni, anco i poeti rari.
Poeti che non sian del nome indegni,
Si perchè il Ciel degli uomini preclari
Non pale mai che troppa copia regni,
Si per gran colpa dei signori avari
Che lascian mendicare i sacri ingegni ;
Che le virtù premendo, ed esaltando
1 vizj, caccian le buone arti in bando.
II. 2S
266 OBLÀKDO FURIOSO.
24 Credi che Dio questi ignoranti ha privi
Dello 'ntelletto, e loro offasca i lami;
Che della poesia gli ha fatto schivi,
Acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro nscirian vivi ,
Ancor eh' avesser tutti i rei costumi ;
Purché sapesson farsi amica Cirra ,
^iù grato odore avrian, che nardo o mirra.
25 Non si pietoso Enea, né forte Achille
Fu, come è fama, né sì fiero £ttorre ;
E ne son stati e mille e mille e mille
Che lor si pnon con verità anteporre:
Ma i donati palazzi e le gran ville
Dai discendenti lor, gli ha fatto porre
In questi senza fin soblimi onori
Dair onorate man degli scrittori.
26 Non fu stianto nò benigno Augusto,
Come la tuba di Virgilio suona.
L'avere avuto in poesia buon gusto,
La proscrizione iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto.
Né sua fama saria forse men buona ,
Avesse avuto e terra e ciel nimici.
Se gli scrittor sapea tenersi amici.
27 Omero Agamennon vittorioso,
E fé i Troian parer vili ed inerti ;
E che Penelopea, fida al suo sposo.
Dai prochi mille oltraggi avea soffèrti.
E se tu vuoi che '1 ver non ti sia ascoso,
Tutta al contrario V istoria converti :
Che i Greci rotti, e che Troia vitlrice,
E che Penelopea fu meretrice.
28 Dall'altra parte odi che fama lascia
Elisa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
Che ripotata viene una bagascia.
Solo perchè Maron non le fu amicò.
Non ti maravigliar ch'io n' abbia ambascia,
E se di ciò diffusamente io dico.
' Gli scrittori amo, e fo il debito mio ;
Ch' al vostro mondo fui scrittore anch' io.
CANTO TRENTESIMOQUINTO. 267
29 E sopra tutti gli altri io feci acquisto
Che non mi può levar tempo né morte :
E ben convenne al mio lodato Cristo
Rendermi guidardon di si gran sorte.
Ducimi di quei che sono al tempo tristo,
Quando la cortesia chiuso ha le porte ;
Che con pallido viso e macro e asciutto
La notte e '1 di vi picchian senza frutto.
30 Si che, continuando il primo detto,
Sono i poeti e gli studiosi pochi ;
Che dove non han pasco nò ricetto,
Insin le fere abbandonano i lochi.
Cosi dicendo il vecchio benedetto
Gli occhi inGammò, che parveno duo fuochi ;
Poi volto al duca con un saggio riso,
Tornò sereno il conturbato viso.
31 Resti con lo scrittor dell' Evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto,
Quanto sia in terra a venir fìn dal cielo :
Ch' io non posso più star su V ali in alto.
Torno alla donna , a cui con grave telo
Mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai eh' avea con breve guerra
Tre re gittati, un dopo l' altro, in terra ;
38 E che giunta la sera ad un castello
Ch'alia via di Parigi si ritrova,
D'Agramante che, rotto dal fratello,
S' era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che '1 suo Ruggier fosse con quello^
Tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,
Verso Provenza, dove ancora intese
Che Carlo lo seguia, la strada prese.
33 Verso Provenza per la via più dritta
Andando, s' incontrò in una donzella,
Ancorché fosse lacrimosa e afflitta.
Bella di faccia, e di maniere bella.
Questa era quella si d'amor trafitta
Per lo Ogliuol di Monodante, quella
Donna gentil eh' avea lasciato al ponte
L'amante suo^prigion di Rodomonte.
268 ORLANDO FURIOSO.
34 Ella venia cercando un cavaliere,
Ch'a far battaglia usato, come lontra
In acqua e in terra fosse, e cosi fiero,
Che lo potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
Come quest'altra sconsolata incontra,
Cortesemente la saluta, e poi
Le chiede la cagion dei dolor suoi.
36 Fiordiligi lei mira, e veder parie
Un cavalier eh' al suo bisogno fia ;
£ comincia del ponte a ricontarle.
Ove impedisce il re d'Algier la via ;
E eh' era stato appresso di levarle
L' amante suo : non che più forte sia ;
Ma sapea darsi il Saracino astuto
Col ponte stretto e con quel fiume aiuto.
36 Se sei, dicea, si ardito e si cortese.
Come ben mostri V uno e l* altro in vista,
Mi vendica, per Dio, di chi mi prese
11 mio signore, e mi fa gir si trista ;
O consigliami almeno in che paese
Possa io trovare un ch'a colui resista,
E sappia tanto d'arme e di battaglia,
Che '1 fiume e '1 ponte al pagan poco vaglia.
37 Oltre che tu farai quel che conviensi
Ad uom cortese e a cavaliere errante,
In beneficio il tuo valor dispensi
Del più fcdel d' ogni fedele amante.
Dell' altre sue virtù non appartiensi
A me narrar; che sono tante e tante.
Che chi non n'ha notizia, si può dire
Che sia del veder privo e dell' udire.
3S La magnanima donna, a cui fu grata
Sempre ogni impresa che può farla degna
D' esser con laude e gloria nominata ,
Subito al ponte di venir disegna :
Ed ora tanto più, eh' è disperata, °
Vien volentier, quando anco a morir vegna ;
Che credendosi, miserai esser priva
Del suo Ruggiero, ha in odio d' esser viva.
^"T-
CANTO TRENTESIHOQCINTD» 269
3d Per quel ch'io YSlglio, giovane amorosa,
Rispose Bradamante, io m'offerisco
Di far Y impresa dura e perigliosa,
Per altre cause ancor, eh' io preterisco ;
Ma più, che del tuo amante narri cosa
Che narrar di pochi uomini avvertisco.
Che sìa in amor fedel ; eh' affé ti giuro
Gh' in ciò pensai eh' ognun fosse pergiuro.
40 Con un sospir quesi' ultime parole
Finì, con un sospir ch'usci dal core ;
Poi disse : Andiamo ; e nel seguente sole
Giunsero al fiume, al passo pien d' orrore.
Scoperte dalla guardia che vi suole
Farne segno col corno al suo signore,
11 pagan s'arma; e, quale é '1 suo costume,
Sul ponte s' appresenta in ripa al fiume :
41 E come vi compar quella guerriera.
Di porla a morte subito minaccia,
Quando dell'arme e del deslrier, su eh' era ,
Al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa l'istoria vera,
Come per lui morta Isabella giaccia,
Che Fiordiligi detto le l' avea.
Al Saracin superbo rispondea :
42 Perchè vuoi tu, bestiai, che gl'innocenti
Facciano penilenzia del tuo fallo ?
Del sangue tuo placar costei convienti :
Tu r uccidesti ; e tutto '1 mondo salto.
Sì che di tutte l' arme e guernimenti
Di tanti che gittati hai da cavallo.
Oblazione e vittima più accetta
Avrà, ch'io te le uccida in sua vendetta.
43 E di mia man le fia più grato il dono ,
Quando, com'ella fu, son donna anch'io:
Né qui venuta ad altro effetto sono,
Ch' a vendicarla ; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono.
Che '1 tuo valor si compari col mio.
S' abbattuta sarò, di me farai
Quel che degli altri tuoi prigion fatt' hai :
270 ORLANDO FORtOSO.
44 Ma sMo i' abbatta, come io credo e spero,
Guadagnar voglio il tao cavallo e l'armi,
E qaelle offerir sole al cimitero,
£ tutte r altre distaccar da' marmi ;
E voglio che ta lasci ogni guerriero.
Rispose Rodomonte : Giusto parmi
Che sia come tu di'; ma i prigion darti
Già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
45 Io gli ho al mio regno in Arrìca mandati:
Ma ti prometto e ti do ben la fede,
Che se m' avvien per casi inopinati
Che tu stia in sella, e ch'io rimanga a piede,
Farò che saran tutti liberati
In tanto tempo quanto si richiede
Di dare a un messo eh' in fretta si mandi
A far quel che, s'io perdo, mi comandi.
46 Ma 8* a te tocca star di sotto, come
Più si conviene, e certo so che fia,
Non vo' che lasci l' arme, né il tuo nome,
Come di vinta, sottoscritto sia :
Al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
Che spiran tutti amore e leggiadria,
Voglio donar la mia vittoria ; e basti
Che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
47 Io son di tal valor, son dì tal nerbo,
Ch' aver non dèi d' andar di sotto a sdegno.
Sorrise alquanto, ma d' un riso acerbo,
Che fece d'ira, più che d'altro segno,
La donna : né rispose a quel superbo ;
Ma tornò in capo al ponticel di legno.
Spronò il cavallo, e con la lancia d' oro
Venne a trovar queir orgoglioso Moro.
48 Rodomonte alla giostra s' apparecchia :
Viene a gran corso ; ed è si grande il suono
Che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia
Può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d' oro fé l' usanza vecchia ;
Che quel pagan, si dianzi in giostra buono,
Levò di sella, e in aria lo sospese.
Indi sul ponte a capo ingiù lo stese*
"ì
CANTO tRENTESIMOQUiKTÒ. tH
49 Nel trapassar ritrovò appena loco
Ove entrar col destrier qaella guerriera ;
£ fu a gran risco, e ben vi mancò poco,
Gh' ella non traboccò nella riviera ;
Ma Rabicano, il quale il vento e '1 fuoco
Concetto avean, si destro ed agii era,.
Che nel margine estremo trovò strada ;
E sarebbe ito anco s' un fìl di spada.
50 Ella si volta, e centra rabbattuto
Pagan ritoma; e con leggiadro motto.
Or puoi, disse, veder chi abbia perduto ,
E a chi di noi tocchi di star di sotto.
Di maraviglia il pagan resta muto,
Ch* una donna a cader l' abbia condotto ;
E far risposta non potè o non volle,
E fu come nom pien di stupore e folle.
61 Di terra si levò tacfto e mesto ;
E poi eh' andato fu quattro o sei passi ,
Lo scudo e Telmo, e dell' altre arme il resto
Tutto si trasse, e gittò centra i sassi ;
E solo e a pie fu a dileguarsi presto :
Non che commission prima non lassi
A un suo scudier, che vada a far V effetto
Dei prigion suoi, secondo che fu detto.
62 Partissi ; e nulla poi più se n' intese,
• Se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
Di costui r arme air alta sepoltura ;
E fattone levar tutto T arnese.
Il qual dei cavalieri, alla scrittura,
Conobbe della corte esser di Carlo,
Non levò il resto, e non lasciò levarlo.
63 Oltr'a quel del figlinol di Monodante,
V'è quel di Sansonetto e d'Oliviero,
Che, per trovare il principe d' Anglante,
Quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi far presi, e furo il giorno innante
Mandati via dal Saracino altiero :
Di questi l' arme fé la donna tórre
Dall'alta mole, e chiuder nella torre,
272 ORLANDO FURIOSO.
64 Tutte r altre lasciò pender dai sassi,
Che fur spogliate ai cavalier pagani.
Y'eran Tarme d* un re, del quale i passi
Per Frontalatte mal fur spesi e vani :
10 dico r arme del re de' Circassi,
Che dopo lungo errar per colli e piani,
Venne quivi a lasciar V altro destriero ;
£ poi senz' arme andossene leggero.
55 S' era partito disarmato e a piede
Quel re pagan dal periglioso ponte,
Si come gli altri, ch'eran di sua Fede,
Partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
11 cor; ch'ivi apparir non avria fronte;
Che, per quel che vanlossi, troppo scorno
Gli saria farvi in tal guisa ritorno.
56 Di pur cercar nuovo desir lo prese
Colei che sol avea Ossa nel core.
Fu l'avventura sua, che tosto intese
(lo non vi saprei dir chi ne fu autore]
Ch' ella tornava verso il suo paese :
Ond' esso, come il punge e sprona Amore,
Dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla Gglia d' Amone.
57 Poi che narrato ebbe con altro scritto,
Come da lei fu liberalo il passo ;
A Fiordiligi eh' avea il core afiQitto,
E tenea il viso lacrimoso e basso,
Domandò umanamente ov* ella dritto
Yolea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi : Il mio cammino
Yo'che sia in Arli al campo Saracino,
58 Ove navilio e buona compagnia
Spero trovar, da gir neir altro lite.
Mai non mi fermerò, finchi' io non sia
Venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perchè in prìgion non stia,
Pia modi e più : che, se mi vien fallito
Questo che Rodomonte t' ha promesso,
Ne voglio avere uno ed un altro appresso.
CANTO TRENTESIHOQUINTO. 273
59 Io m'offerisco, disse Bradamante,
D' accompagnarti un pezzo della strada y
Tanto che tu ti vegga Arli davante,
Ove per amor mio vo' che tu vada
A trovar quel Ruggier del re Agramante,
Che del suo nome ha piena ógni contrada;
£ che gli rendi questo buon destriero,
Onde abbattuto ho il Saracino altiero.
60 Voglio eh' a punto tu gli dica questo :
Un cavalier che di provar si crede,
E fare a tutto '1 mondo manifesto
Che contra lui sei mancator di fede ;
Acciò ti trovi apparecchiato e presto,
Questo destrier, perch'io tei dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
£ che r aspetti a far teco battaglia.
01 Digli questo, e non altro ; e se quel vuole
Saper da te ch'io son, di che noi sai.
Quella rispose umana come suole :
Non sarò stanca in tuo servizio mai
Spender la vita , non che le parole ;
Che tu ancora per me cosi fatto hai.
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
02 Lungo il fiume le belle pellegrine
Giovani vanno a gran giornate insieme,
Tanto che veggono Arli, e le vicine
Bive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
Quasi de' borghi ed alle sbarre estreme,
Per dare a Fiord iligi atto intervallo.
Che condurre a Ruggier possa il cavallo.
03 Yien Fìordiligi, ed entra nel rastrello.
Nel ponte e nella porta; e seco prende
Chi le fa compagnia fino all' ostello
Ove abita Ruggiero, e quivi scende;
£, secondo il mandato, al damigello
Fa l'imbasciata, e il buon Frontin gli rende:
Indi va, che risposta non aspetta.
Ad eseguire il suo bisogno in fretta.
1
274 OBLANDO FURIOSO.
64 Raggìer riman confoso e in pensier grande,
E non sa ritrovar capo né via
Di saper chi Io sfide, e chi gli mande
A dire oltraggio, e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
O possa domandar nomo che sia.
Non sa veder né immaginare; e prima,
Ch' ogni altro sia che Bradamante, istima.
65 Che fosse Rodomonte, era {hù presto
Ad aver, che fosse altri, opinione ;
E perchè ancor da lai debba udir questo,
Pensa, né immaginar può la cagione.
Fuorché con lui, non sa di tutto '1 resto
Del mondo con chi lite abbia e tenzone.
In tanto la donzella di Dordona
Chiede battaglia, e forte il corno suona.
66 Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
Ch' un cavalier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpcntin loro era avante.
Ed impetrò di vestir piastra e maglia,
E promesse pigliar questo arrogante.
Il popol venne sopra la muraglia ;
Né fanciullo restò, né restò veglio.
Che non fosse a veder chi fesse meglio.
67 Con ricca sopravvesta e bello arnese
Serpentin dalla Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese :
11 destrier aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la donna cortese,
E per la brìglia al Saracin lo tenne,
E disse : Monta, e fa che '1 tuo signore
Mi mandi un cavalier di te migliore.
68 II re african , eh' era con gran famiglia
Sopra le mura alla giostra vicino.
Del cortese atto assai sì maraviglia,
Ch' usato ha la donzella a Serpentino.
Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia,
Diceva, udendo il popol Saracino.
Serpentin giunge ; e com' ella comanda,
Un miglior da sua parte al re domanda.
CANTO TRBNTBSIBfOQCINTO. 275
69 Grandonio di VoUerna farìbondo,
Il più superbo cavalier di Spagna,
Pregando fece si, che fu il secondo ,
£d usci con minacce alla campagna :
Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo ;
Che, quando da me vinto tu rimagna,
Al mio signor menar preso ti voglio :
Ma qui morrai , s' io posso come soglio.
70 La donna disse lui : Tua villania
Non vo' che men cortese far mi possa,
Ch' io non ti dica che tu torni, pria
Che sul duro terren ti doglian Y ossa.
Ritorna, e di al tuo re da parte mia.
Che per simile a te non mi son mossa ;
Ma per trovar guerrier che '1 pregio vaglia,
Son qui venuta a domandar battaglia.
71 II mordace parlare acre ed acerbo.
Gran fuoco al cor del Saracino attizza ;
Si che, senza poter replicar verbo,
Volta il destrier con collera e con stizza.
Volta la donna, e centra quel superbo
La lancia d' oro e Rabicano drizza.
Come r asta fatai lo scudo tocca.
Coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
72 II destrier la magnanima guerriera
Gli prese, e disse: Pur tei prediss'io.
Che far la mia imbasciata meglio t'era.
Che della giostra aver tanto disio.
Di al re, ti priego, che fuor della schiera
Elegga un cavalier che sia par mio ;
Né voglia con voi altri affalicarme,
Ch' avete poca esperienzia d' arme.
73 Quei dalle mura, che stimar non sanno
Chi sia il guerriero in su Tarcion si saldo,
Quei più famosi nominando vanno.
Che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno :
La più parte s' accorda esser Rinaldo :
Molti su Orlando avrian fatto disegno ;
Ma il suo caso sapean, di pietà degno.
276 oiLAXDO rcuoso.
74 La terza giostra D figlio di Lanfusa
Chiedendo, disse : Non che vincer sperì,
Ma perchè di cader più degna scasa
Abbian, cadendo anch'io, questi goerrìerì.
E poi di lotto qod eh' in giostra s* usa.
Si messe in ponto ; e di cento destrìerì
Che tenea in staila, d'nn tolse l' eletta,
Ch' ayea il correre acconcio, e di gran fretta.
75 Contra la donna per giostrar si fece;
Ma prima salalolla, ed ella lai.
Disse la donna : Se saper mi lece,
Ditemi in cortesìa chi siate yoì.
Di questo Ferraù la satisfece ;
Ch' usò di rado di celarsi aUrui.
Ella soggiunse: Voi già non rifiato;
Ma ayria pia Yolentieri altri voluto.
76 E chi? Ferraà disse. Ella rispose :
Ruggiero; e appena il potè proferire,
E sparse d' un color, come di rose,
La bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi : Le cai famose
Lode a tal prova m' han fatto venire.
Altro non bramo, e d' altro non mi cale.
Che di provar com' egli in giostra vale.
77 Semplicemente disse le parole
Che forse alcuno ha già prese a malizia.
Rispose Ferraà : Prima si vuole
Provar tra noi chi sa più di milizia.
Se di me avvien quel che di molli suole.
Poi verrà ad emendar la mia tristizia
Quel gentil cavalier che tu dimostri
Aver tanto desio che teco giostri.
7S Parlando tutta volta la donzella,
Teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
Si sente rimaner mezzo conquiso ;
E taciturno dentro a sé favella :
Questo un angel mi par del paradiso ;
E ancorché con la lancia non mi tocchi ,
Abbattuto son già da' suoi begli occhi.
CANTO TRENTESIBIOQUINTO.
277
79 Preson del campo: e, come agli altri avvenne ,
Ferraù se n' usci di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli ritenne,
E disse: Torna, e serva quel e' hai detto.
Ferraù vergognoso se ne venne,
E ritrovò Ruggier eh' era al conspetto
Del re Agramante ; e gli fece sapere
Ch' alla battaglia il cavalier lo chere.
80 Ruggier, non conoscendo ancor chi fosse
Che a sfidar lo mandava alla battaglia.
Quasi certo di vincere, allegrosse;
E le piastre arrecar fece e la maglia :
Né r aver visto alle gravi percosse
Che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s'armasse, e come uscisse, e quanto
Poi ne segui, lo serbo all' altro Canto.
WOTS.
St. ^,p.b'%,'^E scórse §m vello ee.
Io qnel vello si denota il corso Titale del
cardinale Ippolito da Este, ch'ebbe l'A-
riosto in soa corte.
St. 4. ». 6-8 Che venti anni pri"
ma ee. Il cardinale Ippolito nacque
nel i479| ed erano allora compiuti
fenti anni prima del 1500.
St. 9. V. 6. — Soffblti.- sostenuti.
St. il. V. lj—-Edin qneljiume, che
Late si noma .* fiume dell' obblio» finto
dal Poeta nella luna, come Dante lo
finse nel paradiso terrestre.
St. 14. V. 6. — Come è la vo^
stra insegnai come l'aquila di casa
d'Este.
St. 84. V. 7. — Cirra .* cittk nella
Focide, presso Delfo, alle radici del
Parnaso. I poeti la finsero starna delle
Muse; ed k qui nominata per indicare
i poeti.
St. S5. 9, ^—.Ba fatto porre .* cosi
legge l'ediiione del 1616, e non han
fatt9 porre, come altre leggono.
St. 28. V. 2. — Elisa t ossb Didone,
regina di Cartagine. Vedi mXL* Eneide
i di lei amori con Enea.
St, 31. V. ò Con grave telo:
con acuto dardo»
St. 33. V. 5-6 — Questa era queU
la ee. Fiordiligi. — Lojìgliuol di Mo'
nodanie: Brandimarte.
«yt. 34. V. 2.3. — Lontra ee. Ani-
male rapace ed anfibio.
St. 40. «^. 8. — .y appresenta. Cosi
ha l'ediiione del 1516; e si è creduto
dover preferire questa lesione alla co-
mune s' apparecchia»
St.bi. v.ò. — Delre de'Circassi:
di Sacripante, primo posseditore di
Frontalatte, che, venuto in poter di
Ruggiero, fu poi detto Frontino. Vedi
la St. 71 del Canto XXVII.
St. 70. V. 6-8.— iVoj» mison mos»
sa... Son qui venuta» Sì può facilmente^
perdonare al Poeta l' abbaglio di avete
con quei due aggiunti manifestato il
sesso di Bradamante, quando nella
St. 60, V. 2, essa medesima si dice ca»
«'a/ierej* e tale vien creduta, nella Starna
24
278 OBLA!nM> FCUOSO.
Ta^Agli ■pctlJtoriJdnwliHiiwiBH i 5iL80.r.6. — Il em- gli tmmgnm
St. 77. r. 5^. Hk- aM&i. L'cdbàow 1 SmmgiUre «ale ]
CAHT9 mEXTESIlIMIE9T9«
PMiisUada BnaanaBte nello sfiaan Roggioo» Xarfisa, che lo ha preveiralo, h
nNCsdaU pia toIu dalla magica lancia; e allora si accende miichia tra i cava-
Keri deir on campo e delT allro , spetutorì della contesa. Bradamante, che fra
qnelU ha lieonoscsnto Rof giero^ si scaglia contro di Ini ; ma non soSèrcndo di
faif ti oltraggio, si getU su ■ Mori e li disperde. Ridottasi poi con Ruggiero in
luogo appartato, in cni sorge un avello, ivi giunge Marfisa, con la quale Bra-
damante si attacca di nuovo. Ruggiero si sforsa invano di separare le due com-
battenti; e mentr'egli pure e*9Ììt prese con Tostinata Ifaifisa, una voce uscita
dall' avello li manifesta per fratdio e sorella.
i Convìen ch'ovanqae sia, sempre cortese
Sia un cor gentil, eh' esser non paó allrimente ;
Che per natura e per abito prese
Quel che di mutar poi non ò possente.
Convien eh' ovunque sia, sempre palese
Un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male ; e viene a farsi
L' abito poi difficile a mutarsi.
2 Di cortesia, di gentilezza esempj
Fra gli antiqui guerrier si vider molti,
E pochi fra i moderni ; ma degli empj
Costumi avvien eh' assai ne vegga e ascolti.
In quella guerra, Ippolito, che i tempj
Di segni ornaste agi' inimici tolti,
£ che traeste lor galee captive
Di preda carche alle paterne rive,
3 Tutti gli atti crudeli ed inumani
Ch* usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
Non già con volontà de' Veneziani,
Che sempre esempio di giustìzia foro,
Usaron l' empie e scellerate mani
Di rei soldati, mercenarj loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi ,
Ch'arson le ville e i nostri ameni lochi.
' CANTO TRENTESIMOSESTO. 279
4 Benché fu quella ancor brutta vendetta y
Slassimamente contra voi, ch'appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
Era d'assedio, ben sapea che spesso
Per voi più d' una fiamma fu interdetta,
£ spento il fuoco ancor, poi che fu messo.
Da villaggi e da templi ; come piacque
All' alta cortesia che con voi nacque.
6 Io non parlo di questo, nò dì tanti
Altri lor discortesi e crudeli atti ;
Ma sol di quel che trar dai sassi ì pianti
Debbe poter, qual volta se ne tratti.
Quel di, signor, che la famiglia innanti
Vostra mandaste là dove ritratti
Dai legni lor con importuni auspici
S' erano in luogo forte gì' inimici :
6 Qual Ettorre ed Enea sin dentro ai flutti.
Per abbruciar le navi greche, andaro ;
Un Ercol vidr'e un Alessandro, indutti
Da troppo ardir, partirsi a paro a paro ;
£ spronando i destrier, passarci tutti,
E i nemici turbar fin nel riparo ;
£ gir si innanzi, ch'ai secondo molto
Aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
7 Salvossi il Ferruffin, restò il Gantelmo.
Che cor, duca di Sora, che consiglio
Fu allora il tuo, che trar vedesti l' elmo
Fra mille spade al generoso figlio,
E menar preso a nave, e sopra un schelmo
Troncargli il capo ? Ben mi maraviglio
Che darti morte lo spettacol solo
Non potò, quanto il ferro a tuo figliuolo.
5 Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
Della milizia? In qual Scizia s'intende
Ch'uccider si debba un, poi ch'egli é preso,
Che rende l'arme, e più non sì difende?
Dunque uccidesti lui, perchò ha difeso
La patria? Il sole a torto oggi risplende,
Crodel secolo , poi che pieno sei
Dì Tiesti, di Tantali e di Atrei.
280 OBLAHDO FIJUOSO.
f Festi, Baiiiar cradH, del capo scemo
Il più ardilo ganon cbe dì sua etade
Fosse da od polo all' altro, e dalF estremo
Lito degf Indi a qoeOo ore il Sol cade.
Potea in Antropo6go, in Polifemo
La bella e gli anni sooi trorar pleiade ;
Ma non in te, più erodo e più feDooe
IKogni Gclope e d*ogni Lestrìgone.
10 Simile esempio non credo che sia
Fra gli antiqui goerrìer, di qoai il stadi
Tatti fmr gentilezza e cortesia ;
Né dopo la vittoria erano erodi
Bradamante non sol non era rìa
A qoei ch'ayea, toccando lor gli scodi ,
Fatto oscir della sella ; ma tenea
Loro i cavalli, e rimontar facea.
11 Di questa donna valorosa e bella
10 vi dissi di sopra, che abbattoto
Aveva Serpentin qoei daMi Stella,
Grandonio di Volterna e Ferraoto,
E ciascun d' essi poi rimesso in sella ;
E dissi ancor, che il terzo era venuto,
Da lei mandato a disGdar Ruggiero,
Là dove era stimata un cavaliero.
12 Ruggier tenne lo 'nvito allegramente,
£ r armatura sua fece venire.
Or, mentre che s'armava, al re presente
Tornaron quei signor di nuovo a dire,
Chi fosse il cavalìer tanto eccellente,
Che dì lancia sapea si ben ferire;
£ Ferraù, che parlalo gli avea.
Fu domandalo se lo conoscea.
13 Rispose Ferraù: Tenete certo
Che non è alcun di quei eh' avete dello.
A me parea, eh' il vidi a viso aperto,
11 fratel di Rinaldo giovinetto;
Ma poi eh' io n' ho l' alto valore esperto,
£ so che non può tanto Ricciardetto,
Penso che sia la sua sorella, molto
(Per quel ch'io n'odo) a lai simil di volto.
CANTO TRENTESIltOSBSTO. 281
ié Ella ha ben fama d' esser forte a pare
Del suo Rinaldo e d' ogni paladino;
Ma, per qnanto io ne veggo oggi, mi pare
Che vai più del fratel, più del cugino.
Come Ruggier lei sente ricordare.
Del vermiglio color che 'I mattatine
Sparge per l'aria, si dipinge in faccia,
E nel cor trìema, e non sa che si faccia.
15 A qoesto annunzio, stimolato e punto
Dall'amoroso strai, dentro infiammarse,
E per r ossa senti tutto in un punto
Correre un giaccio che 1 timor vi sparse ;
Timor eh' un nuovo sdegno abbia consunto
Quel grande amor che già per lui si l' arse.
Di ciò confuso, non si risolveva,
S* incontra uscirle, oppur restar doveva.
i6 Or quivi ritrovandosi MarGsa,
Che d' uscire alla giostra avea igran voglia,
Ed era armata, perchè in altra guisa
È raro, o notte o di, che tu la coglia ;
Sentendo che Ruggier s'arma, s'avvisa
Che di quella vittoria ella si spoglia,
Se lascia che Ruggiero esca fuor prima :
Pensa ire innanzi, e averne il pregio stima.
17 Salta a cavallo,. e vien spronando in fretta
Ove nel campo la 6glia d' Amone
Con palpitante cor Ruggiero aspetta,
Desiderosa farselo prigione;
E pensa solo ove la lancia metta.
Perchè del colpo abbia minor lesione,
liarfisa e^ ne vien fuor della porta,
E sopra l'elmo una fenice porta:
18 O sia per sua superbia, dinotando
Sé stessa unica al mondo in esser forte;
O pur sua casta intenzion lodando.
Di viver sempre mai senza consorte.
La figliuola d' Amen la mira ; e quando
Le fattezze eh' amava non ha scorte,
Come si nomi le domanda; et ode
Esser colei che del suo amor si gode ;
24*
282 ORLANDO FURIOSO.
i9 Of per dir mefglio, esser colei che crede
Che goda del suo amor, colei che tanto
Ha in odio e in ira, che morir si vede,
Se sopra lei non vendtct il suo pianto.
Volta il cavallo , e con gran furia riede,
Non per desir di porla in terra, quanto
Di passarle con V asta in mezzo il petto,
E libera restar d' ogni saspetto.
I so Forza è a MarGsa eh' a quel colpo yada
A provar se '1 terreno è duro o molle ;
E cosa tanto insolita le accada,
Gh' ella n' é per venir di sdegno folle.
Fu in terra appena, che trasse la spada,
E vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d' Amen non meno altiera
Gridò: Che fai? tu sei mia prigioniera.
21 Sebbene uso con gli altri cortesia.
Usar teco, Marfisa, non la voglio;
Come a colei che d' ogni villania
Odo che sei dotata e d' ogni orgoglio.
Marfisa a quel parlar fremer s' udìa
Come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma si per rabbia si confonde.
Che non può esprimer fuor quel che risponde.
ss Mena la spada, e più ferir non mira
Lei, che '1 destrier, nel petto e nella pancia;
Ma Bradamante al suo la briglia gira,
£ quel da parte subito si lancia ;
E tutto a un tempo con isdegno ed ira
La figliuola d' Amen spinge la lancia,
E con quella Marfisa tocca appena,
Che la fa riversar sopra r arena.
23 Appena ella fa in terra, che rizzosse,
Cercando far con la spada mal' opra.
Di nuovo Tasta Bradamante mosse,
E Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Benché possente Bradamante fosse,
Non però si a Marfisa era di sopra,
Che r avesse ogni colpo riversata;
Ma tal virtù neir asta era incantata.
CANtO TRENTESiafOSESTO. ^S^
24 Alcuni cavalieri in questo mezzo.
Alcuni, dico, della parie nostra
Se n' erano venuti dove, in mezzo
L'un campo e l'altro, si facea la giostra
(Che non eran lontani un miglio e mezzo) ,
Veduta la virtù che '1 suo dimostra;
Il suo, che non conoscono altri mente
Che per un cavalìer della lor gente.
26 Questi vedendo il generoso figlio
Di Troiano alle mura approssimarsi,
Per ogni caso , per ogni periglio
Non volse sprovveduto ritrovarsi ;
E fé che molti air arme dier di piglio,
£ che fuor dei ripari appresentàrsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
Di Marfisa la giostra avea intercetta.
26 L' innamorato giovene mirando
Stava il successo, e gli tremava il core.
Della sua cara moglie dubitando ;
Che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel princìpio, quando
Si mosse 1* una e V altra con furore ;
Ma visto poi come successe il fatto.
Restò maraviglioso e stupefatto :
27 E poiché fin la lite lor non ebbe.
Come avean Y altre avuto, al primo incontro*
Nel cor profondamente gli ne 'ncrebbe,
Dubbioso pur di qualche strano incontro.
' Deir una egli e dell' altra il ben vorrebbe ,
Ch' ama amendue ; non che da porre incontro
Sien questi amori: è 1* un fiamma e furore,
V altro benivolenza più eh' amore.
28 Partita volentier la pugna avria.
Se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia,
Perchè non vinca la parte di Carlo,
Che già lor par che superior ne sia,
Saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Dall' altra parte i cavalier cristiani
Si fanno innanzi , e son quivi alle mani*
284 OILANDO FUtiosa
29 Di qua di là gridar si sente all' arme,
Come osati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a pie, chi non è armato s' arme,
Alla bandiera ognan faccia ritorno,
Dicea con chiaro e bellicoso carme
Più d* ona tromba che scorrea d' intomo:
E come quelle svegliano i cavalli.
Svegliano i fanti i timpani e i taballi.
30 La scaramuccia fiera e sangainosa»
Quanto si possa immaginar, si mesce.
La donna di Dordona yalorosa,
A cui mirabilmente aggrava e incresoe
Che quel di eh' era tanto disìosa,
Di por Marfisa a morte, non riesce ;
Di qua di là si volge e si raggira.
Se Ruggier può veder, per cui sospira.
SI Lo riconosce all' aquila d' argento
€' ha nello scodo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
Si ferma a contemplar le spalle e '1 petto,
Le leggiadre fattezze, e 1 movimento
Pieno di grazia ; e poi con gran dispetto,
Immaginando ch'altra ne gioisse,
Da furore assalita cosi disse :
Si Dunque baciar si belle e dolci labbia
Deve altra, se baciar non le poss' io?
Ah non sia vero già eh' altra mai t' abbia ;
Che d'altra esser non dèi, se non sei mio.
Piuttosto che morir sola di rabbia,
Che meco di mia man mori, disio;
Che sebben qui ti perdo, almen l'inferno
Poi mi ti renda, e sUi meco in eterno.
33 Se tu m' eccidi, è ben ragion che deggi
Darmi della vendetta anco conforto ;
Chò voglion tutti gli ordini e le leggi,
Che chi dà morte altrui, debba esser morto.
Nò par eh' anco il tao danno il mio pareggi:
Chò to mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, oimè! eh' io mora ;
Ma tOy crudele chi t' ama e chi t' adora.
CANTO TREMTESIMOSESTO. 28i$
34 Perché non dèi tu, mano, essere ardita
D'aprir col ferro al mio nimico il core?
Che tante volte a morte m' ha ferita
Sotto la pace in sicurtà d' amore >
Ed or può consentir termi la vita.
Né pur aver pietà del mio dolore.
Centra quest'empio ardisci, animo forte:
Vendica mille mìe con la sua morte.
35 Gli sprona centra in questo dir; ma prima.
Guardati, grida, perOdo Ruggiero :
Tu non andrai, s'io posso, della opima
. Spoglia del cor d' una donzella altiero.
Come Ruggiero ode il parlare, estima
Che sia la moglie sua, com'era in vero;
La cui voce in memoria si bene ebbe,
Ch'in mille riconoscer la potrebbe.
36 Ben pensa quel che le parole denno
Volere inferir più ; eh' ella V accusa
Che la convenzion ch'insieme fenno.
Non le osservava: onde, per farne iscusa.
Di volerle parlar le fece cenno.
Ma quella già con la visiera chiusa
Venia, dal dolor spinta e dalla rabbia ^
Per porlo, e forse ove non era sabbia.
37 Quando Ruggier la vede tanto accesa.
Si ristringe neli' arme e nella sella :
La lancia arresta ; ma la tien sospesa ,
Piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, eh' a ferirlo e a fargli offesa
Venia con mente di pietà rubella,
Non potè sofferir, come fu appresso,
Di porlo in terra, e fargli oltraggio espresso.
38 Cosi lor lance van d' effetto vuote
A quello incontro ; e basta ben s' Amore
Con l'un giostra e con l'altro, e gli percuote
D' una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
Di far onta a Ruggier, volge il furore,
Che r arde il petto, altrove ; e vi fa cose
Che saran, Gnchè giri il ciel, famose.
286 ORLANDO FURIOSO.
39 In poco spazio ne gittò per terra
Trecento e più con quella lancia d' oro.
Ella sola quel di vinse la guerra,
Messe ella sola in fuga il popol moro.
Ruggier di qua di là s' aggira ed erra
Tanto, che se le accosta e dice: Io moro,
S' io non ti parlo : oimè ! che t' ho fatt' io,
Che mi debbi fuggire? Odi, per Dio.
40 Come ai meridional tiepidi venti,
Che spirano dal mare il fiato caldo.
Le nievi si disciolveno e i torrenti,
£ il ghiaccio che pur dianzi era sì saldo ;
Cosi a quei prieghi, a quei brevi lamenti
Il cor della sorella di Rinaldo
Subito ritornò pietoso e molle.
Che l'ira, più che marmo, indurar volle.
41 Non vuol dargli, 0 non puote, altra risposta;
Ma da traverso sprona Rabicano,
E quanto può dagli altri si discosta.
Ed a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor della moltitudine in reposta
Valle si trasse, ov'era un piccol piano,
Ch' in mezzo avea un boschetto di cipressi
Che parean d' una stampa tutti impressi.
42 In quel boschetto era di bianchi marmi
Fatta di nuovo un' alla sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
Notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
Che già non pose mente alla scrittura.
Ruggier dietro il cavallo affretta e punge
Tanto, eh' al bosco e alla donzella giunge.
43 Ma ritorniamo a Marfisa, che s' era
In questo mezzo in sul destrier rimessa,
E venia per trovar quella guerriera
Che l'avea al primo scontro in terra messa;
E la vide partir fuor della schiera,
£ partir Ruggier vide, e seguir essa ;
Né si pensò che per amor seguisse.
Ma per finir con l' arme ingiurie e risse.
CANTO TBENTESIMOSESTO. 287
Ai Urta il cavallo, e vien dietro alla pesta
Tanto, eh' a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta»
Chi vive amando il sa, senza eh' io 'i scriva.
Ma Bradamanle offesa più ne resta;
Che colei vede, onde il suo mal deriva.
Chi le può tor che non creda esser vero
Che r amor ve la sproni di Ruggiero?
45 E perfido Ruggier di muovo chiama.
Non ti bastava, perfido, disse ella.
Che tua perfidia sapessi per fama,
Se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo e' hai brama .
£ per sbramar tua voglia inìqua e fella,
10 vo' morir ; ma sforzerommi ancora
Che muora meco chi è cagion eh' io mora.
46 Sdegnosa più che vipera, si spicca
Cosi dicendo, e va centra Marfìsa ;
Ed allo scudo Y asta si le appicca,-
Che la fa addietro riversare in guisa.
Che quasi mezzo V elmo in terra ficca ;
Né si può dir che sìa colta improvvisa:
Anzi fa incontra ciò che far si puote ;
Eppure in terra del capo percuote.
47 La figliuola d'Amen, che vuol morire
0 dar morte a Marfìsa, è in tanta rabbia.
Che non ha mente di nuovo a ferire
Con r asta, onde a gittar di nuovo l'abbia ;
Ma le pensa dal busto dipartire
11 capo mezzo fìtto nella sabbia :
Getta da sé la lancia d' oro, e prende
La spada, e del destri er subito scende.
4S Ma tarda è la sua giunta : che si trova
Marfìsa incontra, e di tanta ira piena
(Poiché s' ha vista alla seconda prova
Cader si facilmente su l'arena),
Che pregar nulla, e nulla gridar giova
A Ruggier, che di questo avea gran pena :
Si l' odio e r ira le guerriere abbaglia,
Che fan da disperate la battaglia*
ORLANDO FURIOSO.
49 A mezza spada vengono di botto ;
E per ]a gran superbia che 1* ha accese,
Yan pur innanzi, e si son già si sotto,
Ch' altro non paon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
Lascian «adere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue ;
Ma poco frutto han le parole sue.
50 Quando pur vede che '1 pregar non vale,
Di partirle per forza si dispone :
Leva di mano ad amendue il pugnale,
Ed al pie d' un cipresso li ripone.
Poiché ferro non han più da far male, .
Con prieghi e con minacce s' interpone :
Ma tutto è invan : che la battaglia fanno
A pugni e a calci, poi eh* altro non hanno.
51 Ruggier non cessa ; or V una or Y altra preRde
Per le man, per le braccia, e la ritira;
£ tanto fa che di MarGsa accende
Centra di sé, quanto si può piìi, Tira.
Quella, che tutto il mondo vilipende.
Air amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca,
Gorre alla spada, e con Ruggier s' attacca.
52 Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui ;
Ma ti farò pentir con questa mano.
Che vo' che basti a vincervi ambedui.
Cerca Ruggier con parlar molto umano
MarGsa mitigar; ma centra lui
La trova in modo disdegnosa e fiera,
Ch' un perder tempo ogni parlar seco era.
63 Air ultimo Ruggier la spada trasse.
Poiché l' ira anco lui fé rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
Che cosi a' riguardanti dilettasse, .
Come dilettò questo e fu giocondo
Alla gelosa firadamante, quando
Questo le pose ogni sospetto in bando.
CANTO TRENTESIMOSESTO. 289
64 La sua spada avea tolta ella di terra ,
£ tratta a' era a riguardar da parte ;
E 1« parea veder che '1 Dìo di guerra
Fosse Ruggiero alla possanza e all' arte.
Una furia infemal, quando si sferra.
Sembra MarGsa, se quel sembra Marte.
Vero è eh' un pezzo il giovene gagliardo
Dì non far il poter ebbe riguardo.
65 Sapea ben la virtù della sua spada ;
Che tante esperienze n' ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
L'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto ;
Sk che ritien che '1 colpo suo non cada
Di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza ;
Ma perde pure un tratto la pazienza,
56 Perchè Marfisa una percossa orrenda
Gli mena per divìdergli la testa.
Leva lo scudo, che '1 capo difenda,
Ruggiero, e '1 colpo in su V aquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda ;
Ma di stordir non però il braccio resta :
E s' avea altr' arme che quelle d' Ettorre,
Gli potea il Gero colpo il braccio torre :
57 E saria sceso indi alla testa, dove
Disegnò di ferir V aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
A pena più sostien l' aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove ;
Par che negli occhi avvampi una facoltà.
E quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta.
58 Io non vi so ben dir come si fosse :
La spada andò a ferire in un cipresso,
E un palmo e più nell' arbore cacciosse :
In modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
Un gran tremooto, e si senti con esso
Da queir avel eh' in mezzo il bosco siede.
Gran voce uscir, eh' ogni mortale eccede.
n. 25
20& ORBANDO FURIOSO.
69 Grida la voce orrìbile : Non sia
Lite tra voi : gii è ingiusto ed inomano
Ch' alla sorella il fratel morte dia, •
0 la sorella necida il sao germano.
Ta, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
Credete al mio parlar che non ò vano :
In un medésimo utero d'un seme
Foste concetti, e usciste al mondo insieme.
60 Concetti foste da Ruggier secondo :
Vi fu Galaciella genitrice,
1 cui fratelli avendole dal mondo
Cacciato il genitor vostro infelice,
Senz^L guardar eh' avesse in corpo il pondo
Di voi, ch'usciste pur di lor radice.
La fer, perchè s'avesse ad affogare,
S' un debol legno porre in mezzo al mare.
6t Ma Fortuna che voi, benché non nati,
Avea già eletti a gloriose imprese,
Fece che 1 legno ai liti inabitati
Sopra le Sirti a salvamento scese ;
Ove, poi che nel mondo v' ebbe dati,
L' anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino:
A questo caso io mi trovai vicino.
62 Diedi alla madre sepoltura onesta,
Qual potea darsi in si deserta arena ;
E voi teneri, avvolti nella vesta,
Meco portai sul monte di Carena ;
E mansueta uscir della foresta
Feci e lasciare i figli una leena,
Delle cui poppe dieci mesi e dieci
Ambi nutrir con molto studio feci.
63 Un giorno che d' andar per la contrada,
E dalla stanza allontanar m' occorse»
Vi sopravvenne a caso una masnada
D' Arabi (e rìcordarvene de' forse),
Che te, Marfisa, tolser nella strada;
Ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai della tua perdita dolente,
E di Ruggier guardian pia diUgenle.
CANTO TaBNTESIMOSBSTO. 291
6é Raggìer, se ti guardò , mentre che visse,
U tuo maestro Atlante, ta lo sai.
Di te sentii predir le stelle fisse,
Che tra' Cristiani a tradigion morrai :
E perché il mar influsso non seguisse.
Tenertene lontan m' affaticai ;
Nò ostare alfin potendo alla tua voglia,
Infermo caddi, e mi morii di doglia.
65 Ma innanzi a morte, qui dove previdi
Che con Marfisa aver pugna dovevi.
Feci raccor con ìnfernal sussidi
A formar quésta tomba i sassi grevi;
Ed a Garon dissi con alti gridi :
Dopo morte non vo* lo spirto levi
Di questo bosco, flnchò non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna.
66 Cosi Io spirto mio per le belle ombre
Ha molti di aspettato il venir vostro :
Si che mai gelosìa più non t' ingombre,
0 Bradamante, eh' ami Ruggier nostro.
Ma tempo ò ormai che della luce sgombre,
E mi conduca al tenebroso chiostro.
Qui si tacque ; e a Marfisa ed alla figlia
D' Amen lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67 Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui ;
E ad abbracciarsi, senza offender quella
Che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
E rammentando dell' età novella
Alcune cose : Io feci, io dissi, io fui ;
Vengon trovando con più certo effetto.
Tutto esser ver quel e' ha lo spirto detto.
68 Ruggiero alla sorella non ascose
Quanto avea nel cor fissa Bradamante ;
E narrò con parole affettuose
Delle obbligazion che le avea tante :
E non cessò, eh' in grand' amor compose
Le discordie eh' insieme ebbene avante ;
E fé, per segno di pacificarsi.
Ch'umanamente andare ad abbracciarsi»
292 ORLANDO FURIOSO.
60 A domandar poi ritornò Marfisa
Chi stato fosse, e di che gente il padre;
E chi r avesse morto, ed a che guisa,
S' in campo chioso, o fra V armate squadre ;
E chi commesso avea che fosse accisa
Dal mar atroce la misera madre :
Che, se già Tayea udito da fanciulla,
Or ne tenea poca memoria o nulla.
^0 Ruggiero incominciò : che da' Troiani
Per la linea d' Ettorre erano scesi ;
Che poi che Astianatte delle mani
Campò d' Ulisse e dalli agguati tesi,
Avendo un de' fanciulli coetani
Per lui lasciato, usci di quei paesi ;
E dopo un lungo errar per la marina ,
Venne in Sicilia, e dominò Messina.
71 I descendenti suoi di qua dal Faro
Signoreggiar della Calabria parte ;
E dopo più successioni andare
Ad abitar nella città di Marte.
Più d' uno imperatore e re preclaro
Fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
Cominciando a Costante e a Costantino,
Sino a re Carlo, figlio di Pipino.
72 Fu Ruggier primo, e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, alfin Ruggier secondo.
Che fe^ come d' Atlante udir potesti.
Di nostra madre V utero fecondo.
Della progenie nostra i chiari gesti
Per r istorie vedrai celebri al mondo.
Segui poi, come venne il re Agolante
Con Almonte e col padre d' Agramante :
73 E come menò seco una donzella
Ch' era sua figlia, tanto valorosa,
Che molti paladin gittò di sella,
E di Ruggiero alfin venne amorosa,
E per suo amor del pa'dre fu ribella,
E battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
Per la cognata arse d' incesto amore ;
CANTO TRENTESIMOSESTO. 293
74 £ che la patria e '1 padre e dao fratelli
Tradì, cosi sperando acquistar lei ;
Aperse Risa agi' inimici, e quelli
Fer di lor tutti i portamenti rèi :
Come Agolante e i figli iniqui e felli
Poser Galacìella, che di sei
Mesi era grave, in mar senza governo,
Quando fu tempestoso al maggior verno.
75 Stava Marfisa con serena fronte
Fisa al parlar che i suo german facea;
Ed esser scesa dalla bella fonte,
Ch'avea si chiarì rivi, si godea.
Quinci Mongrana, e quindi Ghiaramonte,
Le due progenie derivar sapea,
Ch' al mondo fur molti e moli' anni e lustri
Splendide, e senza par, d' nomini illustri.
76 Poi che '1 fratello alfin le venne a dire
Che M padre d' Agramante e l'avo e '1 zio
Ruggiero a tradi&:ion feron morire,
£ posero la moglie a caso rio ;
Non lo potè più la sorella udire,
Che lo 'nterroppe, e disse : Fratel mio
(Salva tua grazia), avuto hai troppo torto
A non ti vendicar del padre morto.
77 Se in Almonte e in Troian non ti potevi
Insanguinar, ch'erano morti innante.
Dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
Dal viso; poi che, dopo ofiese tante,
Non pur posto non hai questo re a morte,
Ma vivi al soldo suo nella sua corte.
78 Io fo ben voto a Dio (eh' adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre).
Che di questa armatura non mi spoglio,
Finché Ruggìer non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e finora mi doglio.
Di te, se più ti veggo fra le squadre
Del re Agramante, o d'altro signor moro.
Se non col ferro in man per danno loro.
294 ORLANDO FOUIOSO.
79 Oh come a quel parlar leva la faccia
La bella Bradamante, e ne gioisce I
£ conforta Ruggier, che cosi faccia,
Come Marfisa saà ben V ammonisce ;
E venga a Carlo e conoscer si faccia,
Che tanto onora, lauda e riverisce
Del sao padre Ruggier la chiara fama,
Ch' ancor goerrìer senza alcun par lo chiama.
80 Ruggiero accortamente le rispose.
Che da principio questo far dovea ;
Ma per non bene aver note le cose.
Come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
La spada al 6anco, farebbe opra rea
Dandogli morte, e saria traditore.
Che già tolto r avea per suo signore.
81 Ben, come a Bradamante già promesse,
Promettea a lei di tentare ogni via.
Tanto eh' occasione, onde potesse
Levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non Tavea, non desse
La colpa a lui, ma al re di Tartaria,
Dal qual nella battaglia che seco ebbe,
Lasciato fu, come saper si debbo:
82 Ed ella, che ogni di gli venia al letto,
Buon testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
Dall' una e dall' altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, l'ultimo effetto
£, che Ruggier ritorni alla bandiera
Del suo signor, fìnchè cagion gli accada
Che giustamente a Carlo se ne vada.
83 Lascialo pur andar, dicea MarGsa
A Bradamante, e non aver timore:
Fra pochi giorni io farò bene in guisa
Che non gli fia Agramante più signore.
Cosi dice ella ; né però divisa
Quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenzia alfin Ruggiero,
Per tornare al suo re volgea il destriero ]
CANTO TRENTESlMOSEStÒ.
84 Quando un pianto s' udì dalle vicine
Yalli sonar, che li fé tutti attenti.
A quella voce fan V orecchie chine »
Che di femmina par che si lamenti.
Ma voglio questo Canto abbia q4]i fine,
£ di.quel che voglio io siale contenti ;
Che miglior cose vi prometto dire,
S' all' altro Canto mi verrete a udire.
29^
W9TS.
St. 2. V, 4-8. — in quella guerra te:
Pailasi della guerra fra i Veneti e gli
EsUasi, accaduta nel 1509, nella quale
il cardinale Ippolito riportò la ▼iltoria
del SS decembre, mentovata nella St. 57
del Canto III, facendo poi sospendere
nella chiesa di Ferrara i rostri delle ga-
lere e le insegne tolte ai nemiei.
Su 4. 9, i»4. — Benché fu queliti
ancor bruita vendetta ec. 1 Veneiiani,
rinfrancatisi dopo la sconfitta di Gbiara-
dadda ch'ebbero nel 14 maggio del 1509,
riacquistarono Padova, la quale fu poi
cinta d'assedio dall'imperatore Mas-
•imiliano. Il duca Alfonso nel 3 set-
tembre spedi il cardinale Ippolito con
gente d' armi a rioforso dell' imperato-
re, il quale nondimeno , dopo qualche
tempo, dovè levare l'assedio. Allora
i Veneii si scagliarono con poderosa
armata snl Ferrarese sino a Franco-
lino, mettendo a fuoco e a sacco tutto
quanto incontravano, senaa nb anche
rispettare le chiese.
St. 5. f'. 3*4. — Ma soldi quel ec.
Ecco io succinto il fatto, che il Poeta ac-
cenna in questa e nelle dueStanze seguen-
ti. L'invasione dei Veneti sopra enun-
ciata fu respinta da Ippolito in modo, che
gli aggressori dovettero raccogliersi alla
Polesella, ov'eressero una bastila e vi si
fitrtificarooo. Nel 30 novembre 1509^
Ippolito spinse le sue genti ad attaccare
la bastira. Fra queste erano Ercole Gan*
telmo figlio di Sigismondo già duca di -
Sora, e Alessandro Ferrufiìno; i quali
rome più aninàosi, essendosi troppo
inoltrati, avvenne che il Gantelmo cadde
prigioniero degli Schiavoni, i quali gli
mozzarono il capo; e il Ferruffino si
salvò a stento.
Si. l.v. 5. — Sopra un sehelmo.
Dicesi sehelmo ed anche sealmo la ca-
viglia a cui si lega il remo nelle piccole
barche, come a punlo d' appoggio per
remigare. E nei navigli di maggior por-
tata, si dà lo stesso nome agl'incavi che
ad eguali distanze e per lo stesso ef-
fetto si praticano suU' orlo delle due
bande.
St. 8. V, 8. — Di Tiesti^ di Tan»
tali^ d'Jtrei. Di Tieste e di Atreo si
è avuta opportunità di parlare altrove.
Tantalo h anch' egli noto per la sua
crudeltà, avendo, secondo i poeti, im-
bandita la mensa con le carni di Pelope
suo figliuolo, per esperimentare la divi-
nità de' suoi ospiti.
St, 9. 9. ò-^.^Poli/emo: crudelis-
simo fra i Ciclopi, ucciso da Ulisse con
un tizzone; ne parlano Omero nell'O-
dissea, e Virgilio nel III dell' JEiie/</0.
— Lestrigone: vedila nota alla St. 3$
del Canto XXXI V.
296
OUAIOM) FOUOSO.
Si. 39. r. t.^Tmkmi&. knubmilo
oUmbéUlùwaotinautaiiùmmaicùtwi^
teteo, wptàtt A tiwpano, cw U cusa
di noe loiiiftléncas altre Tolte dioeTaà
A. 65. r. 4-6. — 5lri« dk' pi*Uos
«tia aafcosto, eoane se ooa tì fouc.—
Ifa sempre di jnattot naa •empie col
piaao della spada.
St. 60.T.3— f'i/» GatmeielU ge~
mitrice. È questa Im. disperata Jlgiie
drAgoUmU, di cm nella 5t. ZI del Caa-
to IL Veoota col padre in Europa, s*in-
namoiò di Rn^gìero li, signore di Risa,
ossia di Reggio in Calabria ; e per ispo-
sarlo ai separò dal padre , e si fisce cri-
stiana. Beltramo di lei cognato se nt
invaghì, • per averla tradi il fratello,
aprendo le porte di Risa ad Àgolante,
che entratovi, uccise Ruggiero^ e, fatta
porre la figlia incinta in una barca seoxa
gov«mo,rabbandoaò al mare. La barca
pervenne sulle Sirti, cioè sulle secca-
gae della costa africana, dove Galaciella
si sgravò ad un parto di Ruggiero e di
Marfisa. Il resto di questa romantica
nairaaioae, eha oocopa la SCans ie«
gnentifino a tntu la 74^ è cbivodi
per se ; ae non cbe giova avvertile, ck
Marfisa portaU dagli Arabi in Penìa,
fu Vendola a qnd re ; e de cnsditfa
di anni, di bclletra e di valore. Io ncciie
a £fesa deUa propria onestà. S'inpa-
droni quindi del regno; poi ne putì, e
passò in Francia cercando bcUieoie sf-
ventnre. Tutto ciò trovasinei Cenni ed
Ferrarlo suUm vita di Cario Megme,
sult imprese di Orlamdo ec,
St. 6S. 9. 6. — ^«eitn.'lioneua.
Su 7d. p. 5-6. — Qtùmci Meagre^
na, e quindi Chiaramomte ec» Nooù
dielle due case a cui appartengono i per-
sonaggi notati nella Genealogia degK
eroi romantici, riporUta dal Ferrano
nei Ceami ansidelti.
Sl 77. 9. %,~-Ma vi9i al fido
suo netta Sita corte, Ncm e che Rag*
giero avesse soldo da Agramante; na
Maifisa vuol puugeroe l'amor proprio
con quella espressione di avvilimenlOy
onde determinarlo ad abbandonare Je
bandiere moresche.
297
Accennando yari scrittori cbe adoperarono le loro penne nell' encomiafe il bel
Msso, toglie il Poeta opportanita di lodare Vittoria Colonna, e le rime gentili
da lei consacrate alla menioria del marche&e di Pescara suo sposo. Introduce
quindi UUania, la messaggiera della regina dell* Isola Perdutala narrare a
Ruggiero, a Bradamante e a Marfisa 1* indegna usania stabilita da Marganorre
nel proprio castello a vitupero delle donne; di che Je due guerriere e Ruggiero
fàuno subire a colui la meritata punisione.
i Se, come in acquistar qaalch' altro dono
Che senza indastria non può dar natura,
Affaticale notte e di si sono
Con somma dìligenzia e lunga cura
Le valorose donne, e se con buono
Successo n' è uscit' opra non oscura ;
Cosi si fosson poste a quelli studi
Gii" immortai fanno le mortai virtudi ;
2 E che per sé medesime potuto
Avesson dar memoria alle sue lode.
Non mendicar dagli scrittori aiuto.
Ai quali astio ed invidia il cor si rode,
Che '1 ben che ne puon dir, spesso è taciuto ,
£ '1 mal, quanto ne san, per tutto s*ode;
Tanto il lor nome sorgeria, che forse
Yìril fama a tal grado unqua non sorse.
3 Non basta a molti di prestarsi V opra
In far Y un V altro glorioso al mondo,
Ch' anco studian di far che si discuopra
Ciò che le donne hanno fra lor d' immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
£ quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
Dico gli antiqui ; quasi V onor debbia
D' esse il lor oscurar, come il Sol nebbia.
298 OULANDO rUBIOSO.
4 Ila non ebbe e non ha mano né lìngua»
Formando in Yoce o descrìvendo in carte
(Qaantanqoe il mal^qoanto può, accresce eimpiogoa,
E minuendo il ben va con ogni arte).
Poter però, che delle donne estingua
La gloria si, che non ne resti parte ;
Ma non già tal, che presso al segno giunga,
Nò eh' anco se gli accosti di gran lunga :
6 Ch' Arpalice non fu, non fu Tomirì,
Non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
Non chi seguita da' Sidonj e Tiri
Andò per lungo mare in Libia a porse;
Non Zenobia, non quella che gli Assiri,
I Persi e gì' Indi con vittoria scorse :
Non fur queste e poch' altre degne sole,
Di cui per arme eterna fama volo.
6 E di fedeli e caste e sagge e forti
State ne son, non pur in Grecia e In Roma,
Ma in ogni parte, ove fra gì' Indi e gli orti
Delle Esperide il Sol spiega la chioma ;
Delle quai sono i pregi e gli onor morti,
Si eh' a pena di mille una si noma ;
E questo perchò avuto hanno ai lor tempi
Gli scrittori bugiardi, invidi ed empi.
7 Non restate però, donne, a cui giova
II bene oprar, di seguir vostra via ;
Nò da vostr' alta impresa vi rimuova
Tema che degno onor non vi si dia :
Chò, come cosa buona non si trova
Che duri sempre , cosi ancor nò ria.
Se le carte sin qui state e gì' inchiostri
Per voi non sono, or sono a' tempi nostri.
8 Dianzi Marallo ed il Pohtan per vui
Sono, e duo Strozzi, il padre e '1 figlio, stati :
C ò il Bembo, e' ò il Capei, e' ò chi, qaal lai
Vediamo, ha tali i cortigian formati:
C'ò un Luigi Alaman; ce ne son dui.
Dì par da Marte e dalle Muse amati ;
Ambi del sangue che regge la terra
Che '1 Menzo fende, e d' alti slagni serra.
CANTO TRBNTESIMOSETTIMO. 299
9 Di questi l'uno, oltre che '1 proprio ìnstinto
Ad onorarvi e a riverirvi inchina,
E far Parnaso risonare e Cinto
Di vostra laude, e porla al ciel vicina;
L'amor, la fede, il saldo e non mai vinto
Per minacciar di strazj e di raina,
Animo eh' Isabella gli ha dimostro,
Lo fa assai più, che di sé stesso, vostro:
iO Si che non è per mai trovarsi stanco
Di farvi onor nei suoi vivaci carmi.
E s* altri vi dà biasmo, non è eh' anco
Sia più pronto di lui per pigliar V armi.
E non ha il mondo cavalier che manco
La vita sua per la virtù risparmi.
Dà insieme egli materia ond' altri scriva ;
E fa la gloria altrui, scrivendo, viva.
41 Ed è ben degno che si ricca donna,
Ricca di tutto quel valor che possa
Esser fra quante al mondo portin gonna,
Mai non si sia di sua costanzia mossa ;
E sia stata per lui vera colonna.
Sprezzando di Fortuna ogni percossa :
Di lei degno egli, e degna ella di lui;
Né meglio s' accoppiare unque altri dal.
it Nuovi trofei pon su la riva d' Oglio ;
Ch'in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a ruote
Ha sparso alcun tanto ben scritto foglio.
Che '1 vicin fiume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
Fa chiaro il vòstro onor con chiare note,
E Renato Trivulcio, e '1 mio Guidetto,
E '1 Molza, a dir di voi da Febo eletto.
13 C é '1 duca de' Carnuti Ercol, figliuolo
Del duca mio, che spiega Tali, come
Canoro cigno, e va cantando a volo,
E fin al cielo udir fa il vostro nome.
C'è il mio signor del Vasto, a cui non solo
Di dare a mille Atene e a mille Rome
Di sé materia basta ; eh' anco accenna
Volervi eterne far con la sua penna.
tOO OB LANDÒ F0B108O.
U Ed oKre a qaesti ed altri eh' oggi avete,
Che y' hanno dato gloria, e ve la danno,
Voi per voi stesse dar ve la potete :
Poiché molte, lasciando l'ago e '1 panno,
Son con le Mose a spegnersi la sete
Al fonte d'Aganìppe andate, e vanno ;
E ne ritornan tai, che l'opra vostra
£ più bisogno a noi, eh' a voi la nostra.
io Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
Render buon conto, e degno pregio darle.
Bisognerà ch'io verghi più d' un foglio,
E eh' oggi il Canto mio d' altro non parie :
E s'a lodarne cinque o sei ne loglio.
Io potrei r altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d' ognuna,
Oppur fra tante sceglierne sol una?
i6 Sceglieronne una : e sceglieroUa tale,
Che superato avrà l'invidia in modo,
Che nessun' altra potrà avere a male,
Se l'altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest* una ha non pur sé fatta immortale
Col dolce stil dì che il meglior non odo ;
Ma può qualunque, di cui parli o scriva,
Trar del sepolcro, e far eh' eterno viva.
i7 Come Febo la candida sorella
Fa più di luce adorna, e più la mira,
Che Venere o che Maia, o eh' altra stella
Che va col cielo, o che da sé si gira:
Cosi facondia, più eh' all' altre, a quella
Di eh' io vi parlo, e più dolcezza spira;
E dà tal forza air alte sue parole,
Ch' orna a' di nostri il ciel d' un altro sole.
i8 Vittoria è '1 nome ; e ben conviensi a nata
Fra le vittorie, ed a chi, o vada o stanzi,
Dì trofei sempre e di trionfi ornata.
La vittoria abbia seco, o dietro o innanzi.
Questa è un'altra Artemisia, che lodata
Fu dì pietà verso il suo Mausolo ; anzi
Tanto mags^ior, quanto è più assai bell'opra,
Che por sotterra un uom, trarlo di sopra.
CANTO TaBNTBSIMOSBTTlHO. 301
i9 Se Laodamia, se la moglier di Bruto,
S' Arria, s' Argia, s' Evadne, e s' altre molte
Meritar laude per aver voluto,
Morti i mariti, esser con lor sepolte ;
Quanto onore a Vittoria è più dovuto.
Che di Lete e del rio che nove volte
L'ombre circonda, ha tratto il suo consorte,
Malgrado delle Parche e della Morte!
20 S' al fiero Achille invìdia della chiara
Meonia tromba il Macedonico ebbe ;
Quanto, invitto Francesco di Pescara,
Maggiore a te, se vivesse or, l' avrebbe I
Che si casta mogliere, e a te si cara,
Canti r eterno onor che ti si debbo ;
E che per lei si '1 nome tuo rimbombo.
Che da bramar non hai più chiare trombe.
Si Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
10 n'ho desir, volessi porre in carte,
Ne direi lungamente ; ma non tanto,
Ch\a dir non ne restasse anco gran parte :
£ di Marfisa e dei compagni intanto
La bella istoria rimarria da parte,
La quale io vi promisi di seguire,
S' in questo Canto mi verreste a udire.
2X Ora essendo voi qui per ascoltarmi.
Ed io per non mancar della promessa,
Serberò a maggior ozio di provarmi
Ch' ogni laude di lei sia da me espressa ;
Non perch' io creda bisognar mìei carmi
A chi se ne fa copia da sé stessa ;
Ma sol per satisfare a questo mio,
C ho d' onorarla e di lodar, disio.
23 Donne, io conchiudo in somma, ch'ogni etale
Molte ha di voi degne d' istoria avute ;
Ma, per invidia di scrittori, state
Non sete dopo morte conosciute :
11 che non più sarà, poiché voi fato
Per voi stesse immortai vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo,
Si sapria meglio ogni lor degno gesto.
302 ORLANDO FURIOSO.
24 Di Bradamante e di Marfisa dico,
Le coi vittoriose inclite prove
Di ritornare in loco m' affatico ;
Ma delle diece mancanmi le nove.
Queste eh' io so, ben volentieri esplico ;
Si perchè ogni beli' opra si de', dove
Occalta sia, scoprir : si perchè bramo
A voi, donne, aggradir, ch'onoro ed amo.
S5 Stava Boggier, com'io vi dissi, in atto
Di partirsi, ed avea commiato preso,
£ dall' arbore il brando già ritratto,
Che, come dianzi, non gli fa conteso ;
Quando un gran pianto, che non lungo tratto
Era lontan , lo fé restar sospeso,
E con le donne a quella via si mosse
Per aiutar, dove bisogno fosse.
26 Spingonsi innanzi, e via più chiaro il suon ne
Viene, e via più son le parole intese.
Giunti nella vallea, trovan tre donne
Che fan quel duolo, assai strane in arnese;
Che fin all' ombilico ha lor le gonne
Scorciate non so chi poco cortese ;
E per non saper meglio elle celarsi,
Sedeano in terra, e non ardian levarsi.
27 Come quel figlio di Vulcan , che venne
Fuor della polve senza madre in vita,
E Pallade nutrir fé con solenne
Cura d' Aglauro al veder troppo ardita ^
Sedendo, ascosi i brutti piedi tenne
Su la quadriga da lui prima ordita :
Cosi quelle tre giovani le cose
Secreto lor tenean, sedendo, ascose.
28 Lo spettacolo enorme e disonesto
L' una e l' altra magnanima guerriera
Fé del color che nei giardin di Pesto
Esser la rosa suol da primavera.
Biguardò Bradamante, e manifesto
Tosto le fu, eh' Ullania una d' esse era,
UUania che dall' Isola Perduta
In Francia messaggiera era venuta :
CANTO TRENTESIMOSETTIMO. 303
S9 E rìeanobbe non men V altre dae ;
Che dove vide lei, vide egse ancora.
Ma se n' andaron le parole sae
A quella delle tre, eh' ella più onora ;
E le domanda chi si iniquo fae ,
E si di legge e di costami faora.
Che quei segreti agli occhi altrui riveli,
Che, quanto può, par che Natura celi.
30 Ullania che conosce Bradamante ,
Non meno eh' alle insegne, alla favella,
Esser colei che pochi giorni innante
Avea gittati i tre guerrier di sella ;
Narra che da un castel poco distante
Una ria gente e di pietà ribella,
Oltre all' ingiuria di scorciarle i panni,
L'avea battuta, e fattoi' altri danni.
31 Né le sa dir che dello scudo sia,
Né dei tre re che per tanti paesi
Fatto le avean si lunga compagnia ;
Non sa se morti, o sìan restati presi;
E dice e' ha pigliata questa via.
Ancor eh' andare a pie molto le pesi,
Per richiamarsi dell' oltraggio a Carlo,
Sperando che non sia per tollerarlo.
32 Alle guerriere ed a Ruggier, che meno
Non han pietosi ì cor, eh' audaci e forti,
De' bei visi turbò l' aer sereno
V udire, e più il veder, si gravi torti*;
Ed obbliando ogni altro affar che avieno,
£ senza che li prieghi o che gli esorti
La donna afflìtta a far la sua vendetta,
Piglìan la via verso quel luogo in fretta.
33 Di comune parer le sopravveste,
Mosse da gran bontà, s' aveano tratte,
Ch' a ricoprir le parli meno oneste
Di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vuol eh' Ullania peste
Le strade a pie, eh' avea a piede anco fatte,
E se la leva in groppa del destriero :
L'altra Marflsa, l'altra il buon Ruggiero.
304 OBLIÌIDO tUBlOSO.
34 Cllanìa a Bradamante che la porta,
Mostra la via che Ta al castel più dritta:
Bradamante all'incontro lei conforta,
Che la vendicherà di chi V ha afiDitta.
Lascìan la yalle, e per yia lunga e torta
Sagliono nn colle or a man manca or ritta ;
E prima il Sol fa dentro il mare ascoso,
Che Yolesser tra via prender riposo.
U Trovaro una villetta che la schena
D*an erto colle, aspro a salir, tenea;
Ove ebbon buono albergo e buona cena,
Quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d' intomo, e quivi piena
Ogni parte di donne si vedea,
Qnai giovani, quai vecchie; e in tanto slaolo
Faccia non v' apparia d' un nomo solo.
SS Non più a Giason di maraviglia donno,
Né agli Argonauti che venian con lui,
Le donne che i mariti morir fenno,
E i figli e i padri coi fratelli sui,
Si che per tutta V isola di Lenno
Di viril faccia non si vider dui ;
Che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era.
Maraviglia ebbe all' alloggiar la sera.
37 Fero ad Ullania ed alle damigelle
Che venivan con lei, le due guerriere
La sera provveder di tre gonnelle,
Se non cosi polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
Donne ch'abitan quivi, e vuol sapere
Ove gli uomini sian , eh' un non ne vede ;
Ed ella a lui questa risposta diede :
38 Questa che forse è maraviglia a voi,
Che tante donne senza uomini siamo,
È grave e intollerabil pena a noi.
Che qui bandite misere viviamo.
E perchè il duro esilio più ci annoi.
Padri, figli e mariti, che si amiamo.
Aspro e lungo divorzio da noi fanno,
Come piace al crudel nostro tiranno.
CANTO TRENIfiSlàlOSEtTlMO. 30(S
38 Balle sae terre, le qua! son vicine
A noi due leghe, e dove noi siam nate,
Qui ci ha mandato il barbaro in conflne,
Prima di mille scorni ingiuriate ;
Ed ha gli uomini nostri e noi meschine
Di morte e d' ogni strazio minacciale.
Se quelli à noi verranno , o gli (ìa detto
Che noi diam lor, venendoci, ricetto.
40 Nimico è si costui del nostro nome.
Che non ci vuol più, ch'io vi dico, appresso,
Né eh' a noi venga alcun de' nostri, come
L' odor r ammorbi del femmineo sesso.
Già due volle l' onor delle lor chiome
S' hanno spogliato gli alberi e rimesso ,
Da indi in qua che '1 rio signor vaneggia
In furor tanto ; e non è chi '1 correggia :
41 Che *\ popolo ha di lui quella paura
Che maggior aver può l' uom della morte ;
Ch' aggiunto al mal voler gli ha la natura
Una possanza fuor d' umana sorte.
11 corpo suo di gigantea statura,
È più, che di cent' altri insieme, forte.
Né pur a noi sue suddite è molesto ;
Ma fa alle strane ancor peggio di questo.
42 Se r onor vostro, e queste tre vi sono
Punto care, eh' avete in compagnia.
Più vi sarà sicuro, utile e buono
Non gir più innanzi, e trovar altra via.
Questa al Castel dell' uom di eh' io ragiono,
A provar mena la costuma ria
Che v' ha posta il crudel, con scorno e danno
Di donne e di guerrier che di là vanno.
43 Marganor il fellon (cosi si chiama
Il signore, il tiran di quel castello),
Del qual Nerone, o s* altri è eh' abbia fama
Di crudeltà, non fa più iniquo e fello.
Il sangue uman, ma '1 femminil più brama
Che *1 lopo non lo brama dell' agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
Da lor ria sorte a quel Castel condutte.
20*
1
Fregar etlei, eh* n i
Fa M B^Bor del eulcl, fa
ScBipR eivdcly MBpve niHBaBO e ■ero;
Ma toiae «a teaqio fl <
5é si fasdó coaeacer eoa (
» ChéaMatiedaasaoifi^cnMnfi,
Molto direni dai palerai stifi,
Cii'aaiaTaa forestieri, ed eraa scUfi
Di eniddiade e degfi allri atti tìIì,
QiBTÌ le eofftesie fiorìTaa, qaÌYi
I bei costami, e l' opeie gentili:
Che 1 padre mai, qoantnaqoe avaro foste,
Da qoei che lor piaeea, non li rimosse.
46 Le donne e I cayalier che questa Tìa
Facean talor, yenìan si ben raccolti.
Che si parUan dell' alta cortesia
Dei doo germani innamorati molti.
Amendai qaesti di cayallerìa
Parimente i santi ordini arean tolti :
Cilandro l' on, l'altro Tanacro detto.
Gagliardi e arditi, e di reale aspetto.
47 Ed eran veramenCe, e sarian stati
Sempre di lande degni e d' ogni onore,
S' in preda non si fossino si dati
A qael disir che nominiamo amore;
Per cai dal baon sentier far traviati
Al labirinto ed al cammin d'errore;
E ciò che mai di buono aveano fatto,
Restò contaminato e bratto a an tratto.
48 Capitò quivi an cavalier di corte
Del greco imperator, che seco avea
Una sua donna di maniere accorte,
Bella quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s' innamorò si forte,
Che morir, non l'avendo, gli pareat
Gli parea che dovesse, alla partita
Di lei , partire ìnsiemo la sua vita.
''^^^^
CANTO TRENTESIMOSETTItfO. ^07
49 E perchè ì prieghi non y' avriano loco,
Di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal castel lontano un poco.
Ove passar dovean, cheto s'ascose.
L* osata audacia e V amoroso faooo
Non gli lasciò pensar troppo le cose :
Si che vedendo il cavalier venire,
L' andò lancia per lancia ad assalire.
60 Al primo incontro credea porlo in terra,
Portar la donna e la vittoria indietro ;
Ma '1 cavalier, che mastro era di guerra,
L'osbergo gli spezzò, come di vetro.
Venne la nuova al padre nella terra,
Che lo fé riportar sopra un feretro ;
E ritrovandol morto, con gran pianto
Gli dio sepolcro agii antiqui avi accanto.
51 Né più però né manco si contese
L'albergo e l'accoglienza a questo e a qoello,
Perchè non men Tanacro era cortese,
Né meno era gentil di soo fratello.
L' anno medesmo di lontan paese
Con la moglie un baron venne al castello,
A meraviglia egli gagliardo, ed ella.
Quanto sì possa dir, leggiadra e bella ;
63 Né men che bella, onesta e valorosa,
E degna veramente d' ogni loda ;
Il cavalier di stirpe generosa,
Di tanto ardir, quanto più d' altri s^ oda.
E ben conviensi a tal valor, che cosa
Di tanto prezzo e si eccellente goda.
Olindro il cavalier da Lungavilla ;
La donna nomina'ta era Drusilla.
hs Non men di questa il giovene Tanacro
Arse, che '1 suo fratel di quella ardesse,
Che gli fé gustar One acerbo ed acro
Del desiderio ingiusto eh' in lei messe.
Non men di lui di violar del sacro
E santo ospizio ogni ragione elesse.
Piuttosto che patir che '1 duro e forte
Nuovo desir lo conducesse a morte*
3M òBLAMbo roaioso.
M Ma perch'avea dinanzi agli occhi il tema
Del 800 fratel, che n' era stato morto.
Pensa di torta in guisa, che non tema
Ch' Olìndro s' abbia a yendicar del torto.
Tosto 8* estingue in lui, non par si scema
Quella virtù, so che solea star sorto;
Che non lo sommergean dei yizj Tacque,
Delle quai sempre al fondo il padre giacque.
65 Con gran silenzio fece quella notte
Seco raccor da vent' uomini armati :
E lontan dal castel fra certe grotte,
Che si trovan tra via, messe gli agguati.
Quivi ad Olindro il di le strade rotte,
E chiusi i passi fur da tutti i lati ;
E benché fé lunga difesa e molta.
Pur la moglie e la vita gli fu tolta.
U Ucciso Olindro, ne menò capti va
La bella donna, addolorata in guisa,
Ch' a patto alcun restar non volea viva,
£ di grazia chiedea d' esser uccisa.
Per morir si gì Ito giù d' una riva
Che vi trovò sopra un vallone assisa :
E non potè morir : ma colla testa
Rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.
57 Altrimente Tanacro riportarla
A casa non potè, che s' una bara.
Fece con diligenzia medicarla ;
Che perder non voleà preda si cara.
E mentre che s' indugia a risanarla
Di celebrar le nozze si prepara ;
Ch' aver si bella donna e si pudica
Debbo nome di moglie, e non d' amica.
58 Non pensa altro Tanacro, altro non brama,
D' altro non cura, e d' altro mai non parla.
Si vede averla offesa, e se ne chiama
In colpa, e ciò che può, fa d'emendarla.
Ma tutto è invano : quanto egli più V ama»
Quanto più s' affatica di placarla,
Tant'ella odia più lui, tanto è più forte.
Tanto è più ferma in voler porlo a morte.
T'T?^^
CANTO TBENTBSIHOSETTIMO. 309
69 Ma non però quest' odio cosi ammorza
La conoscenza in lei, che non comprenda
Che, se vuol far quanto disegna, è forza
Ghefiimuli, ed occulte insidie tenda;
E che '1 desir sotto contraria scorza
(Il quale è sol, come Tanacro offenda)
Veder gli faccia ; e che si mostri tolta
Dal primo amore, e tutto a lui rivolta.
60 Simula il viso pace ; ma vendetta
Chiama il cor dentro, e ad altro non attende.
Molte cose rivolge, alcune accetta,
Altre ne lascia, ed altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta,
Avrà il suo intento ; e quivi alGn s' apprende.
£ dove meglio può morire, o quando »
Che '1 suo caro marito vendicando?
61 Ella si mostra tutta lieta « e finge
Di queste nozze aver sommo disio ;
E ciò che può indugiarle addietro spìnge.
Non eh' ella mostri averne il cor restio.
Più dell'altre s'adorna e sì dipìnge:
Olindro al tutto par messo in obblio;
Ma che sian fatte queste nozze vuole,
Come nella sua patria far si suole.
62 Non era però ver che questa usanza,
Che dir volea, nella sua patria fosse;
Ma perchè in lei pensier mai non avanza.
Che spender possa altrove, immaginosse
Una bugia, la qual le die speranza
Di far morir chi '1 suo signor percosse :
E disse di voler le nozze a guisa
Della sua patria ; e '1 modo gli devisa.
63 La vedovella che marito prende.
Deve, prima (dicea) eh' a lui s'appresso,
Placar l'alma del morto ch'ella offende.
Facendo celebrargli ofllcj e messe,
In remission delle passate mende.
Nel tempio ove di quel son l' ossa messe;
E dato fin ch'ai sacrificio sia,
AlU sposa l'anel lo sposo dia:
310 ORLANDO FURIOSO.
64 Ma eh' abbia in questo mezzo il sacerdote
Sul vino ivi portato a tale effetto
Appropriate orazion devote,
Sempre il liquor benedicendo, detH^;
Indi che 'I Oasco in una coppa vote,
£ dia alti sposi il vino benedetto :
Ma portare alla sposa il vino tocca,
Ed esser prima a porvi su la bocca.
65 Tanacro , che non mira quanto importe
Ch'ella le nozze alla sua usanza faccia,
Le dice : Purché '1 termine si scorte
D'essere insieme, in questo si compiaccia.
Né s' avvede il meschin eh' essa la morte
D' Olindro vendicar cosi procaccia ;
E si la voglia ha in uno oggetto intensa.
Che sol di quello, e mai d'altro non pensa.
66 Avea seco Drusilla una sua vecchia.
Che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all'orecchia,
Si che non potè udire uomo di casa :
Un subitane tosco m' apparecchia,
Qual so che sai comporre, e me lo invasa;
C'ho trovato la via di vita torre >
Il traditor figliuol di Marganorre;
67 E me so come, e te salvar non meno;
Ma differisco a dirtelo più ad agio.
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno,
Ed acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno
Trovò da por con quel succo malvagio,
E lo serbò pel giorno delle nozze ;
Ch' omai tutte l' indugio erano mozze.
68 Lo statuito giorno al tempio venne.
Di gemme ornata e di leggiadre gonne ;
Ove d' Olindro, come gli convenne.
Fatto avea l' arca alzar su due colonne.
Quivi r officio si cantò solenne :
Trasseno a udirlo tutti , uomini e donne ;
^,^ E lieto Marganor più dell' usato,
\ Venne col figlio e con gli amici a lato.
CANTO TRENTBSIMOSKTTIMO. 311
69 Tosto eh' al fin le sanie esequie foro,
£ fa col tosco il vino benedetto,
Il sacerdote in una coppa d' oro
Lo Terso, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
Si conveniva, e potea far V effetto :
Poi die allo sposo con viso giocondo
Il nappo ; e quel gli fé apparire il fondo.
70 Renduto il nappo al sacerdote^ lieto
Per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
In lei si cangia, e quella gran bonaccia.
Lo spìnge addietro, e gli ne fa divieto,
E par eh' arda negli occhi e nella faccia ;
E con voce terribile e incomposta
Gli grida: Traditor, da me ti scosta.
71 Tu dunque avrai da me sollazzo e gioia.
Io lagrime da te, martiri e guai?
10 vo' per le mie man eh* ora tu muoia :
Questo è stato venen , se tu noi sai.
Ben mi duol e' hai troppo onorato boia.
Che troppo lieve e facil morie fai ;
Che mani e pene io non so si nefande,
Che fosson pari al tuo peccato grande.
72 Mi duol di non vedere in questa morte
11 sacrificio mìo tutto perfetto:
Che s'io '1 poteva far di quella sorte
Ch'era il disio, non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte :
Riguardi al buon volere, e l'abbia accetto;
Che non potendo come avrei voluto,
10 t' ho fatto morir come ho potuto.
73 E la punìzion che qui , secondo
11 desiderio mio, non posso darti.
Spero r anima tua nell' altro mondo
Veder patire ; ed io starò a mirarti.
Poi disse, alzando con viso giocondo
I turbidi occhi alle superne parti :
Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
Col buon voler della tua moglie accetta ;
312 ORLANDO FURIOSO.
74 Ed impetra per me dal Signor nostro
Grazia, eh' in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirà che senza merto al vostro
Regno anima non vien, di ch'io l'ho meco:
Che di questo empio e scellerato mostro
Le spoglie opime al santo tempio arreco.
£ che morti esser puon maggior di questi,
Spenger si brutte e abbominose pesti?
75 Fini il parlare insieme con la yita;
E morta anco parea lieta nel volto
D' aver la crudeltà cosi punita
Di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta o se seguita
Fu dallo spirto di Tanacro sciolto.
Fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe
Prima il veneno in lui, perchè più bebbe.
76 Marganor che cader vede il figliuolo,
E poi restar nelle sue braccia estinto.
Fu per morir con lui, dal grave duolo,
Ch'alia sprovvista lo trafisse, vinto.
Duo n' ebbe un tempo-; or si ritrova solo :
Duo femmine a quel termine 1' han spinto.
La morte all'un dall'una fu causata;
E l'^altra all' altro di sua man V ha data.
77 Amor, pietà, sdegno, dolore ed ira.
Disio di morte e di vendetta insieme
Quell'infelice ed orbo padre aggira.
Che come il mar che turbi il vento freme.
Per vendicarsi va a Drusìlla, e mira
Che di sua vita ha chiuse l' ore estreme :
E come il punge e sferza 1' odio ardente.
Cerca offendere il corpo che non sente.
78 Qual serpe che nell' asta eh' alla sabbia
La tenga fissa , indarno i denti metta ;
O qual mastin eh' al ciottolo che gli abbia
Gittato il viandante, corra in fretta,
E morda invano con stizza e con rabbia.
Né se ne voglia andar senza vendetta :
Tal Marganor, d'ogni mastin, d'ogni angue
Via più crudel, fa centra il corpo esangue.
CAMTO TUENTfiSlMOSETTlMO. 313
79 E poiché per stracciarlo e farne scempio
Non si sfoga il fellon né disacerba,
Vien fra le donne di che è pieno il tempio ,
Nò più r ana dell' altra ci riserba ;
Ma di noi fa col brando crudo ed empio
Quel che fa con la falce il villan d' erba.
Non vi fa alcun ripar ; eh' in un momento
Trenta n' uccìse, e ne feri ben cento.
80 Egli dalla sua gente è si temuto,
Ch' uomo non fu eh' ardisse alzar la testa.
Fuggon-le donne col popol minuto
Fuor della chiesa, e chi può uscir non resta.
Quel pazzo impelo aIGn fu ritenuto
Dagli amici con prieghi e forza onesta ;
E lasciando ogni cosa in pianto al basso.
Fatto entrar nella rocca in cima al sasso.
81 E tuttavia la collera durando.
Di cacciar tutte per partilo prese ;
Poiché gli amici e '1 popolo pregando.
Che non ci uccise affatlo, gli contese:
E quel medesmo di fé andare un bando.
Che tulle gli sgombrassimo il paese ;
E darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel più s' avvicino I
S2 Dalle mogli così furo i mariti,
Dalle madri cosi i figli divisi.
S' alcuni sono a noi venire arditi.
Noi sappia già chi Marganor n' avvisi ;
Che di multe gravissime puniti
N'ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fallo una legge,
Di cui peggior non s' ode né si legge.
83 Ogni donna che trovin nella valle.
La legge vuol (eh' alcuna pur vi cade}
Che percuolan con vimini alle spalle,
E la faccian sgombrar queste contrade :
Ma scorciar prima i panni, e mostrar falle
Quel che natura asconde ed onestade ;
E s' alcuna vi va, ch'armata scorta
Abbia di cavalier, vi resta morta.
u S7
3l4 ORLANDO FURIOSO.
84 Quelle e' hanno per scorta cavalieri,
Son da questo nimico di pietate,
Come vittime, tratte ai cimiteri
Dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
E poi caccia in prigion chi V ha guidate :
£ lo può far ; che sempre notte e giorno
Si trova più di mille uomini intomo.
85 £ dir di più vi voglio ancora , eh' esso,
S' alcun ne lascia, vuol che prima giuri
Su l'ostia sacra, che '1 femmineo sesso
In odio avrà finché la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
Dunque vi pare, ite a veder quei muri
Ove alberga il fellone, e fate prova
S* in luì più forza o crudeltà si trota.
86 Cosi dicendo, le guerriere mosse
Prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
Che se, com'era notte, giorno fosse,
Sarian corse al Castel senza ritegno.
La bella compagnia -quivi pososse;
£ tosto che r aurora fece segno
Che dar dovesse al Sol loco ogni stella,
Ripigliò r arme, e si rimesse in sella.
87 Già sendo in atto di partir, s' udirò
Le strade risonar dietro le spalle
D'un lungo calpestio, che gli occhi in giro
Fece a tutti voltar giù nella valle :
£ lungi quanto esser potrebbe un tiro
Di mano, andar per uno istretto calle
Vider da forse venti armati in schiera,
Di che parte in arcion, parte a pied'era;
88 £ che traean con ìor sopra un cavallo
Donna ch'ai viso aver parea molt'anni,
A guisa che si mena un che per fallo
A fuoco 0 a ceppo o a laccio si condanni :
La qual fu, non ostante l'intervallo,
Tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La rìconobber queste della villa
. Esser la cameriera di Drusiila:
CANTO TRENTESIMOSETTIMO. 3l5
89 La cameriera che con lei fa presa
Dal rapace Tanacro, come ho delto»
£d a chi fa di poi data V impresa
Di quel venen che fé '1 crudele effetto.
Non era entrata ella con Y altre in chiesa ;
Che dì quel che seguì stava in sospetto :
Anzi in quel tempo, della villa uscita,
Ov* esser sperò salva, era fuggita.
90 Avuto Marganor poi di lei spia,
La qual s* era ridotta in Ostericche,
Non ha cessato mai di cercar via
Come in man l'abbia, acciò T abbruci o impicche:
E finalmente l'avarizia ria.
Mossa da doni e da profferte ricche,
Ha fatto eh' un baron, eh' assicurata
L' avea in sua terra, a Marganor l' ha data :
91 E mandata glie l' ha fin a Costanza
Sopra un somier, come la merce s' usa,
Legata e stretta, e toltole possanza
Di far parole , e in una cassa chiusa :
Onde poi questa gente l' ha, ad instanza
Dell' uom eh' ogni pìetade ha da sé esclusa ,
Quivi condotta con disegno eh' abbia
L' empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.
92 Come il gran fiume che di Yesulo esce,
Quanto più innanzi e verso il mar discende,
E che con lui Lambro e Ticin si mesce.
Et Adda, e gli altri onde tributo prende,
Tanto più altiero e impetuoso cresce ;
Cosi Ruggier, quante più colpe intende
Di Marganor, cosi le due guerriere
Se gli fan centra più sdegnose e fiere.
93 Elle fur d' odio, elle fur d' ira tanta
Centra il crudel, per tante colpe, accese.
Che di punirlo, malgrado di quanta
Gente egli avea, conclusion si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
Pena lor parve, e indegna a tante offese;
Ed era meglio fargliela sentire.
Fra strazio prolungandola e martire.
316 ORLANDO FCJBIOSO.
94 Ma prima liberar la donna è onesto,
Che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia coi calcagno presto
Fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assali tivnai di questo
Uno incontro più acerbo né più forte ;
Si che han di grazia di lasciar gli scodi
E la donna e V arnese, e fuggir nudi :
96 Si come il lupo che di preda vada
Carco alla tana, e quando più si crede
D' esser sicur, dal cacciator la strada
E da' suoi cani attraversar si vede ;
Getta la soma, e dove appar men rada
La scura macchia innanzi, affretta il piede:
Già men presti non fur quelli a fuggire ,
Che li fusson qaest' altri ad assalire.
96 Non pur la donna e Tarme vi lasciaro,
Ma de' cavalli ancor lasciaron molli,
E da rive e da grotte si lanciaro ,
Parendo lor cosi d' esser più sciolti.
Il che alle donne ed a Ruggier fu caro ;
Che tre di quei cavalli ebbono tolti,
Per portar quelle tre che '1 giorno d' ieri
Feron sudar le groppe ai tre destrieri.
97 Quindi espedìti seguono la strada
Verso r infame e dispietata villa.
Voglion, che seco quella vecchia vada,
Per veder la vendetta di Drusilla.
Ella, che teme che non ben le accada.
Lo niega indarno, e piange e grida e strilla;
Ma per forza Ruggier la* leva in groppa
Del buon Frontino, e via con lei galoppa.
98 Giunsero in somma onde vedeano al basso
Di molte case un ricco borgo e grosso,
Che non serrava d'alcun lato il passo,
Perchè né muro intorno avea né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso,
Ch' un' alta rocca sostenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza.
Ch'esser sapean dì Marganor la stanza.
CANTO TbENTESiaiOSETTIMO. 317
99 Tosto che son nel borgo , alcanì fanti
Che v'erano alla guardia dell' entrata,
Dietro chiudon la sbarra, e già davanti
Yeg?ion che V altra uscita era serrata :
Ed ecco Marganorre, e seco alquanti
A pie e a cavallo, e tutta gente armata;
Che con brevi parole, ma orgogliose,
La ria costuma di sua terra espose.
ioo Marfisa , la qua! prima avea composta
Con Bradamante e con Ruggier la cosa,
Gli spronò incontro in cambio di risposta :
E com' era possente e valorosa ,
Senza eh' abbassi lancia, o che sia posta
In opra quella spada si famosa.
Col pugno in guisa V elmo gli martella,
Che lo fa tramortir sopra la sella.
401 Con Marfisa la giovane di Francia
Spìnge a un tempo il destrier; né Ruggier resta,
Ma con tanto valor corre la lancia.
Che sei, senza levarsela di resta,
N'uccide, uno ferito nella pancia.
Duo nel petto, un n^l collo, un nella testa:
Nel sesto, che fuggìa, l'asta si roppe.
Ch'entrò alle schene, e riuscì alle poppe.
102 La Ogliuola d'Amon quanti ne tocca
Con la sua lancia d' òr, tanti ne atterra :
Fulmine par che '1 cielo ardendo scocca,
Che ciò ch'incontra, spezza e getta a terra.
11 popol sgombra, chi verso la rocca.
Chi verso il piano; altri si chiude e serra.
Chi nelle chiese, e chi nelle sue case:
' Né, fuorché morti, in piazza uomo rimase.
i03 Marfisa Marganorre avea legato
Intanto con le man dietro alle rene.
Ed alla vecchia di Drusilla dato,
Ch' appagata e contenta se ne tiene.
D' arder quel borgo poi fu ragionato,
S' a penitenzia del suo error non viene :
Levi la legge ria di Marganorre,
E questa accetti, eh' essa vi vuol porre.
27*
318 ORLANDO FURIOSO.
104 Non fu già d' ottener questo fatica ;
Che quella gente, oltre al timor ch'avea
Che più faccia Marfisa che non dica,
Gh' uccider tutti ed abbruciar volea ,
Di Marganorre affatto era nimica,
E della legge sua crudele e rea.
Ma '1 popolo facea, come i più Tanno,
€h' ubbidiscon più a quei che più in odio hanno.
i06 Perocché Y un dell' altro non si fida,
E non ardisce conferir sua voglia,
Lo lascian eh' un bandisca, un altro uccida,
A quel V avere, a questo V onor toglia.
Ma il cor che tace quì^ su nel ciel grida.
Finché Dìo e Santi alla vendetta invoglia ;
La qual, sebben tarda a venir, compensa
V indugio poi con punizione immensa.
106 Or quella turba, d'ira e d' odio pregna,
Con fatti e con mal dir cerca vendetta.
Com'è in proverbio, ognun corre a far legna
All' arbore che '1 vento in terra getta.
Sia Marganorre esempio di chi regna ;
ChQ chi mal opra, male alfine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
Peccati, avean piacer piccioli e grandi.
107 Molti, a chi for le mogli o le sorelle
O le fittile 0 le madri da luì morte.
Non più celando l' animo ribelle,
' Correan per dargli di lor man la morte :
E con fatica lo difeser quelle
Magnanime guerriere e Ruggier forte ;
Che disegnato avean farlo morire
D' affanno, di disagio e di martire.
i08 A quella vecchia, che l' odiava quanto
Femmina odiare alcun nimico possa.
Nudo in mano lo dier, legato tanto,
Che non si scioglierà per una scossa ;
Ed ella, per vendetta del suo pianto,
Gli andò facendo la persona rossa
Con un stimulo aguzzo eh' un villano,
Che quivi si trovò, le pose in mano.
CANTO tRENTESIMOSEtTlMO. dl9
409 La messaggiera e le sue giovani anco,
Che qaeir onta non son mai per scordarsi ,
Non s' hanno più a tener le mani al fianco^
Né meno che la vecchia, a vendicarsi.
Ma si è il desir d' offenderlo, che manco
Viene il potere, e pur vorrian sfogarsi :
Chi con sassi il percuote, chi con Y unge ;
Altra lo morde, altra cogli aghi il punge.
HO Come torrente che superbo faccia
Lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,
Va ruinoso, e già da' monti caccia
Gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte ;
Vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia
Gli cade, e si le forze gli son tolte,
Ch' un fanciullo, una femmina per tutto
Passar lo puote, e spesso a piede asciutto:
Hi Cosi già fu che Marganorre intorno
Fece tremar, dovunque udìasi il nome :
Or venuto è chi gli ha spezzato il corno
Di tanto orgoglio, e si le forze dome,
Che gli puon far sin a' bambini scorno,
Chi pelargli la barba, e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
Alla rocca voltar, eh' era sul sasso.
112 La die senza contrasto in poter loro
Chi v'era dentro, e cosi i ricchi arnesi,
Ch' in parte messi a sacco, in parte foro
Dati ad Ullania ed a' compagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d' oro,
E quei tre re eh' avea il tiranno presi ,
Li quai venendo quivi, come parmi
D'avervi detto, erano a pie senz' armi ;
ii3 Perchè dal di che fur tolti di sella
Da Bradamante, a pie sempre eran iti
Se^jjf'arme, in compagnia della donzella
La qual venia da si lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella,
Che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa ;
Ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:
-rr-W'^
320 ORLANDO PDAIOSO.
Ile Perchè siala sarìa, com'eran latte
Quelle eh' armale avean seco le scorte,
Al cimitero misere condutle
Dei duo fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è por meo che morir, mostrar le brulle
E disoneste parti, duro e forte;
E sempre questo e ogni altro obbrobrio ammorza
Il poter dir che le sia fatto a forza. !
116 Prima eh' indi si partan le guerrierey i
Fan venir gli abitanti a giuramento/ .
Che daranno i mariti alle mogliere '
Della terra e del tutto il reggimento ; I
E castigalo con pene severe |
Sarà chi contrastare abbia ardimento.
In somma, quel ch'altrove è del marito,
Che sia qui della moglie è statuito.
116 Poi si fecion promettere eh' a quanti
Mai verrian quivi, non darian ricetto,
0 fosson cavalieri, o fosson fanti ;
Né 'ntrar gli lascerian pur sotto un tetto.
Se per Dio non giurassi no e per Santi,
O s'altro giuramento v'è più stretto,
Che sarian sempre delle donne amici,
E dei nimici lor sempre nimici ;
il 7 E s' avranno in quel tempo, e se saranno,
Tardi o più toslo, mai per aver moglie.
Che sempre a quelle sudditi saranno,
E ubbidienti a tulle le lor voglie.
Tornar Marfisa, prima ch'esca l'anno.
Disse, e che perdan gli arbori le foglie;
E se la legge in uso non trovasse,
Fuoco e ruina il borgo s' aspettasse.
118 Nò quindi si partir, che dell' immondo
Luogo dov'era, fer Drusilla torre,
E col marito in uno avel, secondo
Ch'ivi polean più riccamente, porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
Con lo slimulo il dosso a Marganorre :
Sol sì dolca di non aver tal lena.
Che potesse non dar Iriegua alia pena.
CANTO TRENTESIHOSJKTTIMO. 321
119 L' animose guerriere a lato un tempio
Yideno quivi una colonna in piazza,
Nella qual fall' avea quel tiranno empio
Scrìver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d' un trofeo 1* esempio,
Lo scudo v' attaccare e la corazza
Di Marganorre, e l' elmo ; e scriver fenno
La legge appresso, ch'esse al loco denno.
d20 Quivi s'indugiar tanto, che Marfìsa
Fé por la legge sua nella colonna.
Contraria a quella che già v' era incisa
A morte ed ignominia d' ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
Quella d' Islanda, per rifar la gonna;
Che comparire in corte obbrobrio stima,
Se non si veste ed orna come prima.
131 Quivi rimase Ullania ; e Marganorre
Di lei restò in potere: ed essa poi,
Perchè non s' abbia in qualche modo a sciorre,
£ le donzelle un'altra volta annoi,
Lo fé un giorno saltar giù d' una torre.
Che non fé il maggior salto a' giorni suoi.
Non più di lei, né più dei suoi si parli ;
Ma della compagnia che va verso Arli.
122 Tutto quel giorno , e V altro fin appresso
L' ora di terza andare, e poi che furo
Giunti dove in due strade è il cammin fesso
(L' una va al campo, e l' altra d' Arli al muro].
Tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso
A tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Alfin le donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero ; ed io il mio Canto ho qui finito.
sroTS.
Si, 5. 9. UB.^Jrpaltce: figlia
del te di Tracia, che difese, come si è
gi^ detto, il regno paterno contro Neot«
tolcmo, ossia Pirro, figliuolo d* Achil-
le.— Totpifi, regina de'Massageti,
della quale Erodoto narra la vit-
toria sopra Ciro persiano. — Non /a
chi Turno ec.Accenna £7afftmi7/a^ figlia
322
ORLANDO FCRIOSO.
del re de' Volsci, la quale di^ aiuto a
Turno , come si accennò altrove. —
Ncn chi Ettor soccorse tTpzrìz di Pen-
tesiff.a, regina delle Amaisoni, ricor-
data più addietro, quale ausiliaria dei
Troiani. — Ifon ehi seguita ec. Allude
a Z7f/foRe>cliey rimasta vedova di Sicheo»
« quindi emigrata da Tiro, si condusse
sulla costa d* Africa, dove fondò Carta-
gine. — Zenobia, celebre regina di Pai*
mira, che dopo essersi difesa con molto
valore contro l'imperatore Aureliano,
restò di lui prigioniera. — Non quella
che gli Assiri ec. Questa h Semirami-
de^ nominata in altro luogo, e qui men-
tovata per le bellicose sue gesta.
SL 6. V. 3-4. — Ove fra gì' ìndi e
gli orli Delle Esperide ec .Prendesi qui
r India per Y estremo continente a levan-
te; e gli orti dell' Esperidi per Y uUima
terra a ponente. Si finsero quegli «ti
nella parte occidentale dell' Etiopia , e
appartenenti alle tre figlie di Espero,
cbe ivi tenevano sotto la guardia di un
drago i pomi d* oro recati in dote da
Giunone a Giove.
St. 8. V. 1-8. — In questa Stanca
e in altre che seguono, il Poeta nomina
vari letterati che scrissero in lode delle
donne, e dei quali si darà breve cenno.
— Marnilo t ebbe nome Michele, nato
da genitori greci, ma allevato in Italia;
fu ingegnoso scrittore di epigrammi e
d'inni, detti da lui naturali: mori som-
merso nel fiume Cecina in Toscana. —
Ed il Pontan ec. Grande e meritata fa-
ma ebbe'nelle lettere Giovanni o 6io-
viano Fontano, nato a Cereto nello
Spoletino r anno i4S6. Ritrasse in sb
atesso le grasie e l' eleganca degli anti-
chi poeti, e mori nel ìòO'ò. — E duo
Strozzi, il padre e 'l figlio. Il padre fu
Tito Vespasiano^ discendente dagli
Strossi di Firense. Cominciò ad essere
celebrato nel secolo XV; e tutti gli scrit-
tori di que'tempi esaltarono con somme
lodi le di lui rime. Finiva di vivere
circa il 1508.11 figlio chiamavasi JErco-
Uf e superò il padre. Fu stimato am-
mirabile nella poesia latina, felicissimo
neir italiana, e dotto nella lingua greca.
Mori ucciso a tradimento nel 6 giugno
1508. — // Bembo. L'esimio merito
letterario di Pietro Bembo e ben cono-
sciuto, rfacque egli in Venesia nel 90
maggio 1470 ; fu storiografo di quella
repubblica, e cardinale nel 1539. Era
amicissimo del Poeta, e mori nel 18
gennaio 1547. — // Capei. Fioriva nel
secoloXVI Bernardino Capella, roma-
no; e le di lui poesie latine sono lodate
dal Giraldi.— CA j^ qnal lui Fediamo,
ha tali i cortigìan formati, intende di
Baldassar Castiglione, mantovano,
nato nel 1468, pieno di emdisione, ri-
matore elegante, ed anche più rinomalo
pel suo libro del (7orff^raRO.Cessò di vi-
vere in Toledo nel 1529. — Luif^i Ala*
man, E questi l'elegante poeta Luigi
Alamanni, nato in Firense nel S8 ot-
tobre 1495, autore della Coltivazione,
e di altri due poemi, uno intitolato
Girone il cortese, e l'altro, VAvar-
chide, — Ce ne son dui di par da
Marte ec. Accenna Luigi Gonzaga,
secondo conte di Sabbioneta, sopranno-
minato Rodomonte, e Francesco Gon-
Maga, marito d'Isabella d*Este.ll primo
nacque nel 1500, e mori in età di 33
anni. L* altro fu marchese di Mantova
dal 1484 al 1519; e amendue si di-
mostrarono cosi fervidi proteggitori ,
come gentili cultori delle buone lettere,
e prodi nell'armi. — Za terra Che 'l
Menzo fende ec. .* Mantova, situata in
meiso di un lago formato dal Mincio.
SÌ. 9. V. 3-8. — Cinto .* monte del-
l'isola di Delo, e luogo natale dì Apol-
lo.— L'amor, la f ed ecc. Cìtmenìty II f
irritato perchè Luigi Gonsaga favoriva
i Pallavicino contro i Rangoni, voleva
impedire con minacce il matrimonio
stabilito tra esso Luigi e Isabella figlia
di Vespasiano Colonna duca di Traetlo;
la quale, malgrado del papa, mantenne
al Gonzaga la data fede, e il matrimo-
nio ebbe luogo nel 1531.
«$"^12. p.5.8 — Un ErcolBenU90»
CANTO TRENTESIUOSETTIMO.
glfo.Qutiiì nacque in Bologna DeH506,
anno in cui la sua famiglia perde la
signoria di quella citta. Educato nella
corte di Alfonso I di cui era nipote, ag-
giunse lustro alla nobiltà della stirpe
col suo valore nella volgar poesia.—» E
Benato Trivulcio, e '/ mio Guidetto,
i E 'l Molta ec. Il prìoio fondò in Mila-
no, o almeno restaurò circa il 1543 l'ac-
cademia detta de' Fenicj. V altro era
Francesco Guidetti, uno dei collabo-
ratori air edisione del Boccaccio fatta
nel! 527; e Francesco Maria MoUa,
nato in Modena il 18 giugno Ì4S9, ed
ivi morto nel 28 febbraio 1544, riusci
felicemente in tutti i generi di poesia
in cui piacquegli esercitarsi.
.y^.l 3. 9. 1 -8.— C?** 'Iduca de' Car^
nuiiErcol figliuolo tfcErcoIe II,6glio
d'Alfonso I, ch'ebbe da Luigi XII, insie-
me con altre signorie, il ducato di Char.
tres, città detta dai Latini Chamutum,
fu splendido fautore e coltivatore delle
buone lettere. — C è il mio signor del
Vasto ec. Annoverasi fra i mecenati e
cultori della letteratura anche Alfonso
d^ Avalos, marchese del Vasto, co-
gnato del marchese di Pescara^ di cui
più sotto.
Su 14. 9, ^,^AlJonte d'Aganip»
pe. Quel fonte scendeva dal monte Eli-
cona, era consacrato ad Apollo e alle
Muse ; e le sue acque avevano la virtù
d' ispirare i poeti.
St. 17. V, 3. — Maiag una delle
Pleiadi, nella costellatione del Toro;
od anche il pianeta Mercurio, a cui si
è dato il nome di quel Dio che fu fi-
gliuolo di Maia.
St.i%. V. 1-6 Vittoria ò 'l no^
me. Parlasi di Vittoria Colonna, nata
in Marino, fèudo di sua casa, circa
il 1490. Fu sposa a Ferdinando Fran-
cesco d'Avalos', marchese di Pescara.
Fornita di rare doti di corpo e di spiri-
to, restò vedova nel 1525, e con egregie
rime, che celebrarono la memoria del
perduto sposo, cercò sfogo al dolore
della Tcdovaosa. Mori in Roma nel feb-
braio del 1547. — Un altra Artemia
sia ec. Questa regina di Caria, oltreché
fece costruire al marito un mausoleo,
che fu una delle sette maraviglie del
mondo, ne inghiotti le ceneri, non
trovando pel suo sposo un più degno
sepolcro.
St. 19. V. 1-7. — Laodamia: figlia
di Acasto, e moglie di Protesilao, uc-
ciso da Ettore, non gli volle sopravvi-
vere, e si gettò nelle fiamme.— Xa nuH
glier di Bruto : ebbe nome Porzia, e
morto il marito, si uccise ingoiandc
carboni acoesi. — Arria: moglie di Ce-
cina Peto, implicato in una congiura
contro l'imperator Claudio. Non po-
tendo salvare il marito, s' immerke un
pugnale nel ytllo.-^ Argia: moglie di
Polinice, fatta morire da Creonte ti-
ranno di Tebe, per aver data sepoltura
all'ucciso marito malgrado il divieto
fatto dal tiranno.— fifacfne .- moglie di
Capaneo morto nella oppugnatione di
Tebe. Pel dolore di quella perdita si
gettò anch'essa nel rogo. — Del rio che
nove volte L'ombre circonda : del fiu^
me Stige, a cui Virgilio dà nove giri.
St. 20. V. 2-3. — // Macedonico .•
Alessandro, figliuol di Filippo, re di
Macedonia, invidiava ad Achille l'essere
stato celebrato da Omero. — Francesco
di Pescara: lo sposo di Vittoria Co-
lonna, mentovata più sopra. Egli pro-
tesse con munificensa e coltivò con
amore le buone lettere ; fu assai valoroso
nell'armi, e mori di ferite riportate com-
battendo per Carlo V nella famosa bat-
taglia di Pavia, Tanno 1525.
St. 27. V, 1-4. — Come tfueljlglio
di Vulcan ec. Fu detto Erittonio, e
nacque coi piedi di dragone. Cresciuto
per le cure di Aglauro, figlia di Eritteo
re d'Atene, inventò il cocchio per co-
prire, sedendo in esso, la deformità de'
suoi piedi. — Al veder troppo ardita.
Rammenta il Poeta questa circostansa,
perchè Aglauro, portando invidia ad
Erse sua sorella, amata da Mercurio,
po^e jostacoli agli amori del nnmei «
324
ORLANDO P0B1O8O.
per questa colpa fu da Ini coavertita ìb
lauo.
Sl 36. V, i-6. — NoM pia « Già-
$9m ee. Racconta Staiio nel V della Te-
baide che Giasone , approdato con gli
Argonauti in LcBDo , trovò quell'isola
abitata soltanto da femmine « perchè
tutti i masebi erano stali messi a morte
da quelle.
Si. 44. V. 4 — // conio; il rac
conto.
St. 45. e». 2. — Stili: modi, co*
Su 54. V. i-6. — Temm: srgo-
mento , qui esempio. — Su che soleé
star sorto: sulla quale solea star fermo,
reggersi.
Sl 90. V. T~^Oslericehe: Austria.
St 93. P. Uk.-. Il gran fumé :[\
Vo.-'Vesido: monte Viso^ uno dei
monti liguri che fanno parte defle Alpi
Cosie. Altre volte fu chiamato Fejeiw e
Fesulo. — Lamhro e Tieim.... Et Ai-
da : tre 6umi di Lombardia.
St. 93. V. 5-6. — Troppo sewte
Pena lor porve e indegna a tante offe-
se: pena troppo bella, e di cui egli noe
era degno.
VANTO TREIKTESiinOTTATO.
Ruggiero, fedele ali* onore che lo chiama presso Agramente, va in Arli. Si presen-
Uno alla Corte di Carlo, Bradamante e Marfisa ; e questa riceve il battesimo.
D* altra parte Astolfo con un esercito di Nubj mette rAIfrica a soqquadro, e
minaccia Biserta. Agramente, di ciò istruito, ottiene da Carlo die si decida la
guerra fra loro col combattimento di due campioni eletti uno per parte.
i Cortesi donne, che benigna udienza
Date a' miei versi, io vi veggo al sembiante,
Che quesl' altra si subita partenza
Che fa Roggier dalla sua fida amante,
Vi dà gran noia, e avete displicenza
Poco minor eh' avesse Bradamante ;
E fate anco argomento, eh' esser poco
In lui dovesse Y amoroso foco.
2 Per ogni altra cagion eh' allontanato
Conlra la voglia d' essa se ne fusse,
Ancor ch'avesse più tesor speralo.
Che Creso o Crasso insieme non ridusse ;
lo crederla con voi, che penetralo
Non fosse al cor lo strai che lo percosse :
Ch'un almo gaudio, un cosi gran conlento
Non potrebbe comprare oro né argento.
CANTO TRENTESlMOTTAVa 325
3 Par, per salvar V onor, non solamente
D'escnsa, ma di lande è degno ancora;
Per salvar, dico, in caso eh' altrimente
Facendo, bìasmo ed ignominia fora:
£ se la donna fosse renitente,
Ed ostinata in fargli far dimora,
Darebbe di sé indizio e chiaro segno
O d' amar poco, o d'aver poco ingegno.
4 Che se V amante dell' amato deve
La vita amar più della propria, o tanto
(Io parlo d' ano amante a cui non lieve
Colpo 4* Amor passò più là del manto);
Al piacer tanto più, ch'esso riceve,
L'onor di qaello antepor deve, qaanto
L'onore è di più pregio che la vita,
Gh' a tatti altri piaceri è preferita.
6 Fece Raggiere il debito a segaire
Il sao signor; che non se ne potea,
Se non con ignominia, dipartire;
Ghò ragion di lasciarlo non avea.
E s' Almonte gli fé il padre morire,
Tal colpa in Agramante non cadea;
Gh' in molti effetti avea con Raggier poi
Emendato ogni error dei maggior saoi.
6 Farà Raggiere il debito a tornare
Al sno signore; ed ella ancor lo fece,
Ghe sforzar non lo volse di restare ,
Geme potea, con iterata prece.
Raggier potrà alla donna satisfare
A un altro tempo, s'or non satisfece:
Ma all'onor, chi gli manca d'nn momento,
Non paò in cento anni satisfar nò in cento.
7 Torna Raggiere in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
Gol parentado avean grande amistanza.
Andare insieme ove re Garlo fatta
La maggior prova avea di saa possanza.
Sperando, o per battaglia e per assedio.
Levar di Francia cosi lungo tedio.
il. 28
320 ORLANDO F0BIO8O.
8 Di Bradamante, poi che conosciata
In campo fo, si fé letizia e festa.
Ognan la riTerisce e la saluta ;
Ed ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come adi la sua venata,
Le venne incontra; nò Ricciardo resta,
Né Ricciardetto, od altri di sua gente,
E la raccoglion tutti allegramente.
9 Come s'intese poi che la compagna
Era Marfisa, in arme si famosa,
Che dal Cataio ai termini di Spagna
Di mille chiare palme iva pomposa ;
Non è povero o ricco che rimagna
Nel padìglion : la turba disiosa
Vien quinci e quindi, e s' urta, storpia e preme,
Sol per veder si bella coppia insieme.
iO A Carlo riverenti appresentàrsì.
Questo fu il primo di, scrive Turpino,
Che fa vista Marfisa inginocchiarsi;
. Che sol le parve il figlio di Pipino
Degno, a cui tanto onor dovesse farsi.
Tra quanti o mai nel popol Saracino
O nel cristiano, imperatori e regi
Per virtù vide o per ricchezza egregi.
il Carlo benignamente la raccolse,
E le osci incontra fuor dei padiglioni ;
E che sedesse a lato suo poi volse
Sopra tutti, re, principi e baroni.
Si dio licenzia a chi non se la tolse ;
Si che tosto restaro in pochi e buoni.
Restaro 1 paladini e i gran signori :
La vilipesa plebe andò di fuori.
4S Marfisa cominciò con grata voce:
Eccelso, invitto e glorioso Augusto,
Che dal mar Indo alla Tirinzia foce,
Dal bianco Scita all' Etiope adusto
Riverir fai la tua candida croce,
Nò di te regna il più saggio o 'I più giusto ;
Tua fama, ch'alcun termine non serra.
Qui tratto m' ha fin dall' estrema terra.
CANtO tRBNTESIBtOTTAVO. ^É?
i3 E, per narrarti il ver, sola mi mosse
Invidia, e sol per farti guerra io venni,
Acciò che si possente un re non fosse,
Che non tenesse la legge eh' io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
Del Cristian sangue ; ed altri fieri cenni
Era per farti da crudél nimica.
Se non cadea chi mi l' ha fatto amica.
14 Quando nuocer pensai più alle tue squadre,
Io trovo (e come sìa dirò più ad agio)
Che '1 buon Ruggier di Risa fu mio padre,
Tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
Di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrìmmi un mago infin al settimo anno,
A cui gli Arabi poi rubata m' hanno;
i5 E mi venderò in Persia per ischiava
A un. re che, poi cresciuta, io posi a morte ,
Che mia virginità tor mi cercava.
Uccìsi lui con tutta la sua corte :
Tutta cacciai la sua progenie prava;
E presi il regno, e tal fu la mìa sorte.
Che diciotto anni d' uno o di duo mesi
Io non passai, che sette regni presi.
iS E di tua fama invidiosa, come
10 t' ho già detto, avea fermo nel core
La grande altezza abbatter del tuo nome :
Forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome^
E faccia cader Tale al mio furore.
L'aver inteso, poi che qui son giunta,
Come io ti son d' afifinità congiunta.
17 E come il padre mio parente e servo
Ti fu, ti son parente e serva anch'io :
E quella invidia e queir odio protervo,
11 qual io t' ebbi un tempo, or tutto obblìo ;
Anzi contra Agramante io lo riservo,
E contra ogni altro che sia al padre o al zio
Di lui stato parente, che fur rei
Di porre a morte i genitori miei*
3Ì8 OILAHDO FUUOSO.
i$ E seguitò» yoler cristiana farsi,
E, dopo eh' avrà estinto il re Agramante,
Voler, piacendo a Carlo, ritornarsi
A batteizare il suo regno in Lerante,
Et indi centra tutto il mondo armarsi.
Ore Macon s' adori e Trìvigante ;
E con promission, ch'ogni sno acquisto
Sia don* imperio, e della Fé' di Cristo.
19 L'imperator, che non meno eloquente
Era, che fosse yaloroso e saggio,
Molto esaltando la donna eccellente,
E molto il padre e molto il sno lignaggio,
Rispose ad ogni parte umanamente,
E mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
E conchiose nell'ultima parola,
Per parente accettarla e per figlinola.
SO E qui si lera, e di nuovo l' abbraccia,
E, come figlia, bacia nella fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
Quei di Mongrana e quei di Chiaramente.
Lungo a dir fora quanto pnor le faccia
Rinaldo , che di lei le prove conte
Vedute avea più volte al paragone,
Quando Albracca assediar col suo girone.
Si Lungo a dir fora quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e-Sansonetto,
Ch' alla città erudel foron con lei ;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
Gh' air occision de' Maganzesi rei,
E di quei venditori empj di Spagna
L' aveano avuta si fedel compagna.
S2 Apparecchiar per lo seguente giorno,
Ed ebbe cura Carlo egli medesmo.
Che fosse un luogo riccamente adomo,
Ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi e gran chierici d' intorno.
Che le leggi sapean del cristianesmo,
Fece raccorrò, acciò da loro in tutta
La santa Fé' fosse Marfisa instrutta.
CANTO TRENTESmOTTAVO. 329
13 Venne in pontiGcale abito sacro
V arcìvesco Tarpino, e battezzolla :
Carlo dal salatìfero lavacro
Con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai eh' al capo voto e macro
Di senno si soccorra con l'ampolla,
Con che dal ciel più basso ne venia
11 duca Astolfo sai carro d' Elia.
24 Sceso era AstoKo dal giro lucente
Alla maggiore altezza della terra.
Con la felice ampolla che la mente
Dóvea sanare al gran mastro di guerra.
Un'erba quivi di virtù eccellente
Mostra Giovanni al duca d'Inghilterra:
Con essa vuol eh' al suo ritorno tocchi
Al re di Nubia e gli risani gli occhi;
25 Acciò per questi e per li primi merli
Gente gli dia, con che Biserta assaglia.
E come poi quei popoli inesperti
Armi ed acconci ad uso di battaglia,
E senza danno passi pei deserti
Ove l'arena gli uomini abbarbaglia,
A punto a punto l'ordine che tegna,
Tutto il Vecchio santissimo gl'insegna.
26 Poi lo fé rimontar su quello alato
Che di Ruggiero, e fu prima d'Aliante.
Il paladin lasciò, licenziato
Da San Giovanni, le contrade sante;
E secondando il Nilo a lato a lato.
Tosto i Nobj apparir si vide innante ;
E nella terra che del regno è capo.
Scese dall'aria y e ritrovò il Senape.
27 Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
Che portò a quel signor nel suo ritorno;
Che ben si raccordava della noia
Che gli avea tolta, dell'Arpie, d'intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
Di quello umor che già gli tolse il giorno,
E che gli rende la vista di prima,
L'adora e cole, e come un Dio sublima:
28*
J3Ù OlLiNDO FTBIOSO.
n Si che DOD por lai gente che gli chiede
Per maoTer guerra al regno di Biserta,
Ma ceolo mila sopra gli ne diede,
E gli fé ancor di soa persona ollerta.
ìa genìe appena, ch'era fatta a piede,
Potea capir nella campagna aperta;
Che di cavalli ha qoel paese inopia.
Ma d'defiuiti e di cammelli copia.
29 La notte innanzi 11 di che a suo cammino
L'esercito di Nabia doTea porse.
Montò sa V Ippogrìfo il paladino ,
E Terso Mezzodì con fretta corse.
Tanto che gionse al monte che V aostrìno
Vento predace, e spira centra Y Orse.
TroTò la cara, onde per stretta bocca,
Quando si desta, il lìirioso scocca.
30 E, come raccordògli il sao maestro.
Area seco arrecato nn otre voto.
Il qoal, mentre nell'antro oscuro alpestro
Affaticato dorme il fiero Noto,
Allo spiraglio pon tacito e destro;
Ed è r agguato in modo al vento ignoto.
Che, credendosi uscir fuor la dimane.
Preso e legato in quello atre rimane.
31 Di tanta preda il paladino allegro ,
Ritoma in Nnbia, e la medesma luce
Si pone a camminar col popol negro,
E vettovaglia diètro sì conduce.
A salvamento con lo stuolo Integro
Verso l'Atlante II glorioso duce
Pel mezzo vieh della minuta sabbia,
- Senza temer che '1 vento a nuocer gli abbia.
32 E giunto poi, di qua dal giogo, In parte
Onde il pian si dlscuopfe e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parie
Del campo, e la meglio atta a disciplina;
E qua e là per ordine la parte
Appiè d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d' uom eh' a gran pensieri intende.
CANTO TaENTESIMOTTAVO. 331
33 Poi che, inchinando le ginocchia, fece
Al santo suo maestro orazione,
Sicuro che sia udita la sua prece ,
Copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto, a chi ben crede in Cristo, lecet
I sassi, fuor di naturai ragione
Crescendo, si vedean venire in giuso,
E formar ventre e gambe e collo e muso :
34 E con chiari annitrir giù per quei calli
Yenian saltando; e giunti poi nel piano,
Scuotean le groppe, e fatti eran cavalli ,
Chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba eh' aspettando nelle valli
Stava alla posta, lor dava di mano:
Si che in poche ore fur tutti montati ;
Che con sella e con freno erano nati.
35 Ottanta mila cento e dna in un giorno
Fé, di pedoni, Astolfo cavalieri.
Con questi tutta scorse Africa intorno,
Facendo prede, incendj e prigionieri.
Posto Agramante avea, fin al ritorno,
II re di Fersa e '1 re degli Algazeri,
Col re firanzardo a guardia del paese :
E questi si fer centra al duca inglese ;
36 Prima avendo spacciato un suttil legno,
Ch'a vele e a remi andò battendo Tali,
Ad Agramante avviso, come il regno
Patia dal re de' Nubj oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
Tanto che giunse ai liti provenzali :
E trovò in Arli il suo re mezzo oppresso :
Che '1 campo avea di Carlo un miglio appresso.
37 Sentendo il re Agramante a che periglio.
Per guadagnare il regno di Pipino,
Lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
Principi e re del popol Saracino.
E poi eh' una o due volte girò il ciglio
Quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino^
I quai d' ogni altro fur, che vi venisse,
I duo più antiqui e saggi, cosi disse;
332 ORLANDO FURIOSO.
38 Qaantanqae io sappia come mal conregna
A un capitano dir, Non me '1 pensai,
Por lo dirò; che quando un danno vegna
Da ogni discorso uman lontano assai,
A quel fallir par che sìa escosa degna :
E qai si versa il caso mio; eh' errai
A lasciar d' arme l' Africa sfornita,
Se dalli Nabj esser dovea assalita.
39 Ma chi pensato avria, fuorché Dio solo,
A cui non ò cosa f atara ignota.
Che dovesse venir con si gran stuolo
A fame danno gente si remota?
Tra i quali e noi giace V instabil suolo
Di queir arena ognor da' venti mota.
Pur ò venuta ad assediar Biserta ,
Ed ha in gran parte V Africa deserta.
40 Or sopra ciò vostro consiglio chiegglo :
Se partirmi di qui senza far frutto,
Oppur seguir tanto V impresa deggio.
Che prigion Carlo meco abbi condutto ;
O come insieme io salvi il nostro seggio,
E questo imperiai lasci distratto.
S' alcun di voi sa dir, prego noi taccia,
Acciò si trovi il meglio, e quel si faccia.
éì Cosi disse Agramante ; e volse gli occhi
Al re di Spagna, che gli sedea appresso.
Come mostrando di voler che tocchi.
Di quel e' ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
Per riverenzia, e cosi il capo flesso,
Nel suo onorato seggio si raccolse ;
Indi la lingua a tai parole sciolse :
4S O bene o mal che la Fama ci apporti.
Signor, di sempre accrescere ha in usanza.
Perciò non sarà mai eh' io mi sconforti,
O mai più del dover pigli baldanza
Per casi, o buoni o rei , che sieno sorti;
Ma sempre avrò di par tema e speranza
Ch' esser debban minori , e non del modo
Ch' a noi per tante lingue venir odo.
CANTO TRENTESIMOTTAVO. 333
43 E tanto men prestar gli debbo fede,
Quanto più al verisimile s' oppone.
Or se gli è verisimile si vede,
Ch' abbia con tanto numer di persone
Posto nella pugnace Africa il piede
Un re di si lontana regione.
Traversando 1* arene a cui Gambise
Con male augurio il popol suo commise.
44 Crederò ben che sian gli Arabi scesi
Dalle montagne, ed abbian dato il guasto,
E saccheggiato, e morti uomini e presi,
Ove trovato avran poco contrasto ;
E che Branzardo, che di quei paesi
Luogotenente e viceré è rimasto.
Per le decine scriva le migliaia.
Acciò la scusa sua più degna paia.
45 Vo' concedergli ancor, che sieno 1 Nubi
Per miracol dal ciel forse piovuti ;
O forse ascosi venner nelle nubi.
Poiché non fur mai per cammin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
Sebben di più soccorso non V aiuti ?
Il tuo presidio avria ben trista pelle.
Quando temesse un popolo si imbelle.
46 Ma se tu mandi ancor che poche navi,
Purché si veggan gli stendardi tuoi,
Non scioglieran di qua si tosto i cavi.
Che fuggiranno nei confini suoi
Quésti, o sien Nubj o sieno Arabi ignavi.
Ai quali il ritrovarti qui con noi,
Separato pel mar dalla tua terra,
Ha dato ardir di romperti la guerra.
47 Or piglia il tempo che, per esser senza
II suo nipote Carlo, hai di vendetta.
Poich' Orlando non c'è, far resistenza
Non ti può alcun della nemica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
L'onorata vittoria che t'aspetta.
Volterà il calvo ove ora il crin ne mostra.
Con molto danno e lunga infamia nostra.
334 ORLANDO Fumoso.
48 Con qaesto ed altri detti accortamente
V Ispano persoader vnol nel concilio,
Che non esca di Francia questa gente,
Fìnchò Carlo non sìa spinto in esilio.
Ma il re Sobrin, che vide apertamente
Il cammino a che andava il re Marsilio,
Che più per V ntil proprio qneste cose,
Che pel comon, dicea, cosi rispose:
49 Qnando io ti confortava a stare in pace,
Foss' io stato, signor, falso indovino ;
O tu, s' io dovea pare esser verace,
Creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
E non piuttosto a Rodomonte audace,
A Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
Li quali ora vorrei qui avere a fronte :
Ma vorrei più degli altri Rodomonte,
60 Per rinfacciargli che volea di Francia
Far quel che si farla d' un fragil vetro,
E in cielo e nello 'nferno la tua lancia
Seguire, anzi lasciarsela di dietro ;
Poi nel bisogno si gratta la pancia,
Neil* ozio immerso abbominoso e tetro :
Ed io, che per predirti il vero, allora
Codardo detto fui, son teco ancora ;
61 E sarò sempre mai, finch'io finisca
Questa vita, eh' ancor che d'anni grave.
Porsi incontra ogni di per te s' arrisca
A qualunque di Francia più nome bave.
Né sarà alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
Di dir che l'opre mie mai fosser prave:
£ non han più di me fatto nò tanto
Molti che si donar di me più vanto.
63 Dico cosi, per dimostrar che quello
Ch' io dissi allora, e che ti voglio or dire,
Nò da viltade vien nò da cor fello.
Ma d' amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto eh' al paterno ostello.
Più tosto che tu puoi, vegli redire ;
Chò poco saggio si può dir colui
Che perde il suo per acquistar i' altrui.
CANTO TRBNTBSlMOTTAyO. 335
53 S* acquisto e' è, tu '1 sai. Trentadui fummo
Re tuoi vassalli a uscir teco del porto :
Or se di nuovo il conto ne rassummo,
C è appena il terzo, e tutto '1 resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio summo :
Ma se tu vuoi seguir, temo di corto,
Che non ne rimarrà quarto né quinto ;
E '1 miser popol tuo fia tutto estinto.
64 Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
Siam pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
Sebben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
Mostra che non minor d' Orlando sia.
C'ò il suo lignaggio, e tutti ì paladini,
Timore etemo a' nostri Saracini ;
66 Ed hanno appresso quel secondo Marte
(Benché i nemici al mio dispetto lodo),
Io dico il valoroso Brandimarte,
Non men d' Orlando ad ogni prova sodo ;
Del qual provata ho la virtude in parte»
Parte ne veggo air altrui spese et odo.
Poi son più di che non e' é Orlando stato ;
E più perduto abbiam, che guadagnato.
66 Se per addietro abbiam perduto , io temo
Che da qui innanzi perderem più in gròsso.
Del nostro campo Mandricardo é scemo ;
Gradasso il suo soccorso n' ha rimosso ;
Marfisa n' ha lasciati al punto estremo ;
E cosi il re d'Algier, di cui dir posso
Che, se fosse fedel come gagliardo.
Poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
67 Ove sono a noi tolti questi aiuti,
E tante mila son dei nostri morti ;
E quei eh' a venir bau son già venuti.
Né s' aspetta altro legno che n' apporti :
Quattro son giunti a Carlo, non tenuti
Manco d' Orlando o di Rinaldo forti ;
E con ragion, che da qui sino a Battro
Potresti mal trovar tali altri quattro.
336 OBLÀNDO FURIOSO.
5$ Non 80 se sai chi sia Guidon Selvaggio
E Saosonetto e i figli d' Oliviero.
Di questi fo più stima e più tema aggio.
Che d' ogni altro lor duca e cavaliero
Che di Lamagna, o d' altro stran linguaggio,
Sia centra noi per aiutar V impero ;
Bench' importa anco assai la gente nuova
Gh' a' nostri danni in campo si ritrova.
69 Quante volte uscirai alla campagna,
Tante avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perde il campo Africa e Spagna,
Quando sian stati sedici per otto ;
Che sarà poi eh' Italia e che Lamagna
Con Francia è unita, e '1 popolo angle e scotto,
E che sei centra dodici saranno?
Ch'altro si può sperar, che biasmo e danno?
60 La gente qui, là perdi a un tempo il repo,
S' in questa impresa più duri ostinato ;
Ove, s'al ritornar muti disegno,
L' avanzo di noi servi con lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno ;
Gh' ognun te ne terrebbe molto ingrato.
Ma e' è rimedio : far con Garlo pace ;
Gh' a lui deve piacer, se a te pur piace.
61 Pur se ti par che non ci sia il tuo onore.
Se tu, che prima offeso sei, la chiedi ;
E la battaglia più ti sta nel core,
Ghe, come sia fin qu» successa, vedi ;
Studia almen dì restarne vincitore :
Il che forse avverrà, se tu mi credi.
Se d' ogni tua querela a un cavaliero
Darai l' assunto ; e se quel fia Ruggiero.
62 Io '1 so, e tu '1 sai, che Ruggier nostro è tale,
Ghe già da solo a sol con l' arme in mano,
Non men d' Orlando o di Rinaldo vale,
Nò d' alcun altro cavalier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale.
Ancorché '1 valor suo sia soprumano,
Egli però non sarà più eh' un solo.
Ed avrà di par suoi centra uno stuolo.
CANTO TBENTESIMOTTAVO. 337
63 A me par, s' sk, (e par, eh' a dir si mandi
Al re Cristian, che per finir le liti,
£ perchè cessi il sangue che tu spandi
Ognor de' suoi, egli de' tuoi infiniti.
Che contra un tuo guerrier tu gii domandi
Che metta in campo uno dei suoi più arditi ;
£ faccìan questi duo tutta la guerra,
Finché r un vinca, e l'altro resti in terra:
64 Con patto, che qual d'essi perde, faccia
Che '1 suo re all' altro re tributo dia.
Questa condizion non credo spiaccia
A Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido si nelle robuste braccia
Poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
£ ragion tanta ò dalla nostra parte,
Che vincerà, s' avesse incontra Marte.
65 Con questi ed altri più efficaci detti
Fece Sobrin si, che '1 partito ottenne;
£ gì' interpreti fur quel giorno eletti,
£ quel di a Carlo l' imbasciata venne.
Carlo, ch'avea tanti guerrier perfetti.
Vinta per sé quella battaglia tenne.
Di cui r impresa al buon Rinaldo diede,
In ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.
66 Di questo accordo lieto parimente
L' uno esercito e 1' altro si godea ;
Che '1 travaglio del corpo e della mente
Tutti avea stanchi, e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
Della sua vita disegnato avea ;
Ognun maledicea l' ire e i furori
Ch' a risse e a gare avean lor desti i cori.
67 Rinaldo che esaltar molto si vede.
Che Carlo in luì dì quel che tanto pesa,
Via più ch'in tutti gli altri, ha avuto fede.
Lieto si mette all'onorata impresa:
Ruggier non stima ; e veramente crede
Che contra sé non potrà far difesa :
Che suo pari esser possa non gli è avviso,
Sebben in campo ha Mandricardo ucciso.
338 ORLANDO FURIOSO.
6S Raggìer dall' altra parte, ancorché molto
Ooor gli sia che 'I soo re l' abbia eletto,
E pel miglior di tatti i beoni tolto,
A cai commetta an si importante etTetto;
Par mostra affanno e gran mestizia in volto:
Non per paora che gli turbi il petto ;
Che non eh' an sol Rinaldo, ma non teme
Se fosse con Rinaldo Orlando insieme;
69 Ma perchè vede esser di lai sorella
La saa cara e fidissima consorte,
Ch'ognor scrìvendo stimola e martella,
Come colei eh' è ingiuriata forte.
Or s' alle vecchie offese aggiunge quella
D' entrare in campo a porle il frate a morte,
Se la farà, d'amante, cosi odiosa,
Ch' a placarla mai più fia dura cosa.
70 Se tacito Ruggier s' affligge ed auge
Della battaglia che mal grado prende,
La sua cara moglier lacrima e piange,
Come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l'auree chiome frange,
E le guance innocenti irriga e offende ;
E chiama con rammarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destìn crudele.
71 D'ogni fin che sortisca la contesa,
A lei non può venirne altro che doglia,
Ch' abbia a morir Ruggiero in questa impresa
Pensar non vuol; che par che '1 cor le toglia.
Quando anco, per punir più d'una offesa,
La ruina di Francia Cristo voglia.
Oltre che sarà morto il suo fratello.
Seguirà un danno a -lei più acerbo e fello;
72 Che non potrà, se non con biasmo e scorno
E nimicizia di tutta sua gente.
Fare al marito suo mai più ritorno.
Si che lo sappia ognun pubblicamente,
Come s'avea, pensando notte e giorno,
Più volte disegnato nella mente :
E tra lor era la promessa tale,
.C)ie '1 ritrarsi e il pentir più poco vale.
J
CANTO TRE.NTESIMOTTAVO. 339
73 Ma quella osata nelle cose avverse
Di non mancarle di soccorsi fidi,
Dico Melissa maga, non sofferse
Udirne il pianto e i dolorosi gridi ;
E venne a consolarla, e le profferse,
Quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
£ disturbar quella pugna futura,
Di eh' ella piange e si pon tanta cura.
74 Rinaldo intanto e F inclito Ruggiero
Appareccfaiavan Tarme alla tenzone,
Di cui dovea V eletta al cavaliero
Che del romano imperio era campione.
E come quel che, poi che '1 buon destriero
Perde Baiardo, andò sempre pedone.
Si elesse a pie, coperto a piastra e a maglia.
Con r azza e col pugnai far la battaglia.
75 O fosse caso, o fosse pur ricordo
Di Malagigi suo provvido e saggio,
Che sapea quanto Balisarda ingordo
Il taglio avea di fare all'arme oltraggio.
Combatter senza spada fur d'accordo
L' uno e V altro guerrier , come detto aggio
Del luogo s' accordar presso alle mura
Dell'antiquo Arli, in una gran pianura.
76 Appena avea la vigilante Aurora
Dall' ostel di Titon fuor messo il capo.
Per dare al giorno terminato, e all' ora
Ch'era prefissa alla battaglia, capo;
Quando di qua e di là vennero fuora
1 deputati ; e questi in ciascun capo
DegU steccati i padiglion tirare,
Appresso ai quali ambi un aitar fermare.
77 Non molto dopo, instrutto a schiera a schiera,
Si vide uscir l' esercito pagano.
In mezzo armato e sontuoso v' era
Di barbarica pompa il re africano ;
E s* un baio corsier di chioma nera ,
Di fronte bianca, e di duo pie balzano,
A par a par con lui venia Ruggiero,
A cui servir non é Marsilio altiero.
d40 ORLANDO FDBIOSO.
78 V elmo che dianzi con travaglio tanto
Trasse di testa al re di Tartaria,
L' elmo che celebrato in maggior Canto
Portò il troiano Ettor mill'anni pria,
Gli porta il re Marsilio a canto a canto:
Altri principi ed altra baronia
S' hanno partite Y altr' arme fra loro,
Bieche di gioie e ben fregiate d' oro.
79 Dall' altra parte faor dei gran ripari
Re Carlo usci con la sua gente d'arme.
Con gli ordini medesmi e modi pari
Che terria se venisse al fatto d' arme.
Cingonlo intorno i suoi famosi Pari ;
E Rinaldo è con lai con tatto l' arme,
Fuorché l' elmo che fu del re Mambrino,
Che porta Uggier danese, paladino.
SO E di due azze ha il duca Namo V una,
E r altra Salamon re di Bretagna.
Carlo da un lato i suoi tutti raguna ;
Dall' altro son quei d' Africa e di Spagna.
Nel mezzo non appar persona alcuna ;
Voto riman gran spazio di campagna :
Che per bando comune a chi vi sale.
Eccetto ai duo guerrieri, ò capitale.
81 Poi che dell' arme la seconda eletta
Si dio al campion del popolo pagano.
Duo sacerdoti, l' un dell' una setta,
L'altro dell'altra, uscir coi libri in mano.
In quel del nostro ò la vita perfetta
Scritta di Cristo, e l'altro è l'Alcorano:
Con quel dell' Evangelio si fé innante
L' imperator, con V altro il re Agramante.
ss Giunto Carlo all' aitar che statuito
I suoi gli aveano, al ciel levò le palme,
E disse: 0 Dio, ch'hai di morir patito
Per redimer da morte le nostr' alme ;
O Donna, il cui valor fu si gradito.
Che Dio prese da te V umane salme,
E nove mesi fu nel tuo santo alvo.
Sempre serbando il fior virgineo salvo;
CANTO TRENTESIBtOTTAVO. 34 i
S3 Siatemi testimoni, ch'io prometto
Per me e per ogni mia saccessione,
Al re Agramente, ed a chi dopo eletto
Sarà al governo di sua regione.
Dar venti some ogni anno d'oro schietto,
S' oggi qai riman vinto il mio campione ;
E eh' io prometto subito la triegua
Incominciar, che poi perpetua segua :
84 E se 'n ciò manco, subito s' accenda
La formidabil ira d' ambidui ,
La qual me solo e i miei figliuoli offenda.
Non alcun altro che sia qui con nui ;
Si che in brevissima ora si comprenda
Che sia il mancar della promessa a vui.
Cosi dicendo, Carlo sul Vangelo
Tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.
85 Si levan quindi, e poi vanno all'altare
Che riccamente avean pagani adorno ;
Ove giurò Agramente, eh' oltre al mare
Con l'esercito suo farà ritorno,
Ed a Carlo daria tributo pare,
Se restasse Ruggier vinto quel giorno;
E perpetua tra lor triegua saria,
Coi patti eh' avea Carlo delti pria.
86 E similmente con parlar non basso.
Chiamando in testimonio il gran Maumette,
Sul libro che in man tiene il suo papasso,
Ciò che detto ha, tutto osservar promette.
Poi del campo si partono a gran passo,
E tra i suoi l' uno e l' altro si rimette :
Poi quel par di campioni a giurar venne ;
E '1 giuramento lor questo contenne :
87 Ruggier promette, se della tenzone
Il suo re viene o manda a disturbarlo.
Che uè suo guerrier più, né suo barone
Esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo ancor, che se cagione
Sarà dei suo signor quindi levarlo.
Finché non resti vìnto egli o Ruggiero,
Si farà d' Agramente cavaliere.
20*
34^ ORLANDO FllRIOSd.
88 Poi che le cerimonie finite hanno,
Si ritorna ciascun dalla sua parte ;
Né v'indugiano molto, che lor danno
Le chiare trombe segno al fiero Marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno.
Con senno i passi dispensando ed arte.
Ecco si vede incominciar V assalto.
Sonar il ferro, or girar basso, or alto.
89 Or innanzi col calce, or col martello
Accennan quando al capo e quando al piede,
Con tal destrezza e con modo si snello,
Ch' ogni credenza il raccontarlo eccede.
Buggier, che combattea centra il fratello
Di chi la misera alma gli possiede,
A ferir lo venia con tal riguardo,
Che stimato ne fu manco gagliardo.
90 Era a parar, più eh' a ferire, intento;
E non sapea egli stesso il suo desire.
Spegner Rinaldo saria mal contento ;
Né vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento,
Ove convien V istoria differire.
NelF altro Canto il resto intenderete,
S' udir neir altro Canto mi vorrete.
iroTS.
tS'^ 2. V. 4. — Creso o Crasso:
V uno fa re dì Lidia» 1* altro patriiìo ro-
mano, amendue rinomati per le loro
ricchesBe.
St, 15. V, d.—Jlia TirintUfoce!
allo stretto di Gibilterra, formato dalle
colonne d* Ercole, soprannominato al-
cune Tolte Tiriosio, perchè educato in
Tirinta, antica città del Peloponneso.
St. i9. 9, 6. — Coraggio: qui pure
animo t il che in altro luogo si disse.
St. so. V. 8.— Col Étto girone. Si h
notato altra volta che questa voce de-
nota il circuito delle mura di una città;
e qui può significare il cerdiio delle
mura della fortena d'Albracca, e la
fortesaa medesima.
J«. SI. V. 8. — Sansonetto. Non
sarà facile il conciliare la prescnsa di
Sansonetto al ricevimento di Marfiia
nella corte di Carlo, quando si è veduto
nel Canto XXXV, St. 63, ch'egli era
stato mandato in Africa, come prigio-
niero di Rodomonte.
St. S6. p.i Su queih éiUU:
intendesi l'Ippogrilo.
ÈANTO TREtrrESIMOtTAVO.
m
St. S7. y, 5.6. — La grosse**» gfl
discuoia Di quello umor che già gii
tolse il giorno r toglie via la pellicola
che racchiudeva qneU'nmoTe ec
St. 39. V. ò-%.~~ A ustrino Vento:
Tento che spira da mestogiomo.
Sl 31. V, S. — Eia medesma luce:
e nello stesao giorno.
St. 34. f'. A.^Chi baio e chi lear*
do e chi royano: nomi di diversi colori
che hanno i mantelli dei cavalli. Il baio
• variamente macchiato ; il leardo è di
fondo bianco , sparso di macchie nerei
il rovano h grigio, ma col crine e tntte
l'cstremitk nere, tranne la testa.
St. 36. V. 6. — lire di Ftrsa e il
re degli Jlga%eri. Dice il Berni, nel
Canto LVII i^W Orlando Innamorato ^
che il primo nominavasi FoWo, e T al-
tro Buciftur.
St. 89. 1». 6. — Mota: mossa, agitata.
St. 41. V. 6. — Flesso: piegato ,
indiinato.
St. 43. 9, 7-8. — L'arene a cui
Cambisa ee. Sì legge in Erodoto» che
questo re di Persia spedì un esercito con-
tro gli Ammoni, popolo della Libia ai
confini della Cirenaica, e che i soldati
restarono sepolti sotto V arena sollevata
dal vento.— Commise: affidò.
St. 46. V. 3.-^ Cavi: canapi gros-
si, che si adoperano nelle navi.
A. 47. P. 7. — Folterà il calvo ove
era a cria ne mostra: ci diverrli con-
traria, quand* ora ci favorisce. La For-
tuna rappresentasi dai mitologi con un
sol ciuffi) di capelli sul davanti del capo,
e calva in tutto il rimanente { cosi che
non possa più affirrarsi, se abbia rivolta
la fronte.
St. 53. V. 6. — Redire: riedere, ri-
tornare.
St. 53. V. 3. ». Rassmmmot rtas*
sumo.
St. 57. V. l.—Battro: antica città,
tra il monte Caucaso ed il mar Caspio.
St. 60. V. A. — Servi: conservi.
St. 74. V. 8. — jiìuat arme in asta
lunga circa tre braccia, con ferro in ci-
ma, posto in traverso, dall' una delle
parti appuntato, e dall' altra paru fatto
a guisa di martello.
St. 76. V. 3. — Terminato : deUr-
minalo, stabilito.
St.n.v.i'^.'^/nstrutto: ordi-
nato, disposto.-^^a/aano .* dicesi d' un
cavallo, quando, avendo il mantello di
altro colore, ha i piedi bianchi. — Rug"
giero, A cui servir non è Marsilio
altiero : Ruggiero, a cui Marsilio non
isdegna servire.
4$*^. 78. V. Z.—'Tn maggior Canto:
ndl' Iliade di Omero.
St. 79. v.ò.-^I suoi famosi Pari:
i paladini, ch'erano dodici, e cosi detti
perche tutti di egual dignitli nella corte
di Carlo.
St. 80. V. 3-8. — Bretagna: nome
di un* antica provincia di Francia. —
È capitale: h delitto da punirsi con la
morte.
St. 86. V. Z.^ Papasso: sacerdote.
d44 ORLANDO PCRIOSO.
CAinro TKEBFnmmasiomo.
lldiiaa col mrsio di uà incantesimo fii cbe Agramante rompa i patti giurati nello
atabiliic il duello i quindi Tengono alle mani i due eserciti, e i Mori hanno la
peggio. Astolfo fa prodeine in Africa e tì crea una flotta. Egli e i suoi compigni
a' imbattono in Orlando, e Astolfo gli rende il senno. Agramente, postosi iHa
vela con le sue truppe, incontra la flotta cristiana» da cui Tiene assalito.
f L' atfoDDO di Rdggier ben Teramente
È sopra ogni altro darò, acerbo e forte,
Di cui travaglia il corpo, e più la mente.
Poiché di due fuggir non può nna morte:
O da Rinaldo, se di lui possente
Fia meno ; o se fia più, dalia consorte: •
Che se '1 f ratei le uccide, sa eh' incorre
Nell'odio suo, che più che morte abborre.
2 Rinaldo, che non ha simil pensiero,
In tutti i modi alla vittoria aspira:
Mena dell' azza dispettoso e fiero ;
Quando alle braccia e quando al capo mira.
Volteggiando con l' asta il buon Ruggiero
Ribatte il colpo, e quinci e quindi gira ;
E se percuote pur, disegna loco
Ove possa a Rinaldo nuocer poco.
3 Alla più parte dèi signor pagani
Troppo par disegnai esser la zuffa :
Troppo è Ruggier pigro a menar le mani ; i
Troppo Rinaldo il giovine ribuffa. I
Smarrito in faccia il re degli Africani
Mira r assalto, e ne sospira e sbuffa ;
Ed accusa Sobrin, da cui procede
Tutto r error, che '1 mal consiglio diede
CANTO TRBNTBSIIIONONO. 348
\ Melissa in questo tempo, eh' era fonte
Di qnanto sappia incantatore o mago,
Avea cangiata la femminil fronte,
E del gran re d' Algier presa V imago.
Sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,
E parea armata di pelle di drago;
E tal lo scudo, e tal la spada al fianco
Area, quale usava egli, e nulla manco.
Spinse il Demonio innanzi al mesto figlio
Del re Troiano, in Torma di cavallo;
E con gran voce e con turbato ciglio
Disse: Signor, questo è pur troppo fallo,
Ch' un giovane inesperto a far periglio
Contra un sì forte e si famoso Gallo
Abbiate eletto in cosa di tal sorte,
Che'l regno e Toner d'Africa n' importe.
Non ri lassi seguir questa battaglia.
Che ne sarebbe in troppo detrimento.
Su Rodomonte sia; nò ve ne caglia
L'avere il patto rotto e '1 giuramento.
Dimostri ognun, come sua spada taglia:
Poich'io ci sono, ognun di voi vai cento.
Potò questo parlar si in Agramante,
Che, senza più pensar, si cacciò innante.
Il creder d'aver seco il re d'Algieri
Fece che si curò poco del patto;
E non avria di mille cavalieri
Giunti in suo aiuto si gran stima fatto.
Perciò lance abbassar, spronar destrieri
Di qua di là veduto fu in un tratto.
Melissa, poi che con sue finte larve
La battaglia attaccò, subito sparve.
t I duo campion che vedono turbarsi,
Contra ogni accordo, contra ogni promessa,
Senza più l'un con l'altro travagliarsi.
Anzi ogni ingiuria avendosi rimessa.
Fede si dan, nei qua nò là impacciarsi ,
Finchò la cosa non sia meglio espressa,
Chi stato sia che i patti ha rotto innante,
O'I vecchio Carlo, o'I giovene Agramante.
:M0 ORLANDO FUfilOSO.
9 E replican con nuovi giaramenti
D* esser nimici a chi mancò di fede.
Sozzopra se ne van tutte le genti :
Chi porta innanzi, e chi ritorna il piede.
Chi sia fra i vili, e chi tra i più vaienti,
In un atto medesimo si vede.
Son tutti parimente al correr presti;
Ma quei corrono innanzi , e indietro questi.
10 Come levrier che la fugace fera
Correre intorno ed aggirarsi mira,
Né può con gli altri cani andare in schiera,
Che'l cacciator lo tien, si strugge d'ira,
Si tormenta, s'aflQigge e si dispera,
Schiattisce indarno, e si dibatte e tira :
Cosi sdegnosa infìn allora stata
Marfisa era quel di con la cognata.
li Fin a queir ora avean quel di vedute
Si ricche prede in spazioso piano;
£ che fosser dal patto ritenute
Di non poter seguirle e porvi mano.
Rammaricate s' erano e dolute ,
£ n' avean molto sospirato invano.
Or che i patti e le triegue vider rotte ,
Liete saltar nell'africane frotte.
12 Marfisa cacciò l'asta per lo petto
Al primo che scontrò, due braccia dietro:
Poi trasse il brando, e in men che non l'ho detto,
Spezzò quattro elmi che sembrar di vetro.
Bradamante non fé minore efielto;
Ma r asta d' òr tenne diverso metro :
Tutti quei che toccò, per terra mise ;
Duo tanti fur, né però alcuno uccise.
13 Questo si presso l' una all' altra fero,
Che testimonio se ne fur tra loro;
Poi si scostare, ed a ferir si diero.
Ove le trasse l' ira, il popol moro.
Chi potrà conto aver d'ogni guerriero
Ch' a terra mandi quella lancia d' oro?
O d' ogni testa che tronca o divisa
Sia dalla orribil spada di Marfisa?
CANTO TRENTESIMONONO. 347
14 Come al soffiar de' più benigni venti,
Quando Apennin scaopre V erbose spalle,
MuoYonsi a par duo turbidi torrenti,
Che nel cader fan poi diverso calle ;
Svellono i sassi e gli arbori eminenti
Dall' alte ripe, e portan nella valle
Le biade e ì campi ; e quasi a gara fanno
A chi far può nei suo cammin più danno:
io Cosi le due magnanime guerriere,
Scorrendo il campo per diversa strada,
Gran strage fan nell' africane schiere,
L' una con l' asta, e V altra con la spada.
Tiene Agramante a pena alle bandiere
La gente sua, eh' in fuga non ne vada.
Invan domanda, invan volge la fronte;
Né può saper che sia di Rodomonte.
16 A conforto di lui rotto avea il patto
(Cosi credea) che fu solennemente,
I Dei chiamando in testimonio, fatto;
Poi s' era dileguato si repente.
Né Sobrìn vede ancor. Sobrin ritratto
In Arli s'era, e dettosi innocente;
Perchè di quel pergiuro aspra vendetta
Sopra Agramante il di medesmo aspetta.
i7 Marsilio anco é fuggito nella terra ;
Si la religion gli preme il core.
Perciò male Agramante il passo serra
A quei che mena Carlo imperatore,
D' Italia, di Lamagna e d'Inghilterra,
Che tutti gente son d'alto valore ;
Ed hanno i paladin sparsi tra loro^
Come le gemme in un ricamo d' oro :
48 E presso ai paladini alcun perfetto,
Quanto esser possa al mondo cavaliere,
Guidon Selvaggio, l'intrepido petto,
£ i duo famosi figli d' Oliviero.
Io non voglio ridir, eh' io l' ho già detto.
Di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi uccidean di genti Saracino
Tanto, che non v'è numero né fine.
348 OALANDO FDBIOSO.
i9 Ma, differendo questa pugna alquanto,
Io vo' passar senza navilio il mare.
Non ho con quei di Francia da far tanto,
Ch' io non m* abbia d'Astolfo a ricordare.
La grazia che gli die TApostol Santo
10 v' ho già detto, e detto aver mi pare
Che '1 re Branzardo e il re dell' Algazera
Per girgli incontra armasse ogni saa schiera.
20 Faron di qnei eh' aver poteano in fretta ,
Le schiere di tutt' Africa raccolte,
" Non men d' inferma età che di perfetta ;
Quasi eh' ancor le femmine for tolte.
Agramante ostinato alla vendetta,
Avea già vota l'Africa due volte.
Poche genti rimase erano, e quelle
Esercito facean timido e imbelle.
21 Ben lo mostrar; che gl'inimici appena
Vider lontan , che se n' andaron rotti.
Astolfo, come pecore, li mena
Dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti,
E fa restarne la campagna piena :
Pochi a Biserta se ne son ridotti :
Prigion rimase Bucifar gagliardo ;
Salvossi nella terra il re Branzardo,
22 Via più dolete sol di Bucìfaro ,
Che se tutto perduto avesse il resto.
Biserta è grande , e farle gran riparo
Bisogna, e senza lui mal può far questo.
Poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa, e ne sta aflQitto e mesto,
Gli viene in mente come tien prigione
Già molti mesi il paladin Dudone.
23 Lo prese sotto a Monaco in riviera
11 re di Sarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigiòn sempre stato era
Dudon, che del danese Tu lignaggio.
Mutar costui col re dell' Algazera
Pensò Branzardo, e ne mandò messa^io
Al capitan de' NubJ, perchè intese
Per vera spia, eh' egli era Astolfo inglese.
CANTO TBENTESIMONONO. 349
24 Essendo Astolfo paladin, comprende
Che dee aver caro an paladino sciorre.
Il gentil duca, come il caso intende,
Col re Branzardo in an voler concorre.
Liberato Dudon, grazie ne rende
Al duca, e seco si mette a disporre
Le cose che appartengono alla gaerra.
Cosi quelle da mar, come da terra.
25 Avendo Astolfo esercito ìnBnito
Da non gli far sette Afriche difesa;
£ rammentando come fa ammonito
Dal Santo Vecchio, che gli die l'impresa,
Di tor Provenza e d' Acqaamorta il lite
Di man de' Saracin che V avean presa :
D* ana gran torba fece naova eletta,
Qaella eh' al mar gli parve manco inetta.
26 Ed avendosi piene ambe le palme.
Quanto potean capir, di varie fronde
A lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,
Venne sul mare, e le gittò nell' onde.
Oh felici e dal Ciel ben dilette alme!
Grazia che Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
Di quelle frondi, come fur neir acquei
27 Crebbero in quantità fuor d'ogni stima ;
Si feron curve e grosse e lunghe e gravi;
Le vene eh' a traverso aveano prima.
Mutare in dure spranghe e in grosse travi;
E rimanendo acute in ver la cima.
Tutte in un tratto diventare navi
Di differenti qualitadi, e tante.
Quante raccolte fur da varie piante.
28 Mìracol fu veder le fronde sparte
Produr fusto, galee, navi da gabbia.
Fa mirabile ancor, che vele e sarte
E remi avean, quanto alcun legno n'abbia.
Non mancò al duca poi chi avesse l' arte
Di governarsi alla ventosa rabbia ;
Che di Sardi e di Corsi non remoti,
Nocchier, padron, penosi ebbe e piloti
II. s$
380 ORLANDO FURIOSO.
29 Quelli che entraro in mar, contati foro
Yentìseìmila, e gente d' ogni sorte.
Dodon andò per capitano loro,
Cavalier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava l'armata ancora al lito moro,
Miglior vento aspettando che la porte,
Quando un navilio giunse a quella riva,
Che di presi guerrier carco veniva.
30 Portava quei eh' al periglioso ponte.
Ove alle giostre il campo era si stretto,
Pigliato avea l'audace Rodomonte,
Come più volte io v' ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del conte,
£ '1 Tedel Brandimarte e Sansonetto,
£d altri ancor, che dir non mi bisogna,
D' Alemagna, d' Italia e di Guascogna.
31 Quivi il nocchier, eh' ancor non s' era accorto
Degl'inimici, entrò coii la galea,
Lasciando molte miglia addietro il porto
D' Algieri, ove calar prima volea.
Per un vento gagliardo eh' era sorto,
£ spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette, e in loco fido.
Come vien Progne al suo loquace nido.
32 Ma come poi l'imperiale augello,
I gigli d' oro, e ì pardi vide appresso.
Restò pallido in faccia, come quello
Che '1 piede incauto d' improvviso ha messo
Sopra il serpente venenoso e fello.
Dal pigro sonno in mezzo l'erbe oppresso;
Che spaventato e smorto si ritira,
Fuggendo quel eh' è pien di tosco e d' ira.
33 Già non potè fuggir quindi il nocchiero,
Né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu, con Oliviero,
Con Sansonetto e con molti altri tratto
Ove dal duca e dal figliuol d'Uggiero
Fu lieto viso agli suo' amici fatto ;
E per mercede, luì che li condusse,
Telson che condannato al remo fosse.
Canto trentesimoNoNO. 38 1
54 Come io vi dico, dal figliDol d' Olone
I cavalier Cristian faron ben visti,
£ di mensa onorati al padiglione,
D* arme e di ciò che bisognò provvistL
Per amor d' essi differì Dudone
L* andata sua ; che non minori acquisti
Dì ragionar con tai baroni estima,
Che d'esser gito uno o.dno giorni prima.
35 In che stato, in che termine si trove
E Francia e Carlo, instruziqn vera ebbe;
E dovè più sicuramente, e dove.
Per far miglior effètto, calar debbe.
Mentre da lor venia intendendo nuove,
S* udì un rumor che tuttavia più crebbe ;
E un dar all' arme ne segui si fiero,
Che fece a tutti far più d' un pensiero.
36 II duca Astolfo e la compagnia bella,
Che ragionando insieme si trovaro.
In un momento armati furo e in sella ,
E verso il maggior grido in fretta andare,
Di qua di là cercando pur novella
Di quel remore ; è in loco capitare ,
Ove videro un uom tanto feroce.
Che nudo e solo a tutto '1 campo nuoce.
37 Menava un suo baston di legno in volta,
Ch' era si duro e si grave e si fermo.
Che declinando quel, facea ogni volta
Cader in terra un uom peggio eh' infermo.
Già a più di cento avea la vita tolta ;
Né più se gli facea riparo o schermo ,
Se non tirando dì lontan saette :
Da presso non è alcun già che l' aspette.
38 Dudone, Astolfo, Brandimarte essendo
Corsi in fretta al remore, ed Oliviero,
Della gran forza e del valor stupendo
Stavan maraviglìosi di quel fiero ;
Quando venir s'un palafren correndo
Videro una donzella investir nero.
Che corse a Brandimarte e salutollo,
£ gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo.
*^T
354 ORLANDO IrtIRIOSO.
49 Lo scado roppe solo, e so Y elmetto
Tempestò si, che Dadon cadde in terra.
Menò la spada a an tempo Sansonetto,
E del baston più di dao braccia afferra
Con valor tal, che tatto il taglia netto.
Brandimarte, ch'addosso se gli serra,
Gli cinge i fianchi, qaanto paò, con ambe
Le braccia, e Astolfo il piglia nelle gambe.
60 Scaotesi Orlando, e langi dieci passi
Da sé r inglese fé cader riverso:
Non fa però che Brandimarte il lassi.
Che con più forza V ha preso a traverso.
Ad Olivier, che troppo innanzi fassi.
Menò an pagno si duro e si perverso,
Che lo fé cader pallido ed esangue,
E dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.
51 E se non era V elmo più che buono
Ch' avea Olivier, V avria quel pugno ucciso:
Cadde però, come se fatto dono
Avesse dello spirto al paradiso.
Budone e Astolfo che levati sono,
Benché Dudone abbia gonfiato il viso,
E Sansonetto che '1 bel colpo ha fatto.
Addosso a Orlando son tutti in un tratto.
63 Dudon con gran vigor dietro T abbraccia.
Pur tentando col pie farlo cadere:
Astolfo e gli altri gli ban prese le braccia,
Né lo puon tutti insieme anco tenere.
Chi ha visto toro a cui si dia la caccia,
E eh' alle orecchie abbia le zanne fiere,
Correr mugliando, e trarre ovunque corre
I cani seco, e ìiqn potersi sciorre;
53 Immagini eh' Orlando fosse tale.
Che tutti quei guerrier seco traea.
In quel tempo Olivier di terra sale»
Là dove steso il gran pugno V avea;
E visto che cosi si potea male
Far di lui quel eh' Astolfo far volea,
Si pensò un modo, et ad effetto il messe,
Di far cader Orlando, e gli successe.
CANTO TRENTESiMONONÓ. 355
54 Si fé quivi arrecar più d' una fané,
£ con nodi correnti adattò presto;
Ed alle gambe ed alle braccia alcune
Fé porre al conte, ed a traverso il resto.
Di quelle 1 capi poi parti in comune,
£ li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
Cavallo 0 bue, fu tratto Orlando in terra.
65 Come egli è in terra, gli son tutti addosso
E gli legan più forte e piedi e mani.
Assai di qua di là s'è Orlando scosso;
Ma sono i suoi risforzi tutti vani.
Comanda Astolfo che sia quindi mosso.
Che dice voler far che si risani.
Dudon eh' è grande, il leva in so le schene>
£ porta al mar sopra V estreme arene.
56 Lo fa lavar Astolfo sette volte,
£ sette volte sotto acqua Tattufia;
Si che dal viso e dalle membra stolte
Leva la brutta ruggine e la muffa:
. Poi con ceri' erbe, a questo effetto colte,
La bocca chiuder fa, che soffia e buffa;
Che non volea eh' avesse altro meato
Onde spirar, che per lo naso, il fiato.
57 Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso.
In che il senno d' Orlando era rinchiuso;
£ quello in modo appropinquogli al naso.
Che nel tirar che fece il fiato in suso,
Tutto il votò. Maraviglioso caso l
Che ritornò la mente al primier uso;
£ ne' suoi bei discorsi l' intelletto
Rivenne, più che mai lucido e netto.
58 Come chi da noioso e grave sonno.
Ove a veder abbominevol forme
Di mostri che non son, né ch'esser ponno,
O gli par cosa far strana ed enorme,
Ancor si maraviglia, poi che donno
£ fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
Cosi, poi che fu Orlando d'error tratto ,
Restò maraviglioso e stupefatto.
380 ÓBLANDO FUfiiO^.
09 E firandimarte, e il f ratei d'Alda bella,
£ qael che '1 senno in capo gli rìdasse.
Par pensando riguarda, e non favella,
Com'egli qaivi, e quando si condusse.
Girava gli occhi in questa parte e in quella ,
Né sapea immaginar dove si fosse.
Si maraviglia che nudo si vede,
£ tante foni ha dalle spalle al piede.
60 Poi disse, come già disse Sileno
A quei che lo legar nel cavo speco:
Solvile me, con viso si sereno,
Con guardo si men dell' usato bieco,
Che fu slegato, e de' panni ch'avieno
Fatti arrecar parteciparon seco,
Consolandolo tutti del dolore.
Che lo premea, di quel passato errore.
61 Poi che fu all' esser primo ritornato
Orlando più che mai saggio e virile,
D'*amor si trovò insieme liberato ;
Si che colei che si bella e gentile
Gli parve dianzi, e eh' avea tanto amalo,
Non stima più, se non per cosa vile.
Ogni suo studio , ogni disio rivolse
A racquistar quanto già amor gli tolse.
62 Narrò Bardino intanto a Brandimarfe,
Che morto era il suo padre Monodante;
£ che a chiamarlo al regno egli da parte
Veniva prima del fratel Gigliante,
Poi delle genti eh' abitan le sparte
Isole in mare, e l'ultime in Levante;
Dì che non era un altro regno al mondo
SI ricco, popoloso y o si giocondo.
63 Disse, tra più ragion, che dovea farlo,
Che dolce cosa era la patria ; e quando
Si disponesse di voler gustarlo,
Avria poi sempre in odio andar errando.
Brandimarle rispose, voler Carlo
Servir per tutta questa guerra e Orlando;
E se potea vederne il fin, che poi
Penseria meglio sopra i casi suoi.
-^^^T"
CANTO TRENTBSIMONONO. 357
64 II di seguente la sua armata spìnse
Verso Provenza il figlio del Danese :
Indi Orlando col duca si ristrinse,
Ed in che stato era la guerra, intese :
Tutta fiiserta poi d'assedio cinse.
Dando però Y onore al duca inglese
D'ogni vittoria; ma quel duca il tutto
Facea, come dal conte venia instrntto.
66 Gh' ordine abbian tra lor, come s' assaglia
La gran Diserta, e da che lato e quando »
Come fu presa alla prima battaglia,
Chi neironor parte ebbe con Orlando,
S'io non vi seguito ora, non vi caglia;
Ch' io non me ne vo molto dilungando.
In questo .mezzo di saper vi piaccia
Come dai Franchi i Mori hanno la caccia.
66 Fu quasi il re Agramante abbandonato
Nel pericol maggior di quella guerra;
Che con molti pagani era tornato
Marsilio e '1 re Sobrin dentro alla terra;
Poi su l'armata e questo e quel montato,
Che dubbio avean di non salvarsi in terra ;
E duci e cavalier del popol moro
Molti seguito avean l' esempio loro.
67 Pure Agramante la pugna sostiene;
E quando finalmente più non puote,
Volta le spalle, e la via dritta tiene
Alle porte non troppo indi remote.
Rabican dietro in gran fretta gli viene,
Che firadamante stimola e percuote.
D'ucciderlo era disiosa molto;
Che tante volte il suo Ruggier le ha tolto.
68 II medesmo desir Marfisa avea.
Per far del padre suo tarda vendetta,
E con gli sproni, quanto più potea,
Facea il destrier sentir eh' ella avea fretta.
Ma né l' una né V altra vi giungea
Si a tempo, che la via fosse intercetta
Al re d'entrar nella città serrata,
Et indi poi salvarsi in su l' armata.
358 ORLANDO FURIOSO.
69 Come dae belle e generose pardo
Che fuor del lascio sien di pari ascite,
Poscia eh' i cervi o le capre gagliarde
Indarno aver si veggano seguite.
Vergognandosi quasi, che fur tarde,
Sdegnose se ne tornano e pentite;
Cosi tornar le due donzelle, quando
Videro il pagan salvo, sospirando.
70 Non però si fermar; ma nella frotta
Degli altri che fuggivano cacciarsi,
Di qua di là facendo ad ogni botta
Molti cader, senza mai più levarsi.
A mal partito era la gente rotta,
Che per fuggir non potea ancor salvarsi;
Ch' Agramante avea fatto, per suo scampo,
Chiuder la porta eh' uscia verso il campo,
71 E fatto sopra il Rodano tagliare
I ponti tutti. Ah sfortunata plebe.
Che dove del tiranno utile appare.
Sempre è in conto di pecore e di zebe!
Chi s' affoga nel fiume e chi nel mare,
Chi sanguinose fa di sé le glebe.
Molti perir, pochi restar prigioni ;
Che pochi a farsi taglia erano buoni.
72 Della gran moltitudine eh' uccisa
Fu da ogni parte in quest' ultima guerra
(Benché la cosa non fu ugual divisa,
Ch' assai più andar dei Saracin sotterra
Per man di Bradamante e di Marfisa],
Se ne vede ancor segno in quella terra:
Che presso ad Arli, ove il Rodano stagna.
Piena di sepolture é la campagna.
73 Fatto avea intanto il re Agramante sciorre
E ritirar in alto i legni gravi,
Lasciando alcuni, e i più leggieri, a torre
Quei che volean salvarsi in su le navi.
Vi ste' duo di, per chi fuggia raccorrò:
£ perché i venti eran contrarj e pravi»
Fece lor dar le vele il terzo giorno;
Ch' in Africa credea di far ritorno.
CANTO TRENTESIMONONO. 359
74 II re Marsilio, che sta in gran paura
Ch'alia sua Spagna il fio pagar non tocche,
E la tempesta orribilmente oscura
Sopra i suoi <?ampi air ultimo non scocche ;
Si fé porre a Valenza, e con gran cura
Cominciò a riparar castella e rocche,
£ preparar la guerra che fu poi
La sua ruina e degli amici suoi.
75 Terso Africa Agramente alzò le vele.
De' legni male armati, e voti quasi;
D'uomini voti, e pieni di querele,
Perch' in Francia i tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il re superbo, chi crudele,
Chi stolto; e, come avviene in simil casi,
Tutti gli voglion mal ne'lor secreti;
Ma timor n' hanno, e stan per forza cheti.
76 Por duo talora o tre schiudon le labbia,
Ch' amici sono, e che tra lor s' han fede,
E sfogano la collera e la rabbia;
E 'I misero Agramente ancor si crede
Ch' ognun gli porti amore, e pietà gli abbia:
£ questo gì' intervien, perchè non vede
Mai visi se non finti, e mai non ode
Se non adulazion, menzogne e frode.
77 Erasi consigliato il re africano
Di non smontar nel porto di Bisertn,
Però ch'avea del popol nubiano,
Che quel lito tenea, novella certa;
Ma tenersi di sopra sì lontano.
Che non fosse acre la discesa ed erta;
Mettersi in terra, e ritornare al dritto
A dar soccorso al suo popolo afflitto.
7S Ma il suo fiero destin , che non risponde
A quella intenzion provida e saggia.
Vuol che r armata che nacque di fronde
Miracolosamente nella spiaggia,
E vien solcando inverso Francia l'onde,
Con questa ^d incontrar di notte s' aggia,
A nubiloso tempo, oscuro e tristo.
Perchè sìa in più disordine sprovvisto*
OELAlfDO rUBIOSO.
79 Non ha avuto Agramante ancora spia,
Ch' Astolfo mandi nn' armata si grossa;
Né creduto anco, a chi '1 dicesse, avria,
Che cento navi nn ramnscel far possa:
E vien senza temer eh' intomo sia
Chi centra lai s' ardisca di far mossa;
Né pone guardie né veletta in gabbia.
Che di ciò che si scoopre avvisar abbia.
SO SI che i navili che d' Astolfo avuti
Avea Dndon, di buona gente armati,
E che la sera avean questi veduti^ '
Ed alla volta lor s' eran drizzati.
Assalir gli nimici sprovveduti,
Gittaro i ferri, e sensi incatenati,
Poich' al parlar certificati foro
Ch'erano Morì, e gl'inimici loro.
8i Neil' arrivar che i gran navili fenno
(Spirando il vento a' lor desir secondo}.
Nei Saracin con tale impeto donno.
Che molti legni ne cacciare al fondo:
Poi cominciare oprar le mani e il senno,
' E ferro e fuoco e sassi di gran pondo
Tirar con tanta e si fiera tempesta.
Che mai non ebbe il mar simile a questa.
82 Quei di Dndone, a cui possanza e ardire
Più del solito è lor dato di sopra
(Che venuto era il tempo di punire
I Saracin di più d' una mal' opra).
Sanno appresso e lontan si ben ferire.
Che non trova Agramante ove si cuopra.
Gli cade sopra un nembo di saette;
Da lato ha spade e graffi e picche e accette.
83 D' alto cader sente gran sassi e gravi,
Da macchine cacciati e da tormenti;
E prore e poppe fracassar di navi.
Ed aprire usci al mar larghi e patenti:
E '1 maggior danno è degl'incendj pravi,
A nascer presti, ad ammorzarsi lenti.
La sfortunata ciurma si vuol torre
Del gran periglio, e via più ognor vi corr&
CANTO TRENTESIMONONQ. 361
84 Altri 9 che '1 ferro e Y inimico caccia »
Nel mar si getta, e vi s'affoga e resta;
Altri, che maove a tempo piedi e braccia.
Va per salvarsi o in quella barca o in questa ;
Ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia,
E la man, per salir troppo molesta,
Fa restare attaccata nella sponda :
Ritorna il resto a far sanguigna V onda.
85 Altri, che spera in mar salvar la vita,
0 perderla vi almen con minor pena,
Poiché notando non ritrova aita ,
£ mancar sente l'animo e la lena.
Alla vorace fiamma e' ha fuggita ,
La tema di annegarsi anco rimena:
S'abbraccia a un legno ch'arde, e per timore
C'ha di due morti, in ambe se ne muore.
86 Altri, per tema di spiedo o d'accetta
Ghe vede appresso, al mar ricorre invano » ^
Perchè dietro gli vien pietra o saetta
Che non lo lascia andar troppo lontano.
Ma saria forse, méntre che diletta
Il mio cantar, consiglio utile e sano
Di finirlo, piuttosto che seguire
Tanto, che v' annoiasse il troppo dire.
W O T X.
St, 8. V. 4. — Troppo..^ ribuffa f
troppo (i agita, li affretta a menar
colpi.
Si. 6. p. 5, ^- j4/ar periglio t a far
prova di th, a cimentarsi.
4^/. SS. v,$,-^llpaladin Dadone:
personaggio che figura nel più ▼ohe ri-
cordato poema del Boiardo. Nacque da
Ermellina, figlia di N;imo duca di Ba-
viera^ e moglie di Uggiero il Da-
nese. Fa preso da Rodomonte a Mo«
baco di Proveàsa, come si accenna
■ella Stanta segurote ; quindi mandato
in Africa, e dato in custodia a Bran«
sardo.
Si. 28. p. S.8. — Navi da gabbiai
navi di maggior portata che le fuste
e le galee, che hanno gli alberi priori-
pali maniti deMe gabhig, altra ▼olta
menlf>9»tt.-— Nocchieri.,,, e piloti. —
Vedi nella nota alla St. 16 del Gan.
to XXIII la distinxione Era questi ufHc]
marinareschi. — /'eiicW.* ufficiali su*
balterni nelle navi, cuni de' quali h
stirare e distiVare i diversi oggetti che
sono a Lui do.
51
362
ORLANDO FURIOSO.
St. 30. V, 5. — // cognato.,, del con*
te: Oliviero di Vienna, fratello di Alda,
moglie d* Orlando^ come ti notò in al-
tro luogo. ^
«Sir.Sl.v.8. — Comovien Progneoc.
La rondine, Tolatile in cui fn tramatala
Progne figlia di Pandione re di Atene,
e moglie di Tereo. «— Loquace nido :
cosi detto pel garrire de' pulcini, quando
h madre reca ad essi il cibo.
Si. SS. p, i-S.— X' imperiale aw
gelloj 1 gigli d'oro j e i pardi : inse-
gne di Carlo Magno, di Francia e d* In-
ghilterra.
St. AO. V, 3-4. — Un vecchio ^ava»
liero ec: Bardino, del quale si parla nella
SU seguente. Egli era al servigio del re
Monodante, a cui, per un dispiacere ric^
'vutone, tolse il figliuoletto Brandimarte,
e Io Tende al conte di Rocca Silvana.
Il conte lo adottò per figlio, e a lui fatto
adulto lasciò la signoria. Ma il giova-
ne, vago di avventure cavalleresche , e
andandone in traccia, restò prigione
della fata Morgana , che teneva preso
anche ZiKante, o Gigliante, fratello di
Brandimarte. Ambidue però furono li-
berati da Orlando. Cosi il Berni nel-
V Orlando Innamorato.
Si. 42. V. l,"-' Precessi: preceduti,
passati.
St, 47. V, 6. -— Dadon santo : chia-
ma così Dudone, forse perchè i roman-
xieri notarono ch'egli lasciò, dopo un
certo tempo, la vita militare e si applicò
alla devota.
St. 55. V. 4. — Ris forti : sforai in
contrario, reasioni. Il Vocabolario spiega
risforzi per sforzi reiterati, e cita que-
sto passo. Qui pure si è creduto dover
seguire l'edisioDe del 1516 e quella
del 1532, che leggono risforù. e non
rinforzi, come hanno diverse altre.
St. 60. V. ^. — Solvile me: parole
che Virgilio, nelPEcIoga VI, fa dire a
Sileno, legato per ischerao da alcuni
pastori.
St.69. v.l.—- Lascio: lassa, gnin*
taglio.
Stl li. V. 4-8 Z^ebe: capre.—
Taglia: qui prezzo dei riscatto di
schiavij onde, buoni a farsi tagli»
vale capaci di riscattarsi con denaro»
St, 72. •». 7-8 — Jd Arli, ove il
Rodano stagna: parole tolte di pianta
dall'Alighieri, nel Canto IX, v. liS
dell* Inferno. — Piena di sepolture:
piena di tumuli, creduti da alcuna ap-
partenere ai tempi de* Romani.
Si. 79. V, 7. — Ni veletta in gab"
bia. Si dichiarò in atiro luogo che ve»
letta o vedetta significa sentinella, a
che dicesi gabbia un piano di tavole
costrutto sulle crocette degli alberi della
nave.
St. 83. V, 2. — Tormenti: mac«
chine da lanciare proiettili^come allrora
si è dello.
363
CAIVTO «IIARAUrTEflIiniO.
Disfatta ed arsa la flotta di Agramante, segue l' oppugoaiione di Biserta, cb* è
presa per forza d* armi) e abbandonata al saccheggio e alle Samme. Agramante.
con Sobrino si ricovera in Lampedusa ; e trovato Gradasso in qnell* isola^ è
fermato tra loro il consiglio d* invitare colà Orlando ed altri dae cavalieri a
battaglia. Orlando accoglie di buon grado V invito, e ti elegge a compagni
Brandimarte e Oliviero. Intanto Ruggiero, tornato in Arli, libera sette re
africani, condottivi prigionieri da Dudone, e poscia viene alle mani eon lui*
Lungo sarebbe, se i diversi easi
Volessi dir di quel naval conflitto ;
£ raccontarlo a voi mi parria quasi ,
Ma{;nanimo fìgliuol d' Ercole invitto,
Portar, come si dice, a Samo vasi,
Nottole a Atene, e crocodili a Egitto:
Che quanto per udita io ve ne parlo,
Signor, miraste, e feste altrui mirarlo.
Ebbe lungo spettacolo il fedele
Vostro popol la notte e 'l di che stette.
Come in teatro, rinìmiche vele
Mirando in Po tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi udir si possano e querele,
Ch' onde veder di sangue umano infette,
Per quanti modi in tal pugna si muora,
Vedeste, e a molti il dimostraste allora.
Noi vidi io già, ch'era sei giorni innanti,
Mutando ogni ora altre vetture, corso
Con molta fretta e molla ai piedi santi
Del gran Pastore a domandar soccorso:
Poi né cavalli bisognar né fanti;
Ch' intanto al Leon d' òr Y artiglio e *ì morso
Fu da voi rotto sì, che più molesto
Non r ho sentito da quel giorno a questo.
364 OULANDO FURIOSO.
4 Ma Alfonsin Trotto, il qnal si trovò in Tatto,
Annibal e Pier Moro e Àfranio e Alberto,
E tre Ariosti, e il Bagno e il Zerbinalto
Tanto me ne contar, eh* io ne fui certo:
Me ne chiarir poi le bandiere affatto.
Vistone al tempio il gran namero offerto,
£ quindici galee eh' a queste riye
Con mille legni star vidi captive.
b Chi vide quelli incendj e quei naufragi,
Le tante uccisioni e s\ diverse,
Che, vendicando i nostri arsi palagi,
Finqhè fu preso ogni navilio, forse;
Potrà veder le morti anco e i disagi
Che '1 miser popol d'Africa sofferse
Col re Agramante in mezzo Fonde salse.
La scura notte che Dudon l'assalse.
6 Era la notte, e non si vedea lume,
Quando s' incominciar l'aspre contese;
Ma poi che '1 zolfo e la pece e '1 bitume
Sparso in gran copia, ha prore e spónde accese,
E la vorace fiamma arde e consume
Le navi e le galee poco difese;
Si chiaramente ognun si vedea intorno.
Che la notte parea mutata in giorno.
7 Onde Agramante, che per l' aer scuro
Non avea l'inimico in si gran stima,
Né aver contrasto si credea si duro,
Che, resìstendo, alfin non lo reprima;
Poi che rimosse le tenebre furo,
E vide quel che non credeva in prima.
Che le navi nemiche eran duo tante;
Fece pensier diverso a quel d'ayante.
5 Smonta con pochi, ove in più lieve barca
Ha Brigliadoro e l' altre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca.
Finché si trova in più sìciif o mare
Da' suoi lontan, che Dudon preme e carca,
E mena a condizioni acri ed amare.
Gh arde il fuoco, il mar sorbe, il ferro strugge:
Egli, che n'é cagion, via se ne fugge.
CANTO QdARANTESiSfO. Z6ti
9 Fogge Agramante, ed ha con lui Sobrìno,
Con cai sì duol di non gli aver credulo,
Quando previde con occhio divino,
E '1 mal gli annunziò, eh' or gli è avvenuto.
Ma torniamo ad Orlando paladino,
Che, prima che Biserta abbia altro aiuto,
. Consiglia Astolfo che la getti in terra,
Si che a Francia mai più non faccia guerra.
10 E cosi fu pubblicamente detto,
Che '1 campo in arme al terzo di sia instrutto.
Molti navili Astolfo a questo effetto ^
Tenuti avea, né Dudon n'ebbe il tutto;
Di quai diede il governo a Sansonetto,
Si buon guerrier al mar come all' asciutto :
£ quel si pose, in su l'ancore sorto.
Centra a Biserta, un miglio appresso al porto.
il Come veri cristiani, Astolfo e Orlando,
Che senza Dio non vanno a rischio alcuno ^
Nell'esercito fan pubblico bando.
Che sieno orazion fatte e digiuno ;
E che si trovi il terzo giorno, quando
Si darà il segno, apparecchiato ognuno
Per espugnar Biserta, che data hanno.
Vinta che s' abbia, a fuoco e a saccomanno.
13 E cosi, poi che le astinenzie e i voti
Devotamente celebrati foro.
Parenti, amici, e gli altri insieme noti
Si cominciare a convitar tra loro.
Dato restauro a' corpi esausti e voti ,
Abbracciandosi insieme lacrimoro ;
Tra loro usando i modi e le parole
Che tra i più cari al dipartir si suole.
i3 Dentro a Biserta i sacerdoti santi,
Supplicando col popolo dolente,
Battonsi il petto, e con dirotti pianti
Chiamano il lor Macon, che nulla sente.
Quante vigìlie, quante offerte, quanti
Doni promessi son privatamente !
Quanto in pubblico templi, statue, altari,
Memoria eterna de* lor casi amari l
51'
k 3^6 ÒBLANOO FtJBIOSO.
f u E poi che dal Cadì fa benedetto »
r Prese il popolo V arme, é tornò al maro.
Ancor giacea col suo Tlton nel le(to
La bella Aurora, ed era il cielo oscaro,
I Quando Astolfo da un canto, e Sansonetto
Da un altro, armati agli ordini lor furo ;
£ poi che 'l segno, che die il conte , adiro,
Biserta con grande impeto assalirò.
15 Avea Biserta da duo canti il mare,
Sedea dagli altri duo nel lito asciutto.
Con fabbrica eccellente e singulare
Fa antiquamente il suo muro costrutto.
Poco altro ha che V aiuti o la ripare ;
Che poi che '1 re Branzardo fa ridutto
Dentro da quella, pochi mastri e poco
Potè aver tempo a riparare il loco.
io Astolfo dà r assunto al re de' Neri,
Che faccia a' merli tanto nocumento
Con falariche, fonde, e con arcieri.
Che levi d'affacciarsi ogni ardimento;
Si che passin pedoni e cavalieri
Fin sotto la muraglia a salvamento.
Che vengon, chi di pietre e chi di travi,
Chi d'asse e chi d' altra materia gravi.
17 Chi questa cosa e chi queir altra getta
Dentro alla fossa, e vien di mano in mano;
Di cui r acqua il di innanzi fu intercetta
Sì, che in più parti si scopria il pantano.
Elia fu piena ed atturata in fretta,
E fatto uguale insin al muro il piano.
Astolfo, Orlando ed Olivier procura
Di far salire i fanti in su le mura.
i8 I Nubj d' ogni indugio impazienti,
Dalla speranza del guadagno tratti.
Non mirando a' pei[icoli imminenti,
Coperti da testuggini e da gatti.
Con arieti e loro altri instrumenti
A forar torri, e porte rompere atti,
Tosto si fero alla città vicini ;
Nò trovare sprovvisti i Saracini:
CANtO QCARANtESmO. ^6?
i9 Che ferro e faoco e merli e tetti gravi
Cader facendo a guisa di tempeste,
Per forza aprìan le tavole e le travi
Delle macchine in lor danno conteste.
Nell'aria oscura e nei prìnctpj pravi
Molto patir le battezzate teste ;
Ma poi che i sole usci del ricco albergo,
Voltò Fortunaai Saracini il tergo.
20 Da tutti i canti risforzar V assalto
Fé il conte Orlando e da mare e da terra.
Sansonetto, ch'avea V armata in alto,
Entrò nel porto, e s' accostò alla terra ;
£ con frombe e con archi facea d' alto,
£ con varj tormenti estrema guerra ;
£ facea insieme espedir lance e scale.
Ogni apparecchio e munizion navale.
2i Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte,,
E quel che fu si dianzi in aria ardito,
Aspra e fiera battaglia dalla parte
Che lungi al mare era più dentro al lito.
Ciascun d' essi venia con una parte
Deli' oste che s' avean quadripartito.
Quale a mur, quale a porte, e quale altrove,
Tutti davan di sé lucide prove.
23 II valor di ciascun meglio si puote
Veder cosi, che se fosser confusi :
Chi sia degno di premio e chi di note,
Appare innanzi a mill' occhi non chiusi.
Torri di legno trannosi con ruote,
E gli elefanti altre ne portano usi.
Che su lor dossi cosi in alto vanno.
Che i merli sotto a molto spazio stanno.
23 Vien Brandimarte, e pon la scala a' muri,
E sale, e di salir altri conforta :
Lo seguon molti intrepidi e sicuri;
Che non può dubitar chi V ha in sua scorta.
Non è chi miri, o chi mirar si curi.
Se quella scala il gran peso comporta.
Sol Brandimarte agi' inimici attende ;
Pugnando sale, e alfine un merlo prende.
368 ORLANDO FUBIOSO.
24 £ con mano e con piò quivi s' attacca,
Salta sui merli, e mena il brando in volta,
Urta, riversa e fende e fora e ammacca,
E di sé mostra esperienza molta.
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca,
Che troppa soma e di soperchio ha tolta :
£, fuor che Brandimarte, giù nel fosso
Vanno sozzopra, e V uno all' altro addosso.
25 Per ciò non perde il cavalier V ardire ,
Nò pensa riportare addietro il piede ;
Benchò de' suoi non vede alcun seguire,
fienchò berzaglio alla città si vede.
Pregavan molli (e non volse egli udire)
Che ritornasse; ma dentro si diede:
Dico che giù nella città d' un salto
Dal muro entrò, che trenta braccia era allo.
26 Come trovato avesse o piume o paglia,
Presse il duro terren senza alcun danno ;
£ quei e' ha intorno afifrappa e fora e taglia,
Come s' affrappa e taglia e fora il panno.
Or contra questi or centra quei si scaglia ;
E quelli e questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei di fuor, che l' han veduto
Dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto.
27 Per tutto '1 campo alto rumor sì spande
Di voce in voce, e '1 mormorio e '1 bisbiglio.
La vaga fama intorno si fa grande,
£ narra, ed accrescendo va il periglio.
Ove era Orlando (perché da più bande
Si dava assalto), ove d' Olone il figlio,
Ove Olivier, quella volando venne.
Senza posar mai le veloci penne.
28 Questi guerrier, e più di tutti Orlando,
Ch' amano Brandimarte e l' hanno in pregio.
Udendo che, se van troppo indugiando.
Perderanno un compagno cosi egregio,
Piglìan le scale, e qua e là montando.
Mostrano a gara animo altiero e regio,
Con si audace sembiante e si gagliardo.
Che i nemici tremar fan con lo sguardo.
CANTO QUARAMTESIBlO. 36d
29 Come nel mar che per tempesta freme ^
Assaglìob Tacque il temerario legno»
Ch'or dalla prora, or dalle parli estreme
Cercano entrar con rabbia e con isdegno;
Il pallido nocchier sospira e geme.
Ch'aiutar deve, e non ha cor né ingegno;
Una onda viene alfin» eh' occupa il tutto,
E dove quella entrò , segue ogni flutto:
30 Cosi, di poi ch'ebbono presi i muri
Questi tre primi, fu sì largo il passo.
Che gli altri ormai seguir ponno sicuri,
Che mille scale hanno fermate al basso.
Aveano intanto gli arieti duri
Rotto in più lochi, e con si gran fracasso,
Che si poteva in più che in una parte
Soccorrer l' animoso Brandimarte.
31 Con quel furor che '1 re de' fiumi altièro.
Quando rompe talvolta argini e sponde,
£ che nei campi Ocnei s'apre il sentiero,
£ i grassi solchi e le biade feconde,
£ con le sue capanne il gregge intiero,
E coi cani i pastor porta nell' onde ;
Guizzano ì pesci agli olmi in su la cima
Ove solean volar gli augelli in prima:
32 Con quel furor l' impetuosa gente ,
Là dove avea in più parti il muro rotto.
Entrò col ferro e con la face ardente
A distruggere il popol mal condotto.
Omicidio, rapina, e man violente
Nel sangue e nell' aver, trasse di botto
La ricca e trionfai città a ruina,
Che fu di tutta l' Africa regina.
33 D' uomini morti pieno era per tatto ;
E delle innumerabili ferito
Fatto era un stagno più scuro e più brutto
Di quel che cinge la città di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indutto
Ardea palagi, portici e meschite.
Di pianti e d' urli e di battuti petti
Suonano i voti e depredati tetti.
370 ORLANDO FURIOSO.
34 I vincitori uscir delle faneste
Porte vedeansi di gran preda onusti ,
Chi con bei vasi e chi con ricche veste,
Chi con rapiti argenti a' Dei vetusti :
Chi traea i figli , e chi le madri meste.
Far fatti stupri e mille altri atti ingiusti,
Dei quali Orlando una gran parte intese,
Né lo potè vietar, nò '1 duca inglese.
36 Fa Bncifar dell' Algazera morto
Con esso un colpo da Olivier gagliardo.
Perduta ogni speranza, ogni conforto,
S' uccise di sua mano il re firanzardo.
Con tre ferite, onde mori di corto.
Fa preso Folvo dal duca dal Pardo.
Questi eran tre eh' al suo partir lasciato
Avea Agramante a guardia dello stato.
36 Agramante, ch'intanto avea deserta
L'armata, e con Sobrin n'era fuggito.
Pianse da lungi e sospirò Biserta,
Veduto si gran fiamma arder sul lite.
Poi più d' appresso ebbe novella certa
Come della sua terra il caso era ito :
£ d'uccider sé slesso in pensier venne,
£ lo facea; ma il re Sobrin lo tenne.
37 Bicea Sobrin: Che più vittoria lieta,
Signor, potrebbe il tuo nimico avere.
Che la tua morte udire, onde quieta
Si spereria poi l'Arrica godere?
Questo contento il viver tuo gli vieta:
Quindi avrà cagion sempre di temere.
Sa ben che lungamente Africa sua
£sser non può, se non per morte tua.
38 Tutti i sudditi tuoi, morendo, privi
Della speranza, un ben che sol ne resta.
Spero che n' abbi a liberar, se vivi,
£ trar d' aflfanno e ritornarne in festa.
So che, se muori, siam sempre captivi.
Africa sempre tributaria e mesta.
Dunque, s' in ntil tuo viver non vuoi,
Viviy signor, per non far danno ai tuoi.
CANTO QUARANTESIMO. 371
39 Dal Soldano d'Egitto, tuo vicino,
Certo esser puoi d' aver danari e gente :
Mal volentieri il figlio dì Pipino
In Africa vedrà tanto potente.
Verrà con ogni sforzo Norandino
Per ritornarti in regno, il tuo parente:
Armetii, Turchi, Persi, Arabi e Medi,
Tutti in soccorso avrai , se tu li chiedi.
40 Con tali e simil detti il vecchio accorto
Studia tornare il suo signore in speme
Di racquistarsi l'Africa di corto;
Ma nel suo cor forse il contrario teme.
Sa ben quanto è a mal termine e a mal porto,
£ come spesso invan sospira e geme
Chiunque il regno suo si lascia torre,
E per soccorso a' barbari ricorre.
4t Annibal e lugurta di ciò foro
Buon testimoni, ed altri al tempo antico:
Altempo nostro Ludovico il Moro,
Dato in poter d' un altro Ludovico.
Vostro fratello Alfonso da costoro
Ben ebbe esempio (a voi, signor mio, dico).
Che sempre ha riputato pazzo espresso
Chi più si fida in altri, eh' in sé stesso.
42 £ però nella guerra che gli mosse
Del pontefice irato un duro sdegno.
Ancorché nelle deboli sue posse
Non potesse egli far molto disegno,
£ chi lo difendea, d'Italia fosse
Spinto, e n'avesse il suo nimico il regno;
Né per minacce mai né per promesse
S' indusse che lo stato altrui cedesse.
43 II re Agramante all' Oriente avea
Volta la prora, e s'era spinto in alto ;
Quando da terra una tempesta rea
Mosse da banda impetuoso assalto.
Il nocchier eh' al governo vi sedea,
Io veggo ( disse alzando gli occhi ad alto)
Una procella apparecchiar si grave,
Che contrastar non le potrà la nave.
372 OHLAMDO FURIOSO.
44 S'attendete, signori, al mio consiglio.
Qui da man manca ha nn' isola vicina,
A coi mi par eh' abbiamo a dar di piglio,
Finché passi il furor della marina.
Gonsenli il re Agramante, e di periglio
Usci, pigliando la spiaggia mancina.
Che per salute de' nocchieri giace
Tra gli Afri, e di Yolcan l'alia fornace.
4& D' abitazioni è l' isoletta vota.
Piena d' omil mortelle e di ginepri ;
Gioconda solitudine e remota
A cervi, a daini, a caprioli, a lepri :
E, fuor eh' a pescatori, è poco nota.
Ove sovente a rimondati vepri
Sospendon, per seccar, l' umide reti :
Dormono intanto i pesci in mar quieti.
46 Quivi trovar che s' era un altro legno,
Cacciato da fortuna, già ridutto.
Il gran guerrier eh' in Sericana ha fegno,
Levato d'Arli, avea quivi condotto.
Con modo riverente e di so degno
L' un re con ì* altro s' abbracciò ^l' asciutto ;
Ch'erano amici, e poco innanzi foro
Compagni d' arme al parigino muro.
47 Con molto dispiacer Gradasso intese
Del re Agramante le fortune avverse :
Poi confortollo, e, come re cortese.
Con la propria persona se gli offerse ;
Ma ch'egli andasse all'infedel paese
D'Egitto, per aiuto, non sófferae.
Che vi sia, disse, periglioso gire,
Do V ria Pompeio i profogi ammonire.
45 E perchè detto m' hai che con l' aiuto
Degli Etìopi sudditi al Senapo,
Astolfo a torli l'Africa é venuto;
E ch'arsa ha la città che n'era capo;
E ch'Orlando è con lui, cbediminato
Poco innanzi di senno aveva il capo;
Mi pare al tutto un ottimo rimedio
Aver pensato a farti uscir di tedio.
^v
CANTO QUÀSANTESIMO. 373
49 Io pig1ier6 per amor tuo Y impreM
D' entrar col conto a singolar certame.
Centra me so che non avrà difesa»
Se tatto fosse di ferro o di rame.
Morto lei, stimo la cristiana Chiesa
Qael^che V agnello il lupo eh' abbia fame.
Ho poi pensato, e'mi fia cosa lieroy
Di fare i NabJ uscir d'Africa in broTe.
60 Farò che gli altri NiibJ che da toro
. Il Nito parte e la diversa togge»
E gli Arabi e i Macrobi, questi d' oro
Ricchi e di gente, e quei d' equino gregge,
Persi e Caldei (perchè tutti costoro
Con altri molti il mio scettro corregge).
Farò eh' in Nubia lor faran tal guerra.
Che non si fermeran nella tna terra.
M Al re Agramanto assai parrò opportuna
Del re Gradasso la seconda offerta;
E si chiamò obbligato alla Fortuna,
Che V area tratto air isola deserto :
Ma non tuo! torre a condizione alcuna.
Se racquistar credesse indi Diserto ,
Che battoglia per lui Gradasso prenda ;
Che 'n ciò gli par che Toner troppo oflénda.
sa SU disfidar s' ha Ortondo, son qnèlT lo»
Rtopoee, a cui to pugna più conviene ;
E pronto ri sarò : poi faceto Dio
Di me come gli pare, o mato o bene.
Facciam, disse Gradasso, al modo mio,
A un nuovo modo eh' in pensier mi viene :
Questo battoglto pigltomo ambedui
Incontra Orlando, e un altro sto con luL
ss Pureh' io non resti fuor, non me ne lagno,
Disse Agramante, o sia primo e secondo :
Ben so eh' in arme ritrovar compagno
Di to miglior non il può in tutto '1 mondo.
Ed io, disse Sobrin, dove rìmagnoT
E se vecchio vi paio, vi rispondo
Ch' io debbo esser più esperto; e nel perìglio
Presso alto fona è buono aver consiglio.
374 ORLANDO FURIOSO.
64 D* ana recchìezza valida e robusta
Era Sobrìno, e di famosa prora;
E dice ch'in vigor Fetà vetusta
Si sente pari alla già verde e nuova.
Stimata fa la soa domanda giasta ;
£ senza indugio un messo si ritrova»
Il qoal si mandi agli africani lidi,
E da lor parte il conte Orlando sfidi;
55 Che s'abbia a ritrovar con kiumef pare
Di cavalieri armali in Lipàdusa.
Una isoletta è questa, che dal mare
11 edesmo che li cinge è circonrnsa.
Non cessa il messo a vela e a remi andare,
Come quel che prestezza al bisogno usa,
Che fu a Biserta ; e trovò Orlando quivi,
Ch' a' suoi le spoglie dividea e i captivi
46 Lo 'nvito di Gradasso e d'Àgraikiahte
E di Sobrino in pubblico fu espresso.
Tanto giocondo al principe d'Anghinte,
Che d' ampli doni onorar fece il messo.
Avea dai suoi compagni udito innante,
Che Durindana al fianco s' avea messo
11 re Gradasso ; ond' egli, per desire
Di racquistarla, in India volea gire,
67 Stimando non aver Gradasso altiròi^,
Poi eh' udi che di Francia era partito.
Or più vicin gli è offerto luogo; dove
Spera che '1 suo gli fia restituito.
Il bel corno d'Almonte anco lo muove
Ad accettar si volentìer lo 'nviio,
E Brigliador non men ; che sapèa in mano
Esser venuti al figlio di Troiano.
68 Per compagno s* elegge alla battaglia
Il fedel Brandimarle e '1 suo cognato.
Provato ha quanto l' uno e l' altro vaglia ;
Sa che da entrambi è sommamente amato.
Buon destrier, buona piastra e buona maglia,
E spade cerca e lance in ogni lato
A sé e a' compagni. Che sappiate parme,
Che nessun d' essi avea le solile arme.
CANTO QUARANTESIMO. 375
&9 Orlandp (come io v' ho detto più volte)
Delle sae sparse per furor la terra :
Agli altri ha Rodomonte le lor tolte,
Gh' or alta torre in ripa un Oume serra.
Non se ne pu^ per Africa aver molte,
Si perchè in Francia avea tratto alla guerra
• Il re Agramante ciò ch'era di buono.
Si perchè poche in Africa ne sono. >
60 Ciò che di rugginoso « di brunito
Aver si può, fa ragunare Orlando ;
£ coi compagni intanto va pel lito
Della futura pugna ragionando.
Gli avvien eh' essendo fuor del campo uscito
Più di tre miglia, e gli occhi al mare alzando ,
Vide calar con le vele alte un legno
Verso il lito african senza ritegno.
61 Senza nocchieri e senza naviganti,
Sol come il vento e sua fortuna^dl mena.
Venia con le vele alle il le^no avanti
Tanto, che si ritenne in su l'arena.
Ma prima che di questo più vi canti,
L' amor eh' a Ruggier porto, mi rimena
Alla sua istoria, e vuol eh' io vi racconto
Di lui e del guerrier di Chiaramente.
63 Di questi duo guerrier dissi, che tratti
S'erano fuor del marziale agone,
Viste convenzion rompere e patti,
E turbarsi ogni squadra e legione.
Chi prima i giuramenti abbia disfatti,
£ stato sia di tanto mal cagione,
O r imperator Carlo o il re Agramante^
Studian saper da chi lor passa ayante.
63 Un servitor intanto di Ruggiero,
Ch' era fedele e pratico ed astuto.
Né pel conflitto dei duo campi Òero
Avea di vista il patron mai perduto.
Venne a trovarlo, q la spada e 1 destriero
Gli diede, perchè a' suoi fosse in aiuto.
Montò Ruggiero, e la sua spada tolse.
Ma nella zuffa entrar non però volse.
37«
i parte ;■» prìaumMiTa
[ che eoa Rinaldo avet:
fl aea Afranaiile CroTa,
1 la aea sella rea.
Bggìer ine allia proTa
t Tobe ; na solo allendea
' queste e qodle, e a domaDdail»
L loppe, e 1 le Agiamante o Carlo.
U Ode da tatto 1 flMmdo, che la parte
JM le AgraoMole fa che roppe prima.
Boggìero ama Agramanle; e se al parte
Da ini per questo, error non lleTe stima.
Far le genti africane e rotte e sparte
(Questo ho già detto innanzi), e dalla cima
Della ¥01000 mota tratte al fondo.
Come piacque a colei eh' aggira il mondo.
M Tra sé TolTe Roggiero, e fa discorso,
Se restar dere, o il suo signor segoire.
Gli pon Y amor della sua donna on morso,
Per non lasciarlo in Africa più gire :
Lo Tolta e gira, ed a contrario corso
Lo sprona, e lo minaccia di punire.
Se 1 patto e '1 ginramento non lien saldo,
Che fatto avea col paladin Rinaldo.
67 Non men dall' altra parte sferza e sprona
La Tigilante e stìmolosa cura.
Che s'Agramante in qael caso abbandona,
A viltà gli sia ascritto ed a paora.
Se del restar la causa parrà buona
A molti, a molti ad accettar 6a dura.
Molti diran che non si dò' osservare
Quel eh' era ingiusto e illicito a giurare.
68 Tutto quel giorno e la notte seguente
Stette solingo, e cosi V altro giorno.
Pur travagliando la dubbiosa mente.
Se partir deve, o far quivi soggiorno.
Pel signor suo conclude finalmente
Di fargli dietro in Africa ritorno.
Potea in lui molto il coniugale amore.
Ma vi potea più il debito e l'onore.
CANTO QUARANTESIMO. 377
69 Torna verso Arlì ; che trovar vi spera
L'armata ancor , eh' in Africa il transpprti:
Né legno in mar né dentro alla rivera.
Né Saracini vede se non morti.
Seco al partire ogni legno che v' era
Trasse Agramante, e '1 resto arse nei porti.
Fallitogli il pensìer, prese il cammino
Verso Marsilia pel lito marino.
70 A qualche legno pensa dar di piglio,
Ch' a prìeghi o forza il porti all' altra riva.
Già v' era giunto del Danese il figlio
Con r armala de' barbari captiva.
Non si avrebbe potuto un gran di miglio
Gittar nell' acqua : tanto la copriva
La spessa moltitudine di navi,
Di vincitori, e di prigioni, gravi.
7t Le navi de' pagani, ch'avanzare
5)al fuoco e dal naufragio quella notte.
Eccetto poche ch'in fuga n' andare.
Tutte a Marsilia avea Dudon condotte.
Sette di quei ch'in Africa regnare,
Che, poi che le lor genti vider rotte,
Con sette legni lor s'eran renduti,
Stavan dolenti , lacrimosi e muti.
73 Era Dudon sopra la spiaggia uscito,
Ch' a trovar Carlo andar volea quel giorno ;
E de' captivi e di lor spoglie ordito
Con lunga pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i prigion stesi nel lito,
E i Nubj vincitori allegri intorno.
Che faceano del nome di Dudone
Intorno risonar la regione.
73 Venne in speranza dì lontan Kuggiero,
Che questa fosse armata d' Agramanle;
E, per saperne il vero, urtò il destriero;
Ma riconobbe, come fu più innante ,
Il re di Nasamona prigioniero,
fiambirago, Agricalte e Farurante,
Manilardo e Balastro e Rimedonte,
Che piangendo tenean bassa la fronte.
32»
378 ORLANDO FOBIOSO.
74 Raggier che gli ama, sofferir non puote
Che stiao nella miseria in che li trova.
Qaivì sa eh' a venir con le man vuote,
Senza osar forza, il pregar poco giova.
La lancia ahhassa, e chi li tien percaote ;
E fa del sao valor f osata prova :
Stringe la spada, e in on piccol momento
Ne fa cadere intorno più di cento.
75 Dadone ode il ramor, la strage vede.
Che fa Raggier ; ma chi sia non conosce :
Vede i suoi e' hanno in fuga volto il piede
Con gran timor, con pianto e con angosce.
Presto il destrier, lo scudo e Y elmo chiede ;
Che già avea armato e petto e braccia e cosce :
Salta a cavallo, e si fa dar la lancia;
E non obblìa eh' è paladin di Francia.
76 Grida che si ritiri ognun da canto,
Spinge il cavallo, e fa sentir gli sproni.
Ruggìer cent' altri n' avea uccisi intanto,
£ gran speranza dato a quei prigioni :
£ come venir vide Dudon santo
Solo a cavallo, e gli altri esser pedoni,
Stimò che capo e che signor lor fosse ;
£ centra lui con gran desir si mosse.
77 Già mosso prima era Dudon, ma quando
Senza lancia Ruggier vide venire.
Lungo da sé la sua gittò, sdegnando
Con tal vantaggio il cavalier ferire.
Ruggiero, al cortese atto riguardando.
Disse fra sé: Costui non può mentire,
Ch' uno non sia di quei guerrier perfetti
Che paladin di Francia sono detti.
1s S* impetrar lo potrò, vo' che 1 suo nome,
Innanzi che segua altro, mi palese :
\ £ cosi domandone ; e seppe come
Era Dudon, figliuol d'Uggier danese.
Dudon gravò Raggier poi d'ugual some;
£ parimente lo trovò cortese.
Poi che i nomi tra lor s' ebbene detti,
Si disfidare, e vennero agli effetti.
CANTO QUARANtESlMO. 379
79 Avea Dadon quella ferrata mazza y
Ch' in mille imprese gli die eterno onore.
Con essa mostra ben, ch'egli è dì razza
Di quel Danese pien d' alto valore.
La spada ch'apre ogni elmo, ogni corazza ,
Di che non era al mondo la migliore ,
Trasse Ruggiero, e fece paragone
Di sua virtude al paladin Dudone.
S) Ma perchè in mente ognora avea di meno
Offender la sua donna , che potea ;
Ed era certo, se spargea il terreno
Del sangue di costui, che la offendea
(Delle case di Francia instrutto appieno ,
La madre di Dudone esser sapea
Armelina, sorella di Beatrice,
Gh' era di Bradamante genitrice) ;
81 Per questo mai di punta non gli trasse,
£ di taglio rarissimo feria.
Schermiasi, ovunque la mazza calasse,
Or ribattendo, or dandole la via.
Crede Turpin che per Buggier restasse,
Che Dudon morto in pochi colpi avria ;
Né mai, qualunque volta si scoperse,
Ferir, se non di piatto, lo sofferse.
82 Di piatto usar potea, come di taglio,
Buggier la spada sua, eh' avea gran schena;
£ quivi a strano giuoco di sonaglio
Sopra Dudon con tanta forza mena.
Che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio,
Che si ritien di non cadere a pena.
Ma per esser più grato a chi m' ascolta,
Io differisco il Canto a un' altra volta.
VOTZ.
St. i, 9. 6-6.— Portar... a Stimo | St, 8. v, M,-^ Al Leon d'errar*
vasi, NoiloU a Atene e eroeodili a tiglio e 'l morso ec. Ripete della scon-
Egitto. Antico proverbio, che qui denota [ fitta data sul Po ai Veneziani dal cardi*
narrar le cose a chi n' è bene informato» I nal d' Esle*
JLi3lr.l té
cdb àt>w A nfttcra 3 proéeuik cke
l'I. IS. r. 4^^-d>perfl dk iMtefu
ftel « dm, gmtii, Cra mrUUee, La to-
stmgfimm cn «icdiiin munk d'oftu,
IbnuU da hm tctton MnmpposU a
qoattro Invi, e coperta di cuoio fieseo
|icr §afaatìria dal fnoco: giniTa miUc
rooCCye polca irolgcrsi da ogni banda.
Sotto di CSM stavano i soldati riparati
dalk offiuc del neniicoy per far agire al-
tre maccbinc, o per altre opcrasiooi;
ed era £ piò maoiere. Una di queste
dicevasi dai Romani arUtarta, perchè
sotto di essa pendeva orizsontalmente
Varieté^ ch'era una trave fierrata in nna
delle soe estremile, e con essa si balte-
vano le mura nemiche. Al di sopra della
testuggine sorgeva nna torretta a quat-
tro palchi, sol più alto de' quali stavano
altra macchine proicieoti, e gli altri
erano serbato) d*acqua pei casi d* incen-
dio» Testuggine si chiamava altreii una
manovra» con la quale i soldati uniti a
schiera alsavano sul loro capo il Lrac«
ciò armato di scudo; onde venivano a
Dirsene an copertoi e cosi difesi prece»
devano sotto le mura che doveano as-
salire. Il gatto era una specie di testug-
gine, • consisteva in un tetto, o tavolato
intessnlo di vimini, e coperto anch'esso
di pelli crude, sotto il quale pendeva o
V ariete, o un forte rampicone di ferro
eoo cui si aggrappavano i merli del
;.ìei
(dosarti
b lesU e
atStJAfrfTì il
A. SI. r. T^E^mtl Aejm à.
Jk.SS.r.C — DoÈbftUktàuù
A.SiLr.9L — J£rmffms tàmtéà,
taglia a pcsaaL
SL 31. r. 1-X— /l r« àm*fimmùs
a FoL — Cmmfi Oemei.' campi dd
KantovaM, deità qua Ocmei da Ocoo
figlio di IfMto, cndido fe^iatoie di
&33.r.4.— IM qmel ehm tttge U
città éi DiU: della palode Stigia. Ye-
di r Alighieri Dd Canto TU delT/n^
roTM^v.iOa-iOS.
A. 3d. V. 6. — XW^MM Ai/ Pnr.
ém: ^ Astolfo.
SL 41. w. 1-4.^ Jmmihml • /•-
gmrtm oc. Annibal rifiiggitosi presso
Pmsia re della Bitinia, si avvelenò per
non esser dal san ospite consegnato ai
BomanL Jngurta, o Giogurta, re di Nn-
midia, rimessosi alla lède di Bocoo,
re di Mauritania e suo genero, fu da
Ini dato in mano a Siila , die lo ièce
morir di fame bel carcere Ifamer-
tino<— 17' BR altro Ludovico: di Lui-
gi XII re di Francia; nelle coi mani Lo-
dovico Sforsa cadde per tradimento degli
SvixBcri che teneva al proprio servisio.
St, 42. 9, i-6. — Allude alle circo-
stanse in cui si trovò il duca Alfonso,
quando Giulio li con 1* appoggio degli
Svisceri gli mosse guerra. Allora i Fran-
cesi, difensori del duca, erano cacciati
d* Italia, e gli Spagnuoli suoi aemió te*
nevano il Regno di Napoli.
St, 44. 9. S-S^— 1« spiaggim man"
Cina, Che per salute ec./ TiaoIetU di
Lampedusa, che giace tra la costa d'A-
frica e la SicilU.—27i Fn/con l'aita
fornace: l'Elna, nd cui intemo finsero
i poeti che fosse la principale fucina di
Vulcano.
St, in, 9* $,'^Do9rU Pàmpeio i
ì
CANTO QUARANTESIMO.
381
projkgi mmwMnirg, Pompeo, disfatto
da Ceaait nei campi della Tessaglia, si
TÌeoirerò in Alessandria d'Egitto presso
quel le Tolomeo, il qoale, per gratifi-
carsi il Tiacitore^ fece al profugo mos*
laic il capo»
St, 60. ¥, S.6.— // NiU parU • la
éiPtrsm hgg€» I Nubj abitanti oltre la
destra sponda del Nilo, erano anche
allora maomcttaniv— Cerr^gf*/ icggCi
governa.
SL 65. p, JA.^LipadHtat Laro-
pcdnsa, nominata pia sopra. — > Dal
mora Madésmo eha li cinga ^ ^ eireanm
/«««/ k bagnata all'intorno dal Mèdi*
terraneo, che bagna anche Biswta, ore
si trovano i cavalieri di Carlo.
Si. 57. », 5. _ // bai Curvo éTAl-
mantaf tolto ad Almonte da Orlando»
e cui poscia lo tolse Brunello. Vedi il
Boiardo.
SL 58. 1». S. — £ 7 suo cognato s
Oliviero.
St. 8S. 9. Z^^ E quivi a alitano
giuoco di sonaglio ec. Il ginoco del so»
naglio h poco dissimile da quello che i
fanciulli chiamano mosca^ciaca s nel
quale Iti danno forti colpi, ma non pe-
ricolosi ; e tali erano i colpi di Ruggiero
sopra Dudone.
CANTO 9VMMAJXTESMaiOWmaM.O.
Ruggiero e Dadone cessano dalla pugna , con patto che siano fatti liberi i sette
pagani te prigionieri. Ruggiero s' imbarca con essi per 1* Africa; e nel tragitto
restano tutti soauaersi per fortuna di mare, tranne Ruggiero, il quale dai
flutti b portato a salvamento presso un romito, che gli predice diverse cose. La
nave» vuota di gente, cepita vicino a Biserta, con a bordo il cavallo, la spada e
l'armatura di Ruggiero. Orlando prende per se la spada, db T armatura a
Oliviero, a Brandimarte il cavallo; e tutti tre vanno a Lampedusa per bsttersi
coi tre psgani. Si atUcca la suifa, durante la quale Sobriao e Oliviero sono
lènti, e Brandimarte rimane ucciso.
1 L'odor eh' ò sparso in ben notrìta e bella
O chioma o barba o delicata vesta
Di giovene leggiadro o di donzella,
Ch' amor sovente lacrimando desta ;
Se spira, e fa sentir di sé novella,
E dopo molti giorni ancora resta,
Mostra con chiaro ed evidente effetto,
Come a principio baono era e perfetto.
3S2 OftLAKDO FUU060.
2 L' almo liqwir che ai metitori saoi
Fece Icaro gustar cod soo gran danno,
£ che si dice clie già Celti e Boi
Fé passar l' Alpe, e non sentir r affanno ;
Mostra che dolce era a principio, poi
Che si aenra ancor dolce al fin dell' anno.
L* arbor eh' al tempo rio foglia non perde.
Mostra eh' a primavera era ancor verde.
3 L' inclita stirpe che per tanti lustri ^
Mostrò di cortesìa sempre gran lome,
E par ch'ognor più ne risplenda e lustri,
Fa che con chiaro indizio si presame
Che chi progenerò gli Estensi illostrì
Dovea d' ogni laudabile costume.
Che sublimar al ciel gli uomini suole,
S[rfender non men che fra le stelle il sole.
4 Ruggìer, come in ciascun suo degno gesto,
D'alto valor, di cortesia solea-
Dimostrar chiaro segno e manifesto ,
E sempre più magnanimo apparea ;
Cosi verso Dudon lo mostrò in questo,
Col qual (come di sopra io vi dìcea)
Dissimulato avea quanto era forte.
Per pietà che gli area di porlo a morte.
6 Avea Dudon ben conosciuto certo,
Ch' ucciderlo Ruggier non l' ha voluto ;
Perch' or s' ha ritrovato allo scoperto.
Or stanco si, che più non ha potuto.
Poi che chiaro comprende, e vede aperto
Che gli ha rispetto, e che va ritenuto ;
Quando dì forza e di vigor vai meno,
Di cortesia non vuol cedergli almeno.
6 Per Dìo (dice), signor, pace Cacciamo ;
Ch' esser non può più la vittoria mìa :
Esser, Qon può più mia ; che già mi chiamo
Vinto e prigion della tua cortesìa.
Ruggier rispose : Ed io la pace bramo
Non men dì te ; ma che con patto sìa,
Che quQsU sette re e' hai qui legati,
Lasci eh' in libertà mi sieno dati.
CANTO QUARANTESIMOPRISIO. 383
7 £ gli mostrò quei sette re eh' io dissi
Che stavano legati a capo chino;
E gli soggiunse y che non gì' impedissi
Pigliar con essi in Africa il cammino,
£ cosi furo in libertà remissi
Quei re ; che gliel concesse il paladino :
E gli concesse ancor, eh' nn legno tolse.
Quel eh' a lui parve, e verso Africa sciolse.
8 II legno sciolse, e fé scioglier la vela,
£ si die al vento perGdp in possanza,
Che da principio la gonfiata tela
Drizzò a cammino, e die al nocchier baldanza.
Il lito fugge, e in tal modo si cela,
Che par che ne sia il mar rimase sanza.
Neil' oscurar del giorno fece il vento
Chiara la sua perfidia e 'l tradimento.
9 Mutossi dalla poppa nelle sponde,
. Indi alla prora, e qui non rimase anco.
Ruota la nave, ed i nocchier confonde;
Ch'or di dietro, or dinanzi, or loro è al fianco.
Sorgono altiere e minacciose V onde :
Mugliando sopra il mar va il gregge bianco.
Di tante morti in dubbio e in pena stanno ^
Quante son l' acque eh' a ferir li vanno.
40 Or da fronte or da tergo il vento spira,
£ questo innanzi, e quello addietro caccia:
Un altro da traverso il legno aggira,
£ ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel che siede al governo, alto sospira.
Pallido e sbigottito nella faccia ;
£ grida invano, e invan con mano accenna
Or dì voltare, or di calar V antenna.
il Ma poco il cenno, e '1 gridar poco vale:
Tolto è '1 veder dalla piovosa notte.
La voce, senza udirsi, in aria sale,
In aria che feria con maggior botte
De' naviganti il grido universale,
£ 'I fremito dell' onde insieme rotte :
E in prora e in poppa e in amendne le bande
Non sì può cosa udir, che si comande.
384 OILARDO FOUOMI.
45 Sena rabbia del renio ebe n fende
Nelle ritorte, eseono orribil saonL
DI speMi lampi Tana si raccende;
Risoona 1 ciel di sparentosl tuoni.
Y'è cbi corre al timon, cbi i remi prende;
Yan per oso agli oflScj a cbe «m baoni:
Cbi g' affatica a gcìorre e cbi a legare;
Vota altri l' acqua , e toma il mar nel mare.
13 Ecco strìdendo r orribil procdla
Cbe 1 repeotin furor di Borea spinge.
La yela centra l' arbore flagella :
li mar si leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i remi ; e di fortuna fella
Tanto la rabbia impetuosa strìnge,
Cbe la prora si volta, e verso Y onda
Fa rimaner la disarmata sponda.
14 Tutta sotto acqua va la destra banda,
E sta per riversar di sopra il fondo.
Ognun, gridando, a Dio si raccomanda;
Cbò più cbe certi son gire al profondo.
D' uno in un altro mal Fortuna manda :
l\ primo scorre, e vien dietro il secondo.
lì legno vìnto in più parti si lassa,
E dentro V inimica onda vi passa.
15 Muove crudele e spaventoso assalto
Da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tant' alto,
Cbe par cb' arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra Tonde in su tal salto,
Cb'a mirar giù par lor veder lo 'nferno.
O nulla o poca speme è che conforte;
E sta presente inevitabìl mòrte.
46 Tutta la nòtte per diverso mare
Scorsero errando ove cacciolli il vento ;
Il Gero vento cbe dovea cessare
Nascendo il giorno, e ripigliò augumento.
Ecco dinanzi un nudo scoglio appare:
Voglion schivario, e non v ' hanno argumento.
Li porta, lor mal grado, a quella via
Il crudo vento e la tempesta ria.
CANTO QUARANTBSIMOPRIMO. 385
47 Tre volte e quattro il pallido nocchiero
Mette vigor, perchè 'i timon sia volto,
£ trovi più sìcoro altro sentiero;
Ma quel si rompe, e poi dal mar gli è tolto.
Ha si la vela piena il vento fiero,
Che non si può calar poco né molto:
Nò ftmpo han di riparo o di consiglio;
Ghò troppo appresso è quel mortai periglio.
iS Poichò senza rimedio si comprende
La ìrreparabil rotta della nave,
Giascono al suo privato utile atteode»
Ciascun salvar la vita sua cura have»
Chi può più presto al palischermo scende;
Ma quello è fatto subito si grave
Per tanta gente che sopra v'abbonda»
Che poco avanza a gir sotto la sponda.
19 Ruggier che vide il comite e '1 padrone
£ gli altri abbandonar con fretta il legno,
Come senz'arme si trovò in giubbone.
Campar su quel battei fece disegno ;
Ma lo trovò si carco di persone,
£ tante venner poi, che V acque il segno
Passare in guisa, che per troppo pondo
Con tutto il carco andò il legnelto al fondo;
so Del mare al fondo ; e seco trasse quanti
Lasciare a sua speranza il maggior legno.
Allor s' udì con dolorosi pianti
Chiamar soccorso dal celeste regno:
Ma quelle voci andare poco innanti ,
Che venne il mar pien d' ira e di disdegno,
£ subito occupò tutta la via
Onde il lamento e il flebil grido uscia.
21 Altri laggiù, senza apparir più, resta;
Altri risorge, e sopra Tonde sbalza:
Chi vien nuotando, e mostra fuor la testa;
Chi mostra un braccio, e chi una gamba scalza.
Buggier, che '1 minacciar delia tempesta
Temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,
£ vede il nudo scoglio non lontano,
Ch' egli e i compagni avean fuggito invano.
Il* S3
386 ORLANDO FURIOSO.
S2 Spera, per forza dì piedi e di braccia
Nuotando, di salir sai lito asciutto.
SoflSando viene, e lungi dalla faccia
L' onda respìnge e l' importuno flutto.
Il vento intanto e la tempesta caccia
Il legno voto, e abbandonato in tutjlo
Da quelli che per lor pessima sorte
Il disio di campar trasse alla morte.
23 Oh fallace degli uomini credenza I
Campò la nave che dovea perire ;
Quando il padrone e i galeotti senza
Governo alcun V avean lasciata gire.
Parve che si mutasse di sentenza
Il vento, poi che ogni uom vide fuggire:
Fece che '1 legno a miglior via si torse.
Nò toccò terra, e in sicura onda corse.
24 E dove col nocchier tenne via incerta,
Poi che non l'ebbe, andò in Africa al dritto,
E venne a capitar presso a Diserta
Tre miglia o due, dal lato verso Egitto;
E neir arena sterile e deserta
Restò, mancando il vento e l'acqua, fitto.
Or quivi sopravvenne, a spasso andando.
Come di sopra io vi narrava, Orlando.
25 E disioso di saper se fusse
La nave sola, e fusse o vota o carca.
Con Brandimarte a quella si condusse,
E col cognato, in su una lieve barca.
Poi che sotto coverta s' introdusse,
Tutta la ritrovò d' uomini scarca:
Vi trovò sol Frontino il buon destriero,
L'armatura e la spada di Ruggiero;
26 Dì cui fu per campar tanta la fretta,
Ch* a tor la spada non ebbe pur tempo.
Conobbe quella il paladin, che detta
Fu fialisarda, e che già sua fu un tempo.
So che tutta T istoria avete letta,
Come la tolse a Fallerina, al tempo
Che le distrusse anco il giardin si bello,
£ come a lui poi la rubò Brunello ;
"ssp:
CANTO QUARANTESIMOPRIMO. 387
27 E come sotto il monte di Carena
Brunel ne fé a Ruggier libero dono.
Di che taglio ella fosse e di che schena,
N'avea già fatto esperimento buono;
10 dico Orlando; e però n' ebbe piena
Letizia, e ringrazionne il sommo Trono;
E si credette (e spesso il disse dopo)
Che Dio gliele mandasse a si grande uopo:
2S A si grande uopo, quant' era, dovendo
Condursi col signor di Sericana;
Ch' oltre che di valor fosse tremendo,
Sapea ch'avea Baiardo e Durindana.
L'altra armatura, non la conoscendo,
Non apprezzò per cosa si soprana.
Come chi ne fé prova: apprezzò quella
Per buona si, ma per più ricca e bella.
29 E perchè gli facean poco mestiere
L' arme (eh' era inviolabile e affata to),
Contento fu che l'avesse Oliviero;
11 brando no, che sei pose egli a lato:
A Brandimarte consegnò il destriero.
Cosi diviso ed ugualmente dato
Volse che fosse a ciaschedun compagno,
Ch' insieme si trovar, di quel guadagno.
30 Pel di della battaglia ogni guerriero
Studia aver ricco e nuovo abito indosso.
Orlando ricamar fa nel quartiere
L' alto Babel dal fulmine percosso.
Un can d'argento aver vuole Oliviero,
Che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso.
Con un motto che dica: Finché vegna:
E vuol d'oro la vesta, e di sé degna.
31 Fece disegno Brandimarte, il giorno
Della battaglia, per amor del padre
E per suo onor, di non andare adorno
Se non di sopravveste oscure et ad re.
Fiordiligi le fé con fregio intorno.
Quanto più seppe far, belle e leggiadre.
Di ricche gemme il fregio era contesto ;
D'un schietto drappo, e tutto nero il resto.
OBLANDO FURIOSO.
32 Fece la donna di sua man le sopra-
Vesti a cai l' arme converrian più fine,
De'qaai Tosbergo il cavalier si caopra,
E la groppa al cavallo e '1 petto e '1 crine.
Ma da qoel di che cominciò quest' opra,
Continuando a qnel che le die fine,
E dopo ancora, mai segno di riso
Far non potè, né d' allegrezza in viso.
33 Sempre ha timor nel cor, sempre tormento,
Che Brandimarte sao non le sia tolto.
Già r ha veduto in cento lochi e cento
In gran battaglie e perigliose avvolto;
Nò mai, come ora, simile spavento
Le agghiacciò il sangue e impallidille il volto:
E questa novità d' aver timore
Le fa tremar di doppia tema il core.
34 Poi che son d'arme e d'ogni arnese in ponto,
Alzano al vento i cavalier le vele.
Astolfo e Sansonetto con l' assunto
Kiman del grande esercito fedele.
Fiordiligi col cor di timor punto,
Empiendo il ciel di voti e di querele.
Quanto con vista seguitar le puote,
Segue le vele in alto mar remote.
35 Astolfo a gran fatica e Sansonetto
Potè levarla da mirar nell'onda,
E ritrarla al palagio, ove sul letto
La lasciare affannata e tremebonda.
Portava intanto il bel numero eletto
Dei tre buon cavalier l' aura seconda.
Andò il legno a trovar V isola al dritto,
Ove far si dovea tanto conflitto.
36 Sceso nel lite il cavalier d'Anglante,
Il cognato Oliviero e Brandimarte,
Col padiglione il lato di Levante
Primi occupar; né forse il fer senz' arte.
Giunse quel di medesimo Agramante,
E s' accampò dalla contraria parte;
Ma perché molto era inchinata l'ora,
Differir la battaglia nell' aurora.
CAKtO QUARANTESIMOfr&iaiO. 389
87 Di qua e dì là sin alla naova lace
Stanno alla guardia i servitori armati.
La sera Brandimarte si condace
Là dove i Saracin sono alloggiati»
E parla, con licenzia del suo duce.
Al re african , eh' amici erano stati ;
E Brandimarte già con la bandiera
Del re Agramante in Francia passato era.
38 Dopo i salati e '1 giunger mano a mano,
Molte ragion, si come amico, disse .
Il fedel cavaliere al re pagano.
Perchè a questa battaglia non venisse :
E di rìporgli ogni citlade in mano,
Che sia tra '1 Nilo e '1 segno eh* Ercol Gsse,
Con volontà d' Orlando gli offeria.
Se creder voleri al Figlio di Maria.
39 Perchè sempre v' ho amato ed amo molto,
Questo consiglio, gli dicea, vi dono;
E quando già, signor, per me ì' ho tolto,
Creder potete eh' io 1* estimo buono.
Cristo conobbi Dio , Maumette stolto ;
£ bramo voi por nella via in eh' io sono :
Nella via di salute, signor, bramo
Che siale meco, e tutti gli altri ch'amo.
40 Qui covsiste il ben vostro ; né consiglio
Altro potete prènder, che vi vaglia ;
E men di tutti gli altri, se col tìglio
Di Milon vi mettete alla battaglia :
Che '1 guadagno del vincere al periglio
Della perdita grande non si agguaglia.
Vincendo voi, poco acquistar potete;
Ma non perder già poco, se perdete.
41 Quando Decidiate Orlando, e noi venuti -
Qui per morire o vincere con lui,
Io non veggo per questo che i perduti
Dominj a racquistar s' abbian per vui.
Nò dovete sperar che si si muti
Lo stato delle cose, morti nui,
Ch' uomini a Carlo manchino da porre
Quivi a guardar fin all' estrema torre.
390 OB LANDÒ FURIOSO.
42 Cosi parlava Brandimarte, ed era
Per soggiungere ancor molte altre cose;
Ma fa con voce irata e faccia altiera
Dal pagano interrotto, che rispose:
Temerità per certo e pazzia vera
£ la taa, e di qaalunqae che si pose
A consigliar mal cosa o buona o ria.
Ove chiamato a consigliar non sia.
43 E che '1 consiglio che mi dai, proceda
Da ben che m' hai voluto, e vaomimi ancora,
10 non so, a dire il ver, come io tei creda,
Quando qui con Orlando ti veggo ora.
Crederò ben, tn che ti vedi in preda
Di quel dragon che l'anime deverà »
Che brami teco nel dolore elerno
Tutto '1 mondo poter trarre all' inferno.
44 Ch'io vinca o perda, o debba nel mio regno
Tornare antiquo, o sempre starne in bando,
In mente sua n' ha Dio fatto disegno,
11 qual né io, né tu, né vede Orlando.
Sìa quel che vuol, non potrà ad atto indegno
Di re inchinarmi mai timor nefando. ,
S' io fossi certo di morir, vo' morto
Prima restar, eh' al sangue mio far torto.
45 Or ti puoi ritornar ; che se migliore
Non sei dimani in questo campo armato,
Che tu mi sia parato oggi oratore.
Mal troverassi Orlando accompagnato. ^
Queste ultime parole usciron fuore
Del petto acceso d'Agramante irato.
Ritornò V uno e l' altro, e ripososse
Finché del mare il giorno uscito fosse.
46 Nel biancheggiar della nqova alba, armati
E in un momento fur tutti a cavallo.
Pochi sermon si son tra loro usati :
Non vi fu indugio, non vi fu intervallo;
Che i ferri delle lance hanno abbassati.
Ma mi parria, signor, far troppo fallo.
Se, per voler di costor dir, lasciassi
Tanto Ruggier nel mar, che v' aflTogassi,
CANTO QUAfiANTESlMOPRiatO. 391
47 II giovinetto con piedi e con braccia
Percotendo venia V orribil onde.
Il vento e la tempesta gli minaccia:
Ma più la conscìenzia lo confonde.
Teme che Cristo ora vendetta faccia ;
Che, poiché battezzar nell'acque monde,
Quando ebbe tempo, si poco gli calse,
Or si battezzi in queste amare e salse.
48 Gli ritornano a mente le promesse
Che tante volte alla sua- donna fece ;
Quel che giurato avea quando si messe
Centra Rinaldo, e nulla satisfece.
A Dio, eh' ivi punir non lo volesse,
Pentito disse quattro voltjs e diece ;
E fece voto di core e di fede
D'esser Cristian, se ponea in terra il piede :
49 E mai più non pigliar spada né lancia
Centra ai Fedeli in aiuto de' Mori ;
Ma che ritorneria subito in Francia,
E a Carlo renderla debiti onori ;
Né firadàmante più terrebbe a ciancia,
£ verria a fine onesto dei suo' amori.
Miracol fu, che senti al fin del voto
Crescersi forza, e agevolarsi il nuoto.
60 Cresce la forza e Y animo indefesso :
Ruggier percuote l'onde e le respinge,
L' onde che seguon l' una all' altra presso.
Di che una il leva, un'altra lo sospinge.
Cosi montando e discendendo spesso
Con gran travaglio, alfin V arena attinge ;
E dalla parte onde s' inchina il colle
Più verso il mar, esce bagnato e molle.
(1 Fnr tutti gli altri, che nel mar si dlero,
Vinti dall'onde, e^ alfin restar* nell'acque.
Nel solitario scoglio usci Ruggiero,
Come all'alta Rontà divina piacque.^
Poi che fu sopra il monte inculto e fiero
Sicur dal mar» nuovo timor gli nacque
D* avere esilio in si stretto confine^
E di morirvi di disagio alfine.
302 ORLANDO ^URIOISO.
62 Ha pur col core indomito, e costante
Di patir quanto è in ciel di lui prescritto ,
Pei duri sassi V intrepide piante
Mosse, poggiando inver la cima al dritto.
Non era cento passi andato innante ,
Che vide d' anni e d' astinenzie afiSitto
Uom eh' avea di' eremita abito e segno^
Di molta riverenzia e^d'onor degno;
63 Che, come gli fu presso, Saulo, Saulo,
Gridò, perchè persegui la mia Fede?
(Come allor il Signor disse a San Paulo,
Che '1 colpo salutifero gli diede)
Passar credesti il mar, né pagar naulo,
£ defraudare altrui della mercede.
Vedi che Dio, e' ha lunga man , ti giunge,
Quando tu gli pensasti esser più lungo.
64 E seguitò il santissimo eremita ,
Il qual la notte innanzi avuto avea
In vision da Dio, che con sua aita
Allo scoglio Buggier giunger dovea:
£ di lui tutta la passata vita,
£ la futura, e ancor la morte rea.
Figli e nipoti ed ogni discendente
Gli avea Dio rivelato interamente,
65 Seguitò r eremita riprendendo
Prima Ruggiero ; e al6n poi confortoUo.
Lo riprendea eh' era ito differendo
Sotto il soave giogo a porre il collo ;
£ quel che dovea far, libero essendo,
Mentre Cristo pregando a sé chiamollo,
Fatto avea ppi con poca grazia, quando
Venir con sferza il vide minacciando.
66 Poi confprtollo che non niega il cielo.
Tardi 0 per tempo. Cristo a chi gliel chiede;
£ di quegli operar] del Vangelo
Narrò, che tutti ebbono ugual mercede.
Con caritade e con devoto zelo
Lo venne ammaestrando nella Fede
Yerso la cella Sua con lento passo,
Ch' era cayata a mezzo il duro sasso.
CANtO OUAAANtE^iatO^RIMO. 303
67 Di sopra siede alla devota cella
Una pìccola chiesa, che risponde
All' oriente, assai comoda e bella ;
Di sotto un bosco scende sin all' onde.
Di lauri e di ginepri e di mortella,
£ di palme frattifere e feconde.
Che riga sempre ana liquida fonte,
Che mormorando cade giù dal monte.
68 Eran degli anni ormai presso a quaranta,
Che sa lo scoglio il fraticel si messe ;
Ch' a menar vita solitaria e santa
Loogo opportuno il Salvator gii elesse.
Di frutte colte or d' una or d' altra pianta»
£ d'acqua pura la sua vita resse.
Che valida e robusta e senz' affanno
£ra venuta all' ottantesimo anno.
60 Dentro la cella il vecchio accese il fuoco,
E la mensa ingombrò di varj frutti.
Ove si ricreò Ruggiero un poco.
Poscia eh' i panni e i capelli ebbe asciutti.
Imparò poi più ad agio in questo loco
Di nostra Fede i gran misteri tutti ;
Ed alla pura fonte ebbe battesmo
Il di seguente dal vecchio medesmo.
eo Secondo il luogo, assai contento stava
Quivi Ruggier ; che '1 buon servo di Dio
Fra pochi giorni intenzion gli dava
Di rimandarlo ove più avea» disio.
Di molte cose intanto ragionava
Con lui sovente, or al regno di Dio,
Or alti propri casi appertinenti,
Or del suo sangue alle future genti.
61 Avea il Signor, che '1 tutto intende e vede,
Rivelato al santissimo eremita.
Che Ruggier da quel di ch* ebbe la Fede,
Dovea sette anni, e non più, stare in vita;
Che per la morte che sua donna diede
A Pinabel, eh' a lui 6a attribuita,
Saria, e per quella ancor di Rertolagi,
Morto dai Maganzesi empi e malvagi ;
391 ORLANDO FURIOSO.
6ar E che qael tradimento andrà si occulto,
Che non se n' adirà di fuor novella ;
Perchè nel proprio loco fia sepolto ,
Ove anco ucciso dalla gente fella :
Per questo tardi vendicato ed alto
Fia dalla moglie e dalla sua sorella :
£ che col ventre pien per lunga via
Dalla moglie fedel cercato fia :
63 Fra r Adice e la Brenta appiè de' colli
Gh' al troiano Antenòr piacqueno tanto,
Con le sulfuree vene e rivi molli.
Con lieti solchi e prati ameni accanto.
Che con l' alta Ida volentier mutollì.
Col sospirato Ascanio e caro Xanto,
A parturir verrà nelle foreste
Che son poco lontane al frigio Ateste :
64 E eh' in bellezza ed in valor cresciuto
Il parlo suo, che pur Ruggier fia detto,
E del sangue troian riconosciuto
Da quei Troiani, in lor signor fia eletto;
E poi da Carlo, a cai sarà in aiuto
Incontra i Longobardi giovinetto,
Dominio giusto avrà del bel paese,
E titolo onorato di marchese.
65 E perchè dirà Carlo in latino : Exte
Signori qui, quando faragli il dono;
Nel secolo fntur nominato Este
Sarà il bel luogo con augurio buono ;
E così lascerà il nome d* Ateste
Delle due prime note il vecchio suono.
Avea Dio ancora al servo suo predetta
Di Ruggier la futura aspra vendetta :
66 Ch' in visione alla fedel consorte
Apparirà dinanzi al giorno un poco ;
E le dirà chi l'avrà messo a morte,
E, dove giacerà, mostrerà il loco :
Ond' ella poi con la cognata forte
Distruggerà Pontieri a ferro e a fooco :
Né farà a' Maganzesi minor danni
Il figlio suo Ruggiero, ov' abbia gli anni*
CANTO QUARANTESIHOPRIMO. 395
67 B'Azzi, d'Alberti, d'Obici discorso
Fatto gli aveva, e di lor stirpe bella,
Insino a Niccolò, Leonello, Borso,
Ercole, Alfonso, Ippolito e Isabella.
]Ma il santo vecchio, ch'alia lingua ha il morso^
Non di quanto egli sa però favella :
Narra a Ruggier quel che narrar conviensi ;
£ qael eh' in sé dò' ritener, ritiensi.
6S In questo tempo Orlando e Brandimarte
E '1 marchese Olivier col ferro basso
Vanno a trovare il Saracino Marte
(Che cosi nominar si può Gradasso),
E gli altri duo che da contraria parte
Han mosso il buon destrier più che di passo ;
Io dico il re Agramante e '1 re Sobrino:
Rimbomba al corso il lito e '1 mar vicino.
69 • Quando allo scontro vengono a trovarsi,
E ih tronchi vola al ciel rotta ogni lancia.
Del gran rumor fu visto il mar gonfiarsi.
Del gran rumor che s' udi sino in Francia.
Venne Orlando e Gradasso a riscontrarsi ;
E potea stare ugual questa bilancia.
Se non era il vantàggio di Baiardo,
Che fé parer Gradasso più gagliardo.
70 Percosse egli il destrier' di minor forza,
Ch'Orlando avea, d'un urto cosi strano,
Che lo fece piegare a poggia e ad orza,
£ poi cader, quanto era lungo, al piano.
Orlando di levarlo si risforza
Tre volte e quattro, e con sproni e con mano;
E quando alfìn noi può levar, ne scende ,
Lo scudo imbraccia, e Balisarda prende.
71 Scontrossi col re d' Africa Oliviero ;
E fur di quello incontro a paro a paro.
Brandimarte restar senza destriero
Fece Sobrin, ma non si seppe chiaro
Se v'ebbe il destrier colpa, o il cavaliere:
Ch'avvezzo era cader Sobrin di raro.
O del destriero, o suo pur fosse il fallo,
Sobrin si ritrovò giù del cavallo.
396 ORLANDO FURIOSO.
72 Or Brandimarle, che vide per terra
Il re Sobrìn, non Tassali aUrimente;
Ma contro il re Gradasso si disserra,
Ch' avea abbattalo Orlando parimente.
Tra il marchese e Agramante andò la goerra
Come fa cominciata primamente :
Poi che si roppon V aste negli scadi,
S' eran tornati incontra a stocchi ignudi.
73 Orlando, che Gradasso in atto vede.
Che par eh' a lai tornar poco gli caglia ;
Né tornar Brandimarte gli concede.
Tanto lo stringe e tanto lo travaglia ;
Si volge intorno, e similmente a piede
Vede Sobrin che sta senza battaglia.
Ver lai s' avventa ; e al muover deUe piante
Fa il ciel tremar del suo fiero sembiante.
74 Sobrin, che di tanto uom vede rass9lto,
Stretto neir arme s' apparecchia tutto :
Come nocchiero a cui vegna a gran salto
Muggendo incontra il minaccioso flotto.
Drizza la prora, e quando il mar tant' alto
Vede salire, esser vorrìa air asciutto.
Sobrin lo scudo oppone alla ruina
Che dalla spada vìen di Fallerina.
75 Di tal finezza è quella Balisarda,
Che Tarme le puon far poco riparo:
In man poi dì persona sì gagliarda,
In man d'Orlando, unico al mondo o raro,
Taglia lo scudo; e nulla la ritarda.
Perchè cerchiato sia tutto d' acciaro :
Taglia lo scudo, e sino al fondo fende,
£ sotto a quello in su la spalla scende.
76 Scende alla spalla ; e perchè la ritrovi
Di doppia lama e di maglia coperta.
Non vuol però che molto ella le giovi.
Che di gran piaga non la lasci aperta.
Mena Sobrin ; ma indarno è che si provi
Ferire Orlando, a cui per grazia certa
Diede il Motor del cielo e delle stelle.
Che mai forar non se gli può la pelle*
CANTO QOARANTesmOPRIMO. 397
77 Baddoppia il colpo il valoroso conte,
E pensa dalle spalle il capo torglì.
Sobrìn che sa il valor di Ghiaramonte,
E che poco gli vai lo scudo opporgli ,
S' arretra ; ma non tanto, che la fronte
Non venisse anco Balisarda a corglì.
Di piatto fa, ma il colpo tanto fello,
Ch'ammaccò Telmo, e gì' intronò il cervello.
78 Cadde Sobrìn del fiero colpo in terra,
Onde a gran pezzo poi non è risorto.
Crede finita aver con lui la guerra
Il paladino, e che si giaccia morto;
E verso il re Gradasso si disserra,
Che Brandimarte non meni a mal porto:
Che '1 pagan d' arme e di spada l' avanza,
E di destriero, e forse di possanza.
79 L'ardito Brandimarte in su Frontino,
Quel buon destrier che di Buggier fu dianzi.
Si porta cosi ben col Saracino,
Che non par già che quel troppo l' avanzi :
E s' egli avesse osbergo così fino ,
Come il pagan, gli staria meglio innanzi ;
Ma gli convien, che mal si sente armato.
Spesso dar luogo or d' uno or d' altro lato.
80 Altro destrier non è che meglio intenda
Di quel Frontino il cavaliere a cenno:
Par che, dovunque Durindana scenda.
Or quinci or quindi abbia a schivarla senno.
Agramante e Olivier battaglia orrenda
Altrove fanno, e giudicar si donno
Per duo guerrier di pari in arme accorti ,
E poco differenti in esser forti.
81 Avea lasciato, come io dissi, Orlando
Sobrino in terra; e contra il re Gradasso,
Soccorrer Brandimarte disiando ,
Come sì trovò a pie, venia a gran passo.
Era vicin per assalirlo, quando
Vide in mezzo del campo andare a spasso
11 buon cavallo onde Sobrio fu spinto ;
E per averlo, presto si fu accinto.
if. 54
398 ORLANDO FURIOSO.
82 Ebbe il destrìer, che non trovò contesa,
E levò an salto , ed entrò nella sella.
Neir una man la spada tìen sospesa ,
Mette r altra alla briglia ricca e bella.
Gradasso vede Orlando, e non gli pesa
Ch' a lui ne viene, e per nome l' appella.
Ad esso e a Bran dimarte e all'altro spera
Far parer notte, e che non sia ancor sera.
83 Voltasi al conte, e Brandimarte lassa,
E d' una punta Io trova al camaglio:
Fuorché la carne, ogni altra cosa passa;
Per forar quella è vano ogni travaglio.
Orlando a un tempo Balisarda abbassa :
Non vale incanto ov' ella mette il taglio.
L' elmo, lo scudo, V osbergo e l' arnese ,
Venne fendendo in giù ciò eh' ella prese ;
84 E nel volto e nel petto e nella coscia
Lasciò ferito il re di Sericana ,
Di cui non fu mai tratto sangue, poscia
Gh' ebbe queir arme : or gli par cosa strana
Ghe quella spada (e n' ha dispetto e angoscia}
Le tagli or si; né pur è Durindana.
E se più lungo il colpo era o più appresso,
L' avria dal capo insino al ventre fesso.
85 Non bisogna più aver nell' arme fede,
Geme avea dianzi ; che la prova è fatta.
Gon più riguardo e più ragion procede,
Ghe non solca ; meglio al parar si adatta.
Brandimarte ch'Orlando entrato vede,
Ghe gli ha di man quella battaglia tratta.
Si pone in mezzo ali' una e all' altra pugna ,
Perchè in aiuto, ove è bisogno, giugna.
86 Essendo la battaglia in tale istato.
Sobrio, ch'era giaciuto in terra molto,
Si levò poi eh' in sé fu ritornato ;
E molto gli dolca la spalla e '1 volto.
Alzò la vista, e mirò in ogni lato ;
Poi, dove vide il suo signor, rivolto ,
Per dargli aiuto i lunghi passi torse
Tacito sì, ch'alcun non se n'accorse.
CANTO QUARANTESniOPBIMO. 399
87 Vien dietro ad Olivier, che tenea gli occhi
Al re Agramante, e poco altro attendea ;
£ gli feri nei deretan ginocchi
Il destrier di percossa in modo rea.
Che senza indugio è forza che trabocchi.
Cade Olivier ; né '1 piede aver potea ,
Il manco pie eh' al non pensato caso
Sotto il cavallo in staffa era rimase.
ss Sobrìn raddoppia il colpo, e di riverso
Gli mena, e se gli crede il capo torre ;
Ma lo vieta Tacciar lucido e terso,
Che temprò già Yulcan, portò già Ettorre.
Yede il periglio Brandimarte, e verso
Il re Sobrino a tutta briglia corre ;
E lo fere in sul capo, e gli dà d' urto :
Ma il fiero vecchio è tosto in pie risurto ;
S9 E torna ad Olivier per dargli spaccio.
Si eh' espedito all' altra vita vada ;
O non lasciare almen ch'esca d' impaccio,
Ma che si stia sotto il cavallo a bada.
Olivier e' ha di sopra il miglior braccio ,
Si che si può difender con la spada ,
Di qua di là tanto percuote e punge.
Che, quanto è lunga, fa Sobrin star lunge.
90 Spera, s' alquanto il tien da sé rispinto,
In poco spazio uscir di quella pena.
Tutto di sangue il vede molle e tinto,
E che ne versa tanto in su V arena,
Che gli par eh' abbia tosto a restar vinto :
Debole è si, che si sostiene a pena.
Fa per levarsi Olivier molte prove.
Né da dosso il destrier però si muove.
91 Trovato ha Brandimarte il re Agramante,
E cominciato a tempestargli intorno :
Or con Frontin gli è al fianco, or gli è davante,
Con quel Frontin che gira come un torno.
Buon cavallo ha il figliuol di Monodante ;
Non r ha peggiore il re di Mezzogiorno:
Ha Brigliador che gli donò Ruggiero
Poi che lo tolse a Mand ricardo altiero.
400 OBLAMDO FURIOSO.
9i Vantaggio ha bene assai dell'armatara ;
A tolta prova V ha buona e perfetta.
Brandimarte la saa tolse a ventara,
Qaal potè avere a tal bisogno in fretta :
Ma saa animosità sì l'assicura,
€h' in miglior tosto di cangiarla aspetta ;
Come che '1 re african d' aspra percossa
La spalla destra gli avea fatta rossa ,
93 £ serbi da Gradasso anco nel fianco
Piaga da non pigliar però da gioco.
Tanto r attese al varco il guerrier franco ,
Che di cacciar la spada trovò loco.
Spezzò Io scudo, e feri il braccio manco,
E poi nella man destra il toccò un poco.
Ma questo un scherzo si può dire e un spasso.
Verso quel che fa Orlando e '1 re Gradasso.
94 Gradasso ha mezzo Orlando disarmato ;
L' elmo gli ha in cima e da dui lati rotto,
E fattogli cader lo scudo al prato ,
Osbergo e maglia apertagli di sotto :
Non r ha ferito già ; eh' era affatato.
Ma il paladino ha lui peggio condotto :
In faccia, nella gola, in mezzo il petto
L'ha ferito, oltre a quel che già v'ho detto.
95 Gradasso disperato, che si vede
Del proprio sangue tutto molle e brutto,
E eh* Orlando del suo dal capo al piede
Sta dopo tanti colpi ancora asciutto;
Leva il brando a due mani, e ben si crede
Partirgli il capo, il petto, il ventre e '1 tutto;
E appunto, come vuol, sopra la fronte
Percuote a mezza spada il fiero conte.
96 E s' era altro eh' Orlando, l' avria fatto ;
L' avria sparato fin sopra la sella :
Ma, come colto l'avesse di piallo,
La spada ritornò lucida e bella.
Delia percossa Orlando stupefatto.
Vide, mirando in terra, alcuna stella.
Lasciò la briglia, e '1 brando avria lasciato;
Ma di catena al braccio era legato.
CANTO OtJARANTESlHO^RIMO. 40l
97 Del soon del colpo fa tanto smarrito
Il corridor eh' Orlando avea sai dorso,
Che discorrendo il polveroso lito.
Mostrando già quanto era baono al corso.
Della percossa il conte tramortito,
Non ha valor di ritenergli il morso.
Segue Gradasso, e Tavria tosto giunto »
Poco più che Baiardo avesse punto.
98 Ma nel voltar degli occhi, il re Agramante
Vide condotto alF ultimo periglio ;
Che neir elmo il fìgliuol dì Monodante
Gol braccio manco gli ha dato di piglio,
E glierha dislacciato già davante,
£ tenta col pugnai nuovo consiglio ;
Né gli può far quel re difesa molta.
Perchè di man gli ha ancor la spada tolta.
99 Volta Gradasso, e più non segue Orlando;
Ma, dove vede il re Agramante, accorre.
L'incauto Brandimarte, non pensando
Ch'Orlando costui lasci da sé torre.
Non gli ha né gli occhi né '1 pensiero, instando
Il coltel nella gola al pagan porre.
Giunge Gradasso, e a tutto suo potere
Con la spada a due man l' elmo gli fere.
iOO Padre del ciel, dà fra gli eletti tuoi
Spiriti luogo al martir tuo fedele.
Che giunto al fin de' tempestosi suoi
Viaggi, in porto ormai lega le vele.
Ah Durindana, dunque esser tu puoi
Al tuo signore Orlando si crudele.
Che la più grata compagnia e più fida
Ch'egli abbia al mondo, innanzi tu gli uccida?
401 Di ferro un cerchio grosso era duo dita
Intorno all'elmo, e fu tagliato jb rotto
Dal gravissimo colpo , e fu partita
La cuffia dell' acciar eh' era di sotto.
Brandimarte con faccia sbigottita
Giù del destrier si riversò di botto ;
E fuor del capo fé con larga vena
Correr di sangue un fiume in su V arena.
54*
4tS
n n evale s meaie, e gì «echi gin.
Ed ka a «• BmlÌMrle ìb lem i
E fapn ÌB alto fl dcficaa gi bui
Che bea coamxr paè che ^ rka 1
Koa sa se ìa lai pefé fìa il daala o T in;
Ma da piJDcere il Ica^» arca si carta.
Che icrtò fl daola, e fin asci pia la irefla.
Ma loMa è aoMi che iae ai Caala io BMlla.
roTs.
SLt.w,i'$. — L'mlms li^mar te.
IfllMJni a VMO dato ^a Bacr* ad lo-
f«, e IMI cvBMeaortc Icario, iglio
a EbaU fc di VttmAM. QmsU se
fere Wft ai Moi OHClitari » i qvali ac
diirww abbriadii; e credeadosi da
Wi avvvkaati, lo gettaroao io oa pos-
so, dove norì. — CelU • Bmi: popoK
ddk GaDie, die adcscaU dalla booià
deUa firatU , e iegaatanieale del viso
d' lulia, pattarono k Alpi e posero tede
sella Pcaiiola.
St. 9. r. 6 Mmff liane» soprm il
mar ¥a iifreggebimuco. Parla dei pesci,
(delti poeticameote gregge) io goardia
di Proteo; e eembra Toler allndere a
qoel rocnore o fremito, che avegliano
•all'acque i delfioi commotsi per l'im-
^f. 13. V, i.— ÀtUnget tocca.
«^1. i4. «r. 7.—// /e^no Wnto M p/il
parti si lassa» la oaTe iodebolila ai
apre, ti icomnuttc io pia looghi.
Si, \ 6. v,i.-^/l tempestoso iberno f
U procella , il ?eato borratcoso.
St. i9. V, i.— ll cernile e 'l pa»
drene. Dicesi eomite o eomito il basso
ufflaiale che sopravvegUa alfa ciurma, e
ordina le maoovie.— Padrone è quello
che comanda la nave.
St. 36. V, b, » So che tutta Vitto-
ria a¥ete Iettai e può vedersi nell* Or-
lando Innamorato del Boiardo, lib* I,
Canto XVII.
St, sa r. 7. — Fimckk vegma: fa
ilapicda. E <
Olivero atieadr F op-
SL 36. #. k,-^ltl farsa il Jer
sems'arte : persie loto giovava per av-
▼colora r avere il cole mattatiao alle
spalk, e che gì' iaioact lo avcsaere ia
faccia.
J<.43. ». 6. — Di qmel dragom che
tamime deverà t del favolo.
St. 63. r. h» ~ Passar credesU it
mar^ ne pagar mania ce. Chiamaai «o».
io, e più coomneaieote noia, ciò die ai
paga per fare un vùggio mariltimo. Qoì
il naule che Dio ts pagare a Roggkro
perqael tragitto, k appoato il aanfragio^
qoal gastigo dd di Ini recaldtrarc allo
divine chiamate, e del prociaatiaare
l'adempimento della fatta promessa di
abbracciare il Cristianesimo.
St. 63. 9. 1.8.-- Fra VAdUe e la
Brenta: fiumi che limitano il territorio
di Padova da mesiogiorno a settentrio-
ne. — • Al troiano Antenòr piacquero
tanto. Segnila l'opinione dì allora, che
Antenore fuggitivo da Troia reaisse in
Italia, e vi fondasse Padova. -— L'«/<«
Ida : montagna di Frigia, non Inagi da
Troia. — Ascanio: nome di lago e lu-
me nella Mi&ia , soggetta al re Priamo.
'^Xanto^ altrimenti Seamandro^fiii^
CANTO QDARÀNTESIMOPRIMO.
403
micelio Ticino a Troia. — Jl frigio
jé teste: aomc antico del cattello d'Ette
tal padovano I e il Poeta lo àict/rigio^
perchè in qne* tempi credevasi fabbri-
cato dai Troiani.
St. 65. 9, 6. — Delle due prime
notet dell* A e del T, che tono le due
prime lettere della parola A teste,
St. 83. V, 2. — Cmmaglio : parte
dell* armatura che difende il collo.
CAirae QlJARAlVTESmOSDCOItfDO.
éim^^Oìmov^*
Il combattimento in Lampedaaa 6nisce con la morte di Gradasso e di Agramente,
Qccisi per roano d'Orlando, che conserva in vita Sobrino. Bradamante si ac-
cora pel ritardo di Ruggiero; e Rinaldo, nell'andare in traccia d'Angelica,
trova chi lo guarisce dall'amorosa passione. Incamminatosi quindi per rag-
giungere Orlando, s'imbatte in un cavaliere che lo accoglie in un roagni6co
palasso ornato di statue rappresentanti varie donne Estensif ed ivi l'ospite gli
propone un meiao onde certificarsi sulla fedeltà della moglie.
Qual darò freno, o qaal ferrigno nodo^
Qaal, s* esser paò, catena dì diamante
Farà che Tira servi ordine e modo.
Che non trascorra oltre al prescritto innante,
Quando persona, che con saldo chiodo
T' abbia già fissa Amor nel cor constante.
Tu vegga o per violenzia o per inganno
Patire o disonore o mortai danno?
£ s' a cmdel, s' ad inamano effetto
Qaeir impeto talor T animo svia.
Merita escasa ; perchè allor del petto
Non ha ragione imperio né balia.
Achille, poi che sotto il falso elmetto
Vide Patroclo insangainar la via,
D' uccider chi V accise non fa sazio.
Se noi traea, se non ne facea strazio.
4*1
s IsTìfto AUmm» amile in
La ▼«In fseate il di che tì
La fresie fl gnre saese, e ii ▼"<
Ch' esBU pensò cte r aiou giù feeee :
L' accese m lai foror, che non difleee
Yoelri iaiaùd argini o man o foGee,
Che BOB fecàBO iaaene tolti BMrtì,
SeBxa lasciar chi la BoreDa porti.
4 n Tedenri cader caBSÒ fl dolore
Che i Yostrì a fuor Biosse e a crodeHade.
S'enTate ìb pie toì, forse miBore
Liceozia aTriano avuto le lor spade.
EnTi assai, che la Bastia in manche ore
T'aveste ritornala in potestade.
Che tolta in giorni a voi non en sfata
Da gente cordovese e dì Granala.
s Forse fa da Dio vindice permesso
Che vi trovaste a qoel caso impedito.
Acciò che '1 crudo e scellerato eccesso
Che dianzi tatto avean, fosse ponilo;
Che, poi eh' in lor man vinto m fa messo
D miser Yestidel, lasso e ferito,
Senz' arme fa tra ceolo spade ucciso
Dal popol la più parte circonciso.
6 Ma perch'Io vo*concIaderé, vi dico
Che nessun' altra quell'ira pareggia,
Quando signor, parente, o sozio antico
Dinanzi agli occhi ingiuriar tì veggia.
Dunque è ben dritto, per si caro amico.
Che subii' ira il cor d' Orlando foggia ;
Che dell' orribil colpo che gli diede
Il re Gradasso, morto in terra il vede.
7 Qoal nomade pastor, che vedot' abbia
Fuggir strisciando V orrido serpente
Che il figliuol, che giocava nella sabbia,
Ucciso gli ba col venenoso dente.
Stringe il baston con collera e con rabbia ;
Tal la spada, d'ogni altra piò tagliente,
Stringe con ira il cavalier d' Anglante :
Il primo che trovò, fu '1 re Agramantei
CANTO OUARANTBSIMOSECONOO. À0$
8 Che sanguinoso, e della spada privo,
Con mezzo scudo, e con Y elmo discìoltOy
E ferito in più parti eh' io non scrivo,
S'era di man di Brandimarte tolto,
Come di pie all'astor sparvier mal vivo,
A cui lasciò alla coda, in vide o stolto.
Orlando giunse, e messe il colpo giusto
Ove il capo si termina col busto.
9 Sciolto era l'elmo, e disarmato il collo,
Si che lo tagliò netto come un giunco.
Cadde, e die nel sabbion l' ultimo crollo
Del regnator di Libia il grave tronco.
Corse lo spirto ali* acque, onde tìroUo
Garon nel legno suo col graffio adunco.
Orlando sopra lui non si ritarda.
Ma trova il Serican con Balìsarda.
10 Come vide Gradasso d'Agramante
Cadere il busto dal capo diviso ;
Quel ch'accaduto mai non gli era innante.
Tremò nel core, e si smarri nel viso :
£ all' arrivar del cavalier d' Anglante,
Presago del suo mal, parve conquiso.
Per schermo suo partito alcun non prese,
Quando il colpo mortai sopra gli scese.
11 Orlando lo feri nel destro fianco
Sotto l'ultima costa; e il ferro, immerso
Nel ventre, un palmo usci dal lato manco,
Di sangue sin all' elsa tutto asperso.
Mostrò ben che di man fu del più franco
E del miglior guerrier dell' universo
Il colpo eh' un signor condusse a morte,
Di cui non era in Pagania il più forte.
18 Di tal vittoria non troppo gioioso.
Presto di sella il paladin si getta ;
E col viso turbato e lacrimoso
A Brandimarte suo corre a gran fretta.
Gli vede intorno il campo sanguinoso :
L'elmo, che par ch'aperto abbia un'accetta^
Se fosse stato fral più che di scorza.
Difeso non Tavria con minor forza.
^
406 ORLANDO FURIOSO.
13 Orlando V elmo gli levò dal viso,
E ritrovò che '1 capo sino al naso
Fra r uno e V altro ciglio era diviso :
Ma par gli è tanto spirto anco rimaso,
Che de' suoi falli al Re del Paradiso
Può domandar perdono anzi V occaso ;
£ confortare il conte, che le gote
Sparge di pianto, a pazienzia poote;
14 E dirgli: Orlando, fa cl\e ti raccordi
Di me neir orazion tue grate a Dio ;
Né men ti raccomando la mia Fiordi....
Ma dir non potè ligi; e qui flnio.
E voci e suoni d' angeli concordi
Tosto in aria s' udir, che V alma uscio ;
La qual, disciolla dal corporeo velo,
Fra dolce melodia sali nel cielo.
i$ Orlando, ancorché far dovea allegrezza
Di sì devoto fine, e sapea certo
Che Brandimarte alla suprema altezza
Salito era ; che '1 ciel gli vide aperto ;
Pur dalla umana volontade, avvezza
Coi fragil sensi, male era sofferto
Ch' un tal più che f ratei gli fosse toHo,
E non aver di pianto umido il volto.
16 Sobrin che molto sangue avea perduto,
Che gli piovea sul fianco e su le gote.
Riverso già gran pezzo era caduto,
E aver ne dovea ormai le vene vote.
Ancor giacca Olivier, né riavuto
11 piede avea, né riaver lo puote
Se non ismosso, e dello star che tanto
Gli fece il destrier sopra, me^zo infranto:
17 E se '1 cognato non venia ad aitarlo.
Siccome lacrimoso era e dolente,
Per sé medesmo non potea ritrarlo :
E tanta doglia e tal martir ne sente.
Che ritratto che Tebbe, né a mutarlo
Né a fermarvisi sopra era possente ;
E n'ha insieme la gamba si stordita.
Che muover non si può, se non si aita.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO. 407
iS Della vittoria poco rallegrosse
Orlando ; e troppo gli era acerbo e duro
Veder che morto Brandimarte fosse,
Nò del cognato molto esser sicuro.
Sobrìn che vivea ancora ritrovosse,
Ma poco chiaro avea con molto oscuro :
Che la sua vita per Y uscito sangue
Era vicina a rimanere esangue.
19 Lo fece tor, che tutto era sanguigno ,
Il conte, e medicar discretamente;
E confortollo con parlar benigno,
Come se stato gli fosse parente:
Che dopo il fatto nulla di maligno
In sé tenea, ma tutto era clemente.
Fece dei morti arme e cavalli torre ;
Del resto a' servi lor lasciò disporre.
20 Qui della istoria mia, che non sia vera»
Federigo Fulgoso ò in dubbio alquanto ;
Che con V armata avendo la riviera
Di Barberia trascorsa in ogni canto,
Capitò quivi, e l'isola sì fiera.
Montuosa e inegual ritrovò tanto,
Che non è, dice, in tutto il luogo strano
Ove un sol piò si possa metter piano :
21 Nò verisimil tien che nel!' alpestre
Scoglio sei cavalieri, il fior del mondo,
Potesson far quella battaglia equestre.
Alla quale obie/ion cosi rispondo:
Ch'a quel tempo una piazza delle destre.
Che sieno a questo, avea lo scoglio al fondo :
Ma poi, eh' un sasso, che '1 tremuoto aperse,
Le cadde sopra, e tutta la coperse.
22 Si che, o chiaro fulgor della Fulgosa
Stirpe, o serena, o sempre viva luce.
Se mai mi riprendeste in questa cosa,
E forse innanti a quello invitto duce.
Per cui la vostra patria or si riposa.
Lascia ogni*odio, e in amor tutta s'induce;
Vi priego che non siate a dirgli tardo,
Ch' esser può che né in questo io sia bugiardo.
408 ORLANDO FURIOSO.
23 In questo tempo , alzando gli occhi al mare,
Vide Orlando venire a vela in fretta
Un naviglio leggier, che di calare
Facea sembiante sopra V fsoletta.
Di chi si fosse, io non voglio or contare,
Pere' ho più d' uno altrove che m' aspetta.
Yeggiamo in Francia, poi che spinto n' hanno
I Saracin, se mesti o lieti stanno.
24 ¥eggìam che fa quella fedele amante.
Che vede il sao contento ir sì lontano ;
Dico la travagliata Bradamante,
Poi che ritrova il giuramento vano,
Gh' avea fatto Raggier pochi di innante.
Udendo il nostro e V altro stuol pagano.
Poi ch'in questo ancor manca, non le avanza
In eh' ella debba più metter speranza :
25 E ripetendo i pianti e le qaerele,
Che pur troppo domestiche le furo,
Tornò a sua usanza a nominar crudele
Buggiero, e '1 suo destin spietato e duro,
iodi sciogliendo al gran dolor le vele,
II Ciel che consentia tanto pergiuro.
Né fatto n'avea ancor segno evidente.
Ingiusto chiama, debole e impotente.
26 Ad accusar Melissa si converse,
E maledir l' oracol della grotta ;
Ch' a lor mendace suasion s' immerse
Nel mar d' Amore, ov' è a morir condotta.
Poi con Marfisa ritornò a dolerse
Del suo fratel, che le ha la fede rotta;
Con lei grida e si sfoga , e le domanda,
Piangendo^ aiuto, e se le raccomanda.
27 MarGsa si ristrìnge nelle spalle,
E, quel sol che può far, le dà conforto ;
Né crede che Buggier mai cosi falle ,
Ch' a lei non debba ritornar di corto :
E se non torna pur, sua fede dàlie ,
Ch'ella non patirà si grav^ torto;
O che battaglia piglierà con esso,
O gli farà osservar ciò e' ha promesso.
CANTO QUÀRANTESIMOSECONDO. 409
2S Cosi fa eh' ella an poco il duol raffrena ;
Ch'avendo ove sfogarlo, è meno acerbo.
Or eh' abbiam vista Bradamante in pena,
Chiamar Raggter pergiuro, empio e superbo ;
Yeggiamo ancor se miglior vita mena
n fratel suo che non ha polso o nerbo,
Osso 0 medoUa che non senta caldo
Delle fiamme d' Amor ; dico Rinaldo :
29 Dico Rinaldo, il qual (come sapete)
Angelica la bella amava tanto ;
Nò r avea tratto all' amorosa rete
Si la beltà dì lei, come l'incanto.
Aveano gli altri paladin quiete.
Essendo ai Mori ogni vigore affranto :
Tra i vincitori era rimase solo
Egli captivo in amoroso duolo.
30 Cento messi a cercar che di lei fusso
Avea mandato, e cereonne egli stesso.
Alfine a Malagìgi si ridusse,
Che nei bisogni suoi l' aiutò spesso.
A narrare il suo amor se gli condusse
Col viso rosso e col ciglio dimesso.
Indi lo priega che gì' insegni dove
La desiata Angelica si trovo.
31 Gran maraviglia di si strano caso
Va rivolgendo a Malagigi il petto.
Sa che sol per Rinaldo era rimaso
D' averla cento volte e più nel letto :
Ed egli stesso, acciò che persuaso
Fosse di questo, avea assai fatto e detto
Con prieghi e con niinacce per piegarlo ;
Nò mai avuto avea poter di farlo :
32 E tanto più, eh' allor Rinaldo avrebbe
Tratto fuor Malagigi di prigione.
Fare or spontaneamente lo vorrebbe,
Che nulla giova, e n' ha minor cagione :
Poi priega lui, che ricordar si debbo
Pur quanto ha offeso in questo oltr' a ragione ;
Chò per negargli già, vi mancò poco
Dì non farlo morire in scuro loco.
Ili 55
4 IO ORLANDO FURIOSO.
33 Ma quanto a Malagigi le domande
Di Rinaldo importane più pareano;
Tanto che V amor suo fosse più grande,
Indizio manifesto gli faceano.
I prieghi che con lai vani non spande,
Fan che sabito immerge neir oceano
Ogni memoria della ìngiaria vecchia,
E che a dargli soccorso s' apparecchia.
34 Termine tolse alla risposta, e spene
Gli die, che favorevoi gli saria ;
E che gli saprà dir la via che tiene
Angelica, o sia in Francia, o dove sia.
E quindi Malagigi al laogo viene,
Ove i demonj scongiurar solia;
Ch'era fra monti inaccessibìl grotta:
Apre il libro, e gli spirti chiama in frotta.
36 Poi ne sceglie un che de' casi d' Amore
Avea notizia ; e da lui saper volle.
Come sia che Rinaldo, eh' avea il core
Dianzi si doro, or l'abbia tanto molle:
E di quelle due fonti ode il tenore.
Di che l' una dà il foco, e l' altra il tolle ;
E al mal che l' una fa, nulla soccorre.
Se non l' altr' acqua che contraria corre.
36 Et ode come avendo già di quella ,
Che l'amor caccia, bevuto Rinaldo,
Ai lunghi prieghi d' Angelica bella
Si dimostrò cosi ostinato e saldo :
E che poi giunto, per sua iniqua stella,
A ber neir altra l' amoroso caldo.
Tornò ad amar, per forza di quell'acque,
Lei che pur dianzi oltr' il dover gli spiacque.
37 Da iniqua stella e fier destin fu giunto
A ber la fìamma in quel ghiacciato rivo ;
Perché Angelica venne quasi a un punto
A ber nell'altro di dolcezza privo,
Che d'ogni amor le lasciò il cor si emunto,
Ch'indi ebbe lui, più che le serpi, a schivo:
Egli amò lei, e l' amor giunse al segno
In eh' era già di lei l' odio e lo sdegno.
CANTO QUÀRANTESmoSECONDO. 4 11
58 Del caso strano di Rinaldo a pieno
Fu Malagigi dal demonio instrutlo,
Che gli narrò d'Angelica non meno,
Ch' a un giovine african si donò in lutto ;
E come poi lasciato avea il terreno
Tutto d'Europa, e per l'instabil flotto
Verso India sciolto avea dai liti Ispani
Su r audaci galee de' Catalani.
39 Poi che venne il cugin per la risposta.
Molto gli dissuase Malagigi
Di più Angelica amar^ che s' era posta
» D' un yilissimo Barbaro ai servigi ;
Ed ora si da Francia si discosta»
Che mal seguir se ne potria i vestìgi :
Ch' era oggimai più là eh' a mezza strada ,
Per andar con Medoro in sua contrada.
40 La partita d' Angelica non molto
Sarebbe grave all' animoso amante ;
Né pur gli^vria turbato il sonno, o tolto
Il pensier di tornarsene in Levante :
Ma sentendo eh' avea del suo amor colto
Un Saracino le primizie innante.
Tal passione e tal cordoglio sente ,
Che non fu in vita sua mai più dolente.
41 Non ha poter d' una risposta sola;
Triema il cor dentro, e trieman fuor le labbia ;
Non può la lingua disnodar parola ;
La bocca ha amara, e par che tosco v' abbia.
Da Malagigi subito s' invola ;
E come il caccia la gelosa rabbia,
Dopo gran pianto e gran rammaricarsi,
Verso Levante fa pensier tornarsi.
42 Chiede licenzia al Aglio di Pipino;
E trova scusa, che '1 destrier Baiardo,
Che ne mena Gradasso Saracino
Centra il dover di cavalier gagliardo.
Lo muove per suo onore a quel cammino,
Acciò che vieti al Serican bugiardo
Di mai vantarsi che con spada o lancia
L' abbia levato a un paladin di Francia.
*r/t-:33i
4i2 ORLANDO CURIOSO.
43 Lasciollo andar con sua licenzia Carlo»
Benché ne fa con (ulta Francia mesto ;
Ma finalmente non seppe negarlo,
Tanto gli parve il desiderio onesto.
Vuol Dudon, vuol Guidone accompagnarlo;
Ma Io niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi, e se ne va via solo»
Pien di sospiri e d' amoroso duolo.
44 Sempre ha in memoria, e mai non se gli lolle ,
Ch'averla mille volte avea potuto,
£ mille volte avea, ostinato e folle,
Di si rara beltà fatto rifiuto ;
£ di tanto piacer, eh' aver non volle,
Si bello e si buon tempo era perduto;
£d ora eleggerebbe un giorno corto
Averne solo, e rimaner poi morto.
45 Ha sempre in mente, e mai non se ne parte,
Come esser poote eh' un povero fante
Abbia del cor di lei spinto da parte
Merito e amor d^ ogni altro primo amante.
Con tal pensier, che '1 cor gli straccia e parte,
Rinaldo se ne va verso Levante:
£ dritto al Reno e a Basilea si tiene.
Finché d' Ardenna alla gran selva viene.
46 Poi che fu dentro a molte miglia andato
Il paladin pel bosco avventuroso,
Da ville e da castella allontanato.
Ove aspro era più il luogo e periglioso,
Tutto in un tratto vide il ciel turbato,
Sparito il Sol tra nuvoli nascoso,
£d uscir fuor d' una caverna oscura
Un strano mostro in femminil figura.
47 Miir occhi in capo avea senza palpebre;
Non può serrarli, e non credo che dorma:
Non men che gli occhi, avea l'orecchie crebre;
Avea, in loco di crin, serpi a gran torma.
Fuor delle diaboliche tenebre
Nel mondo usci la spaventevol forma.
Un fiero e maggior serpe ha per la coda,
Che pel petto si gira, e che l'annoda.
1
CANTO QOARAMTEStMOSfiCONDO. 413 \
48 Qael eh' a Rinaldo in mille e mille imprese {
Più non avvenne mai, qaivi gli avviene; |
Che come vede il mostro eh' all' offese ^^ |
Se gli appareeehia, e eh' a trovar lo viene, ^^
Tanta paura, quanta mai non scese o
In altri forse, gli entra nelle vene; '
Ma pur r usato ardir simula e finge,
E con trepida man la spada stringe. i
49 S' acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,
Che si può dir che sia mastro di guerra : '
Vibra il serpente venenoso in alto,
£ poi centra Rinaldo si disserra; '
Di qua di là gli vien sopra a gran salto. ^
Rinaldo centra lui vaneggia ed erra : I
Colpi a dritto e a riverso tira assai ;
Ma non ne tira alcun che fera mai. i
60 II mostro al petto il serpe ora gli appicca.
Che sotto r arme e sin nel cor l' agghiaccia ; \
Ora per la visiera gliele ficca,
£ fa eh' erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo dall' impresa si dispicca,
£ quanto può con sproni il destrier caccia :
Ma la Furia infornai già non par zoppa ,
Che spicea un salto, e gli è subito in groppa.
61 Vada al traverso, al dritto, ove si voglia,
Sempre ha con lui la maledetta peste;
Né sa modo trovar che se ne scioglia ,
Benché '1 destrier di calcitrar non reste.
Triema a Rinaldo il cor come una foglia:
Non eh' allrimente il serpe lo moleste ;
Ma tanto orror ne sente e tanto schivo.
Che stride e geme, e duolsi eh' egli é vìvo.
62 Nel più tristo sentier, nel peggior calle
Scorrendo va, nel più intricato bosco,
Ove ha più asprezza il balzo, ove la valle
£ più spinosa, ov' é l' aer più fosco ;
Cosi sperando torsi dalle spalle
Quel brutto, abbominoso, orrido tosco;
£ ne saria mal capitato forse ,
Se tosto non giungea chi lo soccorse.
411 OftLAMM FGBIOSO.
l»3 Ma lo soccorse a tempo mi caTaliero
Di bello annato e lucido metallo.
Che porta on giogo rotto per cimiero:
Di rosse fiamme ha pien lo scodo giallo ;
Cosi trapunto il suo Testire altiero.
Cosi la soprayyesta del cavallo :
La lancia ha in pegno, e la spada al soo loco,
E la mazza all'arcion, che getta foco.
54 Piena d' an foco eterno è quella mazza,
Che senza consomarsi ognora avvampa :
Né per boon scodo, o tempra di corazza,
O per grossezza d' elmo se ne scampa.
Donqne si debbo il cavalier far piazza.
Giri ove vool V inestingnibil lampa ;
Nò manco bisognava al gnerrier nostro,
Per levarlo di man del cmdel mostro.
55 E come cavalier d' animo saldo.
Ove ha udito il rumor, corre e galoppa,
Tanto che vede il mostro che Rinaldo
Col brutto serpe in mille nodi aggroppa,
E sentir fagli a un tempo freddo e caldo ;
Che non ha via di torlosi di groppa.
Va il cavaliere, e fere il mostro al fianco,
E lo fa traboccar dal lato manco.
56 Ma quello ò appena in terra, che si rizza,
E il lungo serpe intomo aggira e vibra.
Quasi' altro più con V asta non V attizza ;
Ma di farla col foco si delibra.
La mazza impugna, e dove il serpe guizza.
Spessi come tempesta i colpi libra ;
Né lascia tempo a quel brutto animale.
Che possa farne un solo, o bene o male :
57 E mentre addietro il caccia o tiene a bada,
E lo percuote, e vendica mille onte,
Consiglia il paladin che se ne vada
Per quella via che s' alza verso il monte.
Quel s' appiglia al consiglio ed alla strada ;
E senza dietro mai volger la fronte,
Non cessa che di vista se gli lolle.
Benché molto aspro era a salir quel colleé
Canto ouarantesimosecòndo. 4l5
£8 II cayalier, poi eh' alla scura buca
Fece tornare il mostro dall' inferno 9
Ove rode sé stesso e si manuca,
E da mille occhi versa il pianto eterno »
Per esser dì Rinaldo guida e duca,
Gli sali dietro, e sul giogo superno
Gli fa alle spalle, e si mise con lui
Per trarlo fuor deMuogbi oscuri e bui.
09^ Come Rinaldo il vide ritornato,
Gli disse che gli avea grazia ìnGnita,
E eh' era debitore in ogni lato
Di porre a benefìcio suo la vita.
Poi lo domanda conie sia nomato, .
Acciò dir sappia chi gli ha dato aita ;
E tra guerrieri possa, e innanzi a Carlo,
Dell' alta sua bontà sempre esaltarlo.
60 Rispose il cavalìer : Non ti rincresca
Se '1 nome mio scoprir non ti vegli' ora :
Ben tei dirò prinia eh' un passo cresca
L' ombra ; che ci sarà poca dimora.
Trovare, andando insieme, un'acqua fresca.
Che col suo mormorio facea talora
Pastori e viandanti al chiaro rio
Venire, e berne l' amoroso obblìo.
61 Signor, queste eran quelle gelide acque^
Quelle che spengon l' amoroso caldo ;
Di cui bevendo, ad Angelica nacque
L' odio eh' ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E s' ella un tempo a lui prima dispiacque,
E se neir odio il ritrovò si saldo,
Noa derivò, signor, la causa altronde,
Se non d' aver bevuto di queste onde.
62 II cavalier che con Rinaldo viene ^
Come si vede innanzi al chiaro rivo,
Caldo per la fatica il destrier tiene,
E dice : Il posar qui non fia nocivo.
Non fia, disse Rinaldo, se non bene;
Ch'oltre che prema il mezzogiorno estivo,
M'ha cosi il brutto mostro travagliato.
Che 'I riposar mi fia comodo e grato.
4lK ORLANDO FURIOSO.
63 L'on e r altro smontò del suo cavallo,
E pascer lo lasciò per la foresta ;
E nel fiorito verde a rosso e a giallo
Ambi si trasson relmo della testa.
Corse Rinaldo al liquido cristallo.
Spinto da caldo e da sete molesta,
E cacciò, a un sorso del freddo liqaore.
Dal petto ardente e la sete e l' amore.
64 Quando lo vide V altro cavaliere
La bocca sollevar dell' acqua molle,
E ritrarne pentito ogni pensiero
Di quel desir eh' ebbe d' amor si folle ;
Si levò ritto, e con sembiante altiero
Gli disse quel che dianzi dir non volle :
Sappi, Rinaldo, il nome mio è lo Sdegno,
Venuto sol per scìorti il giogo indegno.
65 Cosi dicendo, subito gli sparve,
E sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo a Rinaldo un gran miracol parve ;
S'aggirò intorno, e disse: Ov'è costui?
Stimar non sa se sìan magiche larve ;
Che Malagìgi un de' ministri sui
Gli abbia mandato a romper la catena
Che lungamente l' ha tenuto in pena ;
66 Oppur che Dio dall' alla ierarchia
Gli abbia per ineffabil sua boutade
Mandato, come già mandò a Tobia,
Un angelo a levar di cecitade.
Ma buono o rio demonio, o quel che sia.
Che gli ha renduta la sua libertade,
Ringrazia e loda ; e da lui sol conosce
Che sano ha il cor dall* amorose angosce.
67 Gli fu nel primier odio ritornata
Angelica, e gli parve troppo indegna
D'esser, non che si lungi seguitata.
Ma che per lei pur mezza lega vegna.
Per Raiardo riaver tutta fiata
Verso India in Sericana andar disegna,
SI perchè l'onor suo lo stringe a farlo,
Sì per averne già parlato a Carlo.
CANTO QtABANTESIMOSBCONDO* 4l7
68 Gìanse il giorno segaente a Basilea,
Ove la nuova era venata innante.
Che 'i conte Orlando aver pagna dovea
Centra Gradasso e centra il re Agramante.
Né questo per avviso si sapea
Ch' avesse dato il cavalier d' Anglante ;
Ma di Sicilia in fretta venut* era
Chi la novella v' apportò per vera.
69 Rinaldo vuol trovarsi con Orlando
Alla battaglia, e se ne vede lungo.
Di dieci in dieci miglia va mutando
Cavalli e guide, e corre e sferza e punge.
Passa il Reno a Costanza, e in su volando,
Traversa V Alpe, ed in Italia giunge.
Verona addietro, addietro Mantua lassa ;
Sul Po si trova, e con gran fretta il passa.
70 Già s' inchinava il Sol molto alla sera ,
£ già apparia nel ciel la prima stella,
Quando Rinaldo in ripa alla riviera
Stando in pensier s'avea da mutar sella,
O tanto soggiornar, che l' aria nera
Fuggisse innanzi all'altra aurora bella.
Venir si vede un cavaliere innanti.
Cortese neir aspetto e nei sembianti.
71 Costui, dopo il saluto, con bel modo
Gli domandò s' aggiunto a moglie fosse.
Disse Rinaldo : Io son nel giugal nodo ;
Ma di tal domandar maravigliosse.
Soggiunse quel: Che sia cosi, ne godo.
Poi, per chiarir perchè tal detto mosse.
Disse : Io ti priego che tu sia contento
Ch'io ti dia questa sera alloggiamento;
72 Che ti farò veder cosa che debbo
Ben volentier veder chi ha moglie a lato.
Rinaldo, si perchè posar vorrebbe,
Ormai di correr tanto affaticato ;
Si perchè di vedere e d' udir ebbe
Sempre avventure un desiderio innato ;
Accettò r offerir del cavaliere,
£ dietro sili pigliò nuovo sentiero.
4 18 ORLANDO FURIOSO.
73 Un tratto d'arco faor di strada uscire,
E innanzi an gran palazzo si trovaro,
Onde scadieri in gran frotta veniro
Con torchi accesi, e fero intorno chiaro.
Entro Rinaldo, e voltò gli occhi in giro,
E vide loco il qaal si vede raro.
Di gran fabbrica e bella e bene intesa;
Né a privalo uom convenia tanta spesa.
74 Di serpentin, di porQdo le dure
Pietre fan della porta il ricco vòlto.
Quel che chiude è di bronzo, con figure
Che sembrano spirar, muovere il volto.
Sotto un arco poi s'entra, ove misture
Di bel musaico ingannan Y occhio molto.
Quindi si va in un quadro eh' ogni faccia
Delle sue logge ha lunga cento braccia.
75 La sua porta ha per sé ciascuna loggia,
£ tra la porta e sé ciascuna ha un arco :
D'ampiezza pari son, ma varia foggia
Fé d' ornamenti il mastro lor non parco.
Da ciascun arco s' entra , ove si poggia
Si facil, eh' un somier vi può gir carco.
Un' altro arco di su trova ogni scala ;
E s' entra per ogni arco in una sala.
76 Gli archi di sopra escono fuor del segno
Tanto, che fan coperchio alle gran porte;
E ciascun due colonne ha per sostegno,
Altre di bronzo, altre di pietra forte.
Lungo sarà, se tutti vi disegno
Gli ornali alloggiamenti della corte ;
E, olir' a quel ch'appar, quanti agi sotto
La cava terra il mastro avea ridotto.
77 L' alte colonne e i capitelli d' oro,
i Da che i gemmati palchi eran suffultl,
I peregrini marmi che vi foro
j Da delta mano in varie forme sculti,
! Pitture e getti, e tanl' altro lavoro
(Benché la notte agli occhi il più ne occulti},
Meslran che non bastare a tanta mele
Di duo re insieme le ricchezze sole.
CANTO QUÀRANTESIMOSECCNDO. 4 19
78 Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,
Ch'erano assai nefla gioconda stanza ,
V era una fonte che per più ruscelli
Spargea freschissime acque in abbondanza.
Poste le mense avean quivi i donzelli ;
Ch' era nel mezzo per ugual distanza :
Vedeva, e parimente veduta era
Da quattro porte della casa altera.
79 Fatta da mastro dilìgente e dotto
La fonte era con molta e suttil opra.
Di loggia a guisa, o padiglion eh* in odo
Facce distinto, intorno adombri e cuopra.
Un ciel d' oro, che tutto era di sotto
Colorito di smalto, le sta sopra;
Ed otto statue son di marmo bianco,
Che sostengon quel ciel col braccio manco.
^0 Nella man destra il corno d* Amaltea
Sculto avea lor V ingenioso mastro,
Onde con grato murmure cadea
L' acqua di fuore in vaso d' alabastro ;
Ed a sembianza dì gran donna avea
Ridutto con grande arte ogni pilastro.
Son d'abito e di faccia differente.
Ma grazia hanno e beltà tutte ugualmente.
SI Fermava il pie ciascun di questi segni
Sopra due belle immagini più basse.
Che con la bocca aperta faceah segni
Che '1 canto e l' armonia lor dilettasse ;
E quell'atto in che son, par che disegni
Che r opra e studio lor tutto lodasse
Le belle donne che sugli omeri hanno.
Se fosser quei di cui in sembianza stanno.
82 I simulacri inferiori in mano
Avean lunghe ed amplissime scritture,
Ove facean con molta laude piano
1 nomi delle più degne figure;
E mostravano ancor poco lontano
I proprj loro in note non oscure.
Mirò Rinaldo a lume dì doppieri
Le donne ad una ad una , e i cavalieri.
420 OBLAMDO FUBIOSO.
83 La prima inscrizion eh' agli occhi occorre,
Con lungo onor Lucrezia Borgia noma,
Là cui bellezza ed onestà preporre
Debbo air antiqua la sua patria Roma.
I duo che voluto han sopra sé torre
Tanto eccellente ed onorata soma.
Noma lo scrìtto, Antonio Tebaldeo,
Ercole Strozza; un Lino, ed un Orfeo.
84 Non men gioconda statua né men bella
Si vede appresso, e la scrittura dice:
£cco la flglia d' Ercole, Isabella,
Per cui Ferrara si terrà felice
Via più, perchè in lei nata sarà quella.
Che d' altro ben che prospera e fautrice
E benigna Fortuna dar le deve,
Volgendo gli anni nel suo corso lieve.
85 I duo che mostran disiosi affetti
Che la gloria di lei sempre risuone,
Gian lacobi ugualmente erano detti.
L'uno Calandra, e l'altro Bardelone.
Nel terzo e quarto loco, ove per stretti
Rivi l'acqua esce fuor del padiglione,
Due donne son, che patria, stirpe, onore
Hanno di par, di par beltà e valore.
86 Elisabetta l'una, e Leonora
Nominata era l'altra: e fia, per quanto
Narrava il marmo sculto, d'esse ancora
SI gloriosa la terra di Manto,
Che di Vergilio, che tanto l'onora.
Più che di queste, non si darà vanto.
Avea la prima appiè del sacro lembo
Iacopo Sadoleto e Pietro Bembo.
87 Uno elegante Castiglione, e un culto
Muzio Arelio dell' altra eran sostegni.
Di questi nomi era il bel marmo sculto,
Ignoti allora, or si famosi e degni.
Veggon poi quella, a cui dal cielo indulto
Tanta virtù sarà, quanta ne regni,
O mai regnata in alcun tempo sia.
Versata da Fortuna or buona or ria.
cìnto quarantesimosecondo. 421
ss Lo scritto d' oro esser costei dichiara
Lucrezia Bentivoglla ; e fra le lode
Pone di lei, che '1 daca di Ferrara
D' esserle padre si rallegra e gode.
Di costei canta con soave e chiara
Voce an Gamil, che '1 Reno e Felsina ode
€on tanta attenzion, tanto stupore.
Con quanta Anfriso udì già il suo pastore ;
89 Ed un per cui la terra, ove V Isauro
Le sue dolci acque insala in maggior vaso.
Nominata sarà dall* Indo al Mauro,
£ dall' austrine all'iperboree case,
Via più che per pesare il romano auro.
Di che perpetuo nome le rimase ;
Guido Postumo, a cui doppia corona
Pallade quinci, e quindi Febo dona.
90 L'altra che segue in ordine, è Diana.
Non guardar (dice il marmo scritto) ch'ella
Sia altiera in vista ; che nel core umana
Non sarà però men eh' in viso bella.
Il dotto Celio Calcagnin lontana
Farà la gloria e '1 bel nome di quella
Nel regno di Monese, in quel di luba,
In India e Spagna udir con chiara tuba :
91 Ed un Marco Cavallo, che tal fonte
Farà di poesia nascer d'Ancona,
Qual fé il cavallo alato uscir del monte.
Non so se di Pamasso o d' Elicona.
Beatrice appresso a questo alza la fronte.
Di cui lo scritto suo cosi ragiona :
Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
E lo lascia infelice alla sua morte ;
92 Anzi tutta l'Italia, che con lei
Fia trionfante; e senza lei, captiva.
Un signor di Correggio di costei
Con alto stil par che cantando scriva,
E Timoteo, l' onor de' Bendedei :
Ambi faran tra l' una e l' altra riva
Fermare al suon de' lor soavi plettri
11 fiume ove sudar gli antiqui elettri.
Il S6
422 ORLANDO FURIOSO.
93 Tra questo loco, e quel della colonna
Che fu sculpita in Borgia, com'è dello,
Formala in alabastro una gran donna
Era di tanto e si sublime aspetto,
Che sotto puro velo, in nera gonna.
Senza oro e gemme, in nn vestire schietto,
Tra le più adorne non parea men bella.
Che sia tra l'altre la ciprigna stella.
94 Non si pelea, ben contemplando fiso.
Conoscer se più grazia o più beltade,
0 maggior maestà fosse nel viso,
O più indizio d'ingegno o d'onestade.
Chi vorrà di costei (dicea l' incìso
Marmo) parlar quanto parlar n' accède ,
Ben terrà impresa più d'ogni altra degna;
Ma non però, eh' a fin mai se ne vegna.
95 Dolce quantunque e pien di grazia tanto
Fosse il suo bello e ben formato segno,
Parea sdegnarsi che con umil canto
Ardisse lei lodar sì rozzo ingegno.
Com'era quel che sol, senz' altri accanto
(Non so perchè), le fu fallo sostegno.
Di tutto '1 resto erano ì nomi sculti ;
Sol questi duo l' artefice avea occulti.
96 Fanno le statue in mezzo un luogo tondo,
Che '1 pavimento asciutto ha di corallo,
Dì freddo soavissimo giocondo.
Che rendea il puro e liquido cristallo,
Che di fuor cade in un canal fecondo.
Che '1 prato verde, azzurro, bianco e giallo
Rigando, scorre per varj fuscelli,
Grato alle morbid' erbe e agli arbuscellì.
97 Col cortese oste ragionando stava
Il paladino a mensa; e spesso spesso.
Senza più differir, gli ricordava
Che gli attenesse quanto avea promesso :
£ ad or ad or mirandolo, osservava
Ch'avea di grande affanno il cuore oppresso;
Che non può star momento che non abbia
Un cocente sospiro in su le labbia.
CANTO QUÀRANTBSIMOSECONDO. 423
9S Spesso la voce, dal disio cacciata,
Viene a Rinaldo sin presso alla bocca
Per domandarlo; e qaivì, raffrenata
Da cortese modestia, fuor non scocca.
Ora, essendo la cena terminata.
Ecco an donzello, a chi V ufficio tocca,
Pon sa la mensa an bel nappo d' òr fino,
Di fuor di gemme, e dentro pien di vino.
99 11 signor della casa allora alquanto
Sorrìdendo, a Rinaldo levò il viso;
Ma chi ben lo notava, più di pianto
Parea eh' avesse voglia, che di riso.
Disse : Or a quel che mi ricordi tanto
Che tempo sia di soddisfar m' è avviso ;
Mostrarti un paragon eh' esser de' grato
Di vedere a ciascun e' ha moglie a lato.
400 Ciascun marito, a mio giudizio, deve
Sempre spiar se la sua donna l' ama ;
Saper s' onore o biasmo-ne riceve ;
Se per lei bestia o se pur uom si chiama.
L' incarco delle corna è lo più lieve
Ch' al mondo sia, sebben l' uom tanto infama :
Lo vede quasi tutta V altra gente ;
£ chi r ha in capo, mai non se lo sent»
401 Se ta sai che fedel la moglie sia.
Hai di più amarla e d' onorar ragione.
Che non ha quel che la conosce ria,
0 quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n' hanno a torto gelosia
1 lor mariti, che son caste e buone :
Molti di molte anco sicuri stanno,
Che con le corna in capo se ne vanno.
102 Se vuoi saper se la tua sia pudica
(Come io credo che credi, e creder dèi;
Ch' altrimente far credere è fatica
Se chiaro già per prova non ne sei).
Tu per te stesso, senza ch'altri il dica.
Te n'avvedrai, s'in questo vaso bei ;
Che per altra cagion non è qui messo.
Che per mostrarti quanto io t' ho promesso.
424 OBLAHOO FUUOSO.
103 Se bei con qoesto, vedrai grande effetto :
Cbè se porti il cimier di Gomovaglia,
Il Yìn ti spargerai totto sol petto.
Né gocciola sarà ch'in bocca saglia;
Ma s'hai moglie fedel, to berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia.
Cosi dicendo, per mirar tien gli occhi,
Ch' in seno il vin Rinaldo si trabocchi.
i04 Quasi Rinaldo di cercar saaso
Quel che poi ritrovar non vorria forse
Messa la mano innanzi, e preso il vaso^
Fa presso di volere in prova porse:
Poi, quanto fosse periglioso il caso
A porvi i labbri, tol pensier discorse.
Ma lasciate, signor, ch'io mi ripose;
Poi dirò qael che '1 paladin rispose.
VOTE»
St. t.9. h*%.-^Aehai9, poi che
setto il/alto elmetto ee, È noto per
Yliiede d' Omero, che AchUle diede U
proprie ermatura all' amico Patroclo,
acciocché combattesse eoo Ettore. Pa-
troclo restò ucciso in qnel combatti-
mento | e Achille tanto se ne sdegnò, che
dopo aver data U morte ad Ettore, ne
trascinò il cadaYere, avvinto al suo car-
ro, intorno alle mura di Troia.
St, 8. V, 3-3. — // di che vi per»
eosse La fronte il gravo sasso ee.
Rammenta un ferita che nell* attacco
della Bastia sul Po, di che si ò detto al-
tra volta, il duce Alfonso riportò in
fronte da una pietra scagliata da una
macchina degli Spsgnnoli.
St. 6. V, 3-8.— ^cci3 ehe'l crudo
e scellerato eccesso ee. Prima di quel-
l'attacco, il Vcstidello, governatore della
Bastia, fatto prigioniere dagli Spagnuoli,
era stato da essi ucciso, in onta alle leggi
di guerra! onde, ricuperato èhe fu quel
fortiliaio dalle genti d'Alfonso, il presi-
dio spagnuolo, composto nella maggior
parte di gente circoncisa. Mori cioè, o
discendenti da Mori, fu paasato a fil di
spada.
St, 6. v.9.'-^FeggÌas ferisca , col-
pisca.
St.7. v.i.-^Ifomade:w^ltt e
dicesi di que'pastori, che vivono con-
ducendo qua e la il loro gregge, accoodo
che trovano pascoli.
St. 8. V. 6-6. ~ Come di pie mU
tastor ee. Molte dispute ha fatto na-
scere tra gli espositori il sesto verso,
che qualche ediiione legge
A coi lascik la oeda hiviteo stolto.
Noi abbiamo creduto stare all' edisione
del i 51 6 e del Ì53S| e riguardando a
lasciò come verbo riflessivo^ spiegare
cosii come sparvier nuU 9Ì¥9 ti toglie
Canto OOARiMtEsiuosficoNDO.
m
di piò altastor, alla coda di cui si la»
sciò (o •' aTTcntò) per sioltetsa o per
invidia di preda.
Si. 9. «». 4. ~ Il grave tritneo. Di-
ce»! tronco^ t tronco per imitatìone dal
latino, il pedale o fusto di lu albero,
ed anche il cadaTere umano, mouo del
capo. E raggiunto grave a messo a pro-
posito; perche il cadavere, privo delle
forte vitali, ubbidisce maggiormente
alla legge di attratione, e cresce di peso.
St. 13. 0.6. — infici r occaso : avanti
che tramonti la vita, prima di morire.
St, 21. i>. 6. — Destre: acconoe,
adattate.
St, SS. 9. 1-6. — O chiaro fulgor
della Fulgosa Stirpe ec. Dirige la pa-
rola a Federico Fnlgoio o Fregoso, no-
minato nella Stanca 20 (che con ambe-
due queste voci si denota una sola il-
lustre famiglia di Genova), il quale fu
arcivescovo di Salerno, vescovo di Gub-
bio, e poi cardinale. Andando egli qual
condottiere della flotta genovese contro
il corsaro Corregoli, vide Lampedusa;
• par che non convenisse col Poeta sulla
conditione fisica di quell'isola. — Quello
invitto dttCOj Per cui la vostra patria j
h Ottaviano Fregoso, fratello di Fede-
rico e doge di Genova, che pacificò le
faiioni onde quella repubblica era tur-
bata.—/n amor tutta s'induce: si con-
duce, si piega, si muove tutta ad amore.
St, S5. v.1. — Nò fatto navea an-
cor segno evidente: non aveva ancor
data prova manifesta, che gli dispiacesse
quello spergiuro.
St. 29. V, 6.-^Jjffrantò: abbattu-
to, venuto naeoo.
St, SI. V, 1-8. — Gran maraviglia
di sì strano caso ee.i Le cose soltanto
accennate in questa Stanca e nella se-
guente , come pure nelle Stanca 35, 36
« 37, poasono vedersi diffusamente nel-
C Orlando Innamorato del Boiardo.
St. 37. ¥• b^^Emuntot spremuto |
^ni vuoto, esausto,
St, 46. V. S. — Pel bosco awentw
,^so. Dice avventurosa la selva d'Ar-
denna, per gli avvenimenti eh* ivi nar«
ravansi accaduti.
St, Al, V, 3.— Orecchie crebre:
spesse , numerose 9 com'erano gli occhi
di ^el mostro.
SL 66. V. 4-6. — Ji delibrai de-
libera, si risolve. — / colpi libra i sca-
glia , lancia colpi di macca; tolto forse
dal librare tela di Plinio.
St. 63. V. Z.— E nel forilo verdi
a rosso e a giallo: nell'erboso^ auolo
seminato di fioii gialli e rossi.
St. 66. f. 6.— C/ff de' ministri sui;
uno fra i demoni che ubbidivano all' in*
cantatore MalagigL
St. 76. V. 7-3.— QuanU agi sotto
La cava terra ec. — Intende dei comodi
di cucine ed altri proservicj, che si pra-
ticano ne' sotterranei dei gran palagi.
St. 11. P.2 Suffulti: sosUnuti.
St. 80. V. 1. — // corno d'Amai^
tea: il corno dell'abbondanca.i^ifia/<ea
era il nome delia capra, o della ninfa a
cui apparteneva la capra che allattò Gio-
ve: e chi possedeva quel «orno, otteneva
tutto ciò che sapeva desiderare.
«yt.81. V. i'$.^Ciascun di 4f mesti
segni: ciascuna di queste statue.— C/ie
con la bocca aperta facean segni ec.
Vuol dire che le statue inferiori, con la
bocca aperta, come in atto di cantare,
mostravano compiacersi di encomiare le
donne rappresentate dalle statue supe-
riori che su di loro posavano.
St. 83. v.^-'é.-^Lucre^ia Borgia:
moglie del duca Alfonso I. Si h gili detto
di lei nella nota alla St. 69 del Can-
to XIII. -* jtfnfonio Tebaldeot buon
verseggiatore nelle due lingue, italiana t
latina ; mori in Roma in elk di anni 80.
.— i Ercole Strozza: se ne parlò nella
nota alla St. 8 del Canto XXXVII. —
Un Lino ed un Orfeo: paragonai! Te-
baldeo a Lino, figlio d'Apollo e di Ter-
psicore, riguardato come inventore della
poesia lirica; e lo Strocaa ad Orfeo, fi-
glio di Giove e di Calliope, il quale con
la sua musica si faceva seguitare dalla
rocce a dagli alberi.
5C*
426
JTE^emU, IsmhelU «e Tctei sa «
CSM ^■aato « 4b« adb ■•U alb
«U MAI Casto Xia.
GafaaAa e F altro SardcBaM ,
■oatovaMi e 3 Calaadn • aoto cmm
•crill«re prosaico di MfgHti aoMMosi.
0 Letmorm Jf^mimmtM erm tmltrm ce.
EliMlctta era forena £ FraaccMo G«^
saga, aiarcfaefc dì MaoCova. e moglie
di Cwdabaldo data d'UAiao.Ixonora,
figlia del predetto Goosaga, la sposa di
Fraoceseo Maria della Bovere, cseato
daca d'Uriiino da Giulio II.— Iacopo
SadoUU • PUtro Bembo. Il Sadolclo
nasceva ia Modena, fa Tescoro, ed ebbe
ti cappello cardinaliao da Paolo III.
Era letterato insigne, poeta e teologo.
Il Bembo, di coi si fece mensione nella
nota alla St. 8 dd Canto XXXTII, era
intrinseco del Sadoleto, e molto innanu
nella boona |;rasia del ricordato dnca
Guidabaldo.
St. 87. V, Ui^—Uno eleganU Ca-
stigiione, e un eulto Miuio Arollo te.
Del Castiglione si parlò nella predetta
nota alla St. 8 del Canto XXXVII %
Musio Arelio, altrimenti detto GioTanni
MatsarellOy fn autore di molti compo-
nimenti italiani e latini , e accademico
in Roma al tempo di Leon X | mori di
ferite dategli da alcuni suoi malevoli. —
Veg%on poi quella a cui dal eielo /n-
dallo ee. Intendesi qui la nominata più
a basso Lucreiia Bentivogli, 6g1ia na-
turale del duca di Ferrara, e partecipe
della fortuna, ora propitia ora contraria
che provarono t Bentivogli, signori di
Bologna.
St, 88. p. A-8.^ 27i costei canta
con soave e chiara Voce un Camil ee.
ib questi Camillo Paleotto, bolognese,
e cortigiano del cardinale di Bibbiena,
che 9 iniieme col Postumo* di cui fra
poco, cantò le lodi della Bentivogli. •—
Beno ì fiume di Bologna. — Felsina t
SL99,wA^^EdB
Urrm,09etisi
patria di Gnido Futi— «, i
pgremiìm
iato nel
Guido
SUweMtri,^ lo dine» Posfwm^pcidiò
nato dapo la uMcte U padre; fa ^
lente HKdico^ soldato e poeta, a
moddriiiosto» e addetto qóali
alb corte del cardwale Ippolito da Este.
— /samro,ofigi denominato Fo^ia» e il
fiume dM scorte Hóno a Pesaro, ed ha
fece ndl'Adrialieo. — JfomUmatm sarm..^
Fia pik che perpeMmre il rommmo «s»>
ro ee. Alcan^ soD'antorhlk di Servio
conunentatorc di Virgilio^ trassero Teti-
mologia di Pesaro ^IHsaurum), vera o
falsa che sia, dall'oro rapito dai Galli ai
Romani, ed ivi tolto ai rapitori dal dit*
tatore Cammillo, che co& li raggiansCé
Tfam (sono queste le parole di Servio)
Pisaurum dicitur, quod ibi aurum
pensatum est. — ji cui doppia coro»
na ee. Allusione al merito filosofico e
letterario del Postumo, tenuto in repn«
tasione anche nella corte di Leone X.
St. 90. <r. 1-8.— X'a/em eke segue
in ordine è Diana ee. Questa ò Diana
d'Este, nata di Sigismondo Estense, dei
marchesi di S. Martino, di cui si parlò
sul principio della nota alla St. 68 del
Canto 1 1 1. Fu donna di bel sembiante, ma
d' aotmo altiero — // dotto Celio Cai'
cagnin : erudito scrittore ferrarese, che
per due anni e più fu compagno di «ag-
gio al cardinal Ippolito, e ne compose
r elogio funebre. — Nel regno di Mo»
nese e in quel di luba. Monese fu re
de' Parti, luba dei Maurttanii e questi
due regni sono qui indicati per signifi-
care il settentrione ed il messogiorno.
— In India e Spagna: regioni che de-
notano una il levante,e l'altra il ponente.
St. 9i. V. 1-8.— £</ »a Jforco Oi-
vallo ec.f lodatore di Diana Estense, in*
sierae col Galcagnini. Era aaconitaaO|
ÉANTO QnARAMTCSIlÌOSECO((Ì)0.
427
e Imon rimatore ; onde il Poeta lo pa-
ragona al cavai Pegaso della Favola, che
con un calcio fece scaturire una fonte
dal Parnaso, secondo alcuni, e secondo
altri, dair Elicona, montagne ambedue
consacrate ad Apollo e alle Muse.— >
Beatrice appresso ec. E questa la fi-
glia del duca Ercole I, moglie di Lodo-
irico Sforaa, encomiata nelle Stame 68
^63 del Canto XIII» alle quali si ri-
elette il lettore, a scansa d'inutili ripe-
tisioni.
A.9S. V. 3-8.— CTii sif(nor di Cor-
Téglia ee,i Niccolò da Correggio, che,
oltre le composisioni da lui fatte in lode
di Beatrice, scrisse due poemi in ottava
rima, intitolati Psiche l'uno, e l' altro
Asurora. — E Timoteo Conor de' Ben»
4fe<feif letterato ferrarese esso pure, che
adoperò il suo ingegno poetico nell'ono-
rar Beatrice.— //^ama ove suddr gfi
antiqui elettri: il Po, sulle cui rive le
sorelle del caduto Fetonte furono con-
▼eitite in pioppi. Vedi la St. 34 del
Canto HI, e la nota corrispondente.
St. 93. V. i-S.— Della colonna
Che fu scalpita in Borgia: del marmo
in cui fu scolpita la statua di Lucre&ia
Borgia; e Io dice colonna, perchè cosi
quella eie altre statue sostenevano col
braccio manco il dorato cielo della sala,
com'è detto nella St. 79.— Formata
in alabastro una gran donna ec. Con-
cordano quasi tutti gli espositori nel
ravvisare in questa innominata scultura
la statua di Alessandra Benuccì, amica
e poi moglie del Poeta, della quale si
parlò nella nota alla St. S del Canto I.
— In nera gonna» cosi la rappresenta
il Poeta, perchè quand* egli a* invaghi
di Alessandra, essa era vedova da poco
tempo di Tito Stroasi.
St, 95. V, 5-8. — Com'era quel che
sol, sen*' altri accanto ec. Una sola
statua d' nomo era sostegno a quella
della Benucci, mentre le altre statue
erano sostenute da due. Ed in quel so-
stegno il Poeta figura sé stesso, tacendo
il proprio nome, o per modestia o per
altro motivo.
ì
42d ORLANDO FURIOSO.
CAinrO QVAWLAJMTESmOVmMEO.
Una forte e giusta lOYettiva contro 1* avarisia apre questo Canto, e precede doB
novelle che vengono nanate a Rinaldo, una a vitupero delle donne , l'altra
rfegli uomini che ai lasciano vincere da quella brutta passione. Per lungo eam*
mino terrestre e marittimo giunge Rinaldo in Lampedusa, essendo terminato il
combattimento fra i paladini e i pagani. Scendono tutti in Sicilia, ed ivi sulla
spiaggia d'Agrigento rendono gli ultimi onori alle mortali spoglie di Brandi-
marte. Di colli vanno al romitaggio ove aU Ruggiero, gili fatto cristiano; e il
buon eremita risana Oliviero ed anche Sobrino, che poi prende il battesimo.
i 0 esecrabile avarizia, o ingorda
Fame d' avere, io non mi maraviglio
Ch'ad alma vile, e d'altre macchie lorda.
Si facilmente dar possi di pìglio ;
Ma che meni legato in una corda,
E che tu impiaghi del medesmo artiglio
Alcun che per altezza era d'ingegno.
Se te schivar potea, d' ogni onor degno.
2 Alcun la terra e *1 mare e '1 ciel misura,
E render sa tutte le cause appieno
D' ogni opra, d'ogni effetto di natura,
E poggia si, eh' a Dio riguarda in seno ;
E non può aver più ferma e maggior cura,
Morso dal tuo mortifero veleno,
Gh' unir tesoro ; e questo sol gli preme,
E ponvi ogni salute, ogni sua speme.
3 Rompe eserciti alcuno, e nelle porte
Si vede entrar di bellicose terre,
Ed esser primo a porre il petto forte,
Ultimo a trarre, in perigliose guerre;
E non può riparar che sino a morte
Tu nel tuo cieco carcere noi serre.
Altri d' altre afti e d'altri studj industri,
Oscuri fai, che sarian chiari e illustri.
CANTO QUARANTESUfOTERZO. 42d
Che d' alcune dirò belle e gran donne,
Ch' a bellezza, a virtù di fidi amanti,
A langa servitù, più che colonne
Io veggo dare, immobili e constanti?
Veggo venir poi l'Avarizia, e pònne
Far si, che par che subito le incanti :
In un di, senza amor (chi fia che '1 creda?)
A un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà in preda.
Non é senza cagion s' io me ne doglio :
Intendami chi può, che m' intend' io.
Nò però di proposito mi toglie.
Né la materia del mìo Canto obblio ;
Ma non più a quel e' ho detto adattar voglio,
Ch' a quel ch'io v' ho da dire, il parlar mio.
Or torniamo a contar del paladino,
Ch' ad assaggiare il vaso fu vicino.
Io vi dicea ch'alquanto pensar volle.
Prima eh' ai labbri il vaso s' appressasse.
Pensò, e poi disse : Ben sarebbe folle
Chi quel che non vorria trovar, cercasse.
Mia donna è donna, ed ogni donna è molle :
Lasciam star mia credenza come stasse.
Sin qui m' ha il creder mio giovato, e giova :
Che poss'io megliorar, per farne prova?
Potria poco giovare, e nuocer molto;
Che '1 tentar qualche volta Iddio disdegna.
Non so s* in questo io mi sia saggio o stolto ;
Ma non vo' più saper che mi convegna.
Or questo vin dinanzi mi sia tolto :
Sete non n' ho, né vo' che me ne vegna;
Che tal certezza ha Dio più proibita,
Ch' al primo padre V arbor della vita.
; Che come Adam, poi che gustò del pomo
Che Dio con propria bocca gì' interdisse,
Dalla letizia al pianto fece un tomo.
Onde in miseria poi sempre s' alSlisse ;
Cosi, se della moglie sua vuol V uomo
Tutto saper quanto ella fece e disse.
Cade dell'allegrezze in pianti e in guai^
Onde non può più rilevarsi mai.
430 ORLANDO FURIOSO.
9 Cosi dicendo il baon Rinaldo, e intanto
Respingendo da sé V odiato vase.
Vide abbondare an gran rivo di pianto
Dagli occhi del signor di quelle case.
Che disse, poi che racchetossi alquanto :
Sìa maledetto chi mi persuase
Ch'io facessi la prova, oimè! di sorte,
Che mi levò la dolce mia consorte.
10 Perchè non ti conobbi già dieci anni,
Si che io mi fossi consigliato teco.
Prima che cominciassero gli affanni,
E '1 lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo* levarti dalla scena i panni.
Che '1 mio mal vegghi, e te ne dogli meco;
E ti dirò il principio e V argumento
Del mio non comparabile tormento.
11 Quassù lasciasti una città vicina,
A cui fa intorno un chiaro fiume laco,
Che poi si stende, e in questo Po declina,
E r origine sua vien di Benaco.
Fu fatta la città quando a ruina
Le mura andar dell' agenoreo draco.
Quivi nacqui io di stirpe assai gentile.
Ma in pover tetto, e in facultade umile.
12 Se Fortuna di me non ebbe cura
Si, che mi desse al nascer mio ricchezza.
Al difetto di lei supplì natura,.
Che sopra ogni mio ugual mi die bellezza.
Donne e donzelle già di mia figura
Arder più d' una vidi in giovanezza ;
Ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;
Benché stia mal che l' uòm sé stesso Iodi.
13 Nella nostra cittade era un uom saggio.
Di tutte r arti oltre ogni creder dotto.
Che, quando chiuse gli occhi al febeo raggio,
Contava gli anni suoi cento e ven tolto.
Visse tutta sua età solo e selvaggio.
Se non l' estrema ; che, d' Amor condotto.
Con premio ottenne una matrona bella,
£ n' ebbe di nascosto una ciltella.
CANTO QCARAMTESmOTERZO. 431
14 £ per vietar che simìl la Oglìaola
Alla maire non sia, che per mercede
Vendè saa castità, che valea sola
Più che quant'oro al mondo si possiede,
Fuor del commercio popolar la invola :
Ed ove più solingo il luogo vede.
Questo ampio e bel palagio e ricco tanto
Fece fare a demonj per incanto.
15 A vecchie donne e caste fé nutrire
La Ogiia qui , eh' in gran beltà poi venne ;
Né che potesse altr' uom veder, né udire
Pur ragionarne in quella età , sostenne.
E perch'avesse esempio da seguire,
Ogni pudica donna che mai tenne
Centra illicito amor chiuse le sbarre,
Ci fé d' intaglio o di color ritrarre :
i6 Non quelle sol che, di virtude amiche ,
Hanno sì il mondo air età prisca adorno ;
Di quai la fama per l'istorie antiche
Non é per veder mai V ultimo giorno :
Ma nel futuro ancora altre pudiche
Che faran bella Italia d' ogn' intorno ,
Ci fé ritrarre in lor fattezze conte,
Come otto che ne vedi a questa fonte.
il Poi che la figlia al vecchio par matura
Si, che ne possa Fuom cogliere i frutti,
0 fosse mia disgrazia o mia avventura ,
Eletto fui degno di lei fra tutti.
1 lati campi, oltre alle belle mura,
Non meno i pescarecci che gli asciutti ,
Che ci son d'ogni intorno a venti miglia.
Mi consegnò per dote della figlia.
is Ella era bella e costumata tanto.
Che più desiderar non si potea.
Di bei trapunti e di ricami, quanto
Mai ne sapesse Pallade, sapea.
Vedila andare, odine il suonq e 'i canto,
Celeste e non mortai cosa parea ;
E in modo all' arti liberali attese.
Che quanto il padre o poco men n' intese.
-^:^'
432 ORLANDO FURIOSO.
19 Con grande ingegno e non minor bellezza,
Che fatta ravrìa amabil fin ai sassi.
Era gianto nn amore, una dolcezza.
Che par eh' a rimembrarne il cor mi passi.
Non avea più piacer né più vaghezza ,
Che d' esser meco ov' io mi stessi o andassi.
Senz' aver lite mai stemmo gran pezzo :
L'avemmo poi, per colpa mia, da sozzo.
20 Morto il suocero mio dopo cinqae anni
Ch'io sottoposi il collo al giugal nodo,
Non stero molto a cominciar gli affanni
Ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre mi richiudea tatto coi vanni
V amor di questa mia che si ti lodo.
Una femmina nobìl del paese.
Quanto accender si può, di me s' accese.
21 Ella sapea d' incanti e di maglie
Quel che saper ne possa alcuna maga :
Rendea la notte chiara, oscuro il die,
Fermava il Sol, facea la terra vaga.
Non potea trar però le voglie mie.
Che le sanassin V amorosa piaga
Col rimedio che dar non le potria
Senz' alta ingiuria della donna mia.
22 Non perché fosse assai gentile e bella.
Né perchè sapess'io che si me amassi.
Né per gran don né per promesse eh' ella
Mi fesse molte, e di continuo instassi.
Ottener potè mai eh' una fiammella,
Per darla a lei, del primo amor levassi ;
Ch' addietro ne traea tutte mie voglie
Il conoscermi fida la mia moglie.
23 La speme, la credenza, la certezza
Che della fede di mia moglie avea,
M' avrìa fatto sprezzar quanta bellezza
Avesse mai la giovane Ledea,
0 quanto offerto mai senno e ricchezza
Fu al gran pastor della montagna Idea.
Ma le repulse mie non valean tanto.
Che potesson levarmela da canto.
CANTO QUARANTESIMOTERZO. 433
24 Un di che mi trovò fuor del palagio
La maga che nomata era Melissa,
E mi potò parlare a suo grande agio,
Modo trovò da por mia pace in rissa,
E con lo spron di gelosia malvagio
Cacciar del cor la /e' che y' era fìssa.
Comincia a commendar la intenzion mia,
Ch' io sia fedele a chi fedel mi sia.
25 Ma che ti sia fedel ta non puoi dire,
Prima che di saa fé' prova non vedi.
S'ella non falle, e che potria fallire,
Che sia fedel, che sia pudica credi.
Ma se mai senza te non la lasci ire.
Se mai vedere altr'uom non le concedi,
Onde hai questa baldanza, che tu dica
£ mi vegli affennar che sia pudica?
26 Scostati un poco, scostati da casa ;
Fa che le cittadi odano e i villaggi
Che tu sia andato, e ch'ella sia rimasa:
Agli amanti dà comodo e ai messaggi.
S*a prieghì, a doni non fia persuasa
Di fare al letto maritale oltraggi,
E che, facendol, creda che si cele,
Allora dir potrai che sia fedele.
27 Con tai parole e simili non cessa
L' incantatrice, finché mi dispone
Che della donna mia la fede espressa
Veder voglia e provare a paragone.
Ora pogniamo, le soggiungo, ch'essa
Sia qual non posso averne opinione :
Come potrò di lei poi farmi certo
Che sia di punizion degna o di merlo?
2S Disse Melissa : Io ti darò un vasello
Fatto da ber, di virtù rara e strana,
Qual già, per fare accorto il suo fratello
Del fallo di Ginevra, fé Morgana.
Chi la moglie ha pudica, bee con quello :
Ma non vi può già ber chi 1* ha puttana ;
Che '1 vin, quando lo crede in bocca porre.
Tutto si sparge, e fuor nel petto scorre.
II. 37
434 MU.11ID0 FURIOSO.
m PkìBi ehe partì ne fiuai la prova,
E par lo creder mio ta beraì netto ;
Che eiedo eh' ancor netta si ritrova
La aioglìe tua: por ne vedrai l'eflfetto.
Ma a'al ritomo esperienia nuova
Poi ne forai, non t' anicoro il petto:
Che se ta non lo immolli, e netto bei»
D* ogni marito il più felice ad.
10 L'offerta accetto, n vaso ella nù dona:
Ne fo la prova, e mi saccede a ponto ;
Che, com' era fl disio, podica e boona
La cara m<^lie mia trovo a qoel ponto.
Dice Melissa : Un poco V abbandona ;
Per an mese o per duo stanne disgiunto :
Poi toma ; poi di nuovo il vaso toUi ;
Prova se bevi, oppar se 1 petto immolli.
SI A me doro parea pur di partire ;
Non perchè di sua fé' si dubitassi.
Come eh' io non potea duo di patire ,
Né un' ora pur, che senza me restassi.
Disse Melissa: lo ti farò venire
A conoscere il ver con altri passi.
Yo' che muti il parlare e i vestimenti,
E sotto viso altrui te le appresenti.
32 Signor, qui presso una città difende
Il Po fra minacciose e fiere coma ;
La coi inridizion di qui si stende
Fin dove il mar fugge dal lito e torna.
Cede d'antiquità, ma ben contende
Con le vicine in esser ricca e adorna.
Le reliquie troiane la fonderò,
Che dal flagello d' Attila camparo.
33 Astringe e lenta a questa terra il morso
Un cavalier giovene, ricco e bello,
Che dietro un giorno a un suo falcone iscorso,
Essendo capitato entro il mio ostello,
Vide la donna, e si nel primo occorso
Gli piacque, che nel cor portò il suggello;
Né cessò molte pratiche far poi ,
Per inchinarla ai desiderj suoi.
CANTO QUARANTESIHOTERZO. 435
34 Ella gli fece dar tante repulse.
Che più tentarla al6ne egli non volse ;
Ma la beltà di lei, eh' Amor vi scalse,
Di memoria però non se gli tolse.
Tanto Melissa allasingommi e mulse,
Gh' a tor la forma di colai mi volse ;
E mi mutò (né so ben dirti come)
Di faccia, di parlar, d' occhi e di chiomie.
35 Già con mia moglie avendo simulato
D'esser partito e gitone in Levante,
Nel giovene amator cosi mutato
L'andar, la voce, l'abito e '1 sembiante.
Me ne ritorno, ed ho Melissa a lato.
Che s'era trasformata, e parea un fante ;
E le più ricche gemme avea con lei.
Che mai mandassin gì' Indi o gli Eritrei.
36 Io che r uso sapea del mio palagio.
Entro sicuro, e vien Melissa meco ;
E madonna ritrovo a si grande agio.
Che non ha né scudier né donna seco.
I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
Stimulo innanzi del mal far le arreco :
I rubini, i diamanti e gli smeraldi.
Che mosso arebbon tutti i cor più saldi.
37 E le dico che poco è questo dono
Verso quel che sperar da me dovea.
Della comodità poi le ragiono.
Che, non v'essendo il suo marito, avea:
E le ricordo che gran tempo sono
Stato suo amante, com'ella sapea ;
E che r amar mio lei con tanta fede
Degno era avere alOn qualche mercMe.
38 Turbossi nel principio ella non poco.
Divenne rossa, ed ascoltar non volle:
Ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
Le belle gemme, il duro cor fé molle ;
E con parlar rispose breve e fioco
Quel che la vita a rimembrar mi tolte ;
Che mi compiacerla, quando credesse
Ch' altra persona mai noi risapesse.
436 OBLANDO Fcmioso.
39 Fa tal rìsposla an venenato telo,
Di che me ne senti' Y alma trafissa :
Per Tossa andommì e per le vene on gelo;
Nelle fauci restò la voce fissa.
Levando allora del soo incanto il velo.
Nella mia forma mi tornò Melissa.
Pensa di che color dovesse farsi,
Gh' in tanto error da me vide trovarsi.
40 Divenimmo ambi di color di morte.
Moti ambi , ambi restiam con gli occhi bassi.
Potei la lingua appena aver si forte,
E tanta voce appena, eh' io gridassi :
Me tradiresti dunque tu, consorte,
Quando tu avessi chi '1 mio onor comprassi?
Altra risposta darmi ella non puote.
Che di rigar di lacrime le gote.
41 Ben la vergogna è assai, ma più lo sdegno
Ch'ella ha, da me veder farsi quella onta;
E moltiplica sk senza ritegno,
Gh' in ira alfine e in crudele odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno ,
E nell'ora che '1 Sol del carro smonta.
Al fiume corse, e in ona sua barchetta
Si fa calar tutta la notte in fretta :
42 E la mattina s' appresenta avante
Al cavalier che l'avea un tempo amata,
Sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
Fu centra l' onor mio da me tentata.
A lui, che n'era stato ed era amante,
Greder si può che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fé dir eh' io non sperassi
Ghe mai più fosse mia, né più m' amassi.
43 Ah lasso! da quel di con lui dimora
In gran piacere, e di me prende giuoco ;
Ed io del mal che procacciaimi allora.
Ancor languisco, e. non ritrovo loco.
Gresce il mal sempre, e giusto è ch'io ne moora;
£ resta omai da consumarci poco.
Ben credo che '1 primo anno sarei morto,
Se non mi dava aiuto un sol conforto.
CANTO QUARANTESIMOTERZO. 4 37
44 11 conforto ch'io prendo, è che di quanti
Per dieci anni mai fur sotto al mio tetto
(Gh'a tolti questo vaso ho tiiesso innanti),
Non ne trovo un che non s' immolli il petto.
Aver nel caso mio compagni tanti
Mi dà fra tanto mal qualche diletto.
Tu tra inOniti sol sei stato saggio,
Che far negasti il periglioso saggio.
45 II mìo voler cercare oltre alla meta
Che della donna sua cercar si deve,
Fa che mai più trovare ora quieta
Non può la vita mia, sia lunga o breve.
Di ciò Melissa fu a principio lieta:
Ma cessò tosto la sua gioia lieve ;
Gh' essendo causa del mio mal stata ella ,
Io r odiai si, che non potea vedella.
46 Ella.d' esser odiata impaziente
Da me, che dicea amar più che sua vita.
Ove donna restarne immantinente
Creduto avea, che V altra ne fosse ita ;
Per non aver sua doglia si presente.
Non tardò molto a far di qui partita ;
E in modo abbandonò questo paese,
Che dopo mai per me non se n' intese.
47 Cosi narrava il mesto cavaliere :
E quando fine alla sua istoria pose,
Rinaldo alquanto stè sopra pensiero,
Da pietà vinto, e poi così rispose :
Mal consiglio ti die Melissa in vero,
Che d' attizzar le vespe ti propose ;
E tu fosti a cercar poco avveduto
Quel che tu avresti non trovar voluto.
48 Se d' avarizia la tua donna vinta
A voler fede romperti fu indotta.
Non t'ammirar; né prima ella né quinta
Fu delle donne prese in si gran tutta :
E mente via più salda ancora ò spinta
Per minor prezzo a far cosa più brutta.
Quanti uomini odi tu, che già per oro
Han traditi padroni e amici loro ?
57*
438 ORLANDO FURIOSO.
4B Non dovevi assalir con si fiere armi,
Se bramavi veder farle difesa.
Non sai ta, centra V oro, che nò i marmi
Né '1 durissimo acciar sta alla contesa?
Che più fallasti ta a tentarla parmi.
Di lei che cosi tosto restò presa.
Se te altrettanto avess' ella tentato.
Non 80 se ta più saldo fossi stato.
60 Qui Rinaldo fé fine, e dalla mensa
Levossi a nn tempo, e domandò dormire;
Che riposare nn poco, e poi si pensa
Innanzi al di d' an' ora o due partire.
Ha poco tempo; e '1 poco e' ha, dispensa
Con gran misura, e invan noi lascia gire.
Il signor di là dentro, a suo piacere.
Disse, che si potea porre a giacere ;
51 Gh' apparecchiata era la stanza^ e '1 letto:
Ma che se volea far per suo consiglio,
Tutta notte dormir potria a diletto,
£ dormendo avanzarsi qualche mìglio.
Acconciar ti farò, disse, un legnetto.
Con che volando, e senz' alcun periglio,
Tutta notte dormendo vo' che vada,
E una giornata avanzi della strada.
52 La profferta a Rinaldo accettar piacque,
E molto ringraziò l' oste cortese:
Poi senza indugio là, dove nell* acque
Da' naviganti era aspettato, scese.
Quivi a grande agio riposato giacque.
Mentre il corso del fiume il legno prese ,
Che da sei remi spinto, lieve e snello
Pel fiume andò, come per Tarla augello.
63 Cosi tosto com' ebbe il capo chino.
Il cavalier di Francia addormentosse ;
Imposto avendo già, come vicino
Giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò Melara nel lite mancino ;
Nel lite destro Sermide restosse :
Figarolo e Stellata il legno passa.
Ove le corna il Po iracondo abbassa.
i
CANTO QUARANTESIMQTERZO. 439
M Delle dae corna il nocchier prese il destro,
E lasciò andar yerso Vìnegia il manco :
Passò il Bondeno ; e già il color cilestro
Si vedea in Oriente venir manco ;
Che, votando di flor tatto il canestro»
L'Aurora vi facea vermiglio e bianco;
Quando, lontan scoprendo di Tealdo
Ambe le rocche, il capo alzò Rinald<i.
65 0 città bene avventurosa, disse,
Di coi già Malagigi, il mio cugino.
Contemplando le stelle erranti e fisse,
E constringendo alcun spirto indovino,
Nei secoli futuri mi predisse
(Già ch'io facea con lui questo cammino)
Gh' ancor la gloria tua salirà tanto,
Ch' avrai di tutta Italia il pregio e '1 vanto.
66 Cosi dicendo, e pur tuttavia in fretta
Su quel battei che parea aver le penne,
Scorrendo il re de* fiumi, all' isoletta
Ch'alia cittade è più propinqua, venne:
E benché fosse allora erma e negletta,
Pur s' allegrò di rivederla, e fenne
Non poca festa ; che sapea quanto ella,
Volgendo gli anni, saria ornata e bella.
67 Altra fiata che fé questa via.
Udì da Malagigi, il qual seco era,
Che settecento volte che si sia
Girata col monton la quarta sfera,
Questa la più gioconda isola fia
Di quante cinga mar, stagno o riviera;
SI che, veduta lei, non sarà ch'oda
Dar più alla patria di Nausicaa loda.
6S Udì che di bei tetti posta innante
Sarebbe a quella si a Tiberio cara ;
Che cederian V Esperide alle piante
Ch' avria il bel loco, d' ogni sorte rara ;
Che tante spezie d' animali, quante
Vi fien, né in mandra Circe ebbe né in hara ;
Che v' avria con le Grazie e con Cupido
Venere stanza, e non più in Cipro o in Gnido;
440 ORLANDO FURIOSO.
69 £ che sarebbe (al per stadio e cara
Di chi al sapere ed al potere anita
La voglia avendo, d'argìnfi e di mara
Avria si ancor la saa città manila.
Che centra tatto il mondo star sicura
Potria, senza chiamar di faori aita ;
E che d' Ercol figliool, d' Ercol sarebbe
Padre il signor che qaesto e qael far debbe.
60 Cosi venia Rinaldo ricordando
Quel che già il sao cogin detto gli avea,
Delle fatare cose divinando.
Che spesso conferir seco solea.
E tuttavia V amil città mirando :
Come esser paò eh' ancor, seco dicea,
Debban cosi fiorir queste paludi
Di tatti i liberali e degni studi ?
61 E crescer abbia di si piccol borgo
Ampia cittade e di si gran bellezza?
E ciò eh' intomo è tutto stagno e gorgo,
Sien lieti e pieni campi di ricchezza ?
Città, sinora a riverire assorgo
L'amor, la cortesia, la gentilezza
De' tuoi signori, e gli onorati pregi
Dei cavalier, dei cittadini egregi.
€2 L' ineffabil bontà del Redentore,
De' tuoi principi il senno e la giustizia,
Sempre con pace, sempre con amore
Ti tenga in abbondanza ed in letizia ;
E ti difenda centra ogni furore
De' tuoi nimici , e scuopra lor malizia :
Del tao contento ogni vicino arrabbi.
Piuttosto che tu invidia ad alcuno abbi.
63 Mentre Rinaldo cosi parla, fende
Con tanta fretta il suttil legno l' onde.
Che con maggiore a logoro non scende
Falcon eh' al grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
Quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Giorgio addietro, addietro s'allontana
La torre e della Fossa e di Gaibana.
i
CANTO QCABANTESIMOTERZO. 441
64 Rinaldo, come accade eh' uii pensiero
Un altro dietro, e quello an altro mena,
Sì venne a ricordar del cavaliero,
Nel cai palagio fu la sera a cena ;
Che per questa cittade, a dire il vero,
Avea giusta cagion di stare in pena :
E ricordossi del vase da bere,
Che mostra altrui V error della moglìere ;
65 E ricordossi insieme della prova
Che d' aver fatta il cavalier narrolli :
Che di quanti avea esperti, uomo non trova
Che bea nel vaso, e '1 petto non s'immolli.
Or si pente, or tra sé dice : E' mi giova
Gh* a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
Non riuscendo, a che partito era io?
66 Gli é questo creder mio, come io Y avessi
Ren certo, e poco accrescer lo potrei:
Si che, s'al paragon mi succedessi,
Poco il meglio saria eh' io ne trarrei ; .
Ma non già poco il mal, quando vedessi
Quel di Cilarice mia, ch'io non vorrei.
Metter saria mille centra uno a giuoco ;
Che perder si può molto, e acquistar poco.
67 Stando in questo pensoso il cavaliero
Di Chiaramente, e' non alzando il viso,
Con molta attenzion fu da un nocchiero.
Che gli era incontra, riguardato fiso :
£ perchè di veder tutto il pensiero.
Che l'occupava tanto, gli fu avviso,
Come uom che ben parlava ed avea ardire,
A seco ragionar lo fece uscire.
63 La somma fa del lor ragionamento,
Che colui mal accorto era ben stato,
Che nella moglie sua V esperimento
Maggior che può far donna, avea tentato ;
Che quella che dall' oro e dall' argento
Difende il cor di pudicizia armato.
Tra mille spade via più facilmente
Difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.
442 ORLANDO FORIOSO.
69 n nocchier soggiangea: Ben gli dieesli,
Che Doa dovea offerirle si gran doni ;
Che contrastare a qoesU assalti e a questi
Colpi non sono tutti i petti booni.
Non so se d' una giovane intendesti
(Ch'esser pnò che tra Toi se ne ragioni),
Che nel medesmo error vide il consorte,
Di eh' esso avea lei condannata a morte.
7D Dovea in memoria avere il signor mìo,
Che r oro e '1 premio ogni durezza inchina ;
Ma, quando bisognò, l'ebbe in obblio.
Ed ei si procacciò la sua mina.
Cosi sapea lo esempio egli, com' io.
Che fu in questa città di qui vicina,
Sua patria e mia, che '1 lago e la palude
Del rifrenato Menzo intomo chiude :
71 D' Adonto voglio dir, che '1 ricco dono
Fé alla moglie del giudice , d' un cane.
Di questo, disse il paladino, il suono
Non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane ;
Perchè né in Francia, né dove ito sono,
Parlar n' udi' nelle contrade estrane :
Si che di pur, se non t' ìncresce il dire;
Che volentieri io mi t' acconcio a udire.
72 II nocchier cominciò : Già fu di questa
Terra un Anselmo di famiglia degna.
Che la sua gioventù con lunga vesta
Spese in saper ciò eh' Ulpiano insegna ;
E di nobil progenie , bella e onesta
Moglie cercò, ch'ai grado suo convegna;
E d' una terra quindi non lontana
N' ebbe una di bellezza soprumana ;
73 E di bei modi e tanto graziosi.
Che parea tutto amore e leggiadria ;
E di mollo più forse, eh' ai riposi,
Ch' allo stato di lui non convenia.
Toslo che l'ebbe, quanti mai gelosi
Al mondo for, passò di gelosia:
Non già ch'altra cagion gli ne desse ella,
Che d'esser troppo accorta e troppo bella.
i
CANTO QOABANTBSIMOTEBZO. 443
74 Nella città medesma on cavaliero
Era d' antiqua e d' onorata gente ,
Che discendea da quel lignaggio altiero
Gh' usci d' una mascella di serpente ;
Onde già Manto, e chi con essa fero
La patria mia, dìsceser similmente.
Il cavalier, eh' Adonio nomìnosse,
Di questa bella donna innamorosse:
75 E per venire a fin di questo amore,
A spender cominciò senza ritegno
In vestire 9 in conviti, in farsi onore.
Quanto può farsi un cavalier più degno.
Il tesor di Tiberio imperatore
Non saria stato a tante spese al segno.
Io credo ben che non passar duo verni,
Ch' egli usci fuor di tutti i ben paterni.
76 La casa eh' era dianzi frequentata
Mattina e sera tanto dagli amici ,
Sola restò, tosto che fa privata
Di starne, di fagian, di coturnici.
Egli che capo fu della brigata,
Rimase dietro, e quasi fra mondici:
Pensò, poi ch'in miseria era venuto,
D' andare ove non fosse conosciuto.
77 Con questa intenzione una mattina.
Senza far motto altrui, la patria lascia;
E con sospiri e lacrime cammina
Lungo lo stagno che le mura fascia.
La donna che del cor gli era regina,
Già non obblia per la seconda ambascia.
Ecco un' altra avventura che lo viene
Di sommo male a porre in sommo bene.
78 Vede un villan che con un gran bastone
Intorno alcuni sterpi s' affatica.
Quivi Adonio si ferma, e la cagione
Di tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse il villan, che dentro a quel macchione
Veduto avea una serpe mollo antica,
Di che più lunga e grossa a' giorni suoi
Non vide, né credea mai veder poi ;
444 OILANOO FOSIOSO.
79 E che non n voleva ìndi partire,
Che non V avesse rìlrovata e morta.
Come Adonio Io sente cosi dire.
Con poca pazienzia lo sopporta.
Sempre solea le serpi fovorìre ;
Che per insegna fl sangue suo le porta.
In memoria eh' osci soa prima gente
De' denti seminati di serpente.
80 E disse e fece col villano in gaisa.
Che, soo mal grado, abbandonò l' impresa ;
Si che da lai non fa la serpe accisa.
Né più cercata, né allrimenli offesa.
Adonio ne va poi dove s' avvisa
Che sua condìzion sia meno intesa ;
E darà con disagio e con affanno
Fuor della patria appresso al settimo anno.
81 Né mai per lontananza, né strettexia
Del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
Cessa Amor che si gli ha la mano avvezza,
Ch' ognor non li arda il core, ognor impiaghi.
È forza alfin che torni alla bellezza
Che son di riveder si gli occhi vaghi.
Barbato, afflitto, e assai male in arnese,
Là donde era venato, il cammin prese.
82 In questo tempo alla mia patria accade
Mandare ano oratore al Padre santo.
Che resti appresso alla sua Santitade
Per alcun tempo, e non fa detto quanto.
Gettan la sorte, e nel giudice cade.
Oh giorno a lui cagion sempre di pianto I
Fé scuse, pregò assai, diede e promesse
Per non partirsi ; e alfin sforzalo cesse.
83 Non gli parea crudele e duro manco
A dover sopportar tanto dolore.
Che se veduto aprir s' avesse il fianco,
E vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
Per la sua donna, mentre staria fuore,
Lei con quei modi che giovar si crede,
Supplice priega a non mancar di fede ;
CANTO QDARANTESIMOTERZO. 445
. 84 Dicendole eh' a donna né bellezza.
Né nobiltà, né gran fortuna basta,
Si che di vero onor monti in altezza,
Se per nome e per opre non è casta ;
£ che quella virtù vìa più si prezza.
Che di sopra riman quando contrasta ;
£ ch'or gran campo avria, per questa absenza,
Di far di pu€licizia esperienza.
€5 Con tai le cerca ed altr^ assai j^role
Persuader eh' ella gli sìa fedele.
Della dura partita ella si duole.
Con che lacrime, oh Dio! con che querele I
£ giuca che più tosto oscuro il sole
Yedrassi, che gli sia mai si crudele,
Che rompa fede ; e che vorria morire»
Piuttosto eh' aver mai questo desire.
86 Ancor eh' a sue promesse e a suoi scongiuri
Desse credenza e si acchetasse alquanto.
Non resta che più intender non procuri,
£ che materia non procacci al pianto.
Avea uno'amico suo, che dei fuluri
Gasi predir teneva il pregio e '1 vanto;
£ d' ogni sortilegio e magic' arte
0 il tutto, 0 ne sapea la maggior parte.
87 Diégli, pregando, di vedere assunto.
Se la sua moglie, nominata Argia,
Nel tempo che da lei starà disgiunto,
Fedele e casta, o pel contrario fia.
Colui, da prieghi vinto, tolte il punto;
Il ciel 6gura come par che stia.
Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno
A luì per la risposta fa ritorno.
88 L' astrologo tenea le labbra chiuse.
Per non dire al dottor cosa che doglia ;
£ cerca di tacer con molle scuse.
Quando pur del suo mal vede e' ha voglia.
Che gli romperà fede, gli concluse.
Tosto eh' egli abbia il pie fuor della soglia ,
Non da bellezza né da prieghi indotta.
Ma da guadagno e da prezzo corrotta.
u. 58
446 ORLANDO FURIOSO.
89 Giante al timore» al dubbio ch'area prioM^
Queste minacce dei saperni moti,
Come gli stedse il cor io stesso stima.
Se d'amor gK accidenti ti son noti.
E sopra ogni mestizia che 1* opprima,
E che Y aflSitta mente aggiri e annoti,
È '1 saper come. Tinta d' ayarisia.
Per prezza abbia a lasciar sna podicizia.
90 Or per for guanti potea far ripari
Da non lasciarla in queir error oadere
(Perchè il bisogno a dispogliar gli altari
Tra'P Qom talvolta, che se '1 trova avere),
Ciò che tenea di gioie e di danai!
(Che n' avea somma) pose in soo potere:
Rendite e frotti H' ogni possessione ,
E ciò e' ha al mondo, in man tatto le pone :
91 Con facaltade, disse, che ne'tnoi
Non sol bisogni te li goda e spenda,
Ma che ne possi far ciò che ne vuoi.
Li consumi, li getti, e doni e venda.
Altro conto saper non ne vo' poi^
Pur che, qual ti lascio or, tu mi ti renda ;
Pur che, come or tu sei, mi sie rimasa.
Fa eh' io non trovi né poder né casa.
92 La prega che non faccia, se non sente
Ch' egli ci sia , nella d ttà dimora ;
Ma nella villa, ove più agiatamente
Viver potrà d' ogni commercio fuora.
Questo dicea, però che V omil gente.
Che nel gregge o ne' campi gli lavora,
Non gli era avviso che le caste voglie
Contaminar potessero alla moglie.
93 Tenendo tuttavia le belle braccia •
Al timido marito al collo Argia,
E di lacrime empiendogli la faccia,
Ch' un flomicel dagli occhi le n' uscia ;
S'attrista che colpevole la faccia.
Come di fé' mancata già gli sia ;
Che questa sua sospizion procede
Perchè non ha nella sua fede fede.
CINTO QUARAMTESIMOTERZO. 447
9é Troppo sarà s^io voglio ir rimembrando
Ciò eh' al pArlir da tramendua fa detto.
Il mio onor, dic« alfin , ti raccomando :
Piglia licenzia, epartesi in effètto;
E ben si sente veramente, quando
Volge il cavallo, uscire il cor del petto.
*" Ella lo segue, qnai^to seguir puote,
Con gli occhi che le rigano le ^ote.
95 Adonio intanto misero e tapino,
E, come io dìssi^ pallido e barbato,
Verso la patria avea preso il cammino ,
Sperando di non esser conosciuto.
Sul lago giunse alla città vicino,
Là dove avea dato alla biscia aiuto,
Ch'era assediata eùtro la macchia forte
Da quel villan che por la volea a morte.
96 Quivi arrivando in sa V aprir del giorno ,
Gh' ancor splendea nel cielo alcuna stella,
Si vede, in peregrino abito adorno
Venir pel lito incontra una donzella
In signoril sembiante , ancor eh' intorno
Non r apparisse né scudier ne ancella.
Costei con grata vista lo raccolse,
£ poi la lìngua a tal parole sciolse:
97 Sebben ndn mi conosci, o cavaliere,
Son tua parente, e grande obbligo t' aggio :
Parente son, perchè da Cadmo fiero
Scende d' amenduo noi Y alto lignaggio.
Io son la fata Manto, che '1 primiero
Sasso messi a fondar questo villaggio ;
E dal tùìo nome (come ben forge hai
Contare udito) Mantua la nomai.
9S Delle Fate io son una; ed il fatale
Stato per farti anco'saper eh' importe,
Nascemino a un punto, che d' ogni altro male
Siamo capaci , fuorché della morte.
ila giunto è con questo essere immortale
Condizion non men del morir forte ;
Ch' ogni settimo giorno ognuna è certa
Che la sua forma in biscia ai converta.
448 ORLANDO FURIOSO.
99 II vedersi coprir del bratto scoglio,
E gir serpendo, è cosa tanto schiva.
Che non è pare al mondo altro cordoglio ;
Talché bestemmia ogrìana d'esser viva.
£ r obbligo et)' io t' ho (perchè ti voglio
Insieraemente dire onde deriva)
To saprai; che quel 4ì, per esser tali,
Siamo a periglio d' infiniti mali.
dOO Non è si odiato altro animale in terra,
Cooote la serpe; e noi, ohe n'abbiam faccia,
Patimo da ciascuno oltraggio e guerra ;
Che chi ne vede, ne percuote e caccia.
Se non troviamo ove tornar sotterra.
Sentiamo quanto pesa altrui le braccia.
Meglio saria poter morir, che rotte
E storpiate restar sotto le botte.
iOl L'obbligo eh' io t'ho grande, è ch'una v«l(a
Che tu passavi per quesf ombre amene,
Per te di mano fui d' un vìUan tolta ,
Che gran travagli m' avea dati e pene.
Se to non eri, io non andava asciolta.
Ch'io non portassi rotto e capo e schene^
£ che sciancata non restassi e storta,
Sebben non vi potea rimaner morta :
402 Perchè quei giorni che per terra il petto
Traemo avvolte in serpentile scorza.
Il ciel, eh' hi altri tempi è a noi soggetto,
Niega ubbidirci i e prive siam di forza.
In altri tempi ad un sol nostro detto
Il Sol si ferma, e la sua luce ammorza ;
L'immobil terra gira, e muta loco:
S'infiamma il ghiaccio, e si congela il fuoco.
403 Ora io son qui per renderti mercede
Del beneficio che mi fasti allora.
Nessuna grazia indarno or mi si chiede,
Ch' io son del manto viperino fuora.
Tre volle più che di tuo padre erede
Non rimanesti, io ti fo ricco or ora :
Né vo' che mai più povero diventi.
Ma quanto spendi più, che più augumentì.
CANTO QUABÀNTESIMOTERZO. 44^
104 E perchè so che nell' anliqao nodo ,
In che già Amor t' avvinse, anco ti (rovi;
Yoglìoti dimostrar V ordine e '1 modo
Ch' a disbramar tuoi desiderj giovi.
10 voglio, or che lontano il marito odo^
Che senza indugio il mio consiglio provi:
Yadi a trovar la donna che dimora
Fuori alla villa , e sarò teco io ancora.
405 Fi segnitò narrandogli in che guisa
Alla sua donna vuol che s'appresenti;
Dico come vestir, come precìsa-
Mente abbia a dir, come la prieghi e tenti ;
£ che forma essa vuol pigliar, divisa;
Che, fuor che '1 giorno eh* erra tra' serpenti»
In tutti gli altri si può far, secondo
Che più le pare, in quante forme ha il mondo.
106 Messe in abito lui di peregrino,
11 qual per Dio di porta in porta accatti.
Mutossi ella in nn cane, il più piccino
Di quanti mai n' abbia natura fatti :
Di pel lungo, più bianco eh' armellino.
Di grato aspetto e di mirabili atti.
Così trasGgurati, entrare in via
Verso la casa della bella Argia.
i07 E dei lavoratori alle capanne,
Prima ch'altrove, il giovene fermosse,
E cominciò a sonar certe sue canne.
Al cui suono danzando il can rizzosse.
La voce e '1 grido alla padrona vanne,
E fece si, che per veder si mosse.
Fece il romeo chiamar nella sua corte ,
Si come del dottor traea la sorte.
iO& E quivi Adonto a comandare al cane
Incominciò, ed il cane a ubbidir lui;
E far danze nostral, farne d'estrane.
Con passi e continenze e modi sui:
E finalmente con maniere umane
Far ciò che comandar sapea colui,
Con tanta attenzion, che ehi lo mira,
Non batte gli occhi , e appena il fiato spira.
5$-
450 OBLAlfDO FURIOSO.
109 Gran maraviglia » et indi gran desìre
Venne alla donna di quel can gentile ;
E ne & per la balìa profferire
Al canto peregrin prezzo non vile.
S' avessi piò tesor, che mai sitire
Potesse cupidigia femminile.
Colui rispose , non saria mercede
Di comprar degna del mio cane un piede.
110 E per mostrar che veri i detti foro,
Con la balla in un canto si ritrasse,
E disse al cane , eh' una marca d' oro
A quella donna in cortesia donasse.
Scossesi il cane, e vìdesi il tesoro.
Disse Adonio alla balia che pigliasse.
Soggiungendo: Ti par che prezzo sìa,
Per cui si bello ed nlil cane io dia ?
ili Cosa , qnal rùgU sìa, non gli domando.
Di eh' io ne tomi mai con le man vote :
E quando perle, e quando auella, e quando
Leggiadra veste e di gran prezzo scuote.
Pur di a madonna, che fia al suo comando,
Per oro no , eh' oro pagar noi puote ;
Ma se vuol eh' una notte seco io giaccia.
Abbiasi il cane, e '1 suo voler né faccia.
if2 Cosi dice ; e una gemma allora nata
Le dà, eh' alla padrona l' appresentì.
Pare alla balia averne più derrata,
Che di pagar dieci ducati o venti.
Toma alla donna , e le fa l'imbasciata;
£ la conforta poi, che si contenti
D' acquistare il bel cane ; eh' acquistarlo
Per prezzo può, che non si perde a darlo.
113 La bella Argia sta ritrosetta in prima ;•
Parte, che la sua fé' romper non vuole;
Parte, ch'esser possibile non stima
Tutto ciò che ne suonan le parole.
La balia le ricorda, e rode e lima.
Che tanto ben di rado avvenir sqole ;
E fé che 1* agio un altro di sì tolse ,
Che 'I can veder senza tanti occhi volse.
CANTO QUARANTESIMOTERZO. 451
114 Quést' altro comparir eh' Adonio fece,
Fa la ruina e del dottor la morte.
Facea nascer le doble a diece a diece,
Filze di perle, e gemme d' ogni sorte :
Si che ili superbo cor mansuefece,
Che tanto meno a contrastar fa forte.
Quanto poi seppe che costui eh' innante
Gli fa partito, è 'I cavalier suo amante.
fi5 Della puttana sua balia i conforti,
I prieghi deir amante e la presenzia y
II veder che guadagna se V apporti,
Del misero dottor la lunga absenzia.
Lo sperar ch'alcun mai non lo rapporti.
Fero ai casti pensier tal violenzia.
Ch'ella accettò il bel cane, e per mercede
In braccio e in preda al suo amator si diede.
116 Adonio lungamente frutto colse
Della sua bella donna, a cui la fata
Grande amor pose, e tanto le ne volse.
Che sempre star con lei si fa obbligata.
Per tutti i segui il Sol prima si volse,
Ch'ai giudice licenzia fosse data:
Alfìn tornò, ma pien di gran sospetto
Per quel che già l' astrologo avea detto.
117 Fa, ginnto nella patria, il primo volo
A casa dell' astrologo, e gli chiede
Se la sua donna fatto inganno e dolo,
Òppur servato gli abbia amore e fede.
Il sito Ggarò colui del polo,
Ed a tutti i pianeti il luogo diede :
Poi rispose, che quel eh' avea temuto, .
Come predetto fa, gli era avvenuto;
US Che da doni grandissimi corrotta ,
Data ad altri s'avea la donna in preda.
Questa al dottor nel cor fu si gran botta.
Che lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.
Per esserne più certo, ne va allotta
(Benché pur troppo allo indovino creda}
Ov' è la balia, e la tira da parte,
E per saperne il certo usa grand' arte«
462 OBLANDO PaEIOSO.
4i9 Con larghi giri circondando prora
Or qua or là di ritrovar la traccia ;
£ da principio nalla ne ritrova,
Con ogni diligenzia che ne faccia ;
Ch'ella, che non avea tal cosa nuova ,
Stava negando con immobil faccia ;
E come bene inslrulta, più d' an mese
Tra il dubbio e '1 certo il sao patron sospese
HO Quanto dovea parergli il dubbio buono
Se pensava il dolor eh' avria del certo I
Poi eh' indarno provò con priego e dono
Che dalla balia il ver gli fosse aperto,
Nò toccò tasto ove sentisse suono
Altro che falso ; come uom bene esperto,
Aspettò che discordia vi venisse ;
Ch'ove femmine son, son liti e risse.
iti E com'egli aspettò, cosi gli avvenne;
Ch' al primo sdegno che tra loro nacque,
Senza suo ricercar, la balia venne
11 tutto a ricontargli, e nulla tacque.
^ Lungo a dir fora ciò che '1 cor sostenne ,
Come la mente costernata giacque
Dei giudice meschin, che fu si oppresso
Che stette per uscir fuor di so stesso :
422 E si dispose alfin, dall'ira vìnto.
Morir, ma prima uccider la sua moglie :
E che d' amendue i sangui un ferro tinto
Levasse lei di biasmo, e so di doglie.
Nella città se ne ritorna, spinto
Da cosi furibonde e cieche voglie ;
Indi alla villa un suo fidato manda,
E quanto eseguir debba gli comanda.
i23 Comanda al servo, eh' alla moglie Argia
Torni alla villa, e in nome suo le dica
Ch'egli è da febbre oppresso cosi ria,
Che di trovarlo vivo avrà fatica :
Si che, senz'aspettar più compagnia.
Venir debba con luì, s'ella gli ò amica
(Verrà : sa ben che non farà parola) ;
£ che tra via le seghi egli la gola.
CANTO QUÀRÀNtESlMOTERZO. 4S3
124 A chiamar la patrona andò il famìglio.
Per far di lei quanto il signor commesse.
Dato prima al suo cane ella dì piglio,
BAontò a cavallo, ed a cammìn sì messe.
L'avea il cane avvisata del periglio,
Ma che d'andar per questo ella non stesse;
Ch' avea ben disegnato e provveduto
On^p nel gran bisogno avrebbe aiuto.
i2b Levato il servo del cammino s' era ;
E per diverse e solitarie strade
A studio capitò su una riviera
Che d'Apennino in questo fiume cade ;
Ov' era bosco e selva oscura e nera,
Lungi, da villa e lungi da cittade.
Gli parve loco tacito e disposto
Per r effetto crudel che gli fu imposto.
436 Trasse la spada, e alla padrona disse
Quanto commesso il suo signor gli avea ;
Si che chiedesse, prima che morisse,
Perdono a Dio d' ogni sua colpa rea.
Non ti so dir com' ella si coprisse :
Quando il servo ferirla si credea, *
Più non la vide, e molto d' ogn' interno
L' andò cercando, e alfin restò con scorno.
127 Torna al patron con gran vergogna ed onta,
Tutto attonito in faccia e sbigottito;
£ r insolito caso gli racconta,
Gh' egli non sa come si sia segaìto.
Gh' a' suoi servigi abbia la moglie pronta
La fata Manto, non sapea il marito;
Ghè la balia, onde il resto avea saputo,
Questo, non so perchè, gli avea taciuto.
i28 Non sa che far ; che nò V oltraggio grave
Vendicato ha, nò le sue pene ha sceme.
Quel ch'era una festuca, ora è una trave;
Tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.
L' error che sapean pochi, or si aperto bave,
Ghe senza indugio si palesi, teme.
Potea il primo celarsi ; ma il secondo.
Pubblico in breve fia per tutto il mondOt
1
454 ORLANDO FOBIOSO.
^129 Conosce ben che, poichò '1 cor fettone
Avea scoperto il misero centra essa»
Ch' ella, per non tornargli in soggezione,
D'alcan potente in man si sarà messa ;
Il qoal se la terrà con irrisione
Ed ignominia del marito espressa ;
£ forse anco verrà d' alcuno in mano.
Che ne fia insieme adultero e nffi^.
130 Si che, per rimediarvi, in fretta manda
Intorno messi e lettere a cercarne.
Chi 'n quel loco, chi 'n questo ne domanda
Per Lombardia, senza città lasciarne.
Poi va in persona, e non si lascia banda
Ove o non vada o mandivi a spi^ocns:
Nò mai può ritrovar capo nò via
Di venire a notizia che ne sia.
i3i Alfln chiama quel servo, a chi fu inywsta
L' opra crudel che poi non ebbe effetto,
£ fa che lo conduce ove nascosta
Se gli era Argia, si come gli avea detto ;
Che forse in qualche macchia il di reposta,
La notte si ripara ad alena tetto.
Lo guida il servo ove trovar si crede
La folta selva, e un gran palagio vede.
132 Fatto avea farsi alla sua fata intanto
La bella Argia con subito lavoro
D' alabastri un palagio per incanto.
Dentro e* di fuor tutto fregiato d'oro.
Nò lingua dir, nò cor pensar può quanto
Avea beltà di fuor, dentro tesoro.
Quel che iersera si ti parve bello.
Del mìo signor, saria un tugurio a quello.
133 E di panni di razza, e di cortine
Tessute riccamente e a varie foggio.
Ornate eran le stalle e le cantine,
Non sale pur, non pur camere e loggie;
Vasi d' oro e d' argento senza fine.
Gemme cavate, azzurre e verdi e roggie,
£ formate in gran pialli e in coppe e in nappi,
£ senza fin d\oro e di seta drappi.
CANTO QCABANTE8ISI0TBRZ0. 455
•134 II giudice, siccome io vi dicea,
Venne a questo palagio a dar di petto.
Quando né una capanna si credea
Di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per ralla maravigUa che n' avea.
Esser si credea uscito d' intelletto :
Non sapea se foss' ebbro, o se sognasse,
* Oppur se '1 cervel scemo a volo andasse.
izs Vede innanzi alla porta un Etiopo
Con naso e labbri grossi ; e ben gli è avviso
Che non vedesse mai, prima né dopo,
Un éosi sozzo e dispiacevol viso ;
Poi di fattezze, qual si pifige Esopo,
D'attristar, se vi fosse, il paradiso ;
Bisunto e sporco, e.d' abito mendico :
Nò a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
136 Anselmo^, che non vede altro da cui
Possa saper di chi la casa sia,
A lui s' accosta, e ne domanda a lui ;
Ed ei risponde : Questa casa è mia.
11 giudice è ben certo che colui
Lo lieffi , e che gli dica la bugia :
Ma con scongiuri il Negro ad affermare
Gh« sua è la casa, e «h' altri non v' ha a fare ;
137 E gli offerisce, se la vuol vedere,
Che dentro vada, e cerchi come voglia ;
E se v' ha cosa che gli sia in piacere
O per sé o per gli amici, se la teglia.
Diede il riavallo al servo suo a tenere
Anselmo, e messe il pie dentro alla soglia;
E per sale e per camere condotto.
Da basso e d' alto andò mirando il tutto*
d38 La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
Va contemplando, e l'ornamento regio;
E spesso dice : Nop potria quant' oro
t sotto il Sol pagare il loco egregio.
A questo gli risponde il brutto Moro,
E dice: E questo ancor trova il suo pregio:
Se opn d' oro o d' argento, nondimeno
Pagar lo può quel che vi costa meno.
456 OBLAMOO FURIOSO.
i39 E gli fa la medesima richiesta
Ch' avea già AdoDìo alla saa moglie fatta.
Dalla bratta domanda e disonesta.
Persona lo stimò bestiale e matta.
Per tre repulse e quattro egli non resta ;
E tanti modi a persuaderlo adatta,
Sempre offerendo in merito il palagio,
Che fé inchinarlo al sao yoler malvagio.
440 La moglie Argia, che stava appresso ascosa,
Poi che lo ìùde nel sao error caduto,
Saltò fuora gridando : Ah degna cosa
Ch'io veggo di dottor saggio tenuto!
Trovato in si mar opra e viziosa.
Pensa se rosso far si deve e muto.
O terra, acciò ti si gittasse dentro.
Perchè allor non t' apristi insino al centro?
141 La donna in suo discarco^ ed in vergogna
D'Anselmo, il capo gV intronò di gridi.
Dicendo: Come te punir bisogna
Di quel che far con si vii uom ti vidi.
Se per seguir quel che natura agogna.
Me, vìnta a' prieghi del mio amaqie, uccidi,
Ch' era bello e gentile, e un dono tale
Mi fé, eh' a quelAulla il palagio vale?
142 S' io ti parvi esser degna d' una morte,
Conosci che ne sei degno di cento :
E benché in questo loco io sia si forte,
Ch' io possa di te fare il mio talento ,
Pure io non vo' pigliar di peggior sorte
Altra vendetta del tuo fallimento.
Di par r avere e '1 dar, marito, poni ;
Fa, com'io a te, che tu a me ancor perdoni:
143 E sia la pace e sia l' accorda fatto,
Ch' ogni passato error vada in obblio ;
Né eh' in parole io possa mai né in atto
Ricordarti il tuo epror, né a me tu il pio.
Il marito ne parve, aver buon patto.
Né dimostrossi al perdonar restio.
Cosi a pace e concordia ritornarop.
E sempre poi fu T uno ali* altro caro.
CANTO QUARANTESIMOTBBZO. . 457
i44 Coal dì$se il nocchiero ; e mosse a riso
Rinaldo al fin delia saa istoria un poco ;
E diventar gli fece a un tratto il viso,
Per r onta del dottor, come di fuoco.
Rinaldo Argia mollo lodò, eh' avviso
Ebbe d' alzare a quello augello un gioco
Ch' alla medesma rete fé cascallo,
In che cadde ella, ma con minor fallo.
^45 Poi che più in alto il sole il cammin prese,
Fé il paladino apparecchiar la mensa,
Ch' avea la notte il mantuan cortese
Provvista con larghissima dispensa.
Fugge a sinistra intanto il bel paese,
Ed a man destra la palude immensa :
Viene e fuggesì Argenta e '1 suo girone.
Col lite ove Santerno il capo pone.
Uò Allora la Rastia credo non v'era,
Di che non troppo si vantar Spagnuoli
D' avervi su tenuta la bandiera ;
Ma più da pianger n' hanno i Romagnuoli.
E quindi a Filo alla dritta riviera
Cacciano il legno, e fan parer che voli.
Lo volgon poi per una fossa morta,
Ch' a mezzodì presso a Ravenna il porta.
W Renché Rinaldo con pochi danari
Fosse sovente, pur n'avea si allora,
Che cortesia ne fece a' marinari.
Prima che li lasciasse alla buon' ora.
Quindi mutando bestie e cavallari,
A Rimino passò la sera ancora ;
Né in Montefiore aspetta il mattutino,
E quasi a par col Sol giunge in Urbino.
44S Quivi non era Federico allora,
Né Lisabetta, né 'I buon Guido v'era,
Né Francesco Maria, né Leonora,
Che con cortese forza, e non altiera,
Avesse astretto a far seco dimora
Si famoso guerrier più d' una sera ;
Come fer già molti anni, ed oggi fanno
A donne e a cavalier che di là vanno.
Ut S9
158 ORLANDO FURIOSO.
i49 Poiché qoivi alla brìglia alcon noi prende.
Smonta Rinaldo a Cagli alla vìa dritta.
Pel monte che '1 Metaoro o il Gaaoo fende,
Passa Apennino, e più non Tha a man ritta;
Passa gli Ombri e gli Etrosci, e a Roma scende;
Da Roma ad Ostia ; e quindi si tragitta
Per mare alla cìttade a coi commise
Il pietoso figliaol l' ossa d' Anchise.
450 Mota ivi legno, e verso T isoletta
Di Lìpadasa fa ratto levarsi ;
Quella che fa dai combattenti eletta,
Ed ove già stati erano a trovarsi.
Insta Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
Ch' a vela e a remi fan ciò che può farsi ;
Ma i venti avversi, e per lui mal gagliardi,
Lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
151 Giunse eh' appunto il principe d' Anglaote
Fatta avea r utile opra e gloriosa :
Avea Gradasso ucciso ed Agramante,
Ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n' era il figliuol di Monodante ;
£ di grave percossa e perigliosa
Stava Olivier languendo in su V arena,
E del pie guasto avea martire e pena.
152 Tener non potè il conte asciutto il viso.
Quando abbracciò Rinaldo, e che narrolli
Che gli era stato Brandimarte ucciso.
Che tanta fede e tanto amor portelli.
Né men Rinaldo, quando si divìso
Vide il capo all'amico, ebbe occhi molli:
Poi quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier, che sedea col piede rotto.
163 La consolazìon che seppe, tutta
Die lor, benché per sé tor non la possa ;
Che giunto si vedea quivi alle frutta,
Anzi poi che la mensa era rimossa.
Andare i servi alla città distrutta,
£ di Gradasso e d' Agramante V ossa
Nelle ruine ascoser di Riseria,
E quivi divulgar la cosa certa.
CANTO QI7ARANTESIH0TERZ0. 459
454 Della vittoria eh' avea avuto Orlando,
S' allegrò Astolfo e Sansonetto molto ;
Non si però, come avrian fatto, quando
Non fosse a Brandimarte il lame tolto.
Sentir lai morto il gaudio va scemando
Si, che non ponno asserenare il volto.
Or chi sarà di lor, eh' annunzio voglia
A Fiordiligi dar di si gran doglia?
i55 La notte che precesse a questo giorno ,
Fiordiligi sognò che quella vesta
€he, per mandarne Brandimarte adorno,
Avea trapunta e di sua man contesta,
Yedea per mezzo sparsa e d' ogn' intorno
Di goccie rosse, a guisa di tempesta:
Parea che di sua man cosi l' avesse
Ricamata ella, e poi se ne dogliesse.
156 E parea dir : Pur hammi il signor mio
Commesso eh' io la faccia tutta nera :
Or perchè dunque ricamata hoir io
Centra sua voglia in si strana maniera?
Di questo sogno fé giudicio rio ;
Poi la novella giunse quella sera :
Ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,
Ch' a lei con Sansonetto se ne venne.
i57 Tosto ch'entrare, e ch'ella loro il viso
Vide di gaudio in tal vittoria privo,
Senz'altro annunzio sa, senz'altro avviso,
Che Brandimarte suo non è più vivo.
Di ciò le resta il cor cosi conquiso,
£ cosi gli occhi hanno la luce a schivo,
E cosi ogni altro senso se le serra.
Che come morta andar si lascia in terra.
m Al tornar dello spirto, ella alle chiome
Caccia le mani ; ed alle belle gote.
Indarno ripetendo il caro nome.
Fa danno ed onta più che far lor puote :
Straccia i capelli e. sparge; e grida come
Donna talor che '1 demon rio percuote,
0 come s' ode che già a suon di corno
Menade corse, ed aggirossi intorno.
460 OBLANDO FURIOSO.
ih9 Or questo or quel pregando va, che porlo
Le sia un coUel, si che nel cor si fera :
Or correr yaol là dovè il legno in porto
Dei duo signor defanti, arrivato era,
E deir uno e dell' altro cosi morto
Far crudo stràzio, e vendetta aera e fiera:
Or vuol passare il mare, e cercar tanto,
Che possa al suo signor morire accanto.
160 Deh perchè, Brandimarte, ti lasciai
Senza me andare a tanta impresa? (disse]
Vedendoti partir, non fu più mai
Che Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei giovato, sMo veniva, assai,
Ch'avrei tenute in te le luci fisse;
E se Gradasso avessi dietro avuto,
Con un sol grido io t' avrei dato aiuto ;
161 O forse esser potrei stata si presta,
Ch' entrando in mezzo, il colpo t' avrei tdto :
Fatto scudo t' avrei con la mia testa ;
Che morendo io, non era il danno molto.
Ogni modo io morrò ; né fia di questa
Dolente morte alcun profitto colto ;
Che, quando io fossi morta in tua difesa.
Non potrei meglio aver la vita spesa.
162 Se pur ad aiutarti t duri fati
Avessi avuti e tutto il cielo avverso.
Gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,
Almen t' avrei di pianto il viso asperso ;
E prima che con gli angeli beati
Fosse lo spirto al suo Faltor converso.
Detto gli avrei : Va in pace, e là m'aspetta ;
Ch' ovunque sei , son per seguirti in fretta.
163 È questo, Brandimarte, è questo il regno,
Di che pigliar lo scettro ora dovevi?
Or cosi teco a Dammogire io vegno?
Cosi ttel real seggio mi ricevi?
Ah Fortuna crudel, quanto disegno
Mi rompi I oh che speranze oggi mi levil
Deh, che cesso io, poi e' ho perduto questo
Tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto?
CANtO QOAAANtESlMOtERZO. I6i
464 Questo ed altro dicendo, in lei risorse
Il furor con tanto impeto e la rabbia,
Ch' a stracciare il bel crin di nuovo corse,
Come il bel crin tutta la colpa n' abbia.
Le mani insieme si percosse e morse ;
Nel sen si cacciò V ugne e nelle labbia.
Ma torno a Orlando ed a"* compagni, intanto
Ch' ella si strugge e si consuma in pianto.
i65 Orlando, col cognato che non poco
Bisogno avea di medico e di cura ;
Ed altrettanto, perchè in degno loco
Avesse Brandì marte sepoltura ;
Verso il monte ne va, che fa col fuoco
Chiara la notte, e il di di fumo oscura.
Hanno propizio il vento, e a destra mano
Non è quel lito lor molto lontano.
166 Con fresco vento ch'in favor veniva,
Sciolser la fune al declinar del giorno.
Mostrando lor la taciturna diva
La dritta via col luminoso corno;
£ sorser V altro di sopra la riva
Ch' amena giace ad Agrigento intorno.
Quivi Orlando ordinò per l' altra sera
Ciò eh' a funeral pompa bisogno era.
167 Poi che r ordine suo vide eseguito.
Essendo ornai del sole il l^me spento.
Fra molla nobiltà eh' era allo 'nvito
De| luoghi intorno corsa in Agrigento,
D' accesi torchi tutto ardendo '1 lìlo,
E di grida sonando e di lamento,
Tornò Orlando ove il corpo fu lasciato,
Che vivo e morto avea con fede amato.
i6S Quivi Bardin, di soma d'anni grave,
Stava piangendo alla bara funebre.
Che pel gran pianto eh' avea fatto in nave,
Dovria gli occhi aver pianti e le palpebre.
Chiamando il ciel crudel, le stelle prave,
Ruggia come un leon eh' abbia la febre.
Le mani erano intanto empie e ribelle
Ai crin canuti e alla rugosa pelle.
59*
462 ouLANDo Fumoso.
169 Levossi, al ritornar del paladino,
Maggiore il grido , e raddoppiossi il pianto.
Orlando, fatto al corpo più vicino.
Senza parlar stette a mirarlo alquanto y
Pallido come colto al mattutino
£ da sera il ligustro o il molle acanto ;
E dopo un gran sospir, tenendo fisse
Sempre le luci in lui , cosi gli disse :
i70 O forte, 0 caro, o mio fedel compagno,
Che qui sei morto, e so che vivi in cielo,
E d' una vita v' hai fatto guadagno.
Che non ti può mai tor caldo né gielo ,
Perdonami, sebben vedi eh' io piagno;
Perchè d'esser rimase mi querelo,
E eh' a tanta letizia io non son teco;
Non già perchè quaggiù tu non sia meco.
171 Solo senza te son ; né cosa in terra
Senza te posso aver più che mi piaccia.
Se teco era in tempesta e teco in guerra.
Perchè non anco in ozio ed in bonaccia?
Ben grande è '1 mio fallir, poiché mi serra
Di questo fango uscir per la tua traccia.
Se negli affanni teco fui, perch' ora
Non sono a parte del guadagno ancora ?
172 Tu guadagnato, e perdita ho fatto io:
Sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe fati' è del dolor mio
L' Italia , il regno franco e l' alemanno.
Oh quanto, quanto il mio signore e zio,
Oh quanto i paladin da doler s' hanno I
Quanto l' Imperio e la cristiana Chiesa,
Che perduto han la sua maggior difesa !
173 Oh quanto si terrà, per la tua morte »
Di terrore a' nimici e di spavento I
Oh quanto Pagania sarà più forte !
Quanto animo n' avrà, quanto ardimento I
Oh come star ne dee la tua consorte !
Sin qui ne veggo il pianto, e '1 grido sento:
So che m' accusa, e forse odio mi porta.
Che per me teco ogni sua speme è morta«
CANTO QUARANTESlM0tER20. 463
174 Ma, Fiordiligiy almen restì an coDforto
A DOÌ che Siam di Brandimarte privi;
Gh' invidiar lai con tanta gloria morto
Donno tatti i gaerrier eh' oggi 8on vivi.
Qoei Decj, e quel nel roman Foro absorto»
Quel si lodato Cedro dagli Argivi,
Non con più attrai profitto e più sao onore
A morte si donar, del tao signore.
175 Queste parole ed altre dicea Orlando.
Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,
£ tutti gli altri chierci, seguitando
Andavan con lungo ordine accoppiati,
Per l'alma del defunto Dio pregando.
Che gli donasse requie tra' beati.
Luo^ innanzi e per mezzo e d' ognintorno,
Mutata aver parean la notte in giorno.
176 Levan la bara, ed a portarla foro
Messi a vicenda conti e cavalieri.
Purpurea seta la copria, che d'oro
£ di gran perle avea compassi altieri :
Di non men bello e signoril lavoro
Avean gemmati e splendidi origlieri ;
£ giacca quivi il cavalier con vesta
Di color pare, e d'un lavor contesta.
177 Trecento agli altri eran passati innanti,
De' più poveri tolti della terra,
Parimente vestiti tutti quanti
Di panni negri, e lunghi sin a terra.
Cento paggi seguian sopra altrettanti
Grossi cavalli, e tutti buoni a guerra ;
£ i cavalli coi paggi ivano il suolo
Radendo col lor abito di duolo.
178 Molte bandiere innanzi, e molte dietro,
Che di diverse insegne eran dipinte,
Spiegate accompagnavano il feretro ;
Le quai già tolte a mille schiere vinte,
£ guadagnate a Cesare ed a Pietro
Avean le forze eh' or giaceano estinte.
Scudi v'erano molti, che di degni
Guerrier, a chi fur tolti, aveano i segni*
464 ORLANDO FdBtodo.
i79 Veniali cento e cent' altri a diversi osi
Dell'esequie ordinati ; ed avean qnesti.
Come anco il resto, accesi torchi ; e chiosi.
Più che vestiti, eran di nere vesti.
Poi segnia Orlando , e ad or ad or saffasi
Di lacrime avea gli occhi, e rossi e mesti ;
Né più lieto di lui Rinaldo venne :
Il pie Ojivier, che rotto avea, ritenne.
i80 Lungo sarà s' io vi vo' dire in versi
Le cerimonie, e raccontarvi tutti
I dispensati manti oscuri e persi,
Gli accesi torchi che vi furon strutti!
Quindi alla chiesa cattedral conversi.
Dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti ;
Si bel, si buon, si gìovene, a pleiade
Mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
1S1 Fu posto in chiesa ; e poi che dalle donne
Di lacrime e di pianti inutil opra,
E che dai sacerdoti ebbe elelsonne,
E gli altri santi detti avuto sopra.
In un' arca il serbar su due colonne :
E quella vuole Orlando che si cuopra
Di ricco drappo d' òr, sinché reposto
In un sepulcro sia di maggior costo.
iS2 Orlando di Sicilia non si parte.
Che manda a trovar porfìdi e alabastri.
Fece fare il disegno, e di quell'arte
Inarrar con gran premio i miglior mastri.
Fé le lastre, venendo in questa parte.
Poi drizzar Fiordilìgi, e i gran pilastri
Che quivi, essendo Orlando già partito,
Si fé portar dall' africano lito.
iS3 E vedendo le lacrime indefesse,
Ed ostinati a uscir sempre ì sospiri ;
Né, per far sempre dire ufficj e messe.
Mai satisfar potendo a' suoi disiri ;
Di non partirsi quindi in cor si messe,
Finché del corpo l' anima non spiri :
E nel sepolcro fé fare una cella ,
E vi si chiuse, e fé sua vita in quella.
CANTO QUÀRANTESItfOTERZO. 46(S
iSé Oltre che messi e lettere le mande.
Vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia, con pension ben grande
Compagna vuol di Galerana farla :
Quando tornare al padre anco domande»
Sin alla Lizza vuole accompagnarla :
Edificar le vuole un monastero,
Quando servire a Dio faccia pensiero.
«
186 Stava ella nel sepùlcro; e quivi, attrita
Da peiiilenzia, orando giorno e notte.
Non durò lunga età, che di sua vita
Dalla Parca le fur le fila rotte.
Già fatto avean dall' isola partita.
Ove i Ciclopi avean l'antique grotte,
I tre guerrier di Francia, afiOitti e mesti
Che '1 quarto lor compagno addietro restì.
i86 Non volean senza medico levarsi.
Che d' Olivier s' avesse a pigliar cura ;
La qual, perchè a principio mal pigliarsi
Potè, fatt' era faticosa e dura :
E quello odiano in modo lamentarsi,
Che del suo caso avean tutti paura.
Tra lor di ciò parlando, al nocchier nacque
Un pensiero, e lo disse ; e a tutti piacque.
187 Disse eh' era di là poco lontano
In un solingo scoglio uno eremita^
A cui ricorso mai non s' era invano,
O fosse per consiglio o»per aita ;
E facea alcuno effetto soprumano.
Dar lume a ciechi, e tornar morti a vita.
Fermare il vento ad un segno di croce,
E far tranquillo il mar quando è più atroce ;
188 E che non donno dubitare, andando
A ritrovar queir uomo a Dio si ^aro.
Che lor non renda Olivier sano, quando
Fatto ha di sua virtù segno più chiaro.
Questo consiglio si piacque ad Orlando,
Che verso il santo loco si drizzare ;
Né mai piegando dal cammin la prora,
Yider lo scoglio al sorger dell' aurora.
«fOG OBLANDO FURIOSO.
1S9 Scorgendo il legno nomini in acqaa dotti,
Sicuramente s' accostaro a quello.
Quivi aiutando servi e galeotti,
Declinano il marchese nel battello :
E per le spumose onde fur condotti
Nel duro scoglio, et indi al santo ostello;
Al santo ostello, a quel vecchio medesmo,
Per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
190 II servo del Signor del paradiso
Raccolse Orlando ed i compagni suoi»
E benedilli con giocondo viso,
E de* lor casi dimandoUi poi ;
Benché di lor venuta avuto avviso
Avesse prima dai celesti eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
Per ritrovare al suo Oliviero aiuto ;
i9l Ch'era, pugnando per la fé' di Cristo,
A periglioso termine ridotto.
Levògli il Santo ogni sospetto tristo,
E gli promise di sanarlo in tutto.
Né d' unguento trovandosi provvisto,
Né d' altra umana medicina instrutto.
Andò alla chiesa, ed orò al Salvatore ;
Et indi usci con gran baldanza fuore :
192 E in nome delle eterne tre Persone,
Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede
Ad Olivier la sua benedizione»
Oh virtù che dà.Cristo a chi gli crede!
Cacciò dal cavaliero ogni passione,
E ritornògli a sanitade il piede.
Più fermo e più espedito che mai fosse :
E presente Sobrino a ciò trovosse.
193 Giunto Sobrin delle sue piaghe a tanto.
Che star peggio ogni giorno se ne sente.
Tosto elle vede del monaco santo
11 miracolo grande ed evidente.
Si dispon di lasciar Macon da canto,
E Cristo confessar vivo e potente :
E domanda, con cor di fede attrito,
D' iniziarsi al nostro sacro rito.
CANTO QUARAKITESIlirOTBRZO. 467
i94 Cosi Tuom giusto Io battezza, ed anco
Gli rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli altri cavalier non manco
Di tal conversion letizia fero,
Che di veder che liberato e franco
Del periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe ;
£ molto in fede e in devozione accrebbe.
195 Era Ruggier dal di che giunse a nuoto
Su questo scoglio, poi statovi ognora.
Fra quei guerrieri il vecchierel devoto
Sta dolcemente, e li conforta ed óra
A voler, schivi di pantano e loto,
Mondi passar per questa morta gora,
C ha nome vita, che si piace a' sciocchi ;
Ed alle vie del ciel sempre aver gli occhi.
199 Orlando un suo mandò sul legno, e trarne
Fece pane e buon vin, cacio e prosciutti;
E air uom di Dio, eh' ogni sa por di starne
Pose in obblio poi eh' avvezzossi a' frutti ,
Per carità mangiar fecero carne,
E ber del vino, e far quel che fer tutti.
Poi ch'alia mensa consolati foro,
Di molte cose ragionar tra loro.
197 E come accade nel parlar sovente,
Ch' una cosa vien l' altra dimostrando,
Ruggier riconosciuto finalmente
Fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
Per quel Ruggiero in arme si eccellente.
Il cui valor s' accorda ognun lodando :
Né Rinaldo l' avea raffigurato
Per quel che provò già nello steccato.
198 Ben l'avea il re Sobrin riconosciuto.
Tosto che '1 vide col vecchio apparire ;
Ma volse innanzi star tacito e muto,
Che porsi in avventura di fallire.
Poi eh' a notizia agli altri fu venuto
Che questo era Ruggier, di cui l' ardire,
La cortesia, e '1 valor alto e profondo
Si facea nominar per tutto il mondo;
468 ORLANDO FURIOS9.
m E sapendosi già eh' era cristiano ,
Tolti con lieta e con serena faccia
Vengono a lai : chi gli tocca la mano,
E chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli altri il signor di Montalbano
D' accarezzarlo e fargli onor procaccia.
Perch'esso più degli altri, io '1 serbo a dire
Neil' altro Canto, se '1 vorrete odire.
VOTX.
Si. 8. V. 8. — Tomot caduta; da
tomartt cadere col capo ali* ingiù , pre-
cipitare.
St. iO. f. Ò.-^Levarii daila scena
ì panni t metafora tolta dall* aitarsi il
cipario e scuoprire la Mena; e irale ma-
ni/estartt il mio intemo.
Si. 11. <r. 1-6. -> Una eitii vi-
cina ec.t Mantova t circondata da nn
lago formato dal Mincio, che deriva dal
Benaco (lago di Garda) e si scarica in
Po.— Z« mura.., dell' agenoreo draco:
Tebe di Beotia, fabbricata da Cadmo
figlio di ikgenore re di Fenicia. Andava
egli in traccia d* Europa sua sorella, ra-
pita da Giove; e giunto con i suoi com-
pagni in Beosia, trovò quella regione
infestata da un drago; l'uccise, ed
avendone seminati i denti, ne nacquero
uomini armati, cbe Io aiutarono a fab-
bricar la città.
Si. 18. V. 4. ~ Palladei figlia
di Giove, dea della sapienza, dell'arti,
e della guerra.
Si, S3. V, 4-6. — La giovane te^
dea: Elena, figlia di Leda e di Tindaro,
e moglie di Menelao re di Sparta , fa-
mosa per l' avvenenia. — /// gran pu"
sior della montagna Idea t Paride figlio
di Priamo re di Troia; fu allevato dai
pastori reali sul monte Ida, e giudicò la
contesa sulla bellessa fra Venere, Pai.
lade e Giunone, ognuna delle quii, per
averlo propìiio, gli offeriva i pregi di
che poteva disporre.
Si. 88. V. ^^.^Qual già,pef/are
accorto ec. Lcggesi nei romansi della
Tavola Rotonda, cbe Morgana soicila
di Marco re di Cornovaglia , onde mo-
strare ai fratello che la di lui consorte
Ginevra gli avea rotta la fede, fece per
incanto un bicchiere, cbe prodnecva
V eflEètto indicato nei quattro aitimi
▼ersi di questa Starna.
St, Zi,v. i'%.— Signor, qmi presto
una città dijende II Po ec. Ferrara, che
giace dove il Po si divide ne' due rami
di Volano e di Primaro.— -Fin dova il
mar /ugge dal liio e torma s fino alla
spiaggia dell* Adriatico. — > Le reliquie
troiane la fondare ec. Accenna I* opi-
nione allora corrente , che fondatori di
Ferrara fossero i Padovani acampati
dall'eccidio cbe fece Aitila della loro
città, che credevasi fabbricata dal troiano
Antenore.
St. 33. e. 5. -— Nel primo eceerso:
nel primo incontro.
St. 34. V. ò Allutingommi e
mulse: mi lusingò e con blandimenti
mi persuase.
Si. 39. V, S — Trafssa: trafitta.
St, 46. V. Z.'--DonHat padrona,
aignora.
CANTO QUARANTESIMOTERZO.
469
St, 53. p.S^S Melttra,,. Sermi-
de,.. Figarolo e Stellata, castelli sul
Po; l'ultimo di questi sorge là dove
quel fiume si divide in due rami, il de-
stro de' quali, detto Foatello, rade Fer-
rara, fi l'altro sbocca nell'Adriatico col
nome^i Po di Goro.
St. bi.»,d'%,^ll Bondeno i altro
castello sulla confloenaa del Panaro nel
Poatello. — Di Tealdo Ambe le roc
che: qui s'intende un castello, fab-
bricato, secondo il Pigna, da Tedaldo
d' Este sul Poatello, nella estremità oc-
cidentale di Ferrara, circa Tanno 970,
epoca posteriore ai tempi di Carlo Ma-
gno ; ma quest' anacronismo è scusa-
bile in un poema.
.se. 66. V. Z-^,— Air isoletta ec»
Belvedere, piccola isola formata dal Po,
la quale ai tempi del Poeta era luogo di
delizie del duca Alfonso.
SL 67. p. 3«8. — Che settecento
volte che si sia Girata col Monton la
quarta sfera : locusìone che importa
scorsi che sieno 700 anni. La quarta
^era, secondo il sistema di Tolomeo,
è quella del Sole; e l'anno astronomico
comincia all'entrar di quell'astro nel
segno d'Ariete,— odf //a patria di Nau'
sicaa : V isola di Feacia , ora Corfù, ri-
nomata presso gli antichi per la bellezza
dei giardini d'Alcinoo padre di Nausi-
caa, che nf era il sovrano.
St. 68. V. Z'Q.^Qaella sì a Tibe-
rio cara: l'isola di Capri, ultimo ritiro
dell' imperator Tiberio Nerone. — Che
cederian l'Esperide alle piante ec.
Degli orti dell'Esperidi si è dato cenno
nella nota aUa St.Gdel Canto XXXVII.
"^ Nh in mandra Circe ebbe nh in
hara t Circe, figlia del Sole e maga fa-
mosa, convertiva in bestie, e per lo più
in porci, gli uomini che approdavano
nella sua isola. Bara è voce latina che
«ignifica porcile,
St, 69. V, 7-8,^ -E che d'Ercol
fi^liuol «c./intendest il duca Alfonso*
figliuolo d'Ercole I, e padre d'Ercole 1 1.
St, %{,v. ò.-^ A ssorgo : mi levo in
piedi; e dicesi del levarsi io piedi per
rendere onore.
St, 63. V. d^S.'^ Logoro: ordigno
di penne e di cuoio, fatto a modo d'ala,
che serve agli uccellatori, per richiamare
il falcone.^ Pe/ destro corno il destro
ramo prende ecr.Quel ramo ciob del Poa-
tello, che più avanti chiamasi Pò di Pri-
maro, ed h il destro anche rispetto al-
l'altro ramo , detto Vj» di Volano. Vedi
più sopra le note alle St.- 63 e 64. —
San Giorgio: nome di un' isoletta sul
Po. — La torre e della Fossa e di Gai*
tana: due torri costruite sul Po di Pri-
maro, a sei miglia da Ferrara, la prima
a destra, l'altra (ora più non esistente)
a sinistra di^fuel ramo di fiume.
St. 70. f. 6-8.— Che/u in questa
città di gui vicina ec.Mantova, circon-
data dal lago formato dal Mincio, come
si ^ notato pocanzi.
St. 72. V. 4.— Ciò eh* Ulpiano iw
segna. Fu Ulpiano un celebre giurecon-
sulto, ai tempi dell' imperatoni Ales-
sandro Severo.
«$'1.74. if.3-4. — Da quel lignaggio
'altiero Ch' uscì da una mascella di
serpente: dai compaguidi Cadmo, nati,
come s'è Ceduto, dai denti del drago,
o serpente ucciso da quello.
St. 75. V, 6-8. — // tesor di Tibe-
berio imperato^: non Tiberio Nerone,
ma im altro Tiberio che succedette a
Giustino luniore, e che fu doviziosissi-
mo per gli ereditati tesori, per quelli am-
massati da Narsete spogliando l'Italia,
e per altri provenutigK dalle vittorie che
riportò sui Persiani. -~ Uscì fuor di
tutti i ben paterni: gli scialacquò tutti.
St. 79. f. 8. — Z7e' denti seminati
di serpente. Finge il Poeta che gli an-
tenati di Adonio discendessero dai com-
pagni di Cadmo.
St, 87. V, ò.— Tolle il punto: co-
glie il punto acconcio per le osserva-
zioni astrologiche.
St. 100. V. 3. — Patimo: patiamo.
St, 101. i'. 5*6. *- Io non andava
asciolta ChUo non 'portassi rotto ec,
4a
470
ORLANDO FURIOSO.
Io non andava esente dal portar rotto ec
Si, 107. V, 3-8. — Certe sue can-
ne.' ana sampogna compo&ta dt canne.
TI romeo: nome die davasi a chi an-
dava in peUegiinaggio a Roma, e che
poi si estese anche agli altri pellegrini.
*- Traea: per voleva.
SL 109. V.&. — Sitire: qui arden-
temente desiderare.
Si. 114^ V. 2. — La morte : qui
r estrema éÈlaavventnra.
Se, 133. p. 1. -> Panni di rana:
panni che noi diciamo aranti o d'arane
zo, dalla città di Arras in Fiandra» ove
da principio si fabbricarono. Non sarà
fuor di luogo il notar qui , che V edi-
sione deH6i6 legge qneslè verso:
Di tapeti, di razzi e di cortine.
St. 135. V. 5. — Esopo: noto scrit-
tore di favole, ed estremamente defor-
me della persona.
St. 136. V. 7. — Ma con scongiuri
il Negro ad affermare ec. Supplisci
continua, torna, o altro simile.
St, 139. V, 7. — In merito: in ri-
compensa.
St, 144. V. 7. — Cascallo: cascarlo.
St. 145. V. 8. — Col lito ove San»
terno il capo pone: la riva del Po di
Primaru , in cui, sotto Argenta, sbocca
il Santcrno, eh' à il fiume d' Imola.
St. 146. V, 4-7. — / Bomagnuoli:
vedi la St. 53 del Canto III, e l'ana-
loga tkoiz^^— E quindi a Filo: nome di
una villa sulla sinistra del Po di Prìma-
ro, sette miglia sotto Argenta. — Fos-
sa morta : così chiamano un ramo su-
balterno del Po di Primaro, che corre
per dodici miglia fino a Ravenna.
St, 147. V. b'I.-^ Cavallari: gui-
datori di cavalli che si danno a nolo. —
À Rimino passò ec: passò per Rimini
e prosegui per Montefiore. Le prime
edixioni leggono Arimino passò, e cosi
meglio spiegano V intendimento del
Poeta, rhe non fa perootlare Rinaldo in
quella città.
St. 148. V, i»8. — Quivi non era
Federico allora ec: Federico' e Gni-
dnbaldo da Monteièltro, Elisabetta sua
moglie, e Francesco Maria della Rove»
re, marito di Leonora Goosaga , duchi
d' Urbino , e spleodidameole ospitali
alle persone distinte.
St. 14». V. 3.8. — Cagli: piccola
città vescovile nell'Urbinate, alle falde
^egli Apennini.— Pe/ monte che '/ Me»
tauro o il Gauno fende: questo monte
è il Furio, nel cui interno, per mesco
di un foro, passa un tratto della strada
postale. Il cardinale Adriano, nella de-
scrisione del viaggio di Giulio II, lo
chiama Forulum- Il Metauro è fiume
dell'Urbinate che si confonde col Ganno^
fiumicello di cui forse ora si è perduto
il nome. — Gli Ombrie gli Etrusci:
il paese abitato una volta dagli Umbri e
dagli Etruschi, che ora h parte degli
Stati del papa nello Spoletino, nel
Perugino, e nel cosi deito Patrimonio
di San Pietro. — Ostia: alla foce del
Tevere ; già florida città quando era il
porto di Roma, ora quasi totalmente
distrutta e abbandonata all'aria VM^i^^
na.^-Alla cittade a cui commise ec.
Trapani in Sicilia, ove Enea lece sep-
pellire l'ossa di suo padre Anchise. Ve-
di il III àeW Eneide, verso la fine.
SL 158. V. 8. — Menade: nome co-
mune alle Baccanti o sacerdotesse di
Bacco, che ne celebravano i notturni mi-
steri correndo furiose, e agitandosi a
suon di corni e di altri istromenli.
St. 161. V. b. — Ogni modo: ad
ogni modo.
St. 163. V. 3. — Dammogire:
città capitale del Tegno di Brandimarte.
Vedasi 1' Orlando innamorato del
Boiardo, Lib.'ll, Canio XI.
St. 165. V. 5. — Ferso il monte...
che fa col fuoco Chiara la notte ec:
l'Elna o Mongibello, montagna vulca-
nica dì Sicilia.
St. ili. V, 6-6. — Quei Decj: due
Immani , pa^jre e figlio , che votaron&i
agli Dei per la salute del popolo, espo-
nendosi aHa morte. — Qttel nel roman
CANTO QUÀRANTESIMOTEBZO.
471
Foro absortot Guriio, che per salvare
I3 patria tt gettò io una voragine apcl^
tasi nel Foro di Roina.^QMe/ sì iodato
Codro, ultimo re di Atene, il quale per
amore dellp liberili della Grecia si fece
Tolontariamente uccidere dai nemici.
St, i76. ¥. 4. — Compassi altierit
coràpartirocntiy o lavori a disegno ma-
gnifico. '
Si, 179. 9. 5. — Suffiisii bagnati.
StA%i.v. 1-3 Di lacrime e di
pianti ec! allude al costuaae antico di
prenolflr donoc a piangere nei funerali.
~— Eteisonnet il salmo Misererò, che
comincia in 'greco con la parola elei»
sonarne,
St, iSS. «^.4. — /narrar/ propria-
mente, impegnare con^caparraj qui
semplicemente impegnare.
StA%k. V, 4-6. — Gn/erana f nome
che gH antichi rotta n«i danno alla mo-
glie di Carlo Magno.— Zizza: antica-
mente detta Laodicea ad mare, ora
Latahia, Vedi le note alle St. 94 del
Canto XVII, e 74 del Canto XVIII.
4^^. 186. V, Uò.—Jttrita: indebo.
lita, consunta. — Già fatto avean dal"
l'isola partita. L'edizione del ^416 e
altre leggono/a <fo aveaj ma sembra er-
rore di stampa.
' St. 189. V. 1.^ Uomini in acqua
dotti i esperti marinaj.
St. 190. ♦'.6 Dai celesti eroi:
dai Santi del cielo.
i^t. i92. V, 6.— Ogni passione:
ogni patimento, ogni dolore.
St. 195. V. 6. — Morta gora: cosi
chiamò Dante n«irVIII dell' /it/èrno
k torbida palude Stigia: qui il Poeta
trasporta questo concetto a significare la
vita mortale, in cui Tuomo e aoggetto
a contaminarsi di tante scziure.
CASSTO QfJARASfTESinOQIJARXO.
Slringonsi i cinque guerrieri in fraterna amicìzia ; e Rinaldo per la stima che fa
di Ruggiero, e pei conforti del buon romito, gli promette Bradamante in con-
sorte. Vanno quindi a Marsilia, dove contemporaneamente arriva Astolfo, che
ha licenziati gu i Nttbj,e rendula U flotta al primo essere di foglie. I paladini
e Sobnno sono accolti magnificamente da Carlo in Parigi; ma quel gaudio e
turbato dal dissenso del duca Amone e di Beatrice all'unione di Ruggiero con
Bradamante, da loro fidanzata a Leone, figlio delP imperator greco. Armasi
Ruggieroi-e pieno d'odio contro Leone, si reca al campo de' Bulgari, che hanno
guerra co' Greci. Sconfigge questi ultimi, poi va ad alloggiare in una terra da
lui non conosciuta per soggetta al greco impero; ed ivi è denunziato come
autore del disastro sofferto dai Greci.
1 Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,
Nelle calamitadì e nei disagi,
Meglio s' aggiangon d' amicizia i petti,
Che fra ricchezze invidiose ed agi
Delle piene d' insidie e di sospetti
Corti regali e splendidi palagi,
Ove la caritade è in (uttp estinta,
Né si vede amicizia se non finta.
472 ORLANDO FUBIOSO.
2 Quindi avvien che tra princìpi e signori
Patti e convenzion sono si frali.
Fan lega oggi re, papi e imperatori ;
Doman saran nimici capitali :
Perchè, qual 1* apparenze esteriori,
Non hanno i cor, non han gli animi tali ;
Che, non mirando al torto più ch'ai dritto,
Attendon solamente al lor profitto.
3 Questi, quantunque d'amicizia poco
Siene capaci, perchè non sta quella
Ove per cose gravi, ove per giuoco
Mai aenza finzion non si favella ;
Por, se talor gli ha tratti in omìl loco
Insieme una fortuna acerba e fella,
In poco tempo vengono a notizia
(Quel che in molto non fer) dell' amicizia.
4 II santo vecchiarel nella sua stanza
Giunger gli ospiti suoi con nodo forte
Ad amor vero meglio ebbe possanza,
Gh' altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza,
€he non si sciolse mai fin alla morte.
Il vecchio li trovò tutti benigni.
Candidi più nel cor, che di fuor cigni.
6 Trovolli tutti amabili e cortesi.
Non della iniquità eh' io v* ho dipinta
Di quei che mai non escono palesi ,
Ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s' eran per addietro offesi
Ogni memoria fu tra loro estìnta :
E se d' un ventre fossero e d' un seme.
Non si potrìano amar più tutti insieme.
6 Sopra gli altri il signor di Montalbano
Accarezzava e riveria Ruggiero ;
Si perchè già l' avea con l' arme in mano
Provato quanto era animoso e fiero ;
SI per trovarlo affabile ed umano
Più che mai fosse al mondo cavaliere :
Ma molto più, che da diverse bande
Si conoscea d' avergli obbligo grande.
CANTO QDABANTESIMOQUÀRTO. 473
7 Sapea che di gravissimo periglio
Egli avea liberato Ricciardetto,
Quando il re ispano gli fé dar di piglio,
£ con la figlia prendere nel letto ;
£ eh' avea tratto V uno e l' altro figlio
Del duca Buovo, com' io v'ho già detto,
Di man dei Saracinì e dei malvagi
Ch' eran col maganzese Bertolagì.
S Questo debito a lui parea di sorte,
Gh' ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
£ gli ne dolse e gli ne 'ncrébbe forte,
Che prima non avea potuto farlo.
Quando era l'un nell'africana corte,
£ r altro alli servigi era di Carlo.
Or che fatto Cristian quivi lo trova,
Quel che non fece prima, or far gli giova.
9 Profierte senza fine, onore e festa
Fece a Ruggiero il paladin cortese.
Il prudente eremita, come questa
Benivdenzia vide, adito prese.
£ntrò dicendo : A fare altro non resta
(£ lo spero ottener senza contese),
Che come l'amicizia è tra voi fatta.
Tra voi sia ancora affinità contratta ;
iO Acciò che delle due progenie illustri.
Che non han par di nobiltade al mondo.
Nasca un lignaggio che più chiaro lustri
Che '1 chiaro Sol, per quanto gira a tondo ;
£ come andran più innanzi ed anni e lustri.
Sarà più. bello, e durerà (secondo
Che Dio m'inspira, acciò eh' a voi noi celi)
Finché terran l' usato corso i cieli.
11 £ seguitando il suo parlar più innante,
Fa il santo vecchio si, che persuade
Che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante ;
Benché pregar né l' un nò l' altro accade.
Loda Olivier col principe d' Anglante,
Che far si debba questa afiìnitade :
11 che speran ch'approvi Amone e Carlo,
£ debba tutta Francia commendarlo.
40*
474 ORLANDO Fumoso.
i2 Cosi dicean; ma non sapean eh* Amone,
Con voluntà del figlio di Pipino,
N' avea dato in quei giorni intenzione
All' ìmperator greco Costantino,
Che glie le domandava per Leone
Suo figlio, e saccessor nel gran domino.
Se n'era, pel valor che n'avea inteso,
Senza vederla, il giovinetto acceso.
i3 Risposto gli avea Amon, che da sé solo
Non era per concludere altramente,
Né pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, dalla corte allora assente ;
11 qual credea che vi verrebbe a volo,
E che di grazia avria si gran parente :
Pur, per molto rispetto che gli avea,
Risolver senza lui non si volea.
14 Or Rinaldo lontan dal padre, quella
Pratica imperiai tutta ignorando ,
Quivi a Ruggier promette la sorella,
Di suo parere e di parer d' Orlando ,
E degli altri eh' avea seco alla cella, >
Ma sopra tutti l' eremita instando :
E crede veramente che piacere
Debba ad Amon quel parentado avere.
45 Quel di e la notte, e del seguente giorno
Steron gran parte col monaco saggio.
Quasi obbliando al legno far ritorno,
Benché il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
Increscea omai, mandar più d'un messaggio,
Che si li stimolar della partita,
Ch' a forza li spiccar dall' eremita.
16 Ruggier che stato era in esilio tanto,
Né dallo scoglio avea mai mosso il piede,
Tolse licenzia da quel mastro santo,
Ch' insegnata gli avea la vera Fede.
La spada Orlando gli rimesse accanto.
L'arme d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
Si per mostrar del suo amor segno espresso,
Si per saper che dianzi erano d' esso.
CANTO QUABANTBSIMOQUARTO. 475
i7 E qaantonqae miglior nell* incantata
Spada ragione avesse il paladino,
Che con pena o travaglio già levata
L'avea dal formidabile giardino,
Che non avea Ruggiero, a coi donata
Dal ladro fo, che gli die ancor Frontino ;
Par volentier glie le donò col resto
Dell'arme, tosto che ne fa richiesto:
18 Far benedetti dal vecchio devoto,
E sai navilio al6n si ritornaro.
I remi air acqua, e dier le vele al Noto ;
£ fu lor si sereno il tempo e chiaro.
Che non vi bisognò priego né voto.
Finché nel porto di Marsilia entrare.
Ma quivi stiano tanto, ch'io conduca
Insieme Astolfo, il glorioso duca.
i9 Poi che della vittoria Astolfo intese,
Che sanguinosa e poco lieta s' ebbe ;
Vedendo che sicura dall' offese
D'Africa oggimai Francia esser potrebbe >
Pensò che '1 re de' Nobj in suo paese
Con r esercito suo rimanderebbe.
Per la strada medesima che tenne
Quando centra Biserta se ne venne.
20 L'armata che i pagan roppe nell'onde.
Già rimandata avea il figliuol d' Uggiero ;
Di cai, nuovo miracolo, le sponde
(Tosto che ne fu uscito il popol nero)
E le poppe e le prore mutò in fronde ,
E ritornoUe al suo stato primiero ;
Poi venne il vento, e come cosa lieve
Levolle in aria, e fé sparire in breve.
21 Chi a piedi e chi in arcion, tutte partita
D' Afriba fer le nubiane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
Grazia al Senape ed immortale avere,
Che gli venne in persona a dare aita
Con ogni sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo lor neir uterino claustro
A portar diede il fiero e turbido Austro.
476 ORLANDO FDRIOSO.
22 Negli olri, dico, il vento die lor chiaso,
Gh' uscir di mezzodì saol con tal rabbia,
Che maoYe a guisa d' onde, e leva in suso,
£ rota fin in ciel i' arida sabbia ;
Acciò se Io portassero a lor nso,
Che per cammino a far danno non abbia ;
E che poi, giunti nella lor regione.
Avessero a lassar fuor di prigione.
33 Scrive Torpino, come foro ai passi
Dell'alto Atlante, che i cavalli loro
Tutti in un tempo diventaron sassi ;
Si che, come venir, se ne tornoro.
Ma tempo è omai eh' Astolfo in Francia passi ;
E cosi, poi che del paese moro
Ebbe provvisto ai luoghi principali ,
Ali* Ippogrifo suo fé spiegar l' ali.
24 Volò in Sardigna in un batter di penne,
E di Sardigna andò nel lito Corso ;
E quindi sopra il mar la strada tenne ,
Torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Nelle maremme all' ultimo ritenne
Della ricca Provenza il legger corso,
Dove segui dell' Ippogrifo quanto
Gli disse già V Evangelista santo.
25 Hagli commesso il santo Evangelista,
Che più, giunto in Provenza, non lo sproni;
E eh' air impeto fier più non resista
Con sella e fren , ma libertà gli doni.
Già avea il più basso ciel, che sempre acquista
Del perder nostro, al corno tolti i suoni;
Che muto era restato, non che reco.
Tosto eh' entrò '1 guerrier nel divin loco.
26 Venne Astolfo a Marsilia, e venne appunto
Il di che v' era Orlando ed Oliviero,
E quel da Montalbano insieme giunto
Col buon Sobrino e col nteglior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
Vietò che i paladini non poterò
Insieme cosi a punto rallegrarsi.
Come in tanta vittoria dovea farsi.
CANTO QUABANTBSIBfOQUARTO. 477
27 Carlo avea di Sicilia avuto avviso
Dei dao re morti, e di Sobrino preso,
E eh* era stato Brandimarte ucciso :
Poi di Ruggiero avea non meno inteso ;
£ ne stava col cor lieto e col viso
D'aver gittate intollerabii peso.
Che gli fn sopra gli omeri si greve,
Che starà un pezzo pria che si rileve.
2S Per onorar costor, eh' eran sostegno
Del santo imperio e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltà del regno
Ad ineontrarli Gn sopra la Senna.
Egli usci poi col suo drappel più degno
Di re e di duci, e con la propria donna,
Fuor delle mura , in compagnia di belle
E ben ornate e nobili donzelle.
29 L' imperator con chiara e lieta fronte,
I paladini e gli amici e i parenti.
La nobiltà, la plebe fanno al conte
Ed agli altri d' amor segni evidenti :
Gridar s' ode Mongrana e Chiaramente.
Si tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero
Al signor loro appresenti&r Ruggiero ;
30 E gli narrar che di Ruggier di Risa
Era figliuol, di virtù uguale al padre.
Se sia animoso e forte, ed a che guisa
Sappia ferir, san citr le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marfìsa,
Le due compagne nobili e leggiadre.
Ad abbracciar Ruggier vien la sorella;
Con più rispetto sta Y altra donzella.
31 L' imperator Ruggier fa risalire.
Ch'era per riverenzia sceso a piede,
E lo fa a par a par seco venire ;
E di ciò eh' a onorarlo si richiede.
Un punto sol non lassa pre|^rire.
Ben sapea che tornato era alla fede ;
Che tosto che i guerrier furo all'asciutto,
Certificato avean Carlo del tutto.
L
478 ORLANDO FURIOSO.
32 GoD pompa trionfai, con festa grande
Tornaro insieme dentro alla cittade,
Che di frondi verdeggia e di ghirlande :
(Coperte a panni son tutte le strade :
Nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,
E sopra e intorno ai vhicitori cade»
Che da verronl e da finestre amene
Donne e donzelle gitlano a man piene.
33 Al volgersi dei canti in varj lochi
Trovano archi e trofei subito fatti,
Che di Bìserta le raine e i fochi
Mostran dipinti, ed altri degni fatti:
Altrove palchi con diversi giuochi,
£ spettacoli e mimi e scenici atti ;
Ed è per tutti i canti il titol vero
Scritto : Ai liberatori deU' impero.
34 Fra il suon d* argute trombe, e di canore
Pifare, e d'ogni musica armonia.
Fra riso e plauso, giubilo e favore
Del popolo eh' a pena vi capia ,
Smontò al palazzo il magno imperatore.
Ove più giorni quella compagnia
Con torniamenti, personaggi e farse,
^ Danze e convili dttese a dilettarse.
35 Rinaldo un giorno al padre fé sapere
Che la sorella a Ruggier dar volea ;
Ch'in presenzia d'Orlando per mogliere,
E d'Olivier, promessa glie Tavea,
Li quali erano seco d' an parere,
Che parentado far non si potea.
Per nobiltà di sangue e per valore.
Che fosse a questo par, non che migliore.
36 Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,
Che, senza conferirlo seco, gli osa
La figlia maritar, eh' esso ha disegno
Che del figliuol di Costantin sia sposa.
Non di Ruggitr, il qual non eh' abbi' regno.
Ma non può al mondo dir : Questa è mia cosa ;
Né sa che nobiltà poco si prezza,
E men virtù, se non v' è ancor ricchezza.
CANTO QUARANTBSlltOQUARTO. 479
37 Ma più d' Amon la moglie Beatrice
Biasma il figliuolo, e chiamalo arrogante ;
E In segreto e in palese contraddice
Che di Raggier sìa moglie Bradamante :
A tutta sua possanza imperatrice
Ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato, che non vuole
Che manchi un iota delle sue parole.
3S La madre, eh' aver crede alle sue voglie
La magnanima figlia, la conforta
Che dica, che piuttosto eh' esser moglie
D' un pover cavalier, vuole esser morta;
Né mai più per figliuola la raccoglie,
Se questa ingiuria dal fratel sopporta:
Nìeghi pur con audacia, e tenga saldo ;
Gbò per sforzar non la sarà Rinaldo.
39 Sta Bradamante tacita, né al detto
Della madre s' arrisca a contraddire ;
Che r ha in tal riverenzìa e in tal rispetto,
Che non potria pensar non V ubbidire.
Dall' altra parte terria gran difetto,
Se quéi che non vuol far volesse dire.
Non vuol, perchè non può; che '1 poco e '1 molto
Poter di sé disporre Amor le ha tolto.
40 Né negar, né mostrarsene contenta
S'ardisce ; e sol sospira, e non risponde:
Poi quando é in luogo ch'altri non la senta,
Yersan lacrime gli occhi a guisa d' onde ;
E parte del dolor, che la tormenta.
Sentir fa al petto ed alle chiome bionde ;
Che r un percuote, e l' altre straccia e frange ;
E cosi parla, e cosi seco piange :
41 Ahimé! vorrò quel che nofl vuol chi deve
Poter del voler mio più che poss' io ?
Il voler di mia madre avrò in si lieve
Stima, eh' io lo posponga al voler mio ?
Deh t qual peccato puote esser sì grieve
A una donzella, qual biasmo si rio,
Come questo sarà, se, non volendo
Chi sempre ho da ubbidir, marito prendo ?
480 ORLANDO FURIOSO.
42 Avrà, misera me 1 danqae possanza
La materna pietà, ch'io t'abbandoni,
O mio Ruggiero? e eh' a nuova speranza,
A desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
Oppur la riverenzia e V osservanza
Ch'ai buoni padri donno i figli buoni»
Porrò da parte, e solo avrò rispetto
Al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?
43 So quanto, ahi lassa 1 debbo far ; so quanto
Di buona figlia al debito conviensi :
10 '1 so ; ma che mi vai, se non può tanto
La ragion, che non possine più i sensi?
S' Amor la caccia e la fa star da canto,
Né lassa eh' io disponga, né eh' io pensi
Di me dispor, se non quanto a lui piaccia ,
E sol, quanto egli detti, io dtea e faccia ?
44 Figlia d' Amone e di Beatrice sono,
E son, misera me! serva d' Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
Spero e pietà, s' io caderò in errore :
Ma s' io offenderò Amer, chi sarà buono
A schivarmi con prieghi il suo furore.
Che sol voglia una di mie scuse udire,
£ non mi faccia subito morire ?
45 Oimè I con lunga ed ostinata prova
Ho cercato Roggier trarre alla Fede ;
Ed hello tratto alfin : ma che mi giova ,
Se '1 mio ben fare in util d' altri cede ?
Cosi, ma non per sé, l'ape rinnova
11 mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir, che mai sia vero
Ch' io pigli altro marito, che Ruggiero.
4d ' S' io ndl^ «arò al mio padre ubbidiente,
Né alla mia madre, io sarò al mio fratello.
Che molto e mollo é più di lor prudente.
Né gli ha la troppa età tolto il cervello.
* E a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando ancora, e per me ho questo e quello:
Li quali duo più onora il mondo e teme.
Che l'altra nostra gente tutta insieme.
i
CANTO QDARANTESIMOQUÀRTO. 481
47 Se questi il fior, se questi ognano stima
La gloria e lo splendor di Chiaramonte ;
Se sopra gli altri ognun gli alza e sublima
Più che non è del piede alla la fronte ;
Perchè debbo voler che di me prima
Amon disponga , che Rinaldo e '1 conte?
Voler noi debbo ; tanto men , che messa
In dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa.
48 Se la donna s' aOllgge e si tormenta ,
Né di Ruggier la mente è più quieta ;
Gh' ancor che di ciò nuova non si senta
Per la città, pur non è a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
La qual fruir tanto suo ben gli vieta,
Poi che ricchezze non gli ha date e regni.
Di che è stata si larga a mille indegni.
49 Di tutti gli altri beni, o che concede,
Natura al mondo, o proprio studio acquista,
Aver tanta e tal parte egli si vede,
Qual e quanta altri aver mai s' abbia vista;
Ch' a sua bellezza ogni bellezza cede ;
Ch' a sua possanza è raro chi resista :
Di magnanimità, di splendor regio
A nessun, più eh' a lui, si debbe il pregio.
50 Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori.
Che, come pare a lui, li leva e dona
(Né dal nome del volgo voglio fuori.
Eccetto Tuom prudente, trar persona;
Che né papi né re né imperatori
Non ne tra' scettro , mitra né corona ;
Ma la prudenzia, ma il giudizio buono,
Grazie che dal ciel date a pochi sono);
iì Questo volgo (per dir quel eh' io vo' dire) ,
Ch'altro non riverisce che ricchezza,
Né vede cosa al mondo che più ammiro ,
E senza, nulla cura e nulla apprezza,
Sìa quanto voglia la beltà, l'ardire.
La possanza del corpo, la destrezza,
La virtù, il senno, la bontà; e più in questo
Di eh' ora vi ragiono, che nel resto.
ù. Ai
482 ORLANDO FOBIOSO.
59 Dicea Ruggier : Se par è Amon disposto
Che la figliuola imperatrice sia.
Con Leon non concluda cosi tosto :
Almen termine un anno anco mi dia;
Ch' io spero intanto che da me deposto
Leon col padre dell' imperio fia ;
£ poi che tolto avrò lor le corone ,
Genero indegno non sarò d' Amone.
53 Ma se fa senza indugio, come ha detto,
Suocero della figlia Costantino ;
S' alla promessa non avrà rispetto
Dì Rinaldo e d' Orlando suo cugino ,
Fattami innanzi al vecchio benedetto,
Al marchese Oliviero, al re Sobrino ;
Che farò? vo' patir si grave torto?
O, prima che patirlo, esser pur morto?
64 Deh che farò? farò dunque vendetta
Centra il padre di lei di quest' oltraggio?
Non miro eh* io non son per farlo in fretta,
0 s' in tentarlo io mi sia stolto o saggio :
Ma voglio presuppor eh' a morte io metta
L'iniquo vecchio, e tutto il suo lignaggio:
Questo non mi farà però contento ;
Anzi in tutto sarà centra al mio intento.
65 E fu sempre il mio intento , ed è, che m' ami
La bella donna, e non che mi sia odiosa:
Ma , quando Amon le uccida, o faccia o trami
Cosa al fratello o agli altri suoi dannosa ;
Non le do giusta causa che mi chiami
Nimico, e più non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbol patire?
Ah non, per Dio : piuttosto io vo' morire.
66 Anzi non vo' morir ; ma ve' che muoia
Con più ragion questo Leone Augusto,
Venuto a disturbar tanta mia gioia ;
Io vo' che muoia egli e '1 suo padre ingiusto.
Elena bella all' amator di Troia
Non costò si, né a tempo più vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio
Ch' al padre e al figlio costi il mio cordogliOi
i
CANTO QUARANTBSIMOQUARTO. 483
67 Può esser, vita mia, che non ti doglia
Lasciare il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà tuo padre far che tu lo teglia »
Ancor eh' avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in timor, eh' abbi piuttosto voglia
D'esser d' accordo con Amen, che meco ;
£ che ti paia assai miglior partito
Cesare aver, eh' un privato uom, marito.
68 Sarà possibil mai che nome regio.
Titolo imperiai, grandezza e pompa,
Dì Bradamante mia l'animo egregio,
Il gran valor, l' alla virtù corrompa
SI, eh' abbia da tenere in minor pregio
La data fede, e le promesse rompa?
Né piuttosto d' Amen farsi nimica.
Che quel che detto m'ha, sempre non dica?
69 Diceva queste ed altre cose molle,
Ragionando fra sé Ruggiero ; e spesso
Le dicea in guisa, ch'erano raccolte
Da chi talor se gli trovava appresso :
Si che il tormento suo più di due volte
Era a colei, per cui pativa, espresso;
A cui non dolea meno il sentir lui
Cosi doler, che i proprj affanni sui.
60 Ma più d' ogni altro duol che le sia detto
Che tormenti Ruggier, di questo ha doglia,
Ch' intende che s' affligge per sospetto
Ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde, acciò si conforti, e che del petto
Questa credenza e questo error si teglia,
Per una di sue fide cameriere
Gli fé queste parole un di sapere :
61 Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
Fin alla morte, e più, se più si puote.
O siami Amor benigno, o m'usi orgoglio,
0 me Fortuna in alto o in basso ruote,
Immobil son di vera fede scoglio
Che d' ogn' intorno il vento e il mar percuote :
Né giammai per bonaccia né per verno
Luogo mutai, né muterò in elerno.
484 ORLANDO FURIOSO.
62 Scarpello si Vedrà di piombo, o lima,
Formare in varie immagini diamante,
Prima che colpo di Fortuna, o prima
Ch' ira d' Amor rompa il mio cor costante ;
E si vedrà tornar verso la cima
Dell' alpe il fiume torbido e sonante.
Che per nuovi accidenti, o buoni o rei.
Faccino altro viaggio ì pensier miei.
63 A voi; Ruggier, tutto il dominio ho dato
Di me, che forse è più eh' altri non crede.
So ben eh' a nuovo principe giurato
Non fu di questa mai la maggior fede ;
50 che né al mondo il più sicuro stato
Di questo, re né imperator possiede :
Non vi bisogna far fossa né torre.
Per dubbio eh' altri a voi lo venga a torre ;
64 Che, senza ch'assoldiate «altra persona,
Non verrà assalto a cui non si resista :
Non é ricchezza ad espugnarmi buona.
Né si vii prezzo un cor gentile acquista ;
Né nobiltà, né altezza di corona ,-
Ch' al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
Non beltà, ch'in lieve animo può assai,
Vedrò, che più di voi mi piaccia mai.
65 Non avete a temer eh' in forma nuova
Intagliare il mio cor mai più si possa :
51 l'immagine vostra si ritrova
Scolpita in lui , eh' esser non può rimossa.
Che '1 cor non ho di cera, é fatto prova ;
Che gli die cento, non eh' una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
Quando all' immagin vostra lo ritrasse.
66 Avorio e gemma, ed ogni pietra dura
Che meglio dall' intaglio si difende.
Romper si può ; ma non eh' altra figura
Prenda, che quella ch'una volta prende.
Non é il mio cor diverso alla natura
Del marmo o d'altro ch'ai ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze ,
Che lo possa sculpir d' altre bellezze.
CANTO OUABANTESIMOQÙÀRTO. 488
67 Soggiunse a qaeste altre parole molte ,
Piene d' amor, di fede e di conforto ,
Da ritornarlo in vita mille volte,
Se stato mille volte fosse morto.
Ma quando più della tempesta tolte
Qaeste speranze esser credeano in porto 9
Da un nuovo turbo impetuoso e scuro
Rispinte in mar, lungi dal lite, furo :
68 Perocché Bradamante, ch'eseguire
Vorria molto più ancor che non ha detto 9
Rivocando nel cor T usato ardire,
£ lasciando ir da parte ogni rispetto ,
8' appresenta un di a Carlo, « dice : Sire»
S* a vostra maestade alcuno effetto
10 feci mai, che le paresse buono,
Contenta sia di non negarmi un dono.
09 E prima che più espresso io le lo chieggia.
Su la real sua fede mi prometta
Farmene grazia ; e vorcò poi che veggia
Che sarà giusta la domanda e retta.
Morta la tu» virtù che dar ti deggia
Ciò che domandf, 0 giovane diletta.
Rispose Carlo; e giuro, sebben parte
Chiedi del regno mio, di contentarle.
70 II don eh' io bramo dall' altezza vostra,
È che non lasci mai marito darme,
Disse la damigella, se non mostra
Che più di me sia valoroso in arme.
Con qualunque mi vuol, prima' 0 con giostra
0 con la spada in mano ho da provarme.
11 primo che mi vinca, mi guadagni:
Chi vinto sìa, con altra s'accompagni.
71 Disse r imperator con viso lieto.
Che la domanda era di lei ben degna ;
E che stesse con l'animo quieto.
Che farà a ponto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto
Si, eh' a notizia altrui tosto non vegna ;
E quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre ali* orecchia.
4r
486 ORLANDO FURIOSO.
79 Li qaali parimente arser di grande
Sdegno contra alla figlia, e di grand' ira;
Che vider ben con queste sne domande,
Gh' ella a Ruggier più eh' a Leone aspira:
E presti, per vietar che non si mando
Questo ad effetto, a ch'ella intende e mira,
La levare con fraudo della corte,
£ la menaron seco a Rocca Forte.
73 Qoest' era una fortezza eh' ad Amene
Donato Carlo avea pochi di innante.
Tra Perpignano assisa e Carcassone,
In loco a ripa il mar molto importante.
Quivi la ritenean come in prigione.
Con pensier di mandarla un di in Levante :
Si eh' ogni modo, voglia ella o non voglia.
Lasci Ruggier da parte, e Leon teglia.
74 La valorosa donna, che non meno
Era modesta, ch'animosa e forte;
Ancorché posto guardia non l'avieno,
E potea entrare e uscir fuor delle porte ;
Pur stava ubbidiente sotto il freno
Del padre: ma patir prigione e morte,
Ogni martire e crudeltà, piuUosto
Che mai lasciar Ruggier, s'avea proposto.
75 Rinaldo, che si vide k sorella
Per astuzia d' Amon tolta di mano,
E che dispor non potrà più di quella,
E eh' a Ruggier l' avrà promessa invano ;
Si duol del padre, e contra lui favella,
Posto il rispetto Glial lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
E di sua figlia a modo suo far vuole.
76 Ruggier, che questo sente, ed ha timore
Di rimaner della sua donna privo,
E che l' abbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo ;
Senza parlarne altrui si mette in core
Di far che muoia, e sia, d'Augusto, Divo;
E tor, se non l'inganna la sua speme.
Al padre e a lui la vita e '1 regno insieme*
1
CANTO QUARANTESIMOQUARTO. 487
77 L' arme che far già del troiano Eltorre,
E poi di Mandricardo, si riveste,
Efa la sella al buon Frontino porre,
E cìmier mata, scudo e sopravveste.
A qaesta impresa non gli piacqae torre
V aquila bianca nel color celeste ;
Ma un candido liocorno, come giglio,
Yuol nello scudo, e '1 campo abbia vermiglio.
78 Sceglie de' suoi scudieri il più fedele,
E quel vuole, e non altri, in compagnia ;
E gli fa commission che non rivele
In alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mesa e '1 Reno, e passa de le
Contrade d' Ostericche in Ungheria ;
E lungo r Istro per la destra riva
Tanto calcica, eh' a Belgrado arriva*
79 Ove la Sava nel Danubio scende,
E verso il mar maggior con lui dà volta.
Vede gran gente in padiglióni e tende
Sotto l'insegne imperiai raccolta;
Che Costantino ricovrare intende
Quella città che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v'è in persona, e '1 figliuof seco
Con quanto può tutto Y imperio greco.
80 Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
E giù fin dove il fiume il pie gli lava,
L' esercito dei Bulgari gli è a fronte ;
E r uno e Y altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il Greco per gittare il ponte.
Il Bulgar per vietarlo armato stava.
Quando Ruggier vi giunse ; e zuffa grande
Attaccata trovò fra le due bande.
81 I Greci son quattro contr' uno, ed hanno
Navi coi ponti da gittar ndl' onda ;
E di voler fiero sembiante fanno
Passar per forza alla sinistra sponda.
Leone intanto, con occulto inganno
Dal fiume discostandosi, circonda
Molto paese, e poi vi torna, e getta
Nell'altra ripa i ponti, e passa in fretta,
488 OttLANDO FURIOSO.
82 E con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(Che non n' avea di venti mila un manco),
Cavalcò lango la riviera, e diede
Con fiero assalto agi' inimici al fianco.
L' imperator, tosto che '1 figlio vede
Sul fiume comparirsi al lato manco.
Ponte aggiungendo a ponte, e nave a nave,
Passa di là con quanto esercito bave.
S3 II capo, il re de' Bulgari Yatrano,
Animoso e prudente e prò* guerriero,
Di qua e di là s' affaticava invano
Per riparare a un impeto si fiero ;
Quando, cingendol con robusta mano
Leon, gli fé cader sotto il destriero;
E poiché dar prigion mai non si volse.
Con mille spade la vita gli toilM.
84 I Bulgari sin qui fatto avean testa ;
Ma quando il lor signor si vider tolto,
E crescer d' ogn' intorno la tempesta.
Voltar le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i Greci, e questa
Sconfitta vede, senza pensar molto,
I Bulgari soccorrer si dispone.
Perch'odia Costantino, e più Leone.
85 Sprona Frontin, che sembra al corso un vento,
£ innanzi a tutti i corridori passa ;
E tra la gente vien, che per spavento
Al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
Centra i nimici, e poi la lancia abbassa;
E con sì fier sembiante il destrier muove,
Che fin nel ciel Marte ne teme e Giove.
86 ' Dinanzi agli altri un cavaliere adocchia.
Che ricamato ael vestir vermiglio
Avea d' oro e di seta una pannocchia
Con tutto il gambo, che parea di miglio;
Nipote a Costai) li n per la sirocchia,
Ma che non gli era men caro che figlio :
Gli spezza scudo e osbergo come vetro,
E fa la lancia un palmo apparir dietro.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO. 480
87 Lascia quel morto, e Balisarda stringe
Verso ano staol che più si vede appresso ;
E contra a questo e contra a quel si spinge,
Ed a chi tronco ed a chi il capo ha fesso :
A chi nel petto, a chi nel fianco tinge
Il brando, e a chi l'ha nella gola messo:
Taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
£ il sangue, come un rio, corre alla valle.
ss Non è, visti quei colpi, chi gli faccia
Contrasto più, cosi n'è ognun smarrito:
Si che si cangia subito la faccia
Della battaglia; che, tornando ardito,
Il petto volge e ai Greci dà la caccia
Il Bulgaro che dianzi era fuggito :
In un momento ogni ordine disciolto
Si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
89 Leone Augusto s'un poggio eminente,
Vedendo i suoi fuggir, s'era ridutto;
E sbigottito e mesto ponea mente
(Perch'era in loco che scopriva il tutto)
Al cavalier eh' uccidea tanta gente.
Che per lui sol quel campo era distrutto ;
E non può far, sebben n' è offeso tanto.
Che non lo lodi, e gli dia in arme il vanto.
90 Ben comprende all' insegne e sopravvesti,
All' arme luminose e ricche d' oro ,
Che, quantunque il guerrier dia aiuto a questi
Nìmici suoi, non sia però di loro.
Stupido mira i soprumani gesti,
E talor pensa che dal sommo eoro
Sia per punire i Greci un angel sceso,
Che tante e tante volte hanno Dio offeso.
91 E come uom d' alto e di sublime core.
Ove r avrian molt' altri in odio avuto,
Egli s'innamorò del suo valore,
Né veder fargli oltraggio avria voluto :
Gli sarebbe per un de' suoi che muore,
Vederne morir sei manco spiaciuto,
E perder anco parte del suo regno.
Che veder morto un cavalier si degno.
490 ORLANDO FURIOSO.
92 Come bambio, sebben la cara madre
Iraconda lo batte e da sé caccia ,
Non ha ricorso alla sorella o al padre,
Ma a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia :
Cosi Leon, sebben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e l'altre gli minaccia.
Non lo può odiar ; perch' air amor più tira
U alto valor, che quella offesa all' ira.
93 Ma se Leon Ruggiero ammira ed ama.
Mi par che duro cambio ne riporte ;
Che Ruggiero odia lui, né cosa brama
Più, che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, ed alcun chiama,
Che glie lo mostri; ma la buona sorte,
E la prudenza dell' esperto Greco,
Non lasciò mai che s' affrontasse seco.
94 Leone, acciò che la sua gente affatto
Non fosse uccisa, fé sonar raccolta;
Ed all' imperatore un messo ratto
A pregarlo mandò, che desse volta,
E ripassasse il fiume ; e che buon patto
N'avrebbe, se la via non gli era tolta:
Ed esso, con non molti che raccolse.
Al ponte ond' era entrato i passi volse.
95 Molti in poter de* Bulgari restaro
Per tutto il monte, e sin al fiume uccìsi;
E vi resta van tutti, se '1 riparo
Non gli avesse del rio tosto divìsi.
Molti cadder dai ponti, e s'affogare ;
E molti, senza mai volgere i visi.
Quindi lontano irò a trovar il guado ;
E molti fur prigion tratti in Belgrado.
96 Finita la battaglia di quel giorno,
Nella qual, poi che il lor signor fu estinto.
Danno i Bulgari avriano avuto e scorno,
Se per lor non avesse il guerrier vinto ,
Il buon guerrier che il candido liocorno
Nello scudo vermiglio avea dipinto ;
A lui si trasson tutti, da cui questa
Vittoria conoscean, con gioia e festa.
CANTO QUARANTESIUOQUARTO. 491
vn Uno il saluta, un altro se gr inchina,
Altri la mano, altri gli bacia il piede:
Ognun, quanto più può, se gli avvicina,
£ beato si tien chi appresso il vede,
E più chi '1 tocca; che toccar divina
E soprannatural cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
Che sia lor re, lor capitan, lor guida.
98 Ruggier rispose lor, che capitano
E re sarà, quel che fia lor più a grado ;
Ma né a baston né a scettro ha da por mano.
Né per quel giorno entrar vuole in Belgrado :
Che, prima the si faccia più lontano
Leone Augusto, e che ripassi il guado,
Lo vuol seguir, né torsi dalla traccia.
Finché noi giunga, e che morir noi faccia ;
99 Che mille miglia e più, per questo solo
Era venuto, e non per altro efletto.
Cosi senza indugiar lascia lo stuolo,
E si volge al cammin che gli vietr detto
Che verso il ponte fa Leone a volo.
Forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per l'orma in tanta fretta.
Che '1 suo scudier non chiama e non aspetta.
100 Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(Fuggir si può ben dir, più che ritrarse),
Che trova aperto e libero il passaggio ;
Poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v' arriva Ruggier, eh' ascoso il raggio
Era del Sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca innanzi, che lucea la luna.
Né mai trova Castel né villa alcuna.
101 Perché non sa dove si por, cammina
Tutta la notte, né d' arcion mai scende.
Nello spuntar del nuovo Sol vicina
A man sinistra una città comprende ;
Ove di star tutto quel di destina.
Acciò r ingiuria al suo Frontino emende,
A cui, senza posarlo o trarglì briglia,
La notte fatto avea far tante miglia.
492 ORLANDO FURIOSO.
i02 Un^iardo era signor di quella terra ,
Saddito e caro a Goslantiiro molto.
Ove avea, per cagion di quella guerra,
Da cavallo e da pie buon numer tolto.
Quivi» ove altrui l' entrata non si serra,
Entra Ruggiero; e v*ò si ben raccolto,
Che non gli accade di passar più avante
Per aver miglior loco e più abbondante.
403 Nel medesimo albergo in su la sera
Un cavalier di Romania alloggiosse,
Che si trovò nella battaglia Gora,
Quando Ruggier pei Bulgari si mosse,
Ed a pena di man fuggite^ gli era.
Ma spaventato più eh' altii mai fosse ;
Si eh' ancor triema, e parglì ancora intorno
Avere il cavalier dal liocorno.
104 Conosce, tosto che lo scudo vede,
Che '1 cavalier che quella insegna porta,
£ quel che la sconfitta ai Greci diede,
Per le cui mani ò tanta gente morta.
Corre al palazzo, ed udienzia chiede.
Per dire a quel signor cosa eh' importa ;
E subito intromesso, dice quanto
lo mi riserbo a dir neir altro Canto.
VOTE.
Su 7. 9. 6*8. — L'uno e l'altro
figlio Dol due* Bttùvo: Malagigi e Vi-
▼iano, figliuoli di Boovo d* Agjitmoate ,
liberati da Ruggiero, com*k detto nel
Canto XXVI.
St, iS. 9.Z iV uvoa daio,^ in-
Un»iono: n'avea fatto promcMa.
St, i7. », '4w— Dal formidabile
giardino t dal giardino di Fallerina. Vedi
la St. S6 del canto XLI, e la nota cor-
riipondenle.
ó'i. 1 8. f». S. •>• JVolo t vento di mei-
ftogioiooi
St, Si. 9. 7-8 Neir uterino eie»'
stro : nel vano dell* otre. Vedi la Sì, 30
del Canto XXXVill Ju*tro : Tento
meridionale, lo atesto che Noto,
St. 25. V. 6-6.— ri pia basso citi,
che sempre acquista Del perder ■•■
stro : il cielo della luna , ove si radnaa
ciò che si perde sulla terra.
St.^. V, 5. — Mongrana e Chiare*
monto f nome delle case a coi apparte-
nevano Orlando e Rinaldo.
St, 34. V, 7. — TorniamamUt ar«
meggiamenti solenni, che si faccTaoo i«
CANTO QUARANTESIMOQUABTO.
493
occasione di pubbliche allegreste. •—
Personaggi: mascherate.— Far.re.* rap-
presentasioni burlesche.
St, 37. e. 8 (/it iofa.* nome di
lettera greca» che, pronnnsiata cosi, vale
niente.
St, 61. p. 2-8. — Ch' altro non
riverisce ee. A togliere V oscnritìi che
incontrar si potesse nel sentimento di
questa Stansa,si crede avvertire (come
altri ancora hanno fatto), potersi to-
gliere il che nel principio del secondo
verso, e leggere:
Questo volgo (per dir quel oV io vo'dire)
Altro non riverisca ec^
ovvero ritener come verbo la e del set-
timo verso, leggendolo
•m«m; è piò in questo ee.;
di modo che s'intenda essere il volgo dis-
posto a far conto delle ricchezse, più in
circostansa di matrimonio, che in altra.
St, 66. V, 6.7 Jiramator di
Troia: a Paride.-^ ^^ Piritoo: figlio
d* Issione; scese ali* inferno insieme eoo
Teseo per rapire Proserpina , ed ivi fu
divorato da Cerbero, cane di Pluto.
St, 61. •». 7 Verno: proceUa,
burrasca.
St 76. •». 6 — E sia, ^Augusto,
Divo / e da Augusto ch'egli è ora, di-
venga Divo. Ironica allusione ai costumi
ch'ebbero i Romani, sotto gl'impera-
tori , di divinissarli dopo la morte.
St, 77. V. 7-8 — Ma un candido
liocorno.., Vuolnello scado, e 'l campo
abbia vermiglio. Illiocorno bianco (ani-
male da un corno solo, altrimenti uni'
corno) in campo rosso fu impresa anti-
camente usata dagli Estensi; e se ne
vedono tuttora le reliquie io qualche
luogo di Ferrara.
St, 78. V. M.—Ostericche: Au-
stria , come si è detto altra volta. —
tsU-o : in oggi Danubio.
cautto QiiARABTTEsiiiooijrariro.
Ruggiero, preso nel sonno da Ungiardo, resta prigioniero di Teodora, sorella
dell* imperator Costantino. Carlo intanto, a richiesta di Bradamante, ha fatto
bandire che chi la vuole in moglie deve battersi con lei, e vincere la pugna.
Leone, che ha concepito amore e stima per Ruggiero, benché noi conosca, lo
trae di prigione, e lo impegna ad assumersi quel duello. Ruggiero, portando
le insegne di Leone, combatte con la donsella. Sopraggiunta la notte , Carlo
fa cessare la pugna, e destina Bradamantc al creduto Leone. Ruggiero accorato
vuole uccidersi; ma presentasi a Carlo Marfisa , e impedisce quel maritaggio.
1 Quanto più sa V iostabil raota vedi
Di Fortuna ire io alto il mìser uomo ;
Tanto più tosto hai da vedergli i piedi
Ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio é Policrate, e il re di
Lidia, e Dionigi, ed altri eh' io non nomo.
Che ruinati son dalla suprema
Gloria in un di nella miseria estrema.
II. 42
494 ORLANDO FURIOSO.
2 Cosi all'incontro, quanto più depresso,
Quanto è più V uom di questa ruota al fondo»
Tanto a quel punto più si trova appresso ,
C ha da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo.
Che r altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Yentidio V hanno mostro
Al tempo antico, e il re Luigi al nostro :
3 II re Luigi , suocero del figlio
Del duca mio; che rotto a Santo Albino»
E giunto al suo nimico nelF artiglio,
A restar senza capo fu vicino.
Scorse di questo anco maggior periglio,
Non molto innanzi, il gran Mattia Corvino.
Poi Tun de' Franchi, passato quel punto,
L' altro al regno degli Ungari fu assunto.
4 Si vede, per gli esempj di che piene
Sono r antiche e le moderne istorie.
Che '1 ben va dietro al male, e '1 male al bene,
£ fin son l' un dell' altro e biasmi e glorie ;
E che fidarsi all' uom non si conviene
In suo tesor, suo regno e sue vittorie ;
Né disperarsi per Fortuna avversa.
Che sempre la sua ruota in giro versa.
6 Ruggier, per la vittoria eh' avea avuto
Di Leone e del padre imperatore,
In tanta confidenzia era venuto
Di sua fortuna e di suo gran valore ,
Che senza compagnia, senz' altro aiuto,
Di poter egli sol gli dava il core.
Fra cento a pie e a cavallo armate squadre ^
Uccider dì sua mano il figlio e il padre.
6 Ma quella che non vuol che si prometta
Alcun di lei, gli mostrò in pochi giorni
Come tosto alzi, e tosto al basso metta,
E tosto avversa e tosto amica torni.
Lo fé conoscer quivi da chi in fretta
A procacciargli andò disagi e scorni.
Dal cavalier che nella pugna fiera
Di man fuggilo a gran fatica gli era.
CANTO QUARAMTESIMOQUINTO. 495
7 Costai fece ad Ungìardo saper come
Qoivì il guerrier eh' avea le genti rotte
Di Costanti no 9 e per molt' anni dome.
Stato era il giorno, e vi staria la notte;
E che Fortuna presa per le chiome,
Senza che più travagli o che più lotte.
Darà al suo re, se fa costui prigione;
Ch' a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
8 Ungiardo dalla gente che, fuggita
Della battaglia, a lui s'era ridulta
( Ch' a parte a parte v' arrivò infinita,
Perch' al ponte passar non potea tutta} ,
Sapea come la strage era seguita,
Che la metà de' Greci avea distratta ;
£ come un cavalier solo era stato,
Ch'un campo rotto, e l'altro avea salvato.
9 £ che sia da sé stesso senza caccia
Venuto a dar del capo nella rete,
Si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
Con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia ;
Poi manda le sue genti chete chete,
£ fa il buon cavalier, eh' alcun sospetto
Di questo non avea, prender nel letto.
iO Accasato Ruggier dal proprio scudo,
Nella città di Novengrado resta
Prigion d' Ungiardo, il più d'ogni altro crudo.
Che fa di ciò maravigliosa festa.
£ che può far Ruggier, poi eh' egli è nudo ,
£d è legato già quando si desta ?
Ungiardo un suo corrier spaccia a staffetta
A dar la nuova a Costantino in fretta.
n Avea levato Costantin la notte
Dalle ripe di Sava ogni sua schiera ;
E seco a Beleticche avea ridotte.
Che città del cognato Androfilo era.
Padre di quello a cui forate e rotte
(Come se state fossino di cera)
Al primo incontro l' arme avea il gagliardo
Cavalier, or prigion del fiero Ungiardo.
496 ORLANDO FOfilOSO.
12 Quivi fortìGcar facea le mura
L'imperatore, e riparar le porte ;
Che de' Bulgari ben non s' assicura ,
Che con la guida d' un guerrier si forte
Non gli faccino peggio che paura,
£ '1 resto ponghin di sua gente a morte.
Or che l'ode prigion, né quelli teme,
Né se con lor sia il mondo tutto insieme.
13 L'imperator nuota in un mar di latte ^
Né per letizia sa quel che si faccia.
Ben son le genti bulgare disfatte,
Dice con lieta e con sicura faccia.
Come della vittoria, chi combatte.
Se troncasse al nimico ambe le braccia,
Certo sarìa ; cosi n' é certo e gode
L'imperator, poiché '1 guerrier preso ode.
14 Non ha minor cagion di rallegrarsi
Del patre il figlio ; eh' oltre che si spera
Di racquistar Belgrado, e soggiugarsi
Ogni contrada che de' Bulgari era.
Disegna anco il guerriero amico farsi
Con beneficj, e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo né Orlando a Carlo Magno
Ha da invidiar, se gli é costui compagno.
15 Da questa voglia é ben diversa quella
Di Teodora, a chi '1 figliuolo uccise
Buggier con l' asta che dalla mammella
Passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin, del quale era sorella.
Costei si gittò a' piedi, e gli conquise
E intenerigli il cor d' alta pietade
Con largo pianto, che nel sen le cade.
i6 Io non mi leverò da questi piedi,
Diss'ella, signor mio, se del fellone
Ch' uccise il mio figliuol non mi concedi
Di vendicare, or che l' abbiam prigione.
Oltre che stato t' é nipote, vedi
Quanto t'amò, vedi quant'opre buone
Ha per te fatto, e vedi s' avrai torto
Di non lo vendicar di chi V ha morto.
CANTO OUARANtESIMOOniNTO. 497
47 Vedi che per pietà del nostro duolo
Ha Dio fatto levar dalla campagna
Questo crudele, e, come augello, a volo
A dar ce l'ha condotto nella ragna,
Acciò in ripa di Stige il mio figliuolo
Molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, signore, e sii contento
Gh' io disacerbi il mio col suo tormento.
i8 Cosi ben piange, e cosi ben si duole,
£ cosi bene ed efficace parla ;
Né dai piedi levar mai se gli vuole
(Benché tre volte o quattro per levarla
Usasse Costantino atti e parole),
Ch' egli é forzato alfin di contentarla :
E cosi comandò che si facesse
Colui condurre, e in man di lei si desse.
49 £ per non fare in ciò lunga dimora,
Condotto hanno il guerrier dal liocorno,
£ dato in mano alla crudel Teodora,
Che non vi fu intervallo più d' un giorno.
Il far che sia squartato vivo,.. e muora
Pubblicamente con obbrobrio e scorno,
Poca pena le pare ; e studia e pensa
Altra trovarne inusitata e immensa.
20 La femmina crudel lo fece porre,
Incatenato e mani e piedi e collo.
Nel tenebroso fondo d' una torre.
Ove mai non entrò raggio d' Apollo.
Fuor eh' un poco di pan muffato, torre
Gli fé ogni cibo, e senza ancor tassello
Duo di talora; e lo die in guardia a tale,
Ch' era di lei più pronto a fargli male.
21 Oh I se d'Amon la valorosa e bella
Figlia, oh se la magnanima Marfisa
Avesse avuto di Ruggier novella,
Ch' in prigion tormentasse a questa ^uìsa ;
Per liberarlo saria questa e quella
Postasi al rischio di restarne uccisa ;
Né Bradamante avria, per dargli aiuto,
A Beatrice o Amon rispetto avuto.
498 ORLANDO FURIOSO.
82 Re Carlo intanto avendo la promessa
A costei fatta in mente, che consorte
Dar non le lascerà, che sia men d'essa
Al paragon deli' arme ardito e forte ;
Questa sua volontà con trombe espressa
Non solamente fé nella sua corte,
Ma in ogni terra al suo imperio soggella ;
Onde la fama andò pel mondo in fretta.
23 Questa condizion contiene il bando :
Chi la Gglìa d' Amon per moglie vuole,
Star con lei debba a paragon del brando
Dall' apparire al tramontar del sole ;
E fin a questo termine durando,
£ non sia vinto, senz' altre parole
La donna da lui vinta esser s' intenda ;
Né possa ella negar che non lo prenda :
24 E che r eletta ella dell' arme dona.
Senza mirar chi sia di lor che chiede.
E lo potea ben far, perch'era buona
Con tutte r arme , o sia a cavallo o a piede.
Amon, che contrastar con la corona
Non può né vuole, alfin sforzato cede;
E ritornare a corte si consiglia.
Dopo molti discorsi, egli e la figlia.
25 Ancor che sdegno e collera la madre
Centra la figlia avea, pur per suo onore
Vesti le fece far ricche e leggiadre
A varie fogge, e di più d' un colore.
Bradamante alla corte andò col padre ;
E quando quivi non trovò il suo amore,
Più non le parve quella corte, quella
Che le solca parer già cosi bella.
26 Come chi visto abbia, l' aprile o il maggio,
Giardin di frondi e di bei fiori adorno,
E lo rivegga poi che '1 Sol il raggio
All'Austro inchina, e lascia breve il giorno,
Lo trova deserto, orrido e selvaggio ;
Cosi pare alla donna al suo ritorno,
Che da Ruggier la corte abbandonata
Quella non sia, eh' avea al partir lasciata.
Canto quabantesimoquinto. .490
27 Domandar non ardisce che ne sia.
Acciò di sé non dia maggior sospetto ;
Ma pon l'orecchia, e cerca tuttavia
Che senza domandar le ne sia detto.
Si sa eh' egli è partito ; ma che via
Pres' abbia, non fa alcan vero concetto:
Perchè partendo ad altri non fé motto ,
Ch' allo scudier che seco avea condotto.
28 Oh come ella sospira I oh come teme»
Sentendo che se n' è come fuggito I
Oh come sopra ogni timor le preme,
Che per porla in obblio se ne sia gito I
Che vistosi Amen centra, ed ogni speme
Perduta mai più d'esserle marito,
Si sia fatto da lei lontano, forse
Cosi sperando dal suo amor disciorse ;
29 E che fatt' abbia ancor qualche disegno.
Per più tosto levarsela dal core,
D' andar cercando d' uno in altro regno
Donna per cui si scordi il primo amore,
Come si dice che si suol d' un legno
Talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier eh' a questo poi succede,
Le dipinge Ruggier pieno di fede ;
so E lei, che dato orecchie abbia, riprende,
A tanta inìqua suspizione e stolta :
E cosi l'un pensier Ruggier difende.
L'altro l'accusa; ed ella amenduo ascolta,
E quando a questo e quando a quel s'apprende,
Né risoluta a questo o a quel si volta.
Pur all' opinion piuttosto corre
Che più le giova, e la contraria abborre.
31 E talor anco, che le torna a mente
Quel che più volte il suo Ruggier le ha detto.
Come di grave error, si duole e pente,
Ch' avuto n' abbia gelosìa e cospetto ;
E come fosse al suo Ruggier presente.
Chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
Ho fatto error, die' ella, e me n'av veggio ;
Ma chi n*é causa, è causa ancor di peggio,
SOO ORLANDO FUBIOSO.
81 Amor n' é causa, che nel cor m' ha impresso
La forma taa cosi leggiadra e bella ;
E posto ci ha V ardir, Y ingegno appresso,
E la virtù di che ciascun favella;
Gh' impossibil mi par, eh' ove concesso
Ne sia il veder, eh' ogni donna e donzella
Non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
Di sciorti dal mio amore, e al suo legarle.
33 Deh avesse Amor cosi nei pensìer miei
Il tuo pensier, come ci ha il viso, scnltol
10 son ben certa che lo troverei
Palese tal, qual io lo stimo occulto ;
E che si fuor di gelosia sarei,
Ch' ad or ad or non mi farebbe insulto;
£ dove a pena or è da me respinta,
Rimarrìa morta, non che rotta e vinta.
34 Son simile air avar, e' ha il cor si intento
Al suo tesoro, e «i ve Y ha sepolto.
Che non ne può lontan viver contento.
Né non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or può, ch'io non ti veggo e sento.
In me, più della speme, il timor molto;
11 qual, benché bugiardo e vano io creda.
Non posso far di non mi dargli in preda.
35 Ma non apparirà il lume si tosto
Agli occhi miei del tuo viso giocondo,
Gontra ogni mia credenza a me nascosto,
Non so in qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
Geme il falso timor sarà deposto
Dalla vera speranza, e messo al fondo.
Deh torna a me, Ruggier, torna, e conforta
La speme che '1 timor quasi m' ha morta l
36 Geme al partir del Sol si fa maggiore
L'ombra, onde nasce poi vana paura;
£ come all' apparir del suo splendore*
Vien meno Y ombra, e '1 timido assicura:
Gosi senza Ruggier sento timore;
Se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh torna a me, Ruggier, deh torna prima
Che '1 timor la speranza in ti^^to opprima!
CANTO QUARANTfiSISIOQClNTO. ($01
37 Come la notte ogni fiammella è viva,
E riman spenta sobito ch'aggiorna;
Così, quando il mio Sol di sé mi priva,
Mi leva incontra il rio timor le corna :
Ma non si tosto all'orizzonte arriva,
Che '1 timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me, deh torna, o caro lume,
E scaccia il rio timor che mi consume !
38 Se '1 Sol si scosta, e lascia ì giorni brevi.
Quanto di bello avea la terra asconde ;
Fremono i venti, e portan ghiacci e nicvi ;
Non canta augel, né fior si vede o fronde :
Cosi, qualora avvìen che da me levi,
O mio bel Sol, le tue luci gioconde.
Mille timori, e tutti iniqui, fanno
Un aspro verno in me più volte V anno.
39 Deh torna a me, mio Sol, torna, e rimena
La desiata dolce primavera t
Sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
La mente mia si nubilosa e nera.
Qual Progne si lamenta, o Filomena
Ch'a cercar esca ai fìgliolini ita era,
E trova il nido voto ; o qual si lagna
Turture c'ha perduto la compagna:
40 Tal Bradamante si dolea, che tolto
Le fosse stato il suo Ruggìer temea ,
Di lacrime bagnando spesso il volto.
Ma più colatamente che potea.
Oh quanto, quanto si dorria più molto.
S'ella sapesse quel che non sapea.
Che con pena e con strazio il suo consorte
Era in prigion, dannato a crudel morte I
41 La crudeltà eh'' usa V inìqua vecchia
Centra il buon cavalier che preso tiene,
E che di dargli morte s' apparecchia
Con nuovi strazj e non usate pene,
La superna Bontà fa eh' all' orecchia
Del cortese fìgliuol di Cesar viene ;
E che gli mette in cor come l' aiuto,
£ non lasci perir tanta virtute.
502 ORLANDO FURIOSO.
42 II cortese Leon, che Roggiero ama
(Non che sappi però che Ruggier sia),
Mosso da quel valor eh* anice chiama,
£ che gli par che sopramano sia,
Molto fra sé discorre, ordisce e trama,
E di salvarlo alfìn trova la via,
In guisa che da lai la zìa crudele
Offesa non si tenga e si querele.
43 Parlò in secreto a chi tenea la chiave
Della prigione; e che volea, gli disse,
Vedere il cavalier pria che si grave
Sentenzia, centra lui data, seguisse.
Giunta la notte, un suo fedel seco ha ve
Audace e forte, ed atto a zuffe e a risse ;
£ fa che '1 castellan, senz' altrui dire
Ch'egli fosse Leon, gli viene aprire.
44 II castellan, senza ch'alcun de' sui
Seco abbia, occultamente Leon mena
Col compagno alla torre ove ha colui
Che si serba all' estrema d' ogni pena.
Giunti là dentro, gettano amendui
Al castellan, che volge lor la schena
Per aprir lo sportello, al collo un laccio,
£ subito gli dan l' ultimo spaccio.
46 Apron la cataratta, onde sospeso
Ai canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso,
Là dove era Ruggier dal Sol nascosto.
Tutto legato, e s' una grata steso
Lo trova, all'acqua un palmo e men discosto.
L'avria in un mese, e in termine più corto.
Per sé, senz'altro aiuto, il luogo morto.
46 Leon Ruggier con gran pietade abbraccia,
E dice : Cavalier, la tua vi r tute
Indissolubilmente a te m' allaccia
Di voluntaria etema servi tute,
£ vuol che più il tuo ben che '1 mio mi piaccia,
Né curi per la tua la mia salute,
£ che la tua amicizia al padre, e a quanti
Parenti io m' abbia al mondo, io metta innanti.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO. 503
47 lo 8011 Leone, acciò ta intenda, figlio
Dì Gostantin, ciie vengo a darti aiuto ,
Come vedi, in persona, con periglio
(Se mai dal padre mio sarà saputo)
D'esser cacciato, o con turbato ciglio
Perpetuamente esser da lui veduto ;
Che, per la gente la qual rotta e morta
Da te gli fu a Belgrado, odio ti porta.
48 E seguitò, più cose altre dicendo
Da farlo ritornar da morte a vita ;
E lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggier gli dice : Io v' ho grazia infinita;
E questa vita, ch'or mi date, intendo
Che sempre mai vi sìa restituita,
Che la vogliate riavere, ed ogni
Volta che per voi spenderla bisogni.
49 Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
E in vece sua morto il guardian rimase ;
Né conosciuto egli nò gli altri furo.
Leon menò Ruggiero alle sue case ,
Ove a star seco tacito e sicuro
Per quattro o per sei di gli persuase ;
Ghò riaver V arme e '1 destrier gagliardo
Gli farla intanto, che gli tolse Ungiardo.
60 Ruggier fuggito, il suo guardian strozzalo
Si trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi questo pensa che sia stato :
Ne parla ognun ; nò però alcun s' appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
Piuttosto si saria, che di Leone;
Chò pare a molti eh' avria causa avuto
Di farne strazio, e non di dargli aiuto.
61 Ri man di tanta cortesia Ruggiero
Confuso si, sì pien di maraviglia,
E tramutato si da quel pensiero
Che quivi tratto l'avea tante miglia.
Che mettendo il secondo col primiero,
Né a questo quel, nò questo a quel simiglia.
Il primo tutto era odio, ira e veneno;
Di pielale è il secondo e d' amor pieno.
1(04 ORLANDO FURIOSO.
02 Molto la nòtte e molto il giorno pensa,
D' altro non cora ed altro non disia,
Che dair obbligazion , che gli avea immensa ,
Sciorsi con pari e maggior cortesia.
Gli par, se tutta sua vita dispensa
In lui servire, o breve o lunga sia,
£ se si espone a mille morti certe.
Non gli può tanto far, che più non merte.
63 Venuta quivi intanto era la nuova
Del bando eh' avea Tatto il re di Francia,
Che chi vuol firadamante, abbia a far prova
Con lei di forza, con spada e con lancia.
Questo udir a Leon si poco giova,
Che se gli vede impallidir la guancia ;
Perchè, come uom che le sue forze ha note,
Sa eh' a lei pare in arme esser non puote.
54 Fra sé discorre, e vede che supplire
Può con r ingegno, ove il vigor sia manco,
Facendo con sue insegne comparire
Questo guerrier, di cui non sa il nome anco,
Che di possanza giudica e d' ardire
Poter star centra a qualsivoglia Franco :
£ crede ben, s'a lui ne dà l'impresa,
Che ne fia vinta Bradamante e presa.
55 Ma due cose ha da far: l'una, disporre
Il cavalier, che questa impresa accetti;
L* altra, nel campo in vece sua lui porre,
In modo che non sia chi ne sospetti.
A sé lo chiama, e '1 caso gli discorre;
£ pregai poi con efficaci delti,
Ch' egli sia quel eh' a questa pugna vegna
Col nome altrui, sotto mentita insegna.
56 L' eloquenzia del Greco assai potea ;
Ma più deir eloquenzia potea molto
L' obbligo grande che Ruggier gli avea,
Da mai non ne dovere essere sciolto :
Sì che quantunque duro gli parea,
£ non possibil quasi ; pur con volto,
Più che con cor giocondo, gli rispose
Ch' era per far per lui tulle le cose.
CANTO QUÀRANTESIMOQOINTO. fi05
57 Benché da fier dolor, tosto che questa
Parola ha detta, il cor ferir si senta.
Che giorno e notte e sempre lo molesta,
Sempre V afQiggè e sempre Io tormenta,
£ vegga la sua morte manifesta ;
Par non è mai per dir che se ne penta;
Che prima eh' a Leon non ubbidire.
Mille volte, non ch'una, è per morire.
58 Ben certo è di morir ; perchè se lascia
La donna, ha da lasciar la vita ancora:
O che r accorerà il duolo e V ambascia ;
O se '1 duolo e l'ambascia non l'accora.
Con le man proprie squarcerà la fascia
Che cinge l' alma, e ne la trarrà fuora ;
Ch'ogni altra cosa più facil gli fia.
Che poter lei veder che sua non sia.
59 Gli è di morir disposto ; ma che sorte
Di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fìngersi men forte,
E porger nudo alla donzella il fianco ;
Che non fu mai la più beala morte.
Che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
Sia di Leon, che l'obbligo non scioglie;
60 Perché ha promesso centra Bradamante
Entrare in campo a singoiar battaglia ;
Non simulare, e farne sol sembiante,
SI che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque starà nel detto suo constante :
E benché or questo or quel pensier l'assaglia,
Tutti gli scaccia, e solo a questo cede,
11 qual r esorta a non mancar di fede.
61 Avea già fatto apparecchiar Leone,
Con licenzia del patre Costantino,
Arme e cavalli, e un numer di persone,
Qual gli convenne, e entrato era in cammino;
£ seco avea Ruggiero, a cui le buone
Arme avea fatto rendere e Frontino :
E tanto un giorno e un altro e un altro andare,
Ch' in Francia ed a Parigi si trovare.
IT. 43
506 OBLANDO FCBIOSO.
6S Non volse entrar Leon nella citiate,
E ì padiglioni alla campagna tese :
E fé il medesmo di per imbasciate.
Che di sua giunta il re di Francia intese.
L' ebbe il re caro ; e gli fa più fiate ,
Donando e visitandolo, cortese.
Della venuta sua la cagion disse
Leone, e lo pregò che V espedisse ;
63 Gh' entrar facesse in campo la donzella
Che marito non vuol di lei men forte ;
Quando venuto era per fare o eh' ella
Moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse l'assunto, e fece quella
Comparir l'altro di fuor delle porte,
Nello steccato che la notte sotto
All' alte mura fu fatto di botto.
64 La notte eh' andò innanzi al terminato
Giorno della battaglia, Ruggiero ebbe
Simile a quella che suole il dannato
Aver, che la mattina morir debbo.
Eletto avea combatter tutto armato «
Perch' esser conosciuto non vorrebbe ;
Nò lancia nò destriero adoprar volse ;
Nò, fuor che '1 brando, arme d' offesa tolse.
65 Lancia non tolse ; non perchò temesse
Di quella d'or, che fu dell' Argalfa,
E poi d'Astolfo a cui costei successe.
Che far gli arcion votar sempre solia ;
Perchò nessun, ch'ella tal forza avesse,
O fosse fatia per negromanzia,
Avea saputo, eccetto quel re solo
Che far la fece, e la donò al figliuolo.
66 Anzi Astolfo e la donna, che portata
L' aveano poi, credean che non l' incanto,
Ma la propria possanza fosse stata.
Che dato loro in giostra avesse il vanto ;
E che con ogni allr' asta eh' incontrata
Fosse da lor, farebbono altrettanto.
La cagion sola, che Ruggier non giostra ,
£ per non far del suo Frontino mostra :
CANTO QUARANTESIMOQCINTO. HO!
67 €hé lo potria la donna facilmente
Conoscer, se da lei fosse veduto ;
Perocché cavalcato» e langamente
In Montalban V avea seco tonato.
Raggier, che solo stadia e solo ha mente
Come da lei non sia riconosciate,
Né vuol Frontin, né vaol cos' altra avere ,
Che di far di sé indizio abbia potere.
68 A questa impresa an' altra spada volle ;
Che ben sapea che centra a fialisarda
Saria ogni osbergo, come pasta, molle;
Ch' alcuna tempra quel furor non tarda :
E tutto '1 taglio anco a quest' altra tolle
Con un martello, e la fa men gagliarda.
Con quest'arme Ruggiero, al primo lampo
Ch' apparve all' orizzonte, entrò nel campo.
69 E per parer Leon, le sopravveste
Che dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso;
E r aquila dell' òr con le due teste
Porta dipinta nello scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
Finzion ; eh' era ugualmente grande e grosso
L'un come l'altro. Appresentossi l' uno;
L' altro non si lasciò veder d' alcuno.
70 Era la voluntà della donzella
Da quesl' altra diversa di gran lunga ;
Che se Ruggier su la spada martella
Per rintuzzarla, che non tagli o punga,
La sua la donna aguzza, e brama eh' ella
Entri nel ferro, e sempre al vivo giunga ;
Anzi ogni colpo si ben tagli e fere.
Che vada sempre a ritrovargli il core.
71 Qual su le mosse il barbaro si vede.
Che '1 cenno del partir focoso attende.
Né qua né là poter fermare il piede ,
Gonfiar le nare, e che le orecchie tende:
Tal r animosa donna, che non crede
Che questo sia Ruggier con chi contende,
Aspettando la tromba, par che fuoco
Nelle vene abbia, e non ritrovi loco.
508 ORLANDO FURIOSO.
72 Qual talor, dopo il tuono, orrido vento
Subito segue, che sozzopra voi ve
L* ondoso mare, e leva in un momento
Da terra fìn al ciel V oscura polve ;
Fuggon le fiere, e col pastor l'armento,
L* aria in grandine e in pioggia si risolve :
Udito il segno la donzella, tale
Stringe la spada, e '1 suo Ruggiero assale.
73 Ma non più quercia antica, o grosso muro
Di ben fondala torre a Borea cede,
Né più all'irato mar lo scoglio duro,
Che d' ogni intorno il di e la notte il fiede ;
Che sotto r arme il buon Rifggier sicuro ,
Che già al troiano Ettor Vulcano diede.
Ceda air odio e al furor che lo tempesta
Or ne' fianchi, or nel petto, or nella testa.
74 Quando di taglio la donzella, quando
Mena di punta ; e tutta intenta mira
Ove cacciar tra ferro e ferro il brando,
Si che si sroghi e disacerbi V ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando;
Quando di qua , quando di là s' aggira ;
£ si rode e si duol che non le avvegna
Mai fatta alcuna cosa che disegna.
75 Come chi assedia una città che forte
Sia di buon fianchi, e di muraglia grossa.
Spesso r assalta, or vuol batter le porte,
Or r alte torri, or atturar la fossa ;
£ pone indarno le sue genti a morte.
Né via sa ritrovar, ch'entrar vi possa:
Cosi molto s' affanna e si travaglia.
Nò può la donna aprir piastra né maglia.
76 Quando allo scudo e quando al buono elmetto,
Quando all' osbergo fa gittar scintille
Con colpi eh' alle braccia, al capo, al petto
Mena dritti e riversi, e mille e mille,
£ spessi più che sul sonante tetto
La grandine far soglia delle ville.
Ruggier sta su l'avviso, e si difende
Con gran destrezza, e lei mai non offènde:
CANTO QDARANTESIMOVtJINTO. 80&
77 Or SÌ ferma, or volteggia, or si ritira,
E con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scado, ed or la spada gira
Ove girar la man nimica vede.
O lei non fere, o, se la fere, mira
Ferirla in parte ove men nuocer crede.
La donna, prima che quel di sMnchine,
Brama di dare alla battaglia fine.
78 Si ricordò del bando, e si ravvide
Del suo periglio, se non era presta;
Che se in on di non prende o non accido
Il suo domandator, presa ella resta.
Era già presso ai termini d'Alcide
Per attuffar nel mar Febo la testa,
Quando ella cominciò di sua possanza
A diffidarsi, e perder la speranza.
79 Quanto mancò più la speranza, crebbe
Tanto più Tira, e raddoppiò le botte;
Che pur quell'arme rompere vorrebbe,
Ch' in tutto un di non avea ancora rotte :
Come colui eh' al lavorio che debbo
Sia stato lento, e già vegga esser notte.
S'affretta indarno, si travaglia e stanca.
Finché la forza a un tempo e il di gli manca.
80 0 misera donzella , se costui
Tu conoscessi, a cui dar morte brami;
Se lo sapessi esser Ruggier, da cui
Della tua vita pendono gli stami ;
So ben ch'uccider te, prima che luì,
Vorresti ; che di te so che più l' ami :
£ quando luì Ruggiero esser saprai,
Di questi colpi ancor, so, ti dorrai.
81 Carlo e moli' altri seco, che Leone
Esser costui credeansi, e non Ruggiero,
Veduto come in arme, al paragone
Di Bradamante, forte era e leggiero;
E, senza offender lei, con che ragione
Difender si sapea, mutan pensiero,
E dicon : Ben convengono amendui ;
Ch'egli è dì lei ben degno, ella di luì.
610 ORLANDO PUaiOSO.
82 Poi che Febo nel mar tutt' è nascoso ,
Carlo, fatta partir qaella battaglia»
Giudica che la donna per suo sposo
Prenda Leon, né ricusarlo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo.
Senz'elmo trarsi, o alleggerirsi maglia,
Sopra un picciol ronzin toma in gran fretta
Ai padiglioni ove Leon V aspetta.
S3 Gittò Leone al cavalier le braccia
Due volte e più fraternamente al coUo ;
£ poi, trattogli Telmo dalla faccia.
Di qua e di là con grande amor baciollo.
Vo', disse, che di me sempre tu faccia
Come ti par ; che mai trovar satollo
Non mi potrai, che me e Io stato mio
Spender tu possa ad ogni tuo disio.
84 Né veggo ricompensa che mai questa
Obbligazion, eh' io t' ho, possi disciorre ;
E non , s' ancora io mi levi di testa
La mia corona, e a te la venghi a porre.
Buggìer, di cui la mente auge e molesta
Alto dolore, e che la vita abborre.
Poco risponde; e l'insegne gli rende.
Che n'avea avute, e '1 suo liocorno prende;
85 E stanco dimostrandosi e svogliato ,
Più tosto che potò da lui levosse ;
Ed al suo alloggiamento ritornato.
Poi che fu mezza notte, tutto armosse ;
E sellato il destrier, senza commiato,
E senza che d' alcun sentito fosse.
Sopra vi salse, e si drizzò al cammino
Che più piacer gli parve al suo Frontino.
S6 Frontino or per via dritta or per via torta,
Quando per selve e quando per campagna
Il suo signor tutta la notte porta.
Che non cessa un momento che non piagna ;
Chiama la morte, e in quella si conforta,
Che l'ostinata doglia sola fragna;
Né vede, altro che morte, chi finire
Possa r insopportabil suo martire.
CANTO QOARÀNtESlMOQUlNtO. 5ii
S7 Di chi mi debbo, oimèi dicea, dolere,
. Che cosi m' abbia a an punto ogni ben tolto?
Deh, s' io non yoT ingiuria sostenere
Senza vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuorché me stesso, altri non so vedere
Che m'abbia offeso, ed in miseria volto.
Io m' ho dunque di me centra a me stesso
Da vendicar, e' ho tutto il mal commesso.
88 Pur quando io avessi fatto solamente
A me r ingiurìa, a me forse potrei
Donar perdon, sebben difficilmente;
Anzi vo' dir che far non lo vorrei :
Or quanto, poi che Bradamante sente
Bieco l'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando. bene a me ancora io perdonassi,
Lei non convlen eh' invendicata lassi.
89 Per vendicar lei dunque debbo e voglio
Ogni modo morir, né ciò mi pesa;
Gh' altra cosa non so eh' al mio cordoglio.
Fuorché la morte, far possa difesa.
Ma sol, eh' allora io non morii, mi doglio,
Che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice, s'io moriva allora
€h' era prigion della crudel Teodora!
90 Sebben m'avesse ucciso, tormentato
Prima ad arbitrio di sua crudeltade,
Da firadamante almeno avrei sperato
Di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella saprà eh' avrò più amato
Leon di lei, e di mia volontade
Io me ne sia, perch'egli l'abbia, privo,
Avrà ragion d' odiarmi e morto e vivo.
91 Qqesto dicendo, e molte altre parole
Che sospiri accompagnano e singulti.
Si trova all' apparir del nuovo sole
Fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti:
E perché é disperato e morir vuole,
B, più che può, che '1 suo morir s' occulti ,
Questo luogo gli par molto nascosto,
£d atto a far quant' ha di sé disposto.
H2 O&LANDO CURIOSO.
92 Entra nel folto bosco , ove più spesse
L' ombrose frasche e più intricate vede ;
Ma Frontìn prima al tutto sciolto messe
Da sé lontano y e libertà gli diede.
O mio Frontin, gli disse, s'a me stesse
Di dare a' merti tuoi degna mercede,
Avresti a quel destrier da invidiar poco
Che volò al cielo, e fra le stelle ha loco.
03 Ciliare, so, non fu, non fu Arione
Di te miglior, né meritò più lode ;
Né alcun altro destrier di cui menzione
Fatta da' Greci o da* Latini s' ode.
Se ti for par neir altre parti buone,
Di questa so eh' alcun di lor non gode,
Di potersi vantar eh* avuto mai
Abbia il pregio e V onor che tu avuto hai ;
94 Poi eh' alla più che mai sia stata o sia
Donna gentile e valorosa e bella
Si caro slato sei, che ti nutria,
E di sua man ti ponea freno e sella.
Caro eri alla mia donna : ah perché mia
La dirò più, se mia non é più quella?
S' io r ho donata ad altri? Óimè, che cesso
Di volger questa spada ora in me stesso?
95 Se Ruggìer qui s'afiQigge e si tormenta,
E le fere e gli augelli a pietà muove
(Gh' altri non é che questi gridi senta ,
Né vegga il pianto che nel sen gli piove).
Non dovete pensar che più contenta
Bradamante in Parigi si ritrovo.
Poiché scasa non ha che la difenda,
0 più l'indugi, che Leon non prenda.
96 Ella, prima eh' avere altro consorte
Che '1 suo Ruggier, vuol far ciò che può farsi;
Mancar del detto suo ; Carlo e la corte,
1 parenti e gli amici inimicarsi :
E quando altro non possa, alfm la morte
O col veneno o con la spada darsi ;
Che le par meglio assai non esser viva,
Che. vivendo, restar di Ruggier priva.
CANTO QUARANTESmoOUlNTO. ^l3
97 Deh, Ruggier mio, dicea, dove sei gitu?
Puote esser che ta sia tanto discosto.
Che tu non abbi questo bando udito,
A nessun altro, fuor eh' a te, nascosto?
Se tu 'i sapessi, io so che comparito
Nessun altro saria di te più tosto.
Misera mei ch'altro pensar mi degglo,
Se non quel che pensar si possa peggio?
98 Come è, Huggier, possibil che tu solo
Non abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso l'hai, né sei venuto a volo,
Come esser può che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
Di Costantin t'avrà alcun laccio teso;
Il traditor t'avrà chiusa la via,
Acciò prima di lui tu qui non sìa.
99 Da Carlo impetrai grazia, eh' a nessuno
Men di me forte avessi ad esser data,
Con credenza che tu fossi queir uno
A cui star centra io non potessi armata.
Fuor che te solo, io non stimava alcuno :
Ma dell' audacia mia m' ha Dio pagata ;
Poiché costui, che mai più non fé impresa
D'onore in vita sua, cosi m'ha presa:
100 Se però presa son , per non avere
Uccider lui né prenderlo potuto ;
11 che non mi par giusto ; né al parere
Mai son per star eh' in questo ha Carlo avuto.
So eh' incostante io mi farò tenere.
Se da quel e' ho già detto ora mi muto ;
Ma né la prima son né la sezzaia.
La qual paruta sia incostante, e paia.
iOl Basti che nel servar fede al mio amante
D' ogni scoglio più salda mi ritrovi,
£ passi in questo di gran lunga quante
Mai furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dicano incostante.
Non curo, pur che l' incostanzia giovi:
Purch'io non sia di costui torre astretta,
Volubil più che foglia anco sia detta.
514 ORLANDO FURIOSO.
idi Queste parole ed altre, chMnterrotte
Da sospiri e da pianti erano spesso,
Seguì dicendo tutta quella notte
Gh' air infelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle cimmerie grotte
Con l'ombre sue Notturno fu rimesso,
Il Giel, ch'eternamente avea voluto
Farla di Ruggier moglie, le die aiuto.
i03 Fé la mattina la donzella altiera
Marfisa innanzi a Carlo comparire,
Dicendo eh' al fratel suo Huggier era
Fatto gran torto, e noi volea patire.
Che gli fosse levata la mogliera.
Né pure una parola glie ne dire :
E centra chi si vuol di provar toglie,
Che Bradamante di Ruggiero è moglie ;
104 E innanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
Quando pur di negarlo fosse ardita :
Ch' in sua presenzia ella ha quelle parole
Dette a Ruggier, che fa chi si marita ;
E con la cerimonia che si suole»
Già si tra lor la cosa è stabilita,
Che più di sé non possono disporre.
Né l'un l'altro lasciar, per altri torre.
105 Marfisa, o '1 vero o '1 falso che dicesse,
Pur lo dicea, ben credo con pensiero.
Perché Leon più tosto interrompesse
A dritto e a torto, che per dire il vero;
E che di volontade lo facesse
Di Bradamante, eh' a riaver Ruggiero,
Ed escluder Leon, né la più onesta
Né la più breve via vedea di questa.
d06 Turbato il re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente ;
E quanto di provar Marfisa ha tolto
Le fa sapere, ed ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
E confusa non niega né consente.
In guisa che comprender di leggiero
Si può che Marfisa abbia detto il vero.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO. 5l5
i07 Piace a Rinaldo, e piace a quel d'Anglante
Tal cosa udir, eh* esser potrà cagione
Che '1 parentado non andrà più innante ,
Che già conchiuso aver credea Leone ;
E pur Buggier la bella Bradamante
Malgrado avrà dell' ostinato Amone ;
£ potran senza lite, e senza trarla
Dì man per forza al padre, a Buggier darla.
108 Che se tra lor queste parole stanno.
La cosa è ferma, e non andrà per terra.
Cosi atterràn quel che promesso gli hanno,
Più onestamente e senza nuova guerra.
Questo è, diceva Amen, questo è un inganno
Centra me ordito ; ma '1 pensier vostro erra :
Ch' ancorché fosse ver quanto voi finto
Tra Voi v' avete, io non son però vinto,
109 Che presupposto (che né ancor confesso.
Né vo' credere ancor) eh' abbia costei
Scioccamente a Buggier cosi promesso,
Come voi dite, e Buggiero^ abbia a lei ;
Quando e dove.fu questo? che più espresso,
Più chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che non è, se non è stato
Prima che Buggier fosse battezzato.
110 ila s' egli ò stato innanzi che cristiano
Fosse Buggier, non vo' che me ne caglia ;
Ch'essendo ella fedele, egli pagano.
Non crederò che '1 matrimonio vaglia.
Non si debbo per questo essere invano
Posto al risco Leon della battaglia;
Né il nostro imperator credo vegli' anco
Venir del detto suo per questo manco.
ili Quel eh' or mi dite, era da dirmi quando
Era intera la cosa, né ancor fatto
A' prieghi di costei Carlo avea il bando
Che qui Leone alla battaglia ha tratto.
Cosi centra Bìnaldo e contra Orlando
Amen dicea, per rompere il contratto
Fra quei duo amanti ; e Carlo stava a udire.
Né per l' un né per l' altro volea dire.
516 ORLANDO FURIOSO.
113 Come si senton, s'Aastro o Borea spira,
Per r alte selve murmarar le fronde ;
0 come soglion, s' Eolo s' adira
Contra Nettano, al lito fremer Tonde:
Cosi an rumor che corre e che s'aggira,
E che per tutta Francia si diffonde,
Di questo dà da dire e da udir tanto,
Gh' ogni altra cosa ò muta in ogni canto.
il3 Chi parla per Rii^gier, chi per Leone ;
Ma la più parte è con Ruggiero in lega :
Son dieci e più per un che n' abhia Amone.
L' imperator né qua né là si piega ;
Ma la causa rimette alla ragione,
Ed al suo parlamento la delega.
Or vien Marfìsa, poi eh' è differito
Lo sponsalizio, e pon nuovo partito ;
iì4 E dice: con ciò sia ch'esser non possa
D' altri costei , finché '1 fratel mìo vive ;
Se Leon la vuol, pur, suo ardire e possa
Adopri si, che lui di vita prive:
E chi manda di lor l'altro alla fossa,
Senza rivale al suo contento arrivo.
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
Come anco intender gli avea fatto il resto.
iìb Leon che, quando seco il cavaliere
Dal liocorno sia, si tien sicuro
Di riportar vittoria di Ruggiero,
Né gli abbia alcun assunto a parer duro ;
Non sappiendo che V abbia il dolor fiero
Tratto nel bosco solitario e oscuro.
Ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
Sia andato a spasso, il mal partito piglia.
416 Ben se ne pente in breve; che colui.
Del qual più del dover si promettea,
Non comparve quel di, né gli altri dui
Che lo seguir, né nuova se n' avea ;
E tor questa battaglia senza lui
Contra Ruggier, sicur non gli parea:
Mandò, per schivar dunque danno e scorno,
Per trovar il guerrier dal liocorno.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO.
ii7 Per cittadi mandò, ville e castella,
D'appresso e da lontan, per ritrovarlo;
Né contento di questo, montò in sella
Egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n'avrebbe avuto già novella.
Né r avria avuta uomo di quei di Carlo,
Se non era Melissa che fé quanto
Mi serbo a farvi udir nell' altro Canto.
517
VOTS.
.ff. i. V. 4-6. — Far.» il tomo t da
tornare, cht vale propriamente cadere
col capo alfingià, — Policrate, e il re
di Lidia, • Dionigi. Il primo era tiranno
di Samo,e celebre per la prosperitli onde
tutte le sue intraprese furono accompa-
gnate i ma pure rimase sconfitto dall' ar-
mata di Dario, e mori appiccato. — Re
di Lidia fu Creso, nominato nella St. 2
del Canto XXXVIII, uomo il più ricco
de' suoi tempi, felice ne' suoi principj,
ma vinto da Ciro. •— Dionigi, tiranno
di Siracusa, vide mutarsi' lo splendore
di sua fortuna nella oscuritli di maestro
di scuola, a cui fu costretto ridursi in
Corinto.
St. J. ¥. 7. — Servio, Mario, Fen-
tidio.VM figlio della schiava Tanaquilla,
narrano le antiche storie, che Servio
diventò re di Roma, succedendo a Tar-
«piinio Prisco.— -JfffWo^ di cui si diede
un eeono nella nota alla St. i del Can-
to XVII, nato in Arpino di basso li-
gnaggio, ebbe sette volte il consolato di
Roma.— Ventidio era schiavo di Slra-
bone, e nondimeno riportò pel primo
il trionfo sui Parti, e fu pretore e con-
sole in Roma.
St. 3. ¥, 1-8.-»// re luifti ee. Parla
del re di Francia Luigi XII, padre di
Renata che fu consorte del duca Alfon-
•o I. Sconfitto e tenuto prigione da |
II.
Carlo Vili, gli successe nel ragno. —
Mattia Corvino, caduto nel sospetto di
aver ucciso un parente del re d' Unghe-
ria Uladislao, fu Ticino ad essere con-
dannato nel capo; ma poco dopo venne
egli stesso gridato re d' Ungheria.
St. 6. V, ì-i.—~Ma quella che non
vuol che si prometta Alcun di tei : la
Fortuna, sempre mutabile.
St, 10. V. 8.— iVoffRgrAtfo.* piccola
città nell'Ungheria superiore, onde ha
forse la denominaaione il comitato di
Neograd nel circolo Ungherese di qua
dal Danubio.
St. 58. V. b^. -^ La fascia Che
cinge r alma .* il corpo; e la locusione
intiera vale, che Ruggiero si darà la
morte con le proprie mani,
St. 64. 1». i. — Terminalo: stabi,
lito, come si h detto altra volta.
St. 65. V, 7. — Quel re solo: Ga-
lafrooe, padre dell' Argalia. Vedi la nota
alla St. 6 del Canto I.
St. 92. V. 7-8. — A quel de-
strier ec.t al cavallo Pegaso, che fu
dato a Bellorofonte per combattere la
ChinMra , e venne poi trasportato fra le
costellàsioni.
St.9'ó. 9. \.^Cillaro,.,, Arione,
L' uno era il cavallo di Castore figlio di
Giove e di Ledai l'altro era il cavallo
di Adrasto re d'Argo, che fece guerra
44
—r^
518 ORLANDO FOBIOSO.
ai Tebaniper renarne la signoria a Po-
linice.
•Sir. iOO. v.I^—'Lm. te9MaiaiVvì»xmM.
Si. i03. V. 5-6. — Ma poi che den-
tro aite cimmerie grotte Con F ombre
sue Notturno fu rimesto: poi che fa
passata la oolte. Cimmerj si dissero po-
poli di laogìii divèrsi; qui s'ialendooo
gli abitaoti presso la palude Ifeotide,
ora delta Mare delle Zabacdie , ove per
Paria add«asata daU*eulasioBÌ,pocoti
gode il beneficio del sole. Notturno fa
detto dagli antichi poeti il dio della
Notte.
ED ULTIMO.
Melusa va io traccia di Ruggiero» e gli saWa la viU col mesyo di Leone, die,
fatto inteso del motivo onda Ruggiero h afflitto , gli cede Bradamante. Tutti
▼anno a Parigi, dove Ruggiero, gili eletto re degli Ungheri , /b manifestato pd
cavaliere che ha combattuto con Bradamante. Si. fanno \f nosse con regale
splendidessa , e preparasi il talamo sotto l' istoriato padiglione imperiale , che
Melissa con magic' arte ha fatto trasportare da Costantinppoli. ^ell* nltimo
giorno delle fèste nnsiali, sopravviene Rodomonte, che sfida Ruggiero a
battaglia , combatte con esso, e muore per di lui mano.
i Or, se mi mostra la mia carta il vlero,
Non è lontano a discoprirsi il porto;
Si che nel litQ i voti scioglier spero
A chi nel mar per tanta via m' ha scorto ;
Ove, o di non tornar col legno intero,
O d'errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
Veggo la terra, e veggo il lito aperto.
2 Sento venir per allegrezza nn taono
Che fremer V aria e rimbombar fa V onde ;
Odo di squille, odo di trombe un suono
Che r alto popolar grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
Questi eh' empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s' allegrino eh' io sia
Venuto a (in di cosi lunga via.
CANTO QUARAMTESIMOSESTO. 519
Oh di che belle e sagge donne veggio,
Oh di che cavalieri il lito adorno!
Oh di eh* amici, a chi in eterno deggio
Per la letizia c'han del mio ritorno t
Mamma e Ginevra e V altre da Correggio
Veggo del molo in sa V estremo corno ;
Veronica da Camberà è con loro,
Sì grata a Febo e al santo aonio coro.
Veggo un' altra Ginevra , par ascila
Del medesimo sangae, e Giulia seco ;
Veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella Trivulzia al sacro speco :
Veggo te, Emilia Pia; te, Margherita,
Gh' Angela Borgia e Graziosa hai teco ;
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e V altre lor sorelle.
Ecco la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara Torca, e la compagna è Laara.
Non vede il Sol di più bontà di qaesta
Coppia dall'Indo all'estrema onda maura.
Ecco Ginevra che la Malatesta
Casa col suo valor si ingemma e inaara,
Che mai palagi imperiali o regi
Non ebbon più onorati e degni fregi.
S'a qaella etade ella in Arimino era,
Quando, superbo della Gallia doma.
Cesar fu in dubbio s' oltre alla riviera
Dovea passando inimicarsi Roma ;
Crederò che, piegata ogni bandiera,
E scarca di trofei la ricca soma.
Tolto avria leggi e patti a voglia d' essa,
Nò forse mai la libertade oppressa.
Del mio signor di Bozolo la moglie,
La madre, le sirocchie e le cugine,
E le Torello con le Benti voglie,
E le Visconte e le Pallavicino;
Ecco chi a quante oggi ne sono, toglie,
E a quante o greche o barbare o latine
Ne furon mai, di quai la fama s' oda.
Di grazia e di beltà la prima loda,
520 ORLANDO FURIOSO.
8 Giulia Gonzaga, che dovanqae il piede
Volge, e dovunque i sereni occhi gira,
Non pur ogni altra di beltà le cede«
Ma, come scesa dal ciel Dea, T ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
Non mosse mai, perchè 1* avesse in ira
Fortuna cher le fé lungo contrasto.
Ecco Anna d' Aragon, luce del Vasto;
9 Anna bella, gentil , cortese e saggia,
Di castità, di fede e d* amor tempio.
La sorella è con lei , eh' ove ne irraggia
L'alta beltà, ne paté ogni altra scempio.
Ecco chi tolto ha dalla scura spiaggia
Di Stige, e fa con non più visto esempio,
Malgrado delle Parche e della morte,
Splender nel ciel V invitto suo consorte.
iO Le Ferraresi mie qui sono, e quelle
Della corte d' Urbino ; e riconosco
Quelle di Mantua, e quante donne belle
Ha Lombardia, quante il paese Tosco.
Il cavalier che tra lor viene, e ch'elle
Onoran si, s' io non ho l'occhio losco
Dalla luce offuscato de' bei volti,
£ '1 gran lume aretin, l' unico Accolti.
a Benedetto, il nipote, ecco là veggio,
C ha purpureo il cappel, purpureo il manto,
Col cardinal dì Mantua, e col Campeggio,
Gloria e splendor del consistono santo :
£ ciascun d' essi noto (o eh' io vaneggio)
Al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
Del mio ritorno, che non facil parmi
Ch' io possa mai di tant' obbligo trarmi.
12 Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
E Paulo Pausa, e '1 Dresino, e Latino
Giuvenal parmi, e i Capilupi miei,
E 'i Sasso e '1 Molza e Florian Montino ;
E quel che -per guidarci ai rivi ascrei
Mostra piano e più breve altro cammino,
Giulio Camillo ; e par eh' anco io ci scerna
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
CANtO QUARÀNTESIMOSBSfÒ. ((21
i3 Ecco Alessandro, il mio signor, Farnese:
Oh dotta compagnia che seco mena I
Fedro, Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il Volterrano, il Madalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese,
D' alta facondia inessiccabil vena,
£ Lascari e Musuro e Navagero,
E Andrea Marone, e 'I monaco Severo.
ié Ecco altri dao Alessandri in qael drappello ,
Dagli Orologi l'un, f altro il Guarino.
Ecco Mario d'OIvìto, ecco il flagello
De' principi, il divin Pietro Aretino.
Duo Jeronimi veggo, V uno è quello
Di Veritade, e l'altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno,
Il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
ih Là Bernardo Capei, là veggo Pietro
Bembo , che '1 puro e dolce idioma nostro,
Levato fuor del volgare uso tetro.
Quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guaspar Obizi è quel che gli vien dietro,
Ch' ammira e osserva il sì ben speso inchiostro.
10 veggo il Fracastorìo, il Bevazzano»
Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano.
16 Veggo Niccolò Tiepoli , e con esso
Niccolò Amanio in me affissar le ciglia ;
Anton Fulgoso, eh' a vedermi appresso
Al lito mostra gaudio e maraviglia.
11 mio Valerio è quel che là s' è messo
Fuor delle donne; e forse si consiglia
Col Barignan e' ha seco, come offeso
Sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
i7 Veggo sublimi e soprumani ingegni.
Di sangue e d' amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da' più degni
Ha tanto onor, mai più non conobb'io;
Ma, se me ne fur dati veri segni,
£ Tnom che di veder tanto desio,
lacobo Sannazzar, eh' alle Camene
Lasciar fa i monti, ed abitar l'arene.
IS22 ORLANDO FURIOSO.
48 Ecco il dotto, il fedele, il diligente
Secretano Pistofilo, ch'insieme
Cogli Acciainoli e con l' Angiar mio sente
Piacer, che più del mar per me non teme.
Annibal Malaguzzo, il mio parente
Veggo con T Adoardo, che gran speme
Mi dà, eh' ancor del mio nativo nido
Udir farà da Galpe agi' Indi il grido.
i9 Fa Yittor Fausto, fa il Tancredi festa
Di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
Mia ritornata ognun parer contento.
Dunque a finir la breve via che resta
Non sia più indugio, or e' ho propizio il vento;
£ torniamo a Melissa, e con che aita
Salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita.
20 Questa Melissa, come so che detto
V ho molte volte, avea sommo desire
Che firadamante con Ruggier di stretto
Nodo s' avesse in matrimonio a unire ;
£ d' ambi il bene e il male avea si a petto»
Che d' ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via.
Che, quando andava V un» l'altro venia.
21 In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
Il qual dì non gustar d' alcuna sorte
Mai più vivanda fermo era e disposto,
£ col digiun si yolea dar la morte :
Ma fu r aiuto di Melissa tosto ;
Che, del suo albergo uscita, la via tenne
Ove in Leone ad incontrar si venne ;
22 II qual mandato, l' uno all' altro appresso»
Sua gente avea per tutti i luoghi intorno ,
£ poscia era in persona andato anch' esso
Per trovar il guerrier dal liocorno.
La saggia incanta trice, la qual messo
Freno e sella a uno spirto avea quel giorno,
£ r avea sotto in forma di ronzino,
Trovò questo figliuol dì Costantino,
CANTO QCARANTESIMOSESTO. 5^3
23 Se deir animo è tal la nobiltate,
Qaal fuor, signor» (diss'ella) il viso mostra;
Se la cortesia dentro e la bontale
Ben corrisponde alla presenzia vostra ,
Qualche conforto, qualche aiuto date
Al miglior cavalier deir età nostra ;
Che s' aiuto non ha tosto e conforto,
Non è mollo lontano a restar morto.
S4 II miglior cavalier che spada a lato
E scudo in braccio mai portasse o porti ;
Il più bello e gentil eh* al mondo stato
Mai sia di quanti ne son vivi o morti ,
Sol per un' alta cortesia e' ha usato
Sta per morir, se non ha chi '1 conforti.
Per Dio, signor, venite, e fate prova
S' allo suo scampo alcun consiglio giova.
25 Neir animo a Leon subito cade,
Che '1 cavalier di chi costei ragiona.
Sia quel che per trovar fa le contrade
Cercare intorno, e cerca egli in persona;
Si eh' a lei dietro, che gli persuade
Si pietosa opra, in molta fretta sprona :
La qual lo trasse, e non fer gran cammino,
Ove alla morte era Ruggier vicino.
26 Lo ritrovar che senza cibo slato
Era tre giorni, e in modo lasso e vinto,
Ch' in piò a fatica si saria levato.
Per ricader, sebben non fosse spinto.
Giacca disteso in terra tutto armato,
Con r elmo in testa, e della spada cinto ;
£ guancial dello scudo s' avea fatto.
In che '1 bianco liocorno era ritratto.
27 Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia
Fatta alla donna, e quanto ingrato e quanto
Isconoscente le sia stato, arrabbia,
Non pur si duole; e se n'afiQigge tanto ^
Che si morde le man, morde le labbia,
Sparge le guance di continuo pianto;
E per la fantasia che v'ha si fissa,
Nò Leon venir sente , nò Melissa:
t2i ORLANDO tURtOàO.
28 Nò per questo interrompe il suo lamento.
Nò cessano i sospir, nò il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
Poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
Conosce ben ; ma la persona espressa
Non gli ò, per cui soslien tanto martire;
Gh' anco Ruggier non glie V ha fatto udire.
29 Più innanzi, e poi più innanzi i passi mula,
Tanto che se gli accosta a faccia a faccia ;
E con fraterno affetto lo saluta ,
£ se gli china a lato, e al collo abbraccia.
10 non so quanto ben questa venuta
Di Leone improvvisa a Ruggier piaccia ;
Che teme che lo turbi e gli dia noia,
E se gli voglia oppor, perchò non muoia.
30 Leon con le più dolci e più soavi
Parole che sa dir, con quel più amore
Che può mostrar, gli dice: Non ti gravi
D'aprirmi la cagion del tuo dolore;
Chò pochi mali al mondo son si pravi,
Che l' uomo trar non se ne possa fuore,
Se la cagion si sa; nò debbo privo
Di speranza esser mai, finchò sia vivo.
31 Ben mi duol che celar t' abbi voluto
Da me, che sai s'io ti son vero amico,
Non sol di poi ch'io ti son si tenuto.
Che mai dal nodo tuo non mi districo.
Ma fin allora eh' avrei causa avuto
D'esserti sempre capital nemico;
E dòi sperar eh' io sia per darti aita
Con r aver, con gli amici e con la vita.
32 Di meco conferir non ti rincresca
11 tuo dolore ; e lasciami far prova,
Se forza, se lusinga, acciò tu n'esca.
Se gran tesor, s'arte, s' astuzia giova.
Poi, quando l'opra mia non ti riesca,
La morte sia eh' alfin te ne rimuova:
Ma non voler venir prima a quest' atto,
Che ciò che si può far non abbi fatto.
1
CANTO qdàrantbsimosbsto. 628
33 E segnilo con si efficaci pr leghi ,
E con parlar si umano e si benigno.
Che non pnò far Ruggier che non si pieghi ,
Che nò di ferro ha il cor nò di macigno,
E vede, quando la risposta nieghi, '
Che farà discortese atto e maligno.
Risponde ; ma due volte o tre s' incocca
Prima li parlar, eh' uscir voglia di bocca.
34 Signor mìo, disse alOn, quando saprai
Colui ch'io son, che son per dirtel ora,
Mi rendo certo che di me sarai
Non men contento, e forse più, ch'io muora.
Sappi eh' io son colui che si in odio hai :
Io son Ruggier, eh' ebbi te in odio ancora ;
E che con inlenzion di porti a morte,
Già son più giorni, usci' di questa corte;
35 Acciò per te non mi vedessi tolta
Bradamanle, sentendo esser d' Amone
La voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perchò ordina l' uomo, e Dio dispone.
Venne il bisogno ove mi fé la molta
Tua cortesia mutar d' opinione ;
E non pur l'odio ch'io t'aveà deposi.
Ma fé eh' esser tuo sempre io mi disposi.
36 Tu mi pregasti, non sapendo eh' io
Fossi Ruggier, eh' io ti facessi avere
La donna ; eh' altrettanto saria il mio
Cor fuor del corpo, o l' anima volere.
Se soddisfar piuttosto al tuo desio.
Ch'ai mio, ho voluto, t' ho fatto vedere.
Tua fatta ò Bradamante; abbila in pace:
Molto più che '1 mio bene, il tuo mi piace.
37 Piaccia a te ancora, se privo di lei
Mi son, ch'insieme io sia di vita privo;
Chò piuttosto senz' anima potrei.
Che senza Bradamante restar vivo.
Appresso, per averla tu non sei
Mai legìttimamente, finch'io vivo;
Chò tra noi sponsalizio ò già contratto.
Nò duo mariti ella può avere a un tratto.
B26 OBLANDO FURIOSO.
38 Riman Leon si pien dì maraviglia.
Quando Ruggiero esser costui gli è noto,
Che senza muover bocca o batter ciglia
0 mutar pie, come una statua, è immoto:
A statua, più eh' ad uomo, s' assìmìglia,
Che nelle chiese alcun metta per voto.
Ben si gran cortesia questa gli pare.
Che non ha avuto e non avrà mai pare.
39 E conosciutol per Ruggier, non solo
Non scema il ben che gli voleva pria.
Ma si r accresce , che non men del duolo
Di Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e per mostrarsi che figliuolo
D'imperator meritamente sia.
Non vuol, sebben nel resto a Ruggier cede,
Gh' in cortesia gli metta innanzi il piede.
40 £ dice: Se quel di, Ruggier, ch'offeso
Fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
Ancorch'io t'avea in odio, avessi inteso
Che tu fossi Ruggier, come ora intendo;
Cosi la tua virtù m' avrebbe preso.
Come fece anco allor non lo sapendo ;
E cosi spinto dal cor V odio, e tosto
Questo amor, eh' io ti porto, v' avria posto.
41 Che prima il nome di Ruggiero odiassi,
Ch' io sapessi che tu fossi Ruggiero,
Non negherò; ma ch'or più innanzi passi
V odio eh' io t' ebbi , t,' esca del pensiero.
E se, quando di carcere io ti trassi.
N'avessi, come or n' ho, saputo il vero;
11 medesimo avrei fallo anco allora,
Ch' a benefìzio tuo son per far ora.
42 E b' allor volentier fatto l' avrei ,
Ch'io non t'era, come or sono, obbligato;
Quant'or più farlo debbo, che sarei.
Non lo facendo, il più d' ogni altro ingrato?
Poiché, negando il tuo voler, ti sei
Privo d'ogni tuo bene, e a, me l' hai dato.
Ma te lo rendo; e più contento sono
Renderlo a te, eh- aver io avuto il dono.
CANTO QUARANTESIUOSESTO. I$27
43 Molto più a te, eh' a me, costei convìensi.
La qual, bench' io per li suoi meriti ami.
Non è però, s'altri l'avrà, ch'io pensi »
Come tu, al viver mio romper li stami.
Non vo'che la tua morte mi dispensi.
Che possa, sciolto ch'ella avrà i legami
Che son del matrimonio ora fra voi.
Per legittima moglie averla io poi.
44 Non che di lei, ma restar privo voglio
Di ciò e' ho al m^ondo, e della vita appresso.
Prima che s' oda mai eh' abbia cordoglio
Per mìa cagion tal cavaliere oppresso.
Della taa diffidenzia ben mi doglio ;
Che ta che puoi, non men che di te stesso,
Di me dispor, piuttosto abbi voluto
Morir di duol, che da me avere aiuto.
45 Queste paróle ed altre soggiungendo,
Che tutte saria lungo riferire,
E sempre le ragion redarguendo,
Ch'in contrario Ruggier gli potea dire»
Fé tanto, ch'alGn disse: Io mi ti rendo,
E contento sarò di non morire.
Ma quando ti scìorrò 1' obbligo mai.
Che .due volte la vita dato m' hai?
46 Cibo soave e prezioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto ;
E confortò Ruggier, ch'era vicino,
Non s' aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
Cavalli quivi, e v'era accorso ratto.
Leon pigliar dalli scudieri suoi
Lo fé e sellare, ed a Ruggier dar poi;
47 II qual con gran fatica, ancor ch'aiuto
Avesse da Leon , sopra vi salse :
Cosi quel vigor manco era venuto.
Che pochi giorni innanzi in modo valse.
Che vìncer tutto un campo avea potuto,
E far quel che fé poi con l' arme false.
Quindi partiti, giunser, che più via
Non fer di mezza lega, a una badia:
528 OBLANDO FUBIOSO.
4S Ove posaro il resto di qnel giorno,
E l'altro appresso, e Y altro tutto intero,
Tanto che '1 cavalier dal liocorno
Tornato fa nel sao vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritorno
Alla città real fece Ruggiero,
E vi trovò che la passata sera
L' imbasceria de' Bulgari giunt' era :
49 Che quella nazion, la qual s' avea
Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo
Mandava questi suoi, che si credea
D'averlo in Francia appresso al Magno Carlo;
Perché giurargli fedeltà volea ,
E dar di sé dominio, e coronarlo.
Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
Con questa gente, ha di lui dato nuova.
50 Della battaglia ha detto , eh' in favore
De' Bulgari a Belgrado egli avea fatta ;
Ove Leon col padre imperatore
Vinto, e sua gente avea morta e disfatta:
E per questo l'avean fatto signore.
Messo da parte ogni uomo di sua schiatta ;
E come a Novengrado era poi stato
Preso da Ungiardo, e a Teodora dato:
61 E che venuta era la nuova certa,
Che '1 suo guardian s' era trovato ucciso,
E lui fuggito, e la prigione aperta:
Che poi ne fosse, non v'era altro avviso.
Entrò Ruggier per via molto coperta
Nella città, né fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e '1 compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
52 S' appresentò Ruggier con l' augel d' oro,
Che nel campo vermiglio avea due teste ;
E, come disegnato era fra loro.
Con le medesme insegne e sopravveste
Che, come dianzi nella pugna fòro,
Eran tagliate ancor, forale e peste ;
Si che tosto per quel fu conosciuto,
Ch' avea con Bradamante combattuto.
CANTO QOARANTESIMOSESTO. 620
53 Con ricche vesti e regalmente ornato,
Leon senz' arme a par con lai vènia ;
E dinanzi e di dietro e d' ogni lato
Avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s' inchinò, che già levato
Se gli era incontra ; e avendo tnttavia
Raggier per man, nel qaal intente e fìsse
Ognuno avea le loci, così disse:
54 Questo è il buon cavaliere, il qual difeso
S' è dal nascer del giorno al giorno estinto ;
E poiché Bradamante o morto, o preso,
O fuor non l'ha dello steccato spinto,
Magnanimo signor, se bene inteso
Ha il vostro bando, è certo d'aver vinto,
E d'aver lei per moglie guadagnata;
E cosi viene, acciò che gli sia data.
65 Oltre che di ragion, per lo tenore
Del bando, non v'ha altr' oom da far disegno ;
Se s' ha da meritarla per valore,
Qual cavalier più dì costui n' è degno ?
S' aver la dee chi più le porta amore.
Non è chi '1 passi o eh' arrivi al suo segno :
Ed è qui presto centra a chi s'oppone,
Per difender con l' arme sua ragione.
56 Carlo, e tutta la corte stupefatta.
Questo udendo, restò; eh' avea creduto
Che Leon la battaglia avesse fatta,
Non questo cavalier non conosciuto.
Blarfisa, che cogli altri quivi tratta
S'era ad udire, e ch'appena potuto
Avea tacer, finché Leon finisse
11 suo parlar, si fece innanzi e disse :
hi Poiché non e' é Ruggier, che la contesa
Della moglier fra sé e costui discioglia ,
Acciò per mancamento di difesa
Cosi senza rumor non se gli teglia.
Io che gli son sorella, questa impresa
Piglio centra a ciascun, sia chi si voglia.
Che dica aver ragione in Bradamante,
O di mérto a Ruggiero andare innante.
II. 45
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Si fa aEa B«?Bsa srdknta aonrl»
Che <;vSj9 eia a sbo fi:rl>9. al qolp, iaslu^So
L* ÌB#^oa BftLlJe* area il tcbeb» porta ;
E poti» pcÉ che fo«se ito ioJvziaBda
Di copffscgr la «ycaia. rarrìa aorta:
Tal fa Marfisa. quasi» il cavalìero
Ck' odialo area. cMiobbe esser Rassìera.
CO E corse snua ioiazìo ad abhiaiciafto,
yè di<f«ctar se zh sifca dal eoOo.
Rinaldo, Orlando, e dì lor prìsa Cario
Di qua e di U con srand* aaMir bacioilo.
Né DodoD né Olirìer d* accaiexzario,
]^è 1 fé Sobria si poò leder saloOo.
Dei paladini e dei baron ■e&AAiuo
Di DÌr festa a Ruzzier fvsló digìaao.
SI Leone, il qoal sapea oiolfo ben dite.
Finiti che si far sii abbracciamenti.
Cominciò innanzi a Carlo a riferife.
Udendo talli quei ch'etan presentì.
Come la saslìanlìa, come F ardire
(Ancorché con sran danno di sne centi)
Di Rossier, eh' a Relgrado area redoto.
Più d'ogni offesa area di sé potato;
CS Si eh* essendo di poi preso e condotto
A colei eh' ogni strazio n' arria fatto.
Di prigion egli, malsrado di tutto
11 parentado suo, l' aveva tratto;
E come il boon Roggier, per render frollo
E mercede a Leon del suo riscatto.
Fé l'alta cortesia, che sempre a quante
Ne foro o saran mai, passerà innante.
J
CANTO QUAaANTESIMOSESTO. ti3i
63 £ seguendo, narrò di punto in pnnto
Ciò che per lui faCto Ruggiero avea ;
£ come poi da gran dolor compunto ,
Che di lasciar la moglie gli premea,
S' era disposto di morire ; e giunto
V era vicin, se non si soccorrea ;
£ con si dolci affetti il tutto espresse,
Che quivi occhio non fu eh' asciutto stesse.
64 Rivolse poi con si efficaci prieghi
Le sue parole all' ostinato Àmone,
Che non sol che Io muova, che lo pieghi,
Che lo faccia mutar d' opinione ;
Ma fa eh' egli in persona andar non nieghi
A supplicar Ruggier che gli perdono,
£ per padre e per suocero l' accette :
£ cosi Bradamante gli promette;
65 A cui là dove, della vita in forse,
Piangea ì suoi casi in camera segreta,
Con lieti gridi in molta fretta corse
Per più d' un messo la novella lieta :
Onde il sangue eh' al cor, quando lo morse
Prima il dolor, fu tratto dalla pietà,
A questo annunzio il lasciò solo in guisa.
Che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
66 Ella riman d'ogni vigor si vota,
Che di tenersi in piò non ha balia ;
Benché di quella forza eh' esser nota
Vi debbo, e di quel grande animo sia.
Non più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
Sia condannato, o ad altra morte ria,
£ che già agli occhi abbia la benda negra,
Gridar sentendo grazia, si rallegra.
67 Si rallegra Mongrana e Chiaramente,
Di nuovo nodo i dui raggiunti rami ;
Altrettanto si duol Gano col conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami :
Ma pur coprendo sotto un' altra fronte
Van lor pensieri invidiosi e grami ;
£ occasione attendon di vendetta.
Come la volpe al varco il lepre aspetla.
532 OULANDO VUKIOSO.
68 Oltre che già Rinaldo e Orlando uccìso
Molti in più volte avean di quei malvagi ;
Benchò V ingiurie fur con saggio avviso
Dal re acchetate, ed i comun disagi;
Avea di nuovo lor levato il riso
L' ucciso Pinabello e Bertolagi :
Ma pur la fellonia tenean coperta,
Dissimulando aver la cosa certa.
69 Gli ambasciatori bulgari, che in corte
Di Carlo eran venuti, come ho detto,
Con speme di trovare il guerrier forte
Del liocorno, al regno loro eletto ;
Sentendol quivi, chiamar buona sorte
La lor, che dato avea alla speme effetto;
£ riverenti ai pie se gli gittaro,
E che tornasse in Bulgheria il pregare;
70 Ove in Adrianopoli servato
Gli era lo scettro e la real corona :
Ma venga egli a difendersi lo stato ;
Ch' a danni lor di nuovo si ragiona
Che più numer di gente apparecchiato
Ha Costantino, e torna anco in persona:
Ed essi, se '1 suo re ponno aver seco,
Speran di torre a lui V imperio greco.
Ti Ruggiero accettò il regno, e non conlese
Ai preghi loro, e in Bulgheria promesse
Di ritrovarsi dopo il terzo mese.
Quando Fortuna altro di lui non fesse.
Leone Augusto, che la cosa intese.
Disse a Ruggier, eh' alla sua fede stesse,
Che, poich'egli de' Bulgari ha il domino,
La pace è tra lor fatta e Costantino :
72 Né da partir di Francia s' avrà in fretta,
Per esser capitan delle sue squadre ;
Che d'ogni terra ch'abbiano suggetta.
Far la rinunzia gli farà dal padre.
Non è virtù che di Ruggier sia detta,
Ch' a muover si l' ambiziosa madre
Di Bradamante, e far che '1 genero ami.
Vaglia, come ora udir che re sì chiami.
CANTO QUARANTESIMOSESTa 533
73 Fansì le nozze splendide e reali ,
Convenienti a chi cura ne piglia :
Carlo ne piglia cara, e le fa qaalì
Farebbe maritando una saa figlia.
I merli della donna erano tali,
Oltre a quelli di tutta sua famiglia,
^ Ch' a quel signor non parria uscir del segno,
Se spendesse per lei mezzo il suo regno.
74 Libera corte fa bandire intorno,
Ove sicuro ognun possa venire ;
E campo franco sin al nono giorno
Concede a chi contese ha da partire.
Fé alla campagna V apparato adorno
Di rami intesti e di bei fiori ordire »
D' oro e di seta poi, tanto giocondo,
Che '1 più bei luogo mai non fu nel mondo.
75 Dentro a Parigi non sariano state
L' innumerabii genti peregrine.
Povere e ricche e d'ogni qualitate,
Che v'eran, greche, barbare e latine.
Tanti signori, e imbascerie mandate
Di tutto '1 mondo, non aveano fine:
Erano in padiglion, tende e frascati
Con gran comodità tutti alloggiati.
76 Con eccellente e singolare ornato
La notte innanzi avea Melissa maga
Il maritale albergo apparecchiato.
Di eh' era stala già gran tempo vaga.
Già molto tempo innanzi desiato
Questa copula avea quella presaga :
Dell'avvenir presaga, sapea quanta
Boutade uscir dovea dalla lor pianta.
77 Posto avea il genial letto fecondo
In mezzo un padiglione ampio e capace,
11 più ricco, il più ornato, il più giocondo
Che giammai fosse o per guerra o per pace,
O prima o dopo, teso in tutto '1 mondo;
E tolto ella l' avea dal lito trace :
L'avea di sopra a Costantin levato,
Ch' a diporto sul mar s' era attendato.
43*
534 ORLANDO FURIOSO.
7S Melissa di consenso di Leone ^
O piattosto per dargli maraviglia ,
£ mostrargli dell'arte paragone,
Ch'ai gran vermo infernal mette la briglia,
E che di lai, come a lei par, dispone,
£ della a Dio nimica empia famiglia ;
Fé da Costantinopoli a Parigi
Portare il padiglion dai messi stigi.
79 Di sopra a Costantin, ch'avea l'impero
Di Grecia, lo levò da mezzo giorno,
Con le corde e col fusto, e con l'intero
Guernimento ch'avea dentro e d'intorno:
Lo fé portar per l' aria, e di Ruggiero
Quivi lo fece alloggiamento adorno ;
Poi, finite le nozze, anco tornollo
Miracolosamente onde levoUo.
SO Eran degli anni appresso che duo milìa,
Che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella della terra d' Ilia,
Ch'avea il furor profetico congiunto,
Con studio di gran tempo e con vigilia
Lo fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, ed al fratello
Inclito Ettor fece un bel don di quello.
81 II più cortese cavalier che mai
Dovea del ceppo uscir del suo germano
(Benché sapea, dalla radice assai
Che quel per molli rami era lontano),
Ritratto avea nei bei ricami gai
D' oro e di varia seta, di sua mano.
L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio,
Per chi lo fece e pel lavoro egregio.
82 ' Ma poi eh* a tradimento ebbe la morte,
E fu il popol troian da' Greci afflitto;
Che Sinon falso aperse lor le porte,
' E peggio seguitò che non è scritto ;
Menelao ebbe il padiglione in sorte.
Col quale a capitar venne in Egitto »
Ove al re Proteo lo lasciò, se volse
La moglie aver che quel tiran gli tolse.
CANTO OUABANTESIBIOSESTO. ti3tÌ
83 Elena nominata era colei ,
Per cui lo padiglione a Proteo diede ;
Che poi successe in man de'ToIomei,
Tanto che Geopatra ne fu erede.
Dalle genti d' Agrippa tolto a lei
Nel mar Leucadio fu con altre prede:
In man d'Augusto e di Tiberio venne,
£ in Roma sin a Gostantin si tenne ;
84 Quel Gostantin, di cui doler si debbo
La bella Italia finché girl il cielo.
Gostantin, poi che '1 Tevere gì' increbbe^
Portò in Bisanzio il prezioso velo.
Da un altro Gostantin Melissa V ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo ;
Tutto trapunto con figure belle,
Più che mai con pennel facesse Apelle.
85 Quivi le Grazie in abito giocondo
Una regina aiutavano al parto :
Sì bello infante n' apparia, che '1 mondo
Non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Yedeasi Giove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che Y aveano sparto
A man piene e spargean d'eterei fiori.
Di dolce ambrosia e di celesti odori.
86 Ippolito diceva una scrittura
Sopra le fasce in lettere minute.
In età poi più ferma l'Avventura
L'avea per mano, e innanzi era Yirtute.
Mostrava nuove genti la pittura
Gon veste e chiome lunghe, che venute
A domandar da parte di Gorvino
£rano al padre il tenero bambino.
87 Da Ercole partirsi riverente
Si vede, e dalla madre Leonora ;
E venir sul Danubio, ove la gente
Gorre a vederlo, e come un Dio l' adora.
Vedesi il re degli Ungari prudente,
Ghe '1 maturo sapere ammira e onora
In non matura età tenera e molle,
E sopra tutti i suoi baron l' estolle.
'WIW
036 ORLANDO FUBIOSO.
58 V ò che negr infantili e teneri anni
Lo scettro di Strigonia in man gli pone :
Sempre il fancìallo se gli vede a' panni,
Sia nel palagio, sia nel padiglione :
0 centra. Torchi o contra gli Alemanni
Quel re possente faccia espedizione,
Ippolito gli è appresso, e fiso attende
A' magnanimi gesti, e virtù apprende.
59 Quivi si vede come il fior dispensi
De' saoi primi anni in disciplina ed arte.
Fosco gli è appresso, che gli occulti sensi
Chiarì gli espone dell' antiche carte.
Questo schivar, questo seguir conviensi,
Se immortai brami e glorioso farte,
Par che gli dica : cosi avea ben finti
1 gesti lor chi già gli avea dipinti.
90 Poi cardinale appar, ma giovinetto,
Sedere in Vaticano a consisterò,
E con facondia aprir V alto intelletto,
£ far di sé stupir tutto quel coro.
Qual fia dunque costui d'età perfetto?
Parean con meraviglia dir tra loro.
Oh se di Pietro mai gli tocca il manto,
Che fortunata età! che secol santo I
91 In altra parte i liberali spassi
Erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta su gli alpini sassi.
Ora i cinghiali in valle ima e palustre :
Or s' un giannette par che '1 vento passi,
Seguendo o caprio, o cerva multilustre.
Che giunta, par che bipartita cada
In parti uguali a un sol colpo di spada.
92 Di filosofi altrove e di poeti
Si vede in mezzo un' onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de' pianeti,
Questi la terra, quello il ciel gli squadra:
Questi meste elegie, quel versi lieti,
Quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
. Musici ascolta^ e vari suoni altrove ;
Né senza somma grazia un passo muove.
CANTO QUABANTESIMOSEStO. Q^f
03 In questa prima parl^ era dipinta
Del sublime garzon la puerìzia.
Cassandra l'altra avea tutta distinta
Di gesti di prudenzia, di giustizia,
Di valor, di modestia, e della quinta
Che tien con lor strettissima amicizia ;
Dico della virtù che dona e spende ;
Delle quai tutte illuminato splende.
84 In questa parte il giovene si vede
Col duca sfortunato degl' Insubri,
Ch' ora in pace a consiglio con lui siede,
Or armato con lui spiega i colubri ;
E sempre par d'una medesma fede,
O ne' felici tempi o nei lugubri :
Nella fuga lo segue, lo conforta
Nell'afflizion, gli é nel periglio scorta.
95 Si vede altrove a gran pensieri intento.
Per salute d' Alfonso e di Ferrara ;
Che va cercando per strano argomento,
E trova, e fa veder per cosa chiara
Al giustissimo frate il tradimento
Che gli usa la famiglia sua più cara;
E per questo si fa del nome erede.
Che Roma a Ciceron libera diede.
M Yedesi altrove in arme relucente,
Ch'ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
E con tumultuaria e poca gente
A un esercito instrutto si va opporre;
E solo il ritrovarsi egli presente
Tanto agli ecclesiastici soccorre.
Che '1 fuoco estingue pria ch'arder comince;
Si che può dir, che viene e vede e vince.
97 Yedesi altrove dalla patria riva
Pugnar incontra la più forte armata,
Che centra Turchi o centra gente argiva
Da' Veneziani mai fosse mandata :
La rompe e vince, ed al fratel captiva
Con la gran preda V ha tutta donata ;
Né per sé vedi altro serbarsi lui ,
Che r onor sol, che non può dare altrui.
Ì(38 ORLANDO FURIOSO.
98 Le donne e i cavalier mirano fisi ,
Senza trarne conslrutto, le figure,
Perché non hanno appresso chi gli avvisi
Che tulle quelle sìen cose fu Iure.
Prendon piacere a riguardare i visi
Belli e ben falli, e legger le scrillure:
Sol Bradamanle, da Melissa instralta.
Gode tra sé ; che sa V isloria tulta.
99 Ruggiero, ancor eh' a par di Bradamanle
Non ne sia dotto, pur gli torna a mente
Che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
Commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in versi appieno dir le lanle
Cortesie che fa Carlo ad ogni gente ?
Di varj giochi è sempre festa grande,
£ la mensa ognor piena di vivande.
100 Vedesi quivi chi è buon cavaliere ;
Che vi son mille lance il giorno rotte :
Fansi ballaglie a piedi ed a destriero,
Allre accoppiale, altre confuse in frolle.
Più degli altri valor mostra Ruggiero,
Che vince sempre, e giostra il di e la notte;
E cosi in danza, in lotta ed in ogni opra,
Sempre con mollo onor resta di sopra.
iOi L' ultimo di, neir ora che '1 solenne
Convito era a gran festa incomincialo ;
Che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
E Bradamanle avea dal destro lato ;
Di verso la campagna in fretta venne
Centra le mense un cavaliere armato.
Tutto coperto egli e '1 deslrier di nero.
Di gran persona e di sembiante altiero.
i02 Quest' era il re d' Algier, che per lo scorno
Che gli fé sopra il ponte la donzella ,
Giuralo avea di non porsi arme intorno,
Né stringer spada, nò montare in sella.
Finché non fosse un anno, un mese e un giorno
Stato, come eremita, entro una cella.
Cosi, a quel tempo solean per sé stessi
Punirsi i cavalier di t^li eccessi. '
CANTO QUAKANTESIMOSESTO. 039
i03 Sebben dì Carlo in questo mezzo intese
E del re suo signore ogni saccesso ;
Per non disdirsi, non più V arme prese,
Che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto V anno e tatto '1 mese
Vede finito, e tutto il giorno appresso,
Con nuove arme e cavallo e spada e lancia
Alla corte or ne vien quivi di Francia.
104 Senza smontar, senza chinar la testa,
E senza segno alcun di riverenzia ,
Mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
E di tanti signor V alta presenzia.
Maraviglioso e attonito ognun resta.
Che si pigli costui tanta licenzia.
Lasciano i cibi e lascian le parole.
Per ascoltar ciò che '1 gaerrier dir vuole.
105 Poi che fu a Carlo ed a Raggiero a Tronte,
Con alta voce ed orgoglioso grido,
Son, disse, il re di Sarza, Rodomonte,
Che te, Ruggiero, alla battaglia sfido ;
E qui ti vo', prima che '1 Sol tramonte,
Provar eh' al tuo signor sei stato infido ;
E che non merli, che sei traditore,
Fra questi cavalieri alcuno onore.
106 Benché tua fellonia si vegga aperta,
Perchè essendo Cristian non puoi negarla ;
Pur, per farla apparere anco più certa,
In questo campo vengoti a provarla :
£ se persona hai qui che faccia offerta
Di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n' accetto ;
E a tutte manterrò quel eh' io t' ho detto.
107 Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
E con licenzia rispose di Carlo,
Che mentiva egli, e qualunqu' altro fosse.
Che tradìtor volesse nominarlo ;
Che sempre col suo re cosi pertosse.
Che giustamente alcun non può biasmarlo ;
E eh' era apparecchiato sostenere
Che verso lui fé sempre il suo dovere :
540 CILAXWI FOKIOM.
101 E ck'a difender U sua causa era allo»
Seoza torre io aiuto suo yerano ;
E che speraYa di mostrargli in fatto
Ch'assai n'avrebbe, e forse troppo, d'ano.
Qoìtì Rinaldo, qoivi Orlando tratto.
Quivi il marchese, e 1 figlio bianco e 1 brano,
Dodon, llarfisa, contra il pagan fiero
S'eran per la difesa di Ruggiero;
109 Mostrando eh' essendo egli nuore sposo»
Non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor : Stoto in riposo ;
Che per me foran questo scuse sozze.
L'arme che tolse al Tartaro famoso
Vennero, e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Oliando a Ruggier strinse,
£ Carlo al fianco la spada gli cinse.
fio Bradaroante e Marfisa la corazza
Posto gli aveano, e tutto l' altro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
Tenne la stalTa il figlio del Danese.
Feron d' intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo, ed Olivier marchese:
Cacciaro in fretta ognun dello sleccato
A tai bisogni sempre apparecchialo.
Hi Donne e donzelle con pallida faccia
Timide a guisa di colombe stonno,
Che da' granosi paschi ai nidi caccia
Rabbia de' venti che fremendo vanno
Con tuoni e lampi, e '1 nero aer minaccia
Grandine e pioggia, e a' campi strage e danno;
Timide stanno per Ruggier ; che male
A quel fiero pagan lor parea uguale.
412 Cosi a tutta la plebe, e alla più parte
Bei cavalieri e dei baron parea;
Che di memoria ancor lor non si parte
Quel eh' in Parigi il pagan fatto avea ;
Che, solo, a ferro e a fuoco una gran parie
N'avea distrutta, e ancor vi rimanea,
E rimarrà per rooUi giorni il segno :
Né maggior danno altronde ebbe quel regno.
CANTO QUABANTESIM08EST0. 541
ii3 Tremava, più eh' a loUi gli altri, il core
A Bradamante; non ch'ella credesse
Che '1 Saracin di forza, e del valore
Che vien dal cor, più di Raggier potesse ;
• Nò che ragion, che spesso dà l' onore
A chi r ha seco, Rodomonte avesse :
Pur stare ella non può senza sospetto;
Chò di temere, amando, ha degno effetto.
ile Oh quanto volentier sopra so tolta
L'impresa avria di quella pugna incerta ,
Ancorchò rimaner di vita sciolta
Per quella fosse stata più che certa !
Avria eletto a morir più d' una volta,
Se può più d'una morte esser sofferta.
Piuttosto che patir che '1 suo consorte
Si ponesse a pericol della morte :
ii6 Ma non sa ritrovar priego che vaglia.
Perché Ruggiero a lei l' impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
Con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
£ vengonsì a trovar coi ferri bassi.
Le lance all' incontrar parver di gielo ;
I tronchi, augelli a salir verso il cielo.
416 La lancia del pagan , che venne a corre
Lo scudo a mezzo, fé debole effetto ;
Tanto r accìar che pel famoso Ettorre
Temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
Gli andò allo scudo, e glie le passò netto;
Tuttoché fosse appresso un palmo grosso.
Dentro e di fuor d' acciaro, e in mezzo d' osso.
id7 E se non che la lancia non sostenne
II grave scontro, e mancò al primo assalto,
E rotta in schegge e in tronchi aver le penne
Parve per l' aria, tanto volò in alto,
L'osbergo aprìa (si furiosa venne),
Se fosse stato adamantino smalto,
E finia la battaglia ; ma si roppe :
Posero in terra ambi i destrier le groppe.
11. "40
S42 ORLANDO FURIOSO.
ii8 Con briglia e sproni i cavalieri instando,
Risalir feron subito i destrieri ;
£ d' onde gittàr l' aste, preso il brando,
Si tornare a ferir cradeli e fieri.
Di qua di là con maestria girando
Gli animosi cavalli atti e leggieri.
Con le pungenti spade incominciaro
A tentar dove il ferro era più raro.
ii9 Non 8i trovò lo scoglio del serpente
Cbe fa si darò, al petto Rodomonte,
Né di Nembrotte la spada tagliente.
Ne '1 solito elmo ebbe qael di alla fronte;
Che rasate arme, quando fa perdente
Centra la donna di Dordona al. ponte,
Lasciato avea sospese ai sacri marmi.
Come di sopra avervi detto parmi.
i20 Egli avea nn' altra assai buona armatara,
Non come era la prima già perfetta :
Ma né questa né quella né più dura
A Balìsarda si sarebbe retta ;
A cui non osta incanto né fattura.
Né finezza d' acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua di là si ben lavora,
Ch' al pagan l' arme in più d' an loco fora.
i2i Quando si vide in tante parti rosse
Il pagan V arme, e non poter schivare
Che la più parte di quelle percosse
Non gli andasse la carne a ritrovare ;
A maggior rabbia, a più furor si mosse,
Ch'a mezzo il verno il tempestoso mare:
Getta lo scudo, e a tutto suo potere
Su r elmo di Ruggiero a due man fere.
i22 Con quella estrema forza che percuote
La macchina ch'in Po sta su due navi,
£ levata con uomini e con ruote
Cader si lascia su le aguzze travi ;
Fere il pagan Ruggier, quanto più puote,
Con ambe man sopra ogni peso gravi:
Giova r elmo incantato ; che senza esso,
Lui col cavallo avria in un colpo fesso.
CANTO QUARÀNTESIMOSESTO. 543
i23 Raggiero andò due volte a capo chino,
E per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpb il Saracino,
Che quel non abbia tempo a riaverse ;
Poi vien col terzo ancor: ma il brando fino
Si lungo martellar più non sofferse;
Che volò in pezzi, ed al crudel pagano
Disarmata lasciò di sé la mano.
d24 Rodomonte per questo non s'arresta.
Ma s'avventa a Ruggier che nulla sente;
In tal modo intronata avea la testa,
In tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta :
Gli cinge il collo col braccio possente ;
E con tal nodo e tanta forza afferra,
Che deli' arcion lo svelle, e caccia in terra.
i2b Non fu in terra si tosto, che risorse.
Via più che d'ira, di vergogna pieno;
Però che a firadamante gli occhi torse ,
E turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
E fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero, ad emendar presto quell'onta,
Stringe la spada > e col pagan s' affronta.
i26 Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
Lo cansa accortamente, e si ritira ;
E, nel passare, al fren pigliali destriero
Con la man manca, e intorno lo raggira ;
E con la destra intanto al cavaliere
Ferire il fianco o il ventre o il petto mira ;
E di due punte fé sentirgli angoscia,
L' una nel fianco, e V altra nella coscia.
i27 Rodomonte, eh' in mano ancor tenea
Il pome e l'elsa della spada rotta,
Ruggier su l'elmo in guisa percotea.
Che lo potea stordire all' altra botta.
Ma Ruggier, eh' a ragion vincer doyea,
Gli prese il braccio, e tirò tanto allotta.
Aggiungendo alla destra l'altra mano.
Che fuor di sella alfin trasse il pagano.
tu ORLANDO BORIOSO*
488 Sua forza o saa destrezza vaol che cada
Il pagan si, eh' a Ruggier resti al paro:
Vo' dir che cadde in pie ; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicare.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
Lungi da sé, nò di accostarsi ha caro :
Per lui non fa lasciar venirsi addosso
Un corpo cosi grande e cosi grosso.
129 E insanguinargli pur tuttavia il fianco
Vede e la coscia e V altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
Si che alfin gli abbia a dar vinta la lite.
L' elsa e '1 pome avea in mano il pagan anco,
E con tutte le forze insieme unite
Da so scaglioni, e si Ruggier percosse,
Che stordito ne fu più che mai fosse.
130 Nella guancia dell' elmo e nella spalla
Fu Ruggier colto; e si quel colpo sente ,
Che tutto ne vacilla e ne traballa,
E ritto si sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar ; ma il piò gli falla,
Chò per la coscia offesa era impotente:
E '1 volersi affrettar più del potere,
Con un ginocchio in terra il fa cadere.
i^ì Ruggier non perde il tempo, e di grand' urlo
Lo percuote nel petto e nella faccia ;
E sopra gli martella, e tien si corto.
Che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan, ch'egli ò risorto;
Si siringe con Ruggier si, che l' abbraccia:
L' uno e l'altro s'aggira e scuote e preme,
Arte aggiungendo alle sue forze estreme.
i32 Di forza a Rodomonte una gran parte
La coscia e '1 fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grand' arte,
Era alla lotta esercitalo mollo :
Sente il vantaggio suo, nò se ne parte;
£ d' onde il sangue uscir vede più sciolto,
E dove più ferito il pagan vede,
Pon braccia e petto, e l' uno e V altro piede.
CANTÒ QUABÀNTBStBiOSBSTÒ. Htó
433 Rodomonte, pìen d' ira e di dispetto,
Raggier nel collo e nelle spalle prende :
Or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
Sollevato da terra lo sospende ;
Quinci e quindi lo ruota, e Io tien stretto,
E per farlo cader molto contende.
Raggier sta in sé raccolto, e mette in opra
Senno e valor, per rimaner di sopra.
i34 Tanto le prese andò mutando il franco
£ buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
Calcògli il petto sul sinistro fianco,
E con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo innanzi al manco
Ginocchio e all' altro attraversògli e spinse ;
E dalla terra in allo solle vello,
E con la testa in giù steso tornello.
135 Del capo e delle schene Rodomonte
La terra impresse, e tal fu la percossa.
Che dalle piaghe sue, come da fonte,
Lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier e' ha la Fortuna per la fronte,
Perchè levarsi il Saracin non possa,
L'una man col pugnai gli ha sopra gli occhi,
L'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136 Come talvolta, ove si cava Toro
Là tra' Pannoni o nelle mine ibere,
Se improvvisa ruina su coloro
Che vi condusse empia avarizia, fere.
Ne restano si oppressi, che può il loro
Spirto appena, onde uscire, adito avere;
Cosi fu il Saracin non meno oppresso
Dal vincitor, tosto eh' in terra messo.
137 Alla vista dell' elmo gli appresenta
La punta del pugnai eh' avea già tratto ;
E che si renda, minacciando, tenta,
E di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa.
Che di mostrar viltade a un minimo atto,
Si torce e scuote, e per por lui di sotto
Mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
40'
546 ORLANDO FURIOSO.
i38 Come mftstin sotto il feroce alano,
Che fissi i denti nella gola gli abbia.
Mollo s* affanna e si dibatte invano
Con occhi ardenti e con spumose labbia,
£ non poò uscire al predator di mano.
Che Yince di vigor, non già di rabbia ;
Cosi falla al pagano ogni pensiero
D' uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
i39 Pur si torce e dibatte si, che viene
Ad espedirsi col braccio migliore ;
£ con la destra man che '1 pugnai tiene,
Che trasse anch' egli in quel contrasto faore,
Tenta ferir Ruggier sotto le rene.
Ma il giovene s' accorse dell' errore
In che potea cader, per differire
Di far queir empio Saracin morire ;
140 £ due e tre volte neir orribil fronte.
Alzando, più eh' alzar si possa, il braccio,
Il ferro del pugnale a Rodomonte
Tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squallide ripe d' Acheronte,
Sciolta dal corpo più freddo che ghiaccio,
Bestemmiando fuggi l' alma sdegnosa ,
Che fu si altiera al mondo e si orgogliosa.
troTS*
Si. i» ^. l-S. — Or^ se mi mostra
U mia carta il vsro ee.f ora, se la carta
della mia naTÌgaBione Don erra, non h
lungi il porto, ov' io la termini, e renda
grasie a chi mi ha sorretto in cosi luogo
viaggio, ch*io non credei compire sema
disgrafie. E fuori d'allegoria t ora ch'io
sono presso al ^ne del mio lungo a
diffieil lavoro,
St, 8. «r. M,^J chi in eterno
deggio t verso cui mi corre obbligo di
gratitudine eterna. — Veronica da
Gambera: matrona d'illustre famiglia ,
da Corteggio, celebre rimatrìcé e iniitH
trice del Bembo.
St, 4. p. Z'k,^Emilia Pia t di no-
bilissima famiglia Carpigiana. Ne parla
con lode il Castiglione nel suo CortìgU-
no.— 'Eia notrita Damigella Tridui*
zia al sacro speco. Questa era figlia di
Giovanni Trivalsio^ milanese} di quat-
tordici anni si dedicò alla letteratura, e
▼i fece progressi maravigliosL Ve sacro
speco a* intende una grotta ddb Fod-
de, presso Delfo, rinomata dai poeti per
le ispiraiioni apollinee.
CANTO QUARANTESIMOSESTO.
;»«
SL 5. V. 2-8. — Barbara Turcat
allude forse il Poeta alla 6glia del duca
di Brandeburgo, maritala a Lodovico
Gooiaga, fecondo marcbeie di Manto*
va, soprannominato il Turco per le sne
prodene.— ZtfMra.* probabilmente qui
s'intende la teria moglie del duca Al*
fonso, nata in umile condisione» ma
donna d* alto ingegno e di molta pru-
denia. — Ecco Ginevra che ec»f Gine-
vra d'Este, sorella del duca Ercole, ma-
ritata a Sigismondo Malatesta, signore
di Rimini.
SL 7. V. i. — I?e/ mio signor di
SoMolot Federico Gonsaga, detto da
Bosolo, castello auUa sinistra dell'Oglio,
fu valente capitano, e si distinse nelle
guerre di Francia.
St.S. v.i-S. — Giulia Gonzaga ee.t
moglie di Vespasiano Colonna! era tanto
rinomata per Pavvenenta, che il corsaro
Barbarossa mandò gente in Fondi a ra-
pirla; ed ella appena pol^ salvarsi, fug-
gendo in camicia.— Za cognata h con
lei» Isabella Colonna, moglie di Luigi
da GaBolo.-*itfiiRa d' Aragonjtice del
Vasto I era figlia di Ferrante d'Arago-
na, e moglie di Alfonso d'Avalos, mar-
chese del Vasto.
St,9, f. 3.S.— Za sorella ò con lei.
Parlasi di Giovanna, sorella della mar-
chesa del Vasto, e moglie di Ascanio Co-
lonna.^—fcco chi tolto ha dalla scura
spiaggia ee.t Vittoria Colonna, moglie
di Ferdinando Francesco d' Avalos, mar- I
chese di Pescara. Vedi su di lei, nel
Cauto XXXVII, le St. i6,i7ei8,non
chela nota a queir ultima Stanaa.
St, iO. V. S.— V unico Jccoltit
cavaliere d*Areiio, sul quale molto si
diffonde il Cortigiano del Castiglione.
4^^ 1 1. «». 1-4. — Benedetto^ il nipo»
lei detto il cardinale di Ravenna; mori
in Firenae di morte subitanea. — Col
cardinal di Mantma,eeol Campeggio.
Il primo fa Ercole Gonzaga, fratello di
Francesco ultimo marchese, e di Fer-
dinando primo duca di Mantova; Taltro
IttLoreoso Campeggio, giureconsulto l
bolognese. Ambidue ebbero il cappello
cardinalizio da Clemente VII.
St. 12. v.U%.-~Lattanzio e Clau*
dio Tolomei: due letterati di Sienai e
Claudio fu altresì distinto oratore e poe*
ta. — Paulo Pansas genovese, che col-
tivò molto lodevolmente la poesia lati*
na. — £ '/ Dresino t Giorgio Trissino
di Vicenza, dotto nelle lettere greche,
e valente poeta, autore deir/£a/ia libc"
rata e della Sofonisba,.~^tatino Gio-
y^nal: letterato parmigiano, rinomato
ai tempi di Leon X e di papa Clemente,
nella corte dei quali si distinse. — Et
Capilupi miei. Erano cinque mantovani
di questa £|^miglia; ma il Poeta intende
forse di Lelio e d' Ippolito, noto qoe-
st' ultimo come scrìttor di sonetti e di
centoni latini. — E*l Sasso: modenese,
scrittor di rime italiane e latine.-* £ '/
MoUat di lui si disse in fine della nòta
alla St. 12 del Canto XXX VII Gi«-
iio Camillo t rimatore anch*egli, e au-
tore del Teatro delle scienze , opera
scritta per facilitare agli studiosi le vie
del sapere, adombrate qui sotto il nome
di rivi ascrei. — Marco Antonio Fla»^
minio r da Imola, buon poeta latino e
scrittore di cose sacre e filosofiche. •—
// Sangag abile ciferista, e per ciò gra-
dito a Clemente VII. — Il BematVTzn"
Cesco Berni, canonico fiorentino, dagli
scritti festevoli di cui ha preso nome Io
stile bernesco.
SU 13. 9.1'%.— Ecco Messane
dro ect il cardinale Alessandro Farne-
se, nomo di lettere, e amainte de' lette-
rati, crealo papa col nome di Paolo III.
— Fedro i da Volterra, familiare del
cardinale Pompeo Colonna, e professore
d'eloquente, come lo fu Camillo Por-
aio, nominato in questo stesso verso.—
Jl bolognese Filippo. Rammenta vero-
similmente Filippo Beroaldo, molto ac-
cetto a Leon X, e da quel pontefice pre*
posto alla Biblioteca Vaticana. — //
Volterrano: Raffaello da Volterra, uo-
mo di grande studio e versato in tutte le
buone discipline. ~-// Madalenat ri-
K48
OfiLANDO FÙBIOSd.
guardato nella cotte romana come in*
gegooso e leggiadro lerittore.— 'jff/oijof
di nome Palladio, eccellente poeta, e
segretario di Clemente VII. — Pieriot
gentiluomo di Cividal di Belluno, egre-
gio ed erudito scrittore prosaico, e ver-
seggiatore.-'// Vida eremonesBt Gi-
rolamo Vida, cbe trattò in versi latini
di varj soggetti, • scrisse ani filugelli e
sul giuoco degli scacchi.^ J? Laseari,
e Musuro e Navagerot Giovanni La-
scari di Costantinopoli, fu dottissimo
grecista e caro a Lorenio il Magnifico.
Il Musuro era di Creta; espose in Pa-
dova i classici greci, ebbe da Leon X la
sede vescovile di Ragusi, e poco prima
dì sua morte ottenne il cappello cardi-
naliiio. Il Navagero fu gentiluomo ve-
netiano, culto e castigato latinista, e fu
in pregio anche per le sue rime italiane.
— Andrea jl/arone f bresciano, gratis-
simo a Leone X, ledi cui cene rallegrava
colle sue latine ed estemporanee poesie.
^-E*l monaco Severo. Stcondo il For-
nari,era questi don Severo da Fireniuo-
la, dotlo cistcrciense, complice o parte-
cipe della congiura tramata dal cardinal
Sauli contro Leon X i ma il Porcarchi
vnole che si debba intendere don Severo
da Volterra, monaco camaldolese, amico
deir Autore, e gentil poeta.
St. 14. V. 1-8. — Ecco altri duo
Aleesnndri ee,t Alessandro dall'Orolo-
gio, nobile padovano, e Alessandro Gua-
rino, illustri letterali.— .Wflr/o d'Olvi"
tot Mario ^aicola da Olvito nel regnò
di Napoli, fu lungo tempo in corte di
Federico marchese di Mantova, e scrisse
di cose d* amore, d'antichitSi e di storia.
— Pietro Aretino: soggetto troppo co-
nosciuto, perchè s*al)bia a parlarne. -^
, Duo Jer animi t di questi due, il vero-
nese Girolamo Verità è noto come scrit-
tore di poesie xXzWznt.^^ Il Mainardof
era ferrarese , dotto nella seienxa medi,
ca, cui illustrò con gli scritti, e con la
scoperta di semplici fino allora ignorati.
— // Leonieenot dottissimo medico vi-
cenlitto, fu il primo a tradurre le opere
di Galeno; ed era assai gradito ad Er-
cole II e al di lui figlio Alfonso.
St. 15. V. 7-8.— // Fraeattoriùf
Girolamo Fracastoro, medico veronese,
astronomo, ed autore del poema sulla
Sifilide.'^ Il Bevauuano : era venesia-
no, e atimato nella corte di Leon X e di
papa Clemente.— Tri/on Gabriele f
venesiano anch* esso, e nomo di gran
giudieio, benché , come Socrate, nulla
abbia lasciato di scritto. — E il Tasso :
Bernardo Tasso, bergamasco, celebra
poeta, e padre di Torquato.
St. 16. V. 1-8. — Niccolò Tiepólì!
senatore veneto di grande autorità, e
uno fra i primi riformatori dello Studio
di Padova. — Niccolò Amanio t poeU
cremasco.-.- // mio Valerio t il veneto
Gian Francesco , di cui si h detto uà
Canto XXVII, Su 137.— Col Bari-
gnan : Piero Barìgnano, bel dicitore hi
rima, e accademico in Roma ai tempi
di Leon X.
StM.v.2-%.—llPico: Gian Fran-
cesco Pico della Mirandola. — // fìto:
Alberto Pio, signore di Carpi, ornato di
lettere e di gentili costnmL — laeoho
Sannasaar ec, s di lui si è detto altro-
ve; e qui resta da notarsi per l'intelli-
gensa dell'ottavo verso, d>*egU fd il
primo a comporre Eclogke piscatorie.
St. 18. V. S-7. — />i>(o/r/or Bona-
ventura Pistofilo, segretario del duca di
Ferrara. Ad esso VAutore iodiriciò Tnl-
tima delle sue salire. — Cogli Ac"
ciaiuoli: fiorentini di origine; furono
tre i lodati dal Giraldi come valenti poe-
ti; Antonio cioè, Iacopo, ed Ardidao.
Annibal MalaguM t il Poeta Io dice
suo /^ArenCe^ perchè la madre sua appar>
tenne a quella famiglia.— JDe/ mio nm»
tivo nido : di Reggio : ove nacque il
Poeta nel U74.
St. 19. <». 1.— Fittor Fatui» t
greco di naiione, professore di lettere
greche, e soprintendente ali* arsenale di
Venesia.
St. 46. V. 4. — Disfatioj noftot
nel quale significato adoperò tal voce
.. . -^
CANTO QOARAMTESIltÒSEgTO.
HM
r Alighieri ntW Inferno, Canto VI,
▼.41
Si, 69. V. 1-6. — Qna/e il canato
Egeo ee.s ve di Atene, che, ad istiga-
aiooe di Medea sua moglie, fa sul punto
di avvelenare, non conoscendolo, Te-
seo nato da Ini e da Etra. Ma ravvi-
sando ]a spada di Teseo per quella
ch'egli medesimo aveva lasciata ad Etra,
si astenne da quel misfatto.
Si, 65. 9. 6. — Pietas angoscia.
St, 67. V, 3-4.— Gano eoi conte
Anselmo ec, Gano o Ganellone di Ma«
gODia, il eonte Anselmo d* Altariva , ri-
cordati altrove, erano, insieme con gli
altri tre nominati nel quarto verso, ne*
mici delle due famiglie Mongrana e
Chiaramonte.
St, 78. V. 4-8. — Al gran vermo
infemah al diavolo; e cosi s'intenda
di diavoli 1* a Dio nimica empia fami-
glia, come sono diavoli i messi stigi,
St, 80. V. 5-7. — Trapunto : rica-
mato. — Della terra d' Illa .• di Troia,
detta anche llio.-^ Cassandra: BgViz
del re Priamo, e profetessa, com'è
detto nel quarto verso.
St. 8S. V, Z.%.-^ Sinon falso iqptì
perfido greco , che persuase i Troiani ad
accogliere nella cittSt il cavallo, entro cut
stavano nascosi i Greci, che poi la disfe-
cero.—-il/eiie/ao; re di Sparta, marito
di Elena, che fu rapita da Paride.— -Pro-
teo: re d'Egitto, di cui Erodoto narra
che, spinto essendo dalla burrasca Pa-
ride con la rapita Elena a Canopo , i due
amanti furono mandati in Menfi a Pro-
tro, il quale si tenne Elena, e rimandò
il drudo. Finita la guerra troiana, Me-
nelao andò in Egitto e riebbe la moglie,
la quale dal Poeta si finge riscattata col
padiglione che nella precedente Starna
si è naentovato.
St, 84. u, U9,^Di cai doler si
debba La bella Italia, per la male au-
gurata traslocasione della sede imperiale
in Costantinopoli.
St, 85. — Questa e le StanM se-
guenti finn a tutta la 97 ridondano di
lodi proface al cardinale Ippolito d'Este,
nato dal duca Ercole I e di Leonora d'Ara-
gona ; le quali si compendieranno qai ia
non molte parole, riserbandoci il dichia-
rar qualche voce che nelle Stanse ap-
presso s'incontri averne bisogno.Beatrice
d' Aragona, sua eia materna e moglie di
Mattia Corvino re d' Ungheria, volle Ip-
polito presso di ah , essendo egli per an-
che fanciullo. Tenuto in gran conto dal
re, ottenne l' arcivescovato di Strigonia*
Poscia chiamato a Milano da sua sorel-
la, consorte di Lodovico Sforia, fu ar-
civescovo di Milano e cardinale, ed ebbe
gran parte nel governo dello Stato. Giu-
stificò la fiducia in lui posta da Lodovi-
co, restandogli fedele anche nell'avversa
fortuna. Divenne poi vescovo d* Agria ,
ed ebbe onorifiche preminente sull'alto
clero di Roma, intelligente nelle cose di
guerra, diede saggio di questa sua abilità
contro i Veneti, di che più volte si è
fatta menzione nel corso del Poema ; e
salvò lo Stato da interne perturbaaioni,
scoprendo la congiura ordita contro di
Alfonso da Giulio e Ferdinando d' Este,
e accennata nella nota alla St. 60 del
Canto II f.
1$*^ 88. V, 3-4. — vtf'pann/.* appres-
so. Simile espressione adoperò 1' Ali-
ghieri, e nello stesso significato, nel
XV dell'Inferno, v. *0.-^Sia nel pa»
loigio, sia nel padiglione: in pace o in
guerra ; ovvero nelle civili e militari
bisogne,
St. 89. V. 3. r—i^Mjco. • Tommaso
Fusco, prima precettore, poi segretario
d'Ippolito.
Si. 94. V, S. ~ Col duca sfor»
tanaio degV Insubri: con Loilovico
Sforza duca di Milano, cacciato da
Luigi XII.
St, 95. V. 7-8. — Jlr/a del nomt
erede ec.f acquista il diritto di esser
chiamato padre della patria, dopo aver
scoperta la congiura de' due Estensi ,
come fu detto padre della patria Cice-
rone, sventata eh' egli ebbe la congiura
di Caiilioa,
Ò50
UBLANOO FURIOSO.
Si. 99. V. S. — Viene e vede e vin-
ce, k il laconico ragguaglio dato da Ce»
sare sulla guena contro Farnacc, appli-
cato dal Poeta al cardinale Ippolito*
St* i04. V. 3.^ Con U sua gè*
sta: con 1' atteggiamento della per*
St, 108. V. 6.— J7'/ figlio bianco
€*l brmmoi Grifone e Àqoilante.
<Sr. 109. V. 6. -^ Fw tutte le lunghe
e* furono levati tutti gl'indugi.
St, 120. ¥, 5. — Fottmrot strego-
neria»
St. 123. 9, 8-4.— La macchina
qui accennata chiamasi Gatto.
St. 136. V. 2.~Xà tra'Peuuenis'ìA
Ungheria, detta dai Latini Pennouie.—
Nelle mine iberet neUe minieie delli
Spagna , anticamente chiamata Ibeiii.
St. 138. 9. 1 lfa«(iiif canedi
mandria.— Alano z cane feroce, di raiu
inglese.
651
IIVJDICE
DEI NOMI PROPRJ E DELLE COSE NOTABILI
NEI.IP OBIiAWDO FUHIOSO.
(// numero romano indica il Canto j rarabico la Starna,)
Adokio. Sua Dovella, XLIII, 74.
AcnAMAiiTi. Si prepara ali* assedio di
Parigi, XII, 70; XIY» 67.— fa la
rassegna dd suo esercito, XIII, 81 %
XIT, ii. — suo esercito innumerabi<*
le, ivi, 99.^d^ l'assalto a Parigi, ivi,
109. — assale una porta di Parigi, e
si troTa Carlo contro, XV, 6. — va
contro gV Inglesi, XVI. 75 e 83. —
vien abbattuto da Rinaldo, ivi, 84. —
combatte di nuovo con Rinaldo ,
XVUI, 40.—^ rotto dai Cristiani e
si ritira, ivi, -158. >-> Tiene assediato
nel dimpo, XXIV, 108 e seg.— resta
liberato da Rodomonte e da altri Sa-
racini sopraggiunti, XXV1I,15 e seg.
— assedia di nuovo Carlo in Parigi,
ipi^33. — cerca invano di comporre le
difference insorte fra' suoi campioni,
ivi, 44, 68, 81 e seg. ; XXX, 1 9 e seg.
— permette che Mariisa si vendichi
di Brunello, XXVII, 94 e seg.— Ri-
ceve in dono Brigliadoro da Ruggie-
ro, XXX, 75. — il suo esercito fe mal-
trattato dalle squadre di Rinaldo,
XXXI, 51. — si ritira in Arli, ivi,
84. — cerca riparare i danni della
scon6tta, XXX 11, 4. — fa impiccar
Brunello , restituitogli da Marfisa,
ivi, 8. — tien consiglio per de-
liberare circa al ritorno in Alirica,
XXXVIII, 37. — fa una parlata ai
s uoi, ivi, 38. — conviene con Carlo di
rimet ter la somma della guerra in due
combattenti, uno per parte, ivi, 65.
•—rompe il patto, XXXIX, 6. •— viea
disfatto dai Cristiani, e abbandonato
dai suoi, iVi^ 9e 66. — naviga verso
l' Africa, ivi, 73. -~ vien battuto in
mare da Dodone. ivi, 81 1 XL , 6.
— si dispera, ivi, 36. — si rifugge
aell' isola di Lìpadusa , ivi, 44. —
manda a disfidare Orlando e i suoi
compagni, ivi, 54 e seg. •— combatte
con Oliviero, XLI, 68 e 71 . —
poi con Brandimarte, ivi, 91. — uo*
ciso da Orlando, XLII, 8.
AoBiGALTB.Co*suoi alla rassegna d'Agra-
mente, XIV, SS.— battuto da Rinal-
do, XVI, 81. — fatto prigioR di Du-
done, XL, 71.—- liberato da Ruggie-
ro, XLI, 6.<— >sna morte, ivi, 21.
AxABDo. Riceve Bradamante sua sorella
in Montalbano, XXIII, SS parte
con Rinaldo da Montalbano, XXX,
94..... vien battuto da Guidon S^Xm
maggio» XXXI, 10.
AtCBSTX, amante di Lidia, XXXIV,
16.— suo valore, /•»<,17 e seg. — avuta
una ripulsa dal padre di Lidia , gli
muove aspra guerra, ivi, 20 e seg. —
d^ a conoscere troppo il suo amore a
Lidia, ivi, 25 e seg.— restituisce nel
primo suo stato il padre di lei colla
morte del re d' Armenia , ivi, 35 •
aeg.-~esposto da Lidia a varj cimenti
pericolosissimi perchè perisca , ivi^
38.^ sua afflisione e morte per l'in-
gratitudine di Lidia, ivi, 43.
Alciha. Sua isola incantata, VI, 19.-^
btf2
IMDICB DEI NOMI PROPBJ
$no cuUtììoìnfnUìo,Mfib^ — ^ubbi-
dita da'pesci, ivi, 38. — volubile Del-
l' anuire , cangia gli amauti in varie
forme, ivi, M). — cangiò Astolfo in
mirto, ivi, 61. — sua cittli descrittai
iVi^&8>71 e scg. — mostri di detta iso-
la, ivi, 61. — • sue bellesse descritte,
VII, lOe seg.— innamora di th Rug-
giero, ivi, 16. — sua bratteata da
Ruggiero scoperta , ivi, 73. — iose*
goa Ruggiero, Vili, IS; X, 48.—
vista da Logistilla, fugge, ivi, 53.
▲iDioino di Cbiaramonte. Sue virtù
XXV, 72. — raccoglie Ruggiero e
Ricciardetto nel castello d'Agrismon-
te, ivi, 73. — va con loro a liberar
Malagigi e Viviano, ivi, 95. — sente
da Malagigi la spiegasione delle scol-
ture della fonU di Merlino, XXVf,
88 è gettalo da cavallo da Mao-
dricardo, tvi, 76.
Alibia. Porge aiuto a Guidone e ai suoi
compagni per uscir d'Alessandria,
XX, 74, 80 a 95.— sbarca a Mar«
silia con Guidone , ivi, 103. >— in
compagnia del medesimo incontra
Ricciardetto, XXXI, 8.
Albssaxdba, una delle femmina omi-
cide. Suoi amori con Elbanio, XX,
39 a aeg.
Alessandria (ora Alessandretta), c\\\k
abitata dalle femmine omicide, XIX,
67; XX, 9. — sua origine, ivi, 68.
Alfbo, medico, mago ed astrologo. E
ucciso da Cloridano, XVI II, 174.
Almoxio, ministro fedele di Zerbino nel
ratto dMsabella,XIII,17. — è ingan-
nato, da Odorìco, il quale gli toj^lia
Isabella, ivi, 23. — conduce Odorìco
legato a Zerbino , XXIV, 16. — > sua
vittoria sopra Odorìco in un duel-
\Otivi, 26. — impicca Odorìco, iVi',45.
AijnRDO, re di Tremisenne. Scontrato
colle sue squadre da Orlando presso
a Parigi, Xi I, 69. — s6da arrogante*
mente Orlando, e resta ucciso, i>Ì474
e seg. — sue genti distrutte da Orlan-
do, ivi, 76 e seg. — • h atteso invano
alla raasegna d'Agramente, XIV, 28.
Amomb, avendo promessa Bradamante,
sua figlia, a Leone, la nega a Ruggie-
ro, XLIV, 36.—- stabilisce con Bea-
trice, di lei madre, di mandarla a
Rocca Forte, ivi, 72. — si pente, e
chiede scusa a Ruggiero, pregan«iolo
ad accettarla in isposa, XLVI, 64.
Analabdo.Id mostra co* tuoi, XIV, 46.
AvuRoriLo, cognato di Coitantino.Per«
de il figlio in battaglia, ucciso per
mano di Ruggiero, XLIV, 86. ^- ri-
ceve Costantino in Beletieebe, XLV,
11.
ABOBomcA, donna valorosa diLogistil-
la, X, 52. — accompagna Astolfo Tcr-
io Occidente, e gli spiega molte cose
di geografia, ec, XV, 11 a seg.
Amdbopomo, sacerdote. Gettato da Ro-
domonte giuda' merli di Parigi, XIV,
124. — ucciso da Cloridaao, XVIll,
177.
Anello incantato e contro gì' incanti,
posseduto da Brunello, 111,69.— di-
fende Angelica dallo splendore dello
scudo incantato, X, 107. — dopo es-
aere stato in varie mani, ritorna in
quelle di Angelica, XI, 3 a seg.
Abobuca. Ritornata con Orlando ia
Ponente, gli vien tolta da Carlo,
I, 7. — promessa in premio a quel
guerriero che nella giornata da' Pire-
nei avesse mostrato maggior valore,
ivi, 9 e 46 fugge dopo la rotta
de' Cristiani in quella battaglia,
a incontra Rinaldo, a Ferraù, <rr«
iO e 14. — fugge da loro, ivi, 17
e 32. — sua superbia , ivi, 49. —
prende Sacripante per guida, ivi, 50.
—odio che ha verso Rinaldo, 11,11.
— ai trova coli' eremita, iVr, 12; e
VILI, 29.— vien portata in mare dal
cavallo indemoniato , e poi al Udo
inospite, ec, ivi, 35. — sua beUesaa
quanti acci^nti produsse sulla terra,
ivi, 62. — vien condotta dai corsari
per cibo all'Orca, iWj 64.~.rìcnpefa
r anello incantalo, X, 107. — resta
liberata da Ruggiero, ivi. 111. —
prove fatte con queir anello, XI, 4.
— s'invola a Ruggiero, IW,6.— sua
bellessa singolare, ivi, 11. — arriva
al palasao incantato d'Atlante, XII,
25. — si scopre a Sacripante, ad Or-
lando a a Ferreo, a poi si nasconda
loro, ivi, 28.— prende la via d'Orien-
te, ivi, 65. — superila per 1* anello
riavuto, XIX, 18. — impietosita di
Medoro, gli medica la ferita, ivi, *0
a seg.— s'invaghisce di lui, ivi, 26.
— lo sposa , ivi, 33. — regala gli
ospiti pastori, e parte con Medoro,
iVi. 40. — incontra Orlando passo,
XXIX 9 58. — gli ai nasconda col
S DELLE COSE NOTABILI.
«53
mesBO dell'anello, IW^ 64.—- ntoroa
finalmente ncll' india col sao Medoro,
XXX, 46.
Angelo MiCBiLB. D'ordine di Dio,
cerca il Sìlensio tra' frati, XIV, 78.
— tì trova la Discordia, ivi, 81. —
la manda tra i Saracini, ivi, 85. —
trova il Silenzio alla casa del Sonno,
ivi, 94. — Lo conduce al campo di
Rinaldo, ivi, 95. — accorcia miraco-
losamente la via alle truppe di Rinal-
do, ivi, 96. — • riconduce la Discor-
dia al campo Saracino, XXVII, 37.
AnsuMO d'Altaripa.Sue castella,XXIII,
4. — suo dolore per la morte di Pina-
bello suo figlio, ivi, 46. — suo bando
contra V uccisore di suo figlio, ivi, 47.
— erede alla falsa accusa contro Zer-
bino , e fattolo prendere, sema pro-
cesso lo condanna a morte , ivi, 50.
— aue inimiciaie colla stirpe di Ghia-
raroonte, ivi, hi.
Aquilauts. Combatte con Orrilo, XV,
67.— va in Gerusalemme con Astolfo
e Grifone, ivi, 93. — cerca Grifone,
XVIII, 73.-— trova Martano con Or-
rigille, e legati li conduce in Dama-
sco, ivi, TI. — trova Grifone, ivi,
87.— è abbattuto da Astolfo, ici^ 118.
—si riconcilia con Marfisa, e ricono-
sce Astolfo, ivi^ 132. — va in Cipro,
ivi, 136 vien battuto dalla tem-
pesta, i9i, 141 1 XIX, 43. —ap-
proda coi compagni ad Alessandria,
ivi, 54. — fngge da quella cittìi al
suono del corno di Astolfo, XX, 92.
— naviga a Marsilia, ivi, 101.—
va al castello di Pinabello, iW^104|
XXII , 53. — giura di osservar la
legge di quel castello , ivi, 54. —
cade allo splendore dello scudo incan-
tato di Ruggiero,/»'!^ 85.— intende da
Fiordiligi la pascià d'Orlando,XXXI,
43. — va coi compagni ad assalire i
Mori, /W^ 51.
Ahbàhts. Pretende Olimpia in ispo-
sa, IX, 35. — viene da hi ucciso,
iW^41.
Abcbidahtb. In mostra co* tuoi, XIV,
16.
Ardenna, selva. Sua fonte cangia, a cbi
VI bee, l'amore in odio, e viceversa,
I,78,e XLII, 35 e 60. — avventure
di Rinaldo in essa, ivi, 45.
Argalia. Sua ombra apparsa a Ferraù
nel meiso di un fiume, I, 35.
Argaliffk, bestia eavaleaU da Berlin-
giero, XVIII, 44b
Aboahio. In mostra co' suoi, XIV, 18.
Abgbo, marito di Gabrina,XXI,14. —
. crede alle calunnie di lei contro Fi-
landro, iV<« 34.— assale Filandro per
vendicarsi, e lo fa prigione, ivi, 36.
— resta da lui ucciso in fallo, per
inganno di Gabrina, ivi, 48.
Aboia, moglie di Anselmo giudice. Sua
norella, XL III, 73 e seg.
Abikako, duca di Sormosedia. Alla ras-
segna di Rinaldo in Londra, X, 81,
— h ricevuto in Parigi assediato,
XVI, 85. — va contro Rodomonte»
entrato in Parigi, XVIII, 10.
Abiodamtb , amante di Ginevra corri-
sposto, V, 16 e aeg.— cerca far prova
dell' amor di lei, ivi, 41.— disperato
per le prove in contrario cbe crede di
averne, ivi, 53. — si getta in mare ,
ivi, 57. — si ritrova salvo, e ritorna
a Ginevra, VI, 5. — la difende dalle
accuse di Lurcanio, di lui fratello, e
la sposa, ivi, 9 e seg. — va con Ri«
naido in Francia a difesa di Carlo,
X, 86. — muove contro i Saracini,
XVI, 55. — suo valore, ivi, 59 e 78.
— soccorre 2Serbino, ivi, 64. — sue
furie contro Dardioello uccisore di
Lurcanio, XVIII, 56.
Abiosto (Lodovico). Mandato ambascia*
tore al pontefice Giulio II dal duca
di Ferrara , XL, 3. — persone sue
amiche nominate e lodate , ivi, 4 1
XLVI, 3 e seg.
Arpie, infeste al Senapo di Etiopia,
XXXIII, 108 e 119. — scacciate da
Astolfo col corno incantato, ivi, 135;
XXXIV , 4. — chiuse in una spe-
lonca, ivi, 46.
Abtbkia, una delle più crudeli donne
d' Alessandria. Suo consiglio contro
Elbanio, XX, 50.
Astolfo. Ritrovato da Ruggiero nel-
l' isola di Alcina in forma di mirto,
VI, 37. — fu amante di Alcina, ivi,
46. — cangiato da lei in mirto, ivi,
51. — ricupera 1' umana forma per
opera di Melissa, VIII, 16. — si ri-
trova da Logistilla, X, 64. — doni
prodigiosi dì un corno e di un libro
incantato che da lei riceve nel par-
tire, XV, 13. •— col corno caccia i
ladroni e le fiere, ivi, 38. — col me-
desimo mette in foga Caligorante »
47
804
INDICE DEI NOMI PROPIU
M, 6S. — Io condnce mco legato,
ivit 60. — ritrova a Daroiata Aqoi-
lante e Grifone, cho combattono con
Orrilo, ivi, 66. — etmbatte aoch'egli
con Orrilo, ivi, 81. — gli recide il
capello fatale, e lo uccide, ivi^ 87. —
dona Caligorante a Sanionetto trovato
in Gerusalemme, ivi, 97, — va con
Sansonetto alla gioitra in Damasco ,
XVIII996. — sua lancia d'oro incan-
tata, ivi, il8.— getta da cavallo
Grifone ed Aquilante,lc/. — Sbattuto
dalla tempesta, lifi^ 141 ; XIX, 43.
— approda coi compagni ad Alessan-
dria, ivi, 64. — riconosce in quella
cittli il suo cugino Guidon Selvag-
gio , XX , 65. — mette in fuga col
corno le donne di quella città, ivi,
87 i XXII, 5. — suoi viaggi a Londra
e in Francia, ivi, 7 e 10. — * giunge
ti pilasao incantato di Atlante , ivi,
i3. — scioglie l'incanto, e acquista
l'Ippogrifo, 1VI4S3 e seg. —-consegna
Rabicano e la lancia d'oro a Brada-
mante, XXIII, 11 va in Etio-
pia sàBMppogrilb, XXXIII, 99.—
arriva alla capitale della Nubia, ivi,
101. •— vien creduto dal Senapo uno
spirito caletta, ivi, 114. .—caccia col
corno le arpie che infestano la mensa
al Senapo, ivi, 185 ; XXXIV, 4. —
trova la porta dell' Inferno, ivi,l. ~
— • sente dall'ombra di Lidia le scia-
gure di lei, ivi, 7. —chiude le arpie
io una spelonca, ivi, 46. — ascende
nel Paradiso terrestre, ivi, 48. — vi
h accolto da San Giovanni Evangeli-
sta, ivi, 54. — vien dal medesimo
condotto nel cerchio della luna, ivi,
68. — vede colà «ose mirabili, e poi
ne parte col senno di Orlando in una
ampolla, XXXVIII, 23.— restituisce
la vista al Senapo, e da lai ottien
gente per espugnar Biserta, ivi, 34.
— imprigiona in un otre il vento
Noto, ivi, 29. — cangia i sassi in ca-
valli, ivi, 33. — lefrondi in navi,
XXXIX, 26. — ritorna il aenno ad
Orlando , ivi, 57. — espugna Biser^
ta, XL, 14.— rimanda i Nubi al
loro paese, e torna in Francia,
XLIV, 23.
Astolfo, re de'Longobardi. Sua no-
vella, XXVUI, 4.— domato da Carlo.
XXXIII, 16.
AtUsti, incantatore. Rubala donna
diPinabello, II, 88.— ano eaatdio
incantato descritto, IW, 41 e scg.|
III, 67| IV, 37 e seg. — combatte
con Gradasso, II, 48. — suo scudo
incantato , ivi, 55. — ruba tutte la
donne belle che ritrova , IV, 6. —
resU vinto da Bradamante, ivi, 25.
— cerca giovar sempre a Enggioo,
ivi, 35. .- disfà il suo castello, ivi,
38. — fa capitar Ruggiero ad AÌcìbi,
VII, 44. — gli si fa vedere in scn»-
biansa di Bradamante, XI , 19. — si
mostra nell'aspetto di Angelica ad
Orlando, e lo conduce nel suo pa-
lasso incantato, XII, 4 e seg. —
suo palaaao incantato, e varf enori
inesso,XII,8c 21;XIII,49;XXII,
13. — fugge dal medesimo palatao al
suono del corno di Astolfo, ivi, 22.
— suo palasBO da Astolfo distrutto ,
ivi, 23. — morto, scopre dal suo
avello a Ruggiero e a Maifisa che
sono fratelli, XXXVI, 59.
Aurora descritta, IV» 68; VIII, 86;
X, 20 j XI, 32jXII, 681 XUI, 43;
XVII, 129; XVIII, 10, 103, I88f
XX, 82; XX1II,52;XXV, Uc
93; XXX, 44; XXXI, 36 ; XXXII,
13| XXXIII, 65; XXXIV, 61;
XXXVII, 86; XXXVIII,76{ XLIII,
54;XLV,37; XLVI, 29.
Auiumno deacriUo, IX, 1% XXI, 15.
Baiardo , cavallo di Rinaldo. Fogge
dal suo padrona 1 , 12. — h ritro-
vato da esso, e fugge di nuovo,
ivi, 32. — ritrovato da Angelica, si
laida prendere da lei. ivi, 72 e seg.
— viene in mano di Sacr^antc, ivi,
76. — torna in potere di Rinaldo^
II, 19. — combatte con un uccello
mostruoso, mandato da Malagigi per
disturbare la battaglia tra Rinaldo
e Gradasso, XXXIII, 84 e seg
fugge spaventato in una grotta, ove
è trovato da Gndasao, col quali
resta, ivi, 88 e 93.
Balastbo. Alla rassegna d' Agramanle
coi soldati condotti prima da Tar-
docco, XIV, 22. — va contro Rioal-
do e Zerbino con Agramente, XVI,
83h— resta ucciso da Lurcanio,XVIII,
45.— veduto da Ruggiero fra i pri-
gioni di Dudooe, XL,73. — liberato
£ DBLLB COSE NOTABILI.
655
da Baggiero, XLI , 6. — ina morte,
ivi, 92.
Balena che per incanto d' Alcina si fa
▼edere ad Astolfo, VI , S7. — lo in-
dace a salirle sopra, e lo trasporta
con Alcina, ivi, 40.
Bal»fboiitb. In mostra co' suoi, XIV,
53.
Balihtiuio. In mostra co* suoi, XIV,
i6.
Balisarda, spade di Ruggiero, VII, 76.
— sua fineasa, XXVI, SI ; XLI, 75 }
XLVI, iSO. — capitata in mano di
Orlando, XLI, 26 h restitoita a
Rnggiero, XLIY, 16.
Balitbbzo, il più ribaldo fra* Saradni.
Va coi suoi soldati alla rassegna di
Agramante, XIV , S4. — assale una
Sorta di Parigi con Agramante, XV,
. — ira col medesimo contro gì' In*
glesi,XVI,75.
Balooahtb, capitano delle ganti del re-
gno di Leone, XIV, 18.— incoraggi-
sceiSaracini, XVIII, 43.
Bambibaoo. Va con Agramente contro
gr Inglesi, XVI, 75. — atterrato da
Rinaldo, Mj 81. — prigione di Dn»
done, XL, 71. — liberato da Rug-
giero, XLI, 6.— sua morte, ivi, 33.
Bardixo, balio diBrandimarte,XXXIX,
41. — ano pianto per la morte di
Brandimarte, XLIIf, 168.
BARicoimo, capo de* Maiorìchini. Va
alla rassegna d'Agramente, XIV, 13.
— > ira contro gì' Inglesi sotto Parigi ,
XVI, 67.— veste ncdso dal duca di
Chiarensa, ivi, 69.
Batoldo, cardio dà Brandimarte^XXXI,
67.
BATABTg. In mostra co' anoi, XIV, 16.
BBATiiieB,madre di Bradamante,XLIV,
71. — sua ambiiione,XLVI, 73.
BsBLiBOiBBO. Va contro Rodomonte,
XVII, 16 1 XVIII, 8.— abbattuto da
Ferraù, ivi, 44b
Bbbtolaoi, maganuse. Tratta con Lan-
lasa di comperar Malagigi e Viviano,
XXV, 74.— resta ucciso da Aldigiero
e Ricciardetto, XXVI, 13.
BiAKCA,fata.Tondoce Grifone ed Aqni*
lente contra Orrilo, XV, 73. — . li
tiene lontani dalla Francia, ivi, 89.
— incanU l'armi a Grifone,XVII,70.
Bf AifXABmHo. In mostra co' suoi, XIV,
14.
BiBBHO, amante di Olimpia^ IX, 33. — >
liberato di prigione da Orlando, e
restituito ad Olimpia, ivi, 84. — sua
ingratitudine verso di lei, X, 4 e seg.
— l'abbandona in un'isola, ivi, 19 e
seg. — - perde lo stato, ed e ucciso da
Oberto,XI,79.
^f #erf a^minaeciata dai IIobi,XXXVI II,
35. — assalita e difesa, XL, 14 e seg.
— presa, ivi, 33.
BBASAMAim. Combatte con Sacripante,
I, 60. — ama e cerca Ruggiero, Ily
83 — incontra Pinabello, ivi, 34. —
il <fnale lasciala cader nella grotta
di Merlino, ivi, 70 e seg. — dova
Melissa le mostra le ombre de' suoi
discendenti, e la gloria che doveva
acquistarsi la casa d'Este, 111,9 e
seg. — a' accompagna con Brunello,
IV, 9. *- e gli toglie l'anello incan-
tato,/W^ 13. — combatte con Atlan-
te, ivi, 16. — ritrova Ruggiero nel
castello di Atlante, e lo mette in li-
berta, ivi, 40. — Io perde di nuo-
vo, e ritien seco Frontino, ivi^ 48.
— cerea Ruggiero, VII, 34. — d2i
l'anello incantato a Melissa, per-
chè tolga Ruggiero ad Alcina, ivi,
47. — ' avendo atteso invano Rug-
giero a Marsilia, lo cerca nel pa-
lasao di Atlante, e vi si perde, XIII,
45 e seg. — fugge dal detto palasso
al suono del corno di Astolfo, XXII,
30.— trova Ruggiero, e va seco verso
Vallombrosa, ivi, 36. — ode il peri-
glio di Ricciardetto, e risolve di soc-
correrlo, ivi, 38. — trova Pinabello
al suo castello, e lo insegoe, ivi, 73 a
aeg.— lo uccide, ivi, 96» XXIII,4.—
perde Ruggiero, XXII , 98. — riceve
da Astolfo Rabicano e la lancia incen-
tete, XXIII, 11; XXXII , 48. — si
ritrova a caso a Montalbano, XXIII,
30. — rimanda Frontino a Ruggiero,
ivi, 36. "- h similissima nel sem-
biante a Ricciardetto suo fratello,
XXV, 9 e SO. — eecende di se Fior-
dispina, ivi, 38. — riceve da Ippalca
novella del suo Ruggiero, XXX , 76
e seg. — Ha di lui gelosia per Mar-
fisa, ivi, %li XXXI, 6. — lo attende
con impasiensa, XXXII, 10. — sue
smanie all'udir di lui male nuove,
ivi, 35. — va al campo, ivi, 49. >-
incontra i tre re collo scudo d'oro,
ivi, 50 e seg. — va alla rócca dì Tri-
Steno, ivi, 69. — abbatte i tre rt
556
INDICE DEI NOMI PROPIU
dallo lendo d'oro, M^ 76. — di-
itaàè Ullania, aicchk non sia cac-
ciata fuor della rócca di Tristano,
ivi, 101 e aeg. — suo »ogDO,XXXlll,
60. — atterra di nuovo i tre re, ivi,
69| XXXV, 31. — Ta io soccorso di
Fiordiligi, ivi, 38. — getu di sella
Rodomonte colla lancia incantata ,
iPì^iS. — manda Frontino a Rug-
giero, e lo sfida per meno di Fiotto
diligi, ivi, 69. — abbatte colla lan-
cia incantata Serpentino, Grandonio
e Ferraù^iW^ 67 e scg. — fa lo stesso
di Marfisa per tre ▼olte, XXXVI, SO
e seg. — incontra Ruggiero , e Tuole
ucciderlo, ma si trattiene, ivi, 31.
— sfoga la sua collera contro i Mo-
rì , ivij 38. — • contende con Mar-
fisa, ivi, 46«— 4i rappacifica con Mar-
fisa e Ruggiero, sentendo da Atlante
ch'essi sono fratelli, ivi, 68. — - pu-
nisce Marganorre, nemico delle don*
ne, XXXVII, lOi. — Ta con Mar-
fisa al campo di Carlo, XXXVIII,
7. — Tien promessa dal padre a Leo-
ne, figlio deirimperatorgrecOfXLIV,
IS. — incontra grandi contrasti nelle
sue nosae con Ruggiero, ivi, 36. —
sua riverenia alla madre , ivi, 39. —
suoi nuovi dubbi della fede di Rug-
giero , XLV, S8 e seg. — combatte
con Ruggiero, creduto Leone, e re-
sta vinta , ivi, 70. — finalmente Io
sposa con molte solennitk,XLVI,73.
Bbamdimabtb, grande amico d' Orlan-
do, Vili, 86. — va in traccia di lui,
ivi, 88. — ama Fiordiligi, ivi, 89. —
va al palasao d'Atlante, XII, 11. —
■ fogge da quello al suono del corno
d'Astolfo, XXII, 90.— ritrova la sua
Fiordiligi al campo CTÌstiano,XXXl,
60. — capita con essa al ponte di
Rodomonte, e combatte con lui, ivi,
66. — rimane suo prigioniero , ivi,
76. — h liberato da Astolfo in Afri-
ca, XXXIX, 33. -— ritrova nova-
mente Fiordiligi, ivi, 38. -~ è il
primo a' salir sulle mura di BiserU
nell'assalto, XL, S3 e s«g. — com-
batte con Agramante in Lipadusa»
XLI, 46 e 68. — vien ferito a morte
da Gradasso, ivi, lUO e aeg. -— sua
morte, XLII, IS. — funerali fatti-
gli da Orlando, XLIII, 168 e seg.
BbAmxaroo. Difende Biserta assalita da
Astolfo • dai Nubi, XXXVUI, 36|
XXXIX, i9. — presa dette cittk, si
uccide, XL, 36.
Briffliadorù, cavallo di Orlando, Vili,
84. — non ha paragone, fuorché
Baiardo , IX , 60. — capite in mano
di Maodricardo, XXIV, 115 — Rng-
giero lo vince a Maodricardo, e lo
dona ad Agramante, XXX,75ea«g.
BamiA, fata. Conduce Grifone ed Aqni-
lante contra Orrìlo, XV, 7S. —cerca
tenerli lontani dalla Francia, tvig
89. — parte da essi, ivi, 91
Bbohbllo. Suo anello iocanteto. (Vedi
Anello incantato.} Sua figura de-
scritta, III, 7S. — vien legato da
Bradamante, che gli toglie l'anel-
lo, IV , 14. — va alla rass^na di
Agramante, a cui h caduto in di-
agraaia per l' anello perduto, XIV,
19. — suoi furti, XXVII, 71 e 84.
—riconosciuto da Marfisa, vien por-
tato da essa ad una torre per esser
impiccato, ivi, 93 e seg. -~vien dalla
medesima restituito ad Agramante,
XXXII , 7. — vien fatto impiccai!
dal re Agramante , ivi, 8.
BucivABO. Difende Biserta contro Astol-
fo. XXXVIII, 35; XXXIX, 19.—
rimane suo prigioniero , ivi, SI. —
viene cambiato con Dudone, iVi,
S4. — h ucciso da Oliviero , XL, 35.
Salgari. Eleggono Ruggiero in loro
re,XLIV,97|XLVI,48,69eseg.
BuBALDo. In mostra -co* suoi alla rat-
segna di Agramante, XIV, 18.
Cagione della insuperabile vite d* Or-
rilo, XV , 78. — ora dell* odio , ora
dell* amore di Rinaldo verso Angeli-
ca, 1,78.
Calai, persecutore insieme con Zete
delle arpie infeste a Fineo, XXXI V, 3.
Catidonia, selva. Ricetto di cavalieri
erranti nella Scosia, IV, 61.
Caligobamtb, gigante presso le fbd
del Nilo. Sue crudeltà, XV, 43 e
aeg. — Intimorito dal corno d'Aatol-
fo, resta preso nella rete propria,
ivi, 63. — condotto per vari paesi
da Astolfo, ivi, 61. — porta il car-
naggio d' Astolfo , Grifone ed Aqni-
lante, ivi, 94. — vien donato da Astol-
fo a Sansonetto in Gcnualcmne, tV/.
97. .
fi t)ELLB COSfi I^OTABlLt.
1^57
Cablo Maoho. Manda Rinaldo in In-
ghilterra a chiedere aoccono^ li, 26.
— «noi proirvedimenti per sostenere
r assalto di Parigi, XIV, 68, 103
e seg. — sna preghiera a Dio, ivi^
69 e seg. — va contro Rodomonte^
entrato in Parigi nel tempo dell' as«
salto, XVI, 89 e seg.| XVII, 6, 13.~
lo costringe a ritirarsi, Xyill, S «
seg. — assale Marsilio, ivi, 41. '—
assedia i Saracini nel loro campo, ivi,
i63; XXIV, 408 e seg. — il suo
esercito iriene notamente assalito,
ed è messo in rotta dai nemici ani-
mati da Rodomonte sopraggiunio coi
suoi, XX VII, 18 e 29. — sua disce-
sa, che doveva far in Italia, dipìnta
da Merlino nella sala della rocca di
Tristano, XXX 111, 16. -« conviene
con Agramapte di rimettere la som-
ma della guerra in due combatten-
ti, XXXV HI, 65.
CA8SANOBA. Padiglione da lei trapun-
to, e da Melissa apparecchiato per
le noise di Ruggiero e Bradamante,
XLVI,77eseg.
CiLAHOBO, £glio di Marganorre. Sua
cortesia , XXXVII, 46. — condotto a
morte dall* amore , ivi, 48 e seg.
CiMosco. Chiede Olimpia per isposa
di Arbante suo figlio, IX, 25. —
suo sdegno per la ripulsa avutane,
JW427.— sua forsa ed astnsia, ivi,
38. — artiglierie da lui usate, ivi,
28, 73, 88 e seg. — stragi da lui
fatte delle schiere del conte d* Otan-
da, ivi, 80 e seg. — ha nelle mani
Olimpia, iWj 3ò. — fa prigione Bi-
reno, ivi, 40 — cerca di avere Or-
lando vivo nelle mani, ivi, 64. —
il suo esercito è disfatto da Orlan-
do, ivi, 70. — spara un* artiglieria
contro Orlando, ma non lo coglie,
ivi, 74.— rimane ucciso da Orlan-
do, ivi, 80.— le sue artiglierie sono
da Orlando trasportate altrove per
disperderle, ivi, 88. — indi da lui
gittate in mare, ivi, &1.
Clodiomb. Sua donna, XXXII, 83. <—
sua gelosia per essa , ivi, 86.— scor-
tesia da lui usata a Tristano, ivi,-~»
ne vien gastigato dal medesimo, ivi,
86. — legge da lui imposta alla sua
rocca, ivi, 93.
Cloridamo. Suo amore verso Dardi-
nello, XV III, 166«— sua amiciiia
con Medoro, ivi, 171; XIX, 4.—
▼a di notte nel campo di Carlo, «
uccide Alleo, XVIII, 175. — nells
stessa occasione uccide altri soldati ^
ivi, 177 e seg. — combatte coi sol-
dati di Zerbino solo per salvare il ca-
davero di Dardiocllo, e vendicar Me-
doro, ed h ucciso, XlX, 15.
Coccodrillo, Sua natura, XV, 68.
Condizioni poste tra Carlo e Agramante
nel duello tra Ruggiero e Rinaldo,
XXXVIII, 83.
Contiglio dell* Ariosto alle giovani, X, 5.
CoRKBO di Bilbao, uno de' rapitori d'Isa-
bella, XIII, 17. — la difende dagli
insulti di Odorico, i>i« 26. -^ resta
vinto da Odorico , ivi, 26. -^ col-
l' aiuto d'Almonio prende Odorico,
e lo conduce a Zerbino, XXIV , 16.
— moril»ondo per le ferite, vien fatto
medicare da Almonio, ivi, 23 e seg.
Corno incantato, dato da Logistilla ad
Astolfo , XV , 14. — adoperalo dal
medesimo, mette in fuga ladroni e
fiere, ivi, 38. — fuga Caligorante,
ivi, 63. — le donne omicide di Ales-
sandria, XX, 87.— Atlante cogli al-
tri tenuti da lui nel suo palasao,
XXII, 20. — e le arpie dalla mensa
del Senapo, XXXIII, 12à} XXXIV, 4.
CosTAHTiHO imperatore, padre di Leo-
ne. Accampato sotto Belgrado, XLIV,
79. — sua pugna contro ai Bulgari,
ivi, 80 e seg. — sconfitto dai Bulgari
guidati da Ruggiero , ivi, 84. — si
ritira, XLV, 11.
Costume delle femmine omicide, XIX,
67.
DALiNDA. Liberata dalle mah! de*sir.atj
da Rinaldo, IV, 69. — « suo amore
verso Polinrsso, V, 7 e 47. — tra-
dita dal medesimo, ivi, 71. — con-
vertita, si rende monaca in Dacia,
VI. 16.
Damasco, Sua descrlsione, XVII, 18 e
aeg. — feste e giostre ivi fatte dal
re Norandino, ivi, 20| XVIII, 96
e 132.
Danno dell* artiglierie, XI, 26.
Daboihrllo. Va alla rassegna d* Agra-
47*
{$58
INDICE DEI NOMI PROPRJ
mante, XIV, 27. — muove contro
gli Scozzesi sotto Parigi, XVI, 64
e 83. — tuo valore contro i nemici,
XVIIÌ, 47. — uccide Guglielmo di
Burnich , ivi, 52. — uccide Lurca-
nio, ivi, 55. — viene ucciso da Ri-
naldo, ivi, i52. — suo cada vero.
Vedi CLoaiDAMo e Medoro.
Demonio entrato in corpo al cavallo
di Angelica. (Vedi Angelica.) — Con-
duce i migliori guerrieri in aiuto
di Agramante, XXVil, 13.
Descrizione del castello d'Atlante, IV,
7. — dell' Ippogrifo, ivi, IS. — d'una
fonte, II, 34. — dell'arca di Merli-
no. III, 14. — del luogo ove disce-
se Ruggiero coli' Ippogrifo, VI, 21.
— delie bellesse d'Alcina, VII, 11.
— della sua bruttezsa , ivij 73. — -^
deU'archibuso, IX, 2S. — della for-
tezza del paese di Logistilla, X, 58.
— delle genti mandate dal re di Sco-
sta in aiuto di Carlo, ivi, 71. — delle
bellezze d'Olimpia, XI, 65. — della
spelonca ove Orlando trovò Isabel-
la, XII , 90. — della primavera , XI ,
82.— della Discordia, XIV, 81.—
della Fraode, iVi\, 87. — delle arpie,
XXXIII, 120.— della casa del Son-
no, XIV, 92.— di Parigi, iVi^ 104.
— della grandezza del Cairo, XV,
63. — di Damasco, XVII, 18. —
della prosapia di casa d'Este, III,
17 e segg.— d'un edificio, nel quale
l'Ariosto sotto certe immagini loda
alcuni scrittori del suo tempo , e le
donne da loro celebrate. Tra queste
pone la sua e se medesimo , tacendo
modestamente il nome, XLIl, 73
e seg. — della schiera di cavalieri, da-
me e letterati che l' Ariosto imma-
gina congratularsi con lui per esser
giunto al fine del suo poema , XLVI,
2 e segg. — d'una burrasca di mare,
XV HI, 142 e seg.; XLI,8esegg.—
del Paradiso terrestre, XXXI V, 48.
Descrittone e virtù dello scudo incan-
tato d'Atlante, II, 56.
DiciLLA, donna virtuosa. Mandata da
Logistilla in aoccorso di Ruggiero,
X,52.
Difesa delle donne, XXVIII, 78.
Discordia fra Rodomonte, Ruggiero,
Gradasso, Mandricardo e altri, per
la quale la vittoria d* Agramante h
Ìnlerrolla,XXVU,4a.
DoRALiCK, destinala sposa a Rodo-
monte, XIV, 40. — sue bellezze de-
scritte, iVi^ 50. — vien rapita da
Mandricardo , ivi, 53. — ^si trova pre-
sente alla Buflfa di Mandricardo
con Orlando, XXIII, 70 e seg.
— andando con Mandricardo scon-
tra Gabrina, a cui levano dal ca-
vallo la briglia, ivi, 94. — ad
istanza d* Isabella induce Mandricar-
do a far la pace con Zerbino, XXIV,
72. — ricompone Rodomonte con
Mandricardo, ivi. 111. — portata
via da un cavallo indemoniato per
incanto di Malagigi, il quale cosi
cercò di finir la pugna tra Rodo-
monte e Riirciardetto , XXVI, 138;
XXVll, 5. — si dona a Mandricar-
do, e rifiuta Rodomonte, ivi, 107. —
procura di pacificar Mandricardo con
Ruggiero, ma indarno, XXX, 31. —
e volubile in amore, iVi., 72.
DoBicoHTX. In mostra co' suoi alla ras-
segna di Agramante, XIV, 16.
DoBiFBBO. In mostra co' suoi alla ras-
segna di Agramante, XIV, 11.
DoBiLONB. In mostra co' suoi alla ras-
segna di Agramante, XIV , 22.
Drusilla. Tolta al suo sposo da Ta-
nacro, XXXVII, 55. — suo odio
verso Tanacro, ivi, 58. — medita la
vendetta, e finge amore, ivi, 59. —
avvelena Tanacro, iWj 69. — muore
di veleno , ivi, 75.
DudoKb. Capitato con Rinaldo ed Astolfo
nel paese d'Alcina, VI, 34 e 41.—
fatto prigioniero da Rodomonte sot-
to Monaco, e ritenuto in Biserta,
XXXIX, 22 e seg cambiato da
Astolfo con Bucifaro suo prigione,
ivi, 23 e seg. — incontra Agramante
con la sua armata navale, iVi., 78.—
lo rompe, ivi, 81. — combalte con
Ruggiero, XL, 75. — ^fa pace col me-
desimo, XLI, 6.
Duello di Ruggiero e Mandricardo,
XXX, 44. — di Rinaldo e Ruggiero,
XXXVIII , 87. — di Bradamaote «
Ruggiero, creduto Leone, XLV, 72.
— di Ruggiero e Rodomonte, XLVI,
115.
Durindana, spada d' Orlando ^ IX, 3.
— sua finezza, ivi, 70; XII, 79. —
la Morte si compiace di lei, ivi, 80.
— pretesa da Mandricardo , XIV , 43}
XXIII, 78; XXIV, 58. — geUat»
U DELLE cose NOTABILI.
Hm
perla foresta da Orlando impaisito»
iW^ 50. — raccolta da Zerbino, ivi^
57.— tolta da Mandricardo, ivi, 5S.
— passa in mano dì Gradasso per la
morte di Mandricardo, XXX, 74.
E
Ebisda, isola spopolata dai mostri ma-
rini , e saa favola , VII 1, 51 . — i suoi
abitatori rapiicooo le donne altrui
per darle a divorare all'Orca, IX,
12.— detta Isola del Pianto, X, 93.
— -vana religione de* suoi abitatori,
XI, 46— Vedi Orca.
Elbanio. Capita nella terra delle donne
omicide, XX , 36. — sue bellesse, ivi,
37. — suo amore con Alessandra ,
ivij 39 e seg.
Elia. Trovato da Astolfo nel Paradiso
terrestre, XXXiV, 59. — suo carro,
ivt, 68.
Embico, duca di Chiareoca. Si trova
alla mostra che si fa sul Tamigi, X ,
78 — assale i Mori, XVI , 67.
Eremita che trasporta Angelica in un
luogo deserto, il, 13 e seg.j Vili,
36 e seg.
Eremita che persiiade Astolfo a fuggir
da Caligorante, XV, 42.
Eremita che conforta Isabella , XX fV,
87 e seg. — la conduce ad un moniste*
To, ivi, 92; XXV Ili, 96 l'esorta
a star ferma nel suo proponimento
contro le persuasioni contrarie di
Rodomonte , ivi, 101 ; XXIX, 4
vìen maltrattato e scagliato verso il
mare da Rodomonte, ivi, 5.
Eremita che raccoglie Ruggiero nau-
frago sopra uno scoglio , XLI, 52.—
sua corresione fatta a Ruggiero, ivi^
63. — sua vita» ivij 58. — battesxa
Ruggiero, ivi, 59. -^ lo istruisce di
cose spirituali, e d* altre spettanti alla
sua discendenca, ivi, 60 e seg. — prò*
dig) da lui operati, XLIII,187 e seg.
— raccoglie Orlando» Oliviero , So-
brinoed altri nella sua cella, ivi^ 190.
— risana • miracolosamente Oliviero,
ivi, 192. — battesxa' Sobrino, e lo ri-
sana, ivi, 194. — vita menata da lui
coi detti guerrieri , ivi, 196; XLIV,
4 e sfg. — persuade Rinaldo a pro-
mettere Bradamante a Ruggiero, ivi,
9. ^- benedire quei guerrieri , i quali
si partono da lui , ivi, 1 8.
Ebifilla, gigantessa dell'isola d'Alcina,
VI, 78. — combatte con Ruggiero, e
resta vinta , VII , 6 e seg.
Ebmonids di Olanda. Si batte con Zer-
bino per togliergli Gabrioa, XXI, 6.
—rimane ferito a morte, ivi, 10. —
racconta a Zerbino le scelleragginì di
Gabrina, ivi, 12 e seg. — muore,
ivi, 67.
Esortazione ai principi cristiani alla li-
beraxione del sepolcro di Cristo,
XVII, 74.
Espugnatone di Parigi, XXIV, 108.
Falamto, figlio di Clitennestra. Sua
novella, XX, 13.
Falsironb. In mostra co' suoi alla ras-
segna di Agramante , XIV , 12.
Fabubahtb. Conduce i suoi alla rasse-
gna di Agramante, XIV, 21.— .va
contra gì' Inglesi sotto Parigi, XVI,
75. — e prigioniero di Dudone, XL,
71. — vien liberato da Ruggiero,
XLI ,6. — sua morte , ivi, 22.
Ferbaìt. Combatte con Rinaldo in di-
fesa di Angelica , I » 16. — cerca l'el-
mo cadutogli nel fiume, ivi, 24. —
rimproverato dall' ombra di Argalia ,
ivi, 26. — suo spavento per l* appari-
zione di delta ombra, ivi, 29. — giura
di toglier, l'elmo ad Orlando, ivi, 30;
XII, 31. — si perde nel palazzo di
Atlante, ivi, 11. — si batte con Or-
lando, ivi, 46. — fatato nella persona,
fuorché nell' ombelico , ivi, 48. -^
trova l'elmo d' Orlando , iW^ 69.—
va co' suoi alla rassegna d' Agraman-
te, XIV, 15. — dà l'assallo agi' In-
glesi sotto Parigi, XVI, 71. — inco-
raggisce i Saracini, XVIII, 42. —
vien gettato di sella da Bradamante,
XXXV, 79.
FiERAMOMTB. Va alla rassegna presso
Londra, X, 78. — assale i Morì sotto
Parigi, e fa prigioniero FoUicone,
XVI, 69.
FiLAHDBo, fratello di Ermonide. Sua
origine, XXI, 13. — sua amicizia con
Argeo, ivi, 14. — schiva l'amor di
Gabrina, moglie di Argeo, ivi, 16.
— è da lei calunniato presso Argeo,
ivi, 20. — ingannato da Gabrina , no»
cide ArgeO) ed è costretto a sposarci
m
INDICE bEt mm PAOPBi
M, 48 e leg.^k dt lei avvelena*
to, ivi, 69.
FiiiADu«ao.Compamoe alla rasiegna di
Agramaate, XIV , 2S. — ncciso da
Zerbino, XVIII, 45.
FifiMont dell* Ariosto in lode d*fia1icl-
)a,XXlX,S6.
FfOBDiLiGi, amante di Brandimarte. Lo
cerca fuor di Parigi ; V 1 1 1 , 90; XX I V»
64 e 74.— -arriva al ponte di Rodo*
monte, ivij XXIX, 43. — le rie-
ace di paisarlo, ivi, 49. — con Gri-
fone ed Aquiiante incontrasi in Ri*
na]do ed altri, XXXI, 37 e seg. —
reca loro la noova della pascià di Or-
lando, ivi, 43 e seg. — trova Bran-
diroarle in Africa, XXXIX , 38. —
Booi timori intorno all'esilo della pu*
gna in Lipadusa, XLf,32. — suo do-
lore, udita la morte di Brandimarte,
XLIII, 167. — ' muore accanto al
medesimo, ivi, i83 e seg.
FfOMispiHA. Sua novella, XXV, S6 e
»eg.
FoLLicoMB d^Almeria. Comparisce alla
rassegna d* Agramente, XIV, 16.^
va contro gì* Inglesi sotto Parigi,
XVI, 67. —• rimane prigioniero di
Fieramonte, ivi, 69.
Folto. Lasciato da Agramente al go*
verno dcll*Arrira, vien fatto prigione
nalla presa di Biserta, XL, 36.
Francesi, Danni da essi soffèrti nella
guerra contro i Saracini, XIV, 1. —
loro guerre in Italia dipinte nella sala
della rocca di Tristano, XXXI il, 6 a
seg. — sfortunati nelle guerre fatte
in Italia, ivi, 10.
Fhombsia , donna di Logistilla, X, 62.
Frontino, cavallo di Ruggiero, IV, 46.
— rimane presso Bradamanle, ivi^
48. -^ restituito da Bradamante a
Ruggiero, XX 1 1 1, 26. —suo primiero
padrone, XXVII, 71. ^passato in
mano di Brandimarte, XLI, 29. — .
sua destressa e valore, ivi, 80. — sue
lodi, XLV, 92.— posto in liberti da
Ruggiero, ivi.
FuLGoso (Federico). Sua obbiesione al-
J*Ariosto, e risposta di questo, XLII,
Funera/i di Brandimarte, XLIII, 176.
Ftuberta, spada di Rinaldo, II, 10
tua finesaa, XVI, 49.
GASAiMA.TrovaUda Orlando nella spe-
lonca de' malandrini, XII, 92. —
fugge vedendo i malandrini appesi,
XIII, 42. — incontra Marfiia, XX,
106. — viene da lei protetta e soe-
coraa, ivi, 109. — motteggiata dalla
donna di Pinabello, ivi, 113.— vien
da Marfisa ornata colle vesti della
donna di Pinabello, Jv/« 116. — sue
bruttesee, ivi, 116e I20;XX1II, 94.
•^ consegnata da Mar6sa a Zerbino,
XX, 138. — per far dispetto a Zer-
bino gli dk notizie dubbie ed occore
d* Isabella, iW^134 e seg.— sue ini-
quiili raccontate da Ermooide d'Olan-
da, XXI, 12 e seg.— sua infedeltà al
marito Argeo, i*d , 14. •— calunnia
Filandro presso Argeo, ivi, 20. — &
in maniera che Filandro uccide Ar-
geo, ivi, 46. — costringe Filandra a
sposarla, ivi, 56. — rulia alcune spo-
5lie delcadaverodi Pinabello, XXI II,
1.— calunnia Zerbmo come ucci-
sore di Pmabello, ivi, 48. — fogge,
dopo liberalo Zerbino, e s'incontra
in Mandricardo e Doralice, ivi, 92.
•— le vien tolta da essi la briglia al
cavallo, ivi, 94. •— > ritorna in potere
di Zerbino, XX IV, 36.— consegnata
da esso ad Odorico, per suo castigo,
ivi, 40. — retta impiccata per mano
di Odorico, ivi, 46.
GALBBAifA. Orlando vuol darle per
compagna Fiordiligi, XLIII, 184.
Gamo e i suoi parenti, nemici di Brada-
mante e del suo parentado, XLVI,
67.
Gelotia. Va al campo Saracino colla
Superbia, XVIII, 28. — investe Ro-
domonte, <W^ 33. -^provata da Or-
lando al vedere le memorie degli amori
di Angelica e Medoro, XX 111, 103.
^^ da Rinaldo al sentire clie Ange-
lica era con Orlando, XXVII, 9. —
da Bradamante nell* intendere che
Ruggiero andava in compagnia di
Marfisa, e mostrava di amarla, XXX,
87| XXXI, 6| XXXII, 1, 80e61;
XXXVI, 44.— provata da Clodione
per la sua donna, XXXII, 85 • 88.
— da Anselmo giudice per la moglie^
XLIII,72e»eg.
& DELLE COSE NOTABILI.
I$6i
GiHiTBA. Saa novella, IV, 57; V, 5
e seg.j VI, lòeseg.
Giocondo. Sua norellaf XXVlIf, 8 e
aeg.
GioTAKHi (San) Evangelista. Accoglie il
paladino Astolfo nel terrestre paradi-
so, XXXI V, 54. — lo conduce nel cer-
chio della Luna, ivi, 68. — lo istrui-
sce di varie cose, e Io licenzia >
XXX VI II, 24.
Gbadasso. Si ritrova al castello di
Atlante, II, 45; IV, 40. — combatte
con Atlante, II, 4S. — è veduto nel
palaaso del medesimo, XII, il. — li-
bera LncinadaU*Orco, XVII, 63.—
fugge dal palatgo d* Atlante al suono
del corno di Astolfo, XXII, 20. — va
con Sacripante in soccorso di Agra-
mante, XXVII, i4 — fa strage dei
Cristiani, ivi, i8. — muove lite a
Mandricardo per aver Durindana,
ivij 54. — si batte seco, ivi, 64
per difendere le sue ragioni, viene
estratto a sorte Ruggiero, XXX, 24
e seg.— ottiene Durindana per la vit-
toria di Ruggiero sopra Mandricar-
do, ivi, 74. — combatte con Rinaldo
per conservar Durindana, ed ottener
Baiardo, XXXI, 95; XXXllI, 78.—
trova Baiardo a caso, è lo prende,
ivi, 93. — si trova in Lipadusa
con Agramante,XL, 46.— suo duello
con Orlando, XLI, 46 e 68. — uo-
cide Bravdimarte, ivi, 101. — resta
morto per mano di Orlando, XLII^
dijXLlII,i5l.
Gbàhdomio. Conduce gli Algarbi alla
rassegna di Agramante, XIV, iS. —
incoraggisce i Saracini, XVI il, 42.
— gettato in terra da Bradamante,
XXXV, 71.
GBiroHB. Combatte con Orrilo,XV, 67.
— intende male nuove di Orrigille,
da lui amata, ivi, iOO. — suo dolore,
ivi, 103. — stabilisce di cercarla per
vendicarsi, JW, i 05. — la trova con
Martano, XVI, 6. — crede alle fin-
sioni d' Orrigille, e va seco in Dama-
sco insieme con Martano, ivi, i2|
XVII, 17.— sue armi fatate, ivi, 70.
— va alla giostra con Martano, e
n*ha per lui vergogna, ivi, 91. —
vince tutti nella giostra, ivi, 93.—
esce di Damasco con Martano ed Or-
rigille, ivi, 107. — questi gli rubano
Tarmi, il cavallo, ed altra co»e| ivi.
110. — ritorna in DamaKO, ove lo
credono Martano, e viene condotto
ignominiosamente per la citici sopra
un carro, ivi, 131. — sciolto ripiglia
Tarmi, e fa strage del popolo, ivi,
135; XVIII, 3 e 59 — h risarcito
dal re Norandino con molti onori,
ivi, 64 e 95 — si batte con Astolfo,
e resta perdente, ivi, 118. — va con
molti compagni in Cipro, JW^ 136.—
approda in Alessandria, battuto dalla
tempesta, XIX, 54. — fugge di là al
auono del corno d' Astolfo, XX, 92.
— naviga a Marsilia, ivi, 101. —
giunge al castello di Pinabello, ivi,
i04; XXII, 52. — giura di man-
tenere il rito di Pinabello, ivi, 53.
— rimane vinto dallo splendore dello
scudo di Ruggiero, ivi, 84.
Grotta di Merlino descrìtta, IL 70 1
llf,6.
GuGLiBLVo di Burnieh inglese di gi-
gantesca statura. Ucciso da Dardi-
nello, XVIII, 52.
GuicciARDo. Parte da Montalbano con
Rinaldo, XXX, 94. — vien battuto
da Guidon Selvaggio, XXXI, 11.
GuiDON Sklvaooio. Ritrovato tra le
femmine di Alessandria, XIX, 78. —
combatte con Marfisa, e resta del pari,
ivi, 92 e seg. — racconta a lei i suoi
casi, XX, 5. — racconta alla mede-
sima l'istoria delle femmine omicide,
ivi, 10. — fugge da Alessandria al
auon del corno d'Astolfo, iW, 92. —
naviga verso Marsilia, ivi, 101.—
va al castello di Pinabello, e giura di
osservare la legge imposta, tfW^ 104
e seg.; XXI 1,62. — resta vinto dallo
splendore dello scudo di Ruggiero,
ivi, 85. — getta a terra Ricciardetto
ed altri, XXXf, 8. .^combatte con
Rinaldo, ivi, 13.— riconosce Rinaldo
per fratello, ivi, 28. — va seco a Pa-
rigi, ivi, 37.
Impresa di Rodomonte usata nella tua
bandiera, XIV, 114.
Intelletto umano, in oaante guise ai
perde, XXXIV, 85.
IppALCA, confidente di Bradamante,
XXIII, 28. — va in cerca di Rug-
giero per consegnargli Frontino, ivi,
32| che le vico tolto da Rodomonte |
«62
INDICE DEI DOMI PROPBJ
<W«33.<— troT» Aoggiero con altri
alla fonte di Merlino, • lo conduce
contro Rodomonte, XXVI, 54. —ri-
toma a Bradamante con una lettera
di Ruggiero, ivi, 89 e seg.— conse-
gna a Bradamante la lettera, e le d^
noTclla di Ruggiero e di Rodomonte,
XXX, 78.
Ippogrifo. Usato da Atlante, II, 37 e
seg.; tv, 4 seg. e i8.— preso da
Ruggiero, ivi» 44; VI, 16. — per
opera di Logistilla viene usato al fre-
no, X, 66. — ritorna con Ruggiero
in Ponente, ivi, 68. — fugge dalle
mani di Ruggiero, XI,i 3.— trovato
da Astolfo nel palasto d'Atlante, «
da lui adoprato, XXII, S4. — porU
Astolfo in Etiopia, XXXIII, 96. —
indi in Europa, XLIV, 33. — vien
posto in libertà, ivi» 24.
Iboloo. Trovato nel castello d'Atlante,
IV, 40. — fugge al suono del corno
d'Astolfo, XXil, SO.
Isabella. Trovata da Orlando nella
grotta dei malandrini, XII, 91. —•
racconta al medesimo le sne sciagu-
re, XIII, 2. — k amante di Zerbino,
i^i^ Q, _ viene da lui rapita per
messo di Odorico, ivi, iS. — battuta
dalla tempesta, si salva con Odorico
al lido, ivi»i%. — si difende dagli as-
salii del medesimo, ivi, 28. — vien
presa e tratta dai malandrini alla spe-
lonca, ivi, 30. — liberata e condotta
altrove da Orlando, fW^ 43. — ritrova
Zerbino, XXIII, 67. — incontrano
Odorico preso e legato, XXIV, i6.
— induce Doralice a trattar la paco
tra Mandricardo e Zerbino, <ci« 72.—
vede Zerbino morirle in braccio, ivi,
85.— suo dolore, ivi» 86.— confor-
tata da un eremita, stabilisce di darsi
a Dio, ivi, 89. — capita in mano a
Rodomonte, ivi, 93; XXVIII, 95;
XXIX , 3. — suo stratagemma per
aalvare la sua onestà dagl' insulti di
Rodomonte, ivi, 13 e seg.— suo se-
polcro, ivi, 31.
l8ouBBO,capitano de*Navarresi.In mo-
stra co' suoi alla rassegna di Agra-
mente, XIV, 11. — salva Brunello
dalla forca preparatagli da Agramen-
te, ivi,^. — muore in battaglia con-
tro gli Scossesi sotto Parigi, XVI^
54 e seg.
IsoTTAi amata da TrisUD0,XXXlI,89.
Lameutù d'Angelica portata dal i
Dio nel mare, VIII, 40. — di Brada-
mante, XXX, 82. — della stessa,
per gelosia di Ruggiero, XXXII, 35.
—della stessa, veggendosi tnfi>ar le
nosse con Ruggiero, XLVI, 4(1.— ^
della stessa, credendo che quello da
cui reato vinta fosse Leone, XLV,
97.— di Fiordiligi, avvaduUri della
morte di Brandimarte, XLIII, 158.
— di Olimpia, X, 25.— di Orlan-
do, Vili, 73.— dello stesso, sopra 3
corpo di Brandimarte, XLUI , 170.
— di Sacripante, 1, 40.
Lamibahtb. In mostra co'suoi alla cas-
segna di Agramente, XIV, 16.
Lamghibamo. In mostra co'suoi aUa
rassegna di Agramente, XIV, 16.
Laboalifa. In mostra co'suoi alla raa-
segna di Agramente, XIV, 16.
Latihi Fausto, con6dente d'Astolfo ic
de Longobardi, XXVIII, 6.
Legge di Sc99ia; la qaale dannava a
morte ciascuna donna che con «n
ano amante fosse trovata, IV, 58.
Lbomb, figlio di Costantino. Promeaso
sposo a Bradamante, XLIV, 12. —
assalta Belgrado, ivi, 79. — osa cor-
tesia a Ruggiero suo nemico, ivi, 91;
XLV, 41. —libera il medesimo daDe
mani di Teodora, i9l, 49 e seg. —
ottiene Bradamante in upoaa per
messo di Ruggiero, IW, 64 e seg.— la
cede a Ruggiero, XLVI, 39.
Lborbtto, duca diLincasiro. Comparso
alla rassegna sul Tamigi, X, 67. —
assale l'esercito di Spagna sotto Pa-
rigi, XVI, 66.
Lettera di Bradamante mandata a Rog-
giero, XLIV, 60.
Libamio. In mostra 6o*sn<n alla raaio-
gna di Agramanu, XIV, 21.
Liberazione d'Orlando e d'altri cava-
lieri nel palasso d'Atlante per virtù
dell'anello di Angelica, XII, 29.
Lidia. Sua ombra trovata da Astolfo
alla porta dell'Inferno, XXXI V, 7.
—racconta i suoi casi al medesimo»
ivi, 11 e seg. — sua ingratitudine ad
Alceste suo amante, ivi. — fu bella,
e insieme altera, fW« 15.— dima»>
data al padre da Aloesle,e negatagli,
ivi, 18.-* ina andcltà td alterigia
}
B DBLLB COSB NOTABILI.
tt63
vtf so Alcttlt, ipl, 9S.— suoi inganni
al medesimo usati, ivij 31 e seg* —
sua pena ndl* Inferno, ivi, 43.
Lip^dusa^ isola. Sua descriaione, Xt.,
45. ^scelta per loogo del combatti-
mento di Orlando, Brandimarte e
Oliviero contro Agramante, Sobrino
e Gradasso, XL, oA e seg.; XLI, 68
«seg.
Lodg e virtù di Logistilla, X, 45.— di
alcuni principi, le cui immagini finge
l'Ariosto che fossero intagliate in una
delle fonti di MerIino,XXVI, 30 e seg.
—di alcuni antichi e moderni pittori,
XXXIII, 1, S.— d'Ippolito da Este,
XXXV, 8. — d* alcuni scrittori a
comroendaiion delle donne,XXXVII,
.\^di Ferrara, XLIII, 56. — dd
cardind Ippolito da Ferrara, di cui in
un ^diglione si vede trapunta la
virtuosa vita, XLVI, 86.
LooiSTiuA, donna casta, sorella d* AI*
Cina, VI, 43 e seg. — suo regno, VIII,
i9.— suoi pregi, X, 45.^— vince Alci»
na, e racquista lo slato, ivi, 53. —
accoglie Ruggiero, « gl'insegna a
reggere 1* Ippogrifo, ivi, 64 e seg. —
istruisce Astoifo nel partirsi da lei,
XV, iO. — gli fa van doni, ivi, 13.
Lucina, sposa di Norandino, XVII, 86.
— rapita al medesimo dall'Orco di
Boria, ifi^ 3S. — veste le spoglie di
heceo per usargli di mano, ivi, 53.
— vien conosciuto l'inganno dall'Or»
co, che la castiga, ivi, 56. — resta li*
barata da Gradasso e Mandricardo,
ivi, 6S.— >vien« lestituitaa Horan-
dino, ivi, 66.
Lima. Perchè delta triforme, XVIII,
183 e seg. — suoi paesi descritti,
XXXIV, 70.
LuBCAHio. Accusa Ginevra al padre,
IV, 58; V, 63. — va in aiuto di
Anodanta suo fratello , ivi, 45. —
alla rassegna in Inghilterra, X, 86.
—si unisce con Zerbino, XVI, 64 e
78| XVIII, 45 uccide alcuni
guerrieri, ivi, 64.— viene ucciso da
Dardinello, ivi, 55.
Masabasso. In rooatraco'suoiallani-
segna di Agramantc, XIV, i2.
Malabufsbso. Mena le sue squadre alla
rassegna d*Agramant6, XIV, 32.—
assale una porta di Parigi, XV, 7.
Malaoioi, prigioniero di Lanfusa coia
Viviano, condotto ai Magansesi,
XXV, 74. — liberato da Marfisa o
dagli altri ch'erano con lei,XXVI, 10
e seg.— spiega le allusioni delle scut
ture della fonte di Merlino, iVi^ 38.—
virn gettato a terra da Mandricardo
iVI«74. — è dotto nelParte magica,
ivi, i28. — manda un demonio in
corpo al ronsino di Doralice per soc*
correre Ricciardetto,iVi^l28jXXVII,
8. — parte con Rinaldo da Montai*
bano, e va verso Parigi, XXX, 94.
~- credesi che per ria d'incanti soc-
corresse Carlo nella battaglia, XXXI,
86. — racconta a Rinaldo i casi di
Angelica, XLII, 39.
Malagob. In mostra co'suoi alla rasse«
gna di Agramante,XIV, 16.
Maloabimo. In mostra co' suoi alla ras-
segna di Agramante, XIV, 15.
Mauabisb. In mostra co'suoi alla ras*
segna di Agramante, XIV, 15.
Mahobicaboo. Va contro Orlando per
vendicare Alsirdo e Manilardo, XIV,
32 a seg. — sbaraglia le guardip di
Doralice, /Wj 41.—- non porta spada
per aver giurato di togliere Durin*
-dana ad Orlando, ivi, 43 1 XXIII,
78. — innamorato di Doralice, XIV,
53.— se la rende benevola, ivi, 57
e seg.— con Gradasso libera Lucina
dall'Orco, XVII,62.— trova Orlando,
e combatte con lui, XXIII, 70 e seg.
— viene portato via dal cavallo senaa
freno, ivi, 88. — ^ leva il freno al ca-
vallo di Gahrioa , e poi lo mette in
fuga, ivi, 94.— combatte con Zer«
bino, e lo uccide, XXIV, 60 e seg.
—si batte con Rodomonte, ivi, 98.—
fa tregua col medesimo, e va con esso
a Parigi, ivi, 112. — combatte con
Viviano, Malagigi, Aldigiero, Ricciar-
detto e Marfisa, XXVI, 71 e seg. —
sfida Ruggiero per levargli l'insegna,
iVf «98.— si batte con Ruggiero e Mar-
fisa, ivi, 116 e seg. — corre dietro a
Doralice portata dal cavallo indemo-
niato, ivi, 131. — giunto all'esercito
di Agramante assediato, fa strage dei
Cristiani, XXVII, 48.— rinnova le
sue contese con Rodomonte e Bug"
giero davanti ad Agramante, ivi, 40.
— a lui tocca in sorte cumballere il
b64
INDtCB DBI NOMI PROPBi
primo eon Rodomonte, M, 45. — si
batto prima eoo Gradasso per Darin-
dana, o poi con Ruggiero, ivi, 63 e
Mg.— Tiene anteposto da Doralice a
Rodomonte, ivi, iU7. — non si piega
alle di lei interposisioni per far pace
con Ruggiero, XXX. 31.— combatte
col medesimo, M^ 45«— resta morto,
Wi^ 64.
Makilaeoo, re di Norìsla. Blesso in
rotta da Orlando, XII, 69 — h at-
teso invano alla rassegna d'Àgraman*
tc,Xiy, SS. •vien trovato prigione
Sresso Dodone, XL, 71. — h liberato
a Ruggiero, XLI, 6. — sua morte,
M^ ti.
Mamto, fata. Vedi Mantova.
Mmntwu. Suo nome , ed origine deri-
vata da Manto, XIII, 69; XLI II, 74
e 97. — descritto, XXXYII, 3;
XLIII, 11.
Makbalusto, gigante, re d'Orano. In
mostra co* suoi alla rassegna di Agra-
manto , XIV , 17. — sua statura, ivi,
103. — b ucciso da Rinaldo, XVI,
47.
Mabfisa. Va alla giostra in Damasco,
7LVIII, 99. — suo costume, ivi, 101
« US. — Tede in Damasco le sue ar-
mi perdute, e le prende, ivi, 108.-~
sbaraglia quel popolo, ivi, 113. — sua
fama , ivi, \tb, — dice sua ragione
a Norandino, ivi, 137 e seg. — va in
Cipro con alcuni compagni, ivi, 136.
— soffre una tempesta di mare , ivi,
i41 e seg.i XIX, 43. — approda ad
Alessandria, ivi, 54. — vince novo
guerrieri, ivi, SS. — suo usbergo in-
cantato, ivi, 84.— combatte con
Gnidon Selvaggio, ivi, 93. — fa tre-
gua seco, ivi, 101 e seg. — ascolta da
lui le sue vicende, XX, 5. — intende
l'orìgine delle donne d'Alessandria,
ivi, 9 e seg. — fugge da quella città
al suono àt\ corno d'Astolfo, ivi, 9S.
— naviga in Francia, iVi, 101. —
prende a proteggere Gabrina, iVj^l06
e seg. — la veste degli abiti tolti alla
donna di Pinabello, da lei battuto,
ivi, 115. — vince Zerbino, e lo co-
stringe a prender seco Gabrina, ivi^
iS6. — in compagnia di altrì libera
Malagigi e Viviano, XXVI, 7 e 14.
— sente da Malagigi la spiegasione
delle sculture della fonte di Merlino,
ivi, 38 e seg. — si fa vedere vestita da
donna, ivi^ 69. — si batte con Man-
dricardo, ivi, 81. —va con Maodri-
cardo e Rodomonte in difesa d'Agra-
mente, ivi, 87. — si batte nova-
mente con Mandricardo, ivi, 118. —
va a Parigi per ritrovar Rodomonte e
Mandricardo, ivi, 1 33j XXVII, 15.—
fa strage dei Cristiani, ivi, 33 e seg.
—rinnova le contose con Rodomonte,
ivi, 41. — riconosce Brunello, che le
rubò Vtxmif ivi, 86. — lo trae seco
ad una torre, ivi, 93. -— va contro
Bradamante, XXXVI, 16.— sua al-
terigia e viu casto, ivi, 18. -— resto
vinta da Bradamanto, ivi, SO. — sua
nuova contesa con la medesima, ivi,
46. — e poi con Ruggiero, ivi, 51. —
sento da Atlante che Ruggiero è suo
fratollo, ivi, 59. — sua orìgine, ivi,
70; XXXVIII, 14 ai ricompone
con Ruggiero e Bradamante,XXX VI,
68. — punisce Marganorre, XXXVII,
100. — stabilisce per legge nel paese
di Marganorre, che gli uomini sian
soggetti alle donne, ivi, 115. — va
con Bradamanto dinaosi a Carlo,
XXXVIII, 8. — si fa battesxarr, iVa,
SS. — si oppone alle nosae di Brada-
mante con Leone, XLV, 103.
Mabgahobrb. Suo castello • sua tiran-
nia, XXXVII, 38 e 43. -. tien le
donne separate dagli uomini, ivi,
89. — sua forse e statura gigantesca,
ivi, 41. — va nel tempio per assistere
alle nosse di Taoacro suo figlio, ivi,
68. — suo dolore e suo sdegno ve-
dendo morto Tanacro avvelenato da
Drusilla, ivi, 76. — infierìsoe contro
le donne, ivi,19. — bandisce le donne
dal suo stoto, ivi,%i. — legge da lui
promulgato contro le donne, ivi, SS.
~- vien preso da Marfisa , e conse-
gnato alle donne, ivi, 103.— -vien
tormentato dalle donne, ivi, 108. —
legge in favore delle donne fatta al
suo castello, ivi, 115. — muore pre-
cipitata da una torre, ivi, 131.
Mabsilio. Sen va co' suoi in aiuto di
Agramanto, XII, 71. — viene assa-
lito da Carlo, XVI li, 41.— si ritira
colle sue truppe dalla battoglta, iVt«
166. — consiglia Aaramantea prose-
guire la guerra, XXXVI II, 41 e seg.
— toma ne' suoi stoti per difenderli,
XXXIX, 74.
Mabtaho, amante di Orrigilloy XV,
E DELLE COSE NOTABILI.
^65
10 1. — andando con essa, scontra
Grirone^XVI, 6.— suoi costumi, ivi.
— creduto da Grifone fratello d' Or-
rigille, ivi, H. — va alla giostra in
Damasco con Grifone, XVII, 71 e
86. — fugge con disonore dalla gio-
stra, ivij 88. — esce della città con
Grifone ed Orrigille, ivi, 107. — si
ve»te deirarmi di Grifone, e riceve
gli onori della vittoria, ivij 110. —
sfugge Grifone, ivi, 129. — viene
scontrato da Aquilante, fratello di
Grifone, XVIII, 77. — pretesto per
salvarsi, ivi, 82. — vien fermato da
Aquilante, e condotto con Orrigille
in Damasco, ivi, 85 e seg. — viene
scopato dal boia, ivi, 92.
Matalista. Va colla sua schiera alla
rassegna di Agramante, XIV, 14. --
muove contro gì' Inglesi sotto Pari-
gi, XVI, 67. — resta prigione, ivi,
69.
Mbooro. Suo amore e fedeltà a Dar*
dinello suo padrone, XVIII, 165. —
sua bellessa descritta, ivi, 166. —
uccide alcuni Cristiani, iVi, 179. —
resta ferito e morto, XIX, 13. — vien
medicato da Angelica , ivi, 22. —
amato da lei, ivi, 26.— la sposa, ivi,
33. — va con essa verso V India , ivi,
40, — s'incontrano con Orlando pas-
so, dal quale viene ammassato a Me-
doro il cavallo, XXIX, 58 e 63. —
va con Angelica nell' India, ed è fatto
re nel di lei regno, XXX, 16.
Melissa, maga. Nella grotta di Merli-
no mostra a Bradamante le immagini
de* suoi discendenti, III, 8 e seg. — va
per liberare Ruggiero dai lacci amo-
roiidi Alcina, VII, 45 e seg.— pren-
de la forma di Atlante, e rampogna
Ruggiero , ivi,^ 51. — gli si scopre,
ii,i^ 66. — usa le arti di buona mes-
saggiera d'amore, ivi, 69. — guida
Biadamante al palazzo d* Atlante,
istrutta avendola del modo di libe-
rar Ruggiero, XIII, 48. — predice
a Bradamante le glorie delle donne
Estensi, ivi, 67. — promette a Bra-
damante d' impedire il duello fra
Ruggiero e Rinaldo, XXXVIll, 72 e
seg. — si finge Rodomonte, e induce
Agramante a rompere il patto con
Carlo, XXXIX, 4. — suoi amori
giovanili, XLIII, 19. — sua scienza
magica, ivi, 21. — procura che
seguano le nozze di Ruggiero e Bra-
damante, XLVI, 20. — padiglione
maraviglioso da essa trasportato a
Parigi per le dette nozse, ivi, 77
e seg.
Meblino. Sua grotta descritta, II, 70.
— parla dalla tomba a Bradamante,
Ili, 16. — sua fonte con varie scuU
tuie rappresentanti i casi avvenire,
XXVI, 30. — fa dipingere in una
sala le guerre de' Francesi in Ita-
lia, XXXII 1,4.
MoltGANA, fata , sorella d' Alcina, VI,
38.
Moro ANTE. In mostra co' suoi, XIV,
15.
Moschino. Vien gettato nella fossa di
Parigi da Rodomonte, XIV, 124.
sr
Naito. Va contro Rodomonte in Pa-
rigi, XVII, 16; XVIII, 8.
NoBANDiHO, re di Damasco. Sue fe-
ste fatte in quella ciltà, XVII, 20
e 69. — sue nozze con Lucina, ivi,
26. — ratto di essa commesso dal-
l'Orco, ivi, 37. — suo stratagem-
ma tentato per riaverla, JW^ 38,
45 e 60. — inteso the h libera, la
cerca, e la ritrova, ivi, 66. — co-
nosce l'ingiustizia fatta a Grifone
nella giostra, XVIII, 59 — fa ban-
dir nuova giostra in grazia del me-
desimo, ivi, 96. — rende l'armi a Mar-
fisa, ivi, 130.
Novella di Anselmo dotlore,XLI II, 72.
— d'Argia , ivi, 87. — d'Astolfo re
dei Longobardi, XXVIII, 4. — di
Ginevra, V, 12. — di Giocondo,
XXVIII, 7.— di Lidia, XXX IV, il.
— di Lucina e dell'Orco, XVII, 29 e
seg— dell'Orca, Vili, 51 d' Isa-
l>ella, XIII, 2.— di Falanto e delle
femmine omicide, XX, 14 e seg. — di
Gabrina,XXI, 1 2. — di Ricciardetto e
Fiordispina, XXV, 50. — dì Clodio-
ne e Tristano, XXXII, 82.— di
Drusilla e Marganorre, XXXVII,
43.— di Melissa, XLIII, 21 d'A-
donio, ivi, 74.
Nubj, Popoli condotti da Astolfo alla
presa di Biserta, XXXVIll, 28.
4S
566
INDICE DEI NOHI PROPRJ
Obbbto , re d* Iberoia. Accoglie Or-
Jaodo, XI, 59. — s'innamora d' Olim-
pia, ivi, 66 e seg. — spoglia Bireao
de' suoi stati, e lo uccide, ivij 79.
Ob/iù, RitroTato alla porta del Sonno,
XIV, 94.
Odoardo d' Inghilterra. Va alte rasse-
gna di Rinaldo, X, 82. — entra in
Parigi durante l'assedio, XVI, 85.
— va contro Rodomonte, XVIII, iO.
Odorico. Rapisce Isabella per Zerbino,
XIII, 12. — battuto dalla tempe-
sta , si salva con Isabella al lido ,
ivi, i8. — s'innamora di lei, ivi,
20. — manda Almonio alla Rotella ,
ivi, 22. — abbatte Gorebo, ivi, 26.
— insalta l'onore d' Isabella, ivi, 28.
— preso e legato da Almonio e da
Corebo, incontra Zerbino ed Isa-
bella, XXIV, 16. —è astretto a
prender Gabrina in compagnia per
suo castigo, ivi, 40. — la impicca,
contro la fede data, ivi, 45. — viene
impiccalo da 41n>onio, ivi.
Oldrado, duca di Glocestra. Alla ras-
segna d' Inghilterra, X, 78. — assale
i Mori sotto Parigi, XVI, 67. — fa
suo prigioniero Matalista, ivi, 69.
Olimpia. Racconta ad Orlando le sue
avventure, IX, 22. — amante di Bi-
Ttno, ivi, 23. — richiesta e negata ad
Arbante per isposa, ivi, 25 e seg. -^
sposa Arbante a forca, ivi, 40. —
l'uccide, ivi, 41. — cerca liberar
Bireno dalla prigionia, ivi, 48. ■—
lo ricupera per messo d'Orlando,
ivi, 84.— lo sposa, ivi, 86. —
viene dal consorte abbandonata so-
pra una spiaggia , X , 20. — resta
presa da' corsari , ed esposta all' Orca
marina , XI , 33 , 55 e 58. — viene
liberata da Orlando, ivi, 69. — ^amata
ardentemente da Oberto, e da lui
condotta in Irlanda, ivi, 77. — morto
Bireno, sposa Oberto, ivi, 79 e seg.
Olimpio della Serra, musico eccellen-
te. Morto nella battaglia sotto Pa-
rigi, XVI, 71.
Oliadro di Longavilla. Capita al ca-
stello di Tanacro, XXXVII, 51. —
viene da lai ucciso per rapirgli Dru«
siila, ivi, 56.'
Oliviero. Va contro Rodomonte in
Parigi, XVII, 16; XVIK, 8.<-baU
tute da Rodomonte sul ponte, vi
lascia le armi , che poi veogono tro-
vate da Bradamante, XXXV, 53.~
prigioniero di Rodomonte, XXXIX,
30. — liberato da Astolfo ed altri,
ivi, 33. — uccide Bncifaro nell' as-
salto di Biserta , XL , 35. — com-
batte con Agramante ed altri in Li-
padusa, XLI , 46 e 68. — è mo»
ribondo per le ferite, XLIII, 151.
— vien sanato da un eremita, ivi,
192. — ritorna coi ctnnpagni in Fran-
cia, XLIV, 26.
Ombruro. Ucciso a caso nella giostra
di Damasco, XVII, 87.
Orano (d') re. Vedi Marbalosto.
Ore» dell'isola d' Ebuda, Vili, 57;
IX, 12. — descritta, X, 100.— viola
da Ruggiero collo scudo incantato,
ivi, 101. — presa da Orlando, ed
uccisa, XI, 34.
Orco di Soria descrìtto, XVII, 29.—
piglia le genti di Norandino, ivi,
32. — sua grotta, sua compagnia,
e suo gregge, ivi, 33. — mangia
la carne umana ,^ivi« 35. — non
mangia donne, ivi, 40.
Orlando. Ritorna in Ponente con An-
gelica, la quale gli vien tolta da Car-
lo, I, 5 e 7. — contende con Rinaldo
per lei, ivi, 8. — suo elmo làmoso,
ivi, 28 ; XII, 31. — addolorato per
la perdita d'Aoaelica, Vili, 71.— par-
te di notte da Parigi per rcKare An-
gelica, ivi, 86. — sua grande amicisia
con Brandimarte, ivi, 88. — sdegna
uccidere i Saracini che dormono, IX,
4. .—cerca Angelica, iW. — naviga al-
l'isola di Ebuda, ivi., 16. —ode le vi-
cende di Olimpia, iWj 21 e seg. — suo
carattere, ivi, 57. — combatte colle
genti del re Cirtiósco, ivi, 67. — ^a
a perìcolo di essere ucciso dall'aKbi-
bugio di Gimosco, ivi,7b. — uccide
Cimosco, e libera Bireno, iVì., 80. —
rimette Olimpia nel suo stato, e le
rende il suo Bireno, ivi, 86. — getta
in mare rarchibugio,iVÌ4 88. — pren-
de r Orca con uno stratagemma, XI,
36 e seg. — sua gran forsa iVt^Al. —
liliera Olimpia già esposta all'Orca,
ivi, 45. — riceve insulti dagli abi-
tatori di Ebuda, ivi, 46. — li disper-
de ed uccide, ivi, 51. — inconln
Oberto re d'Ibernia, ivi, 69. — Io
E DELLE COSE NOTABILI.
567
lascia con Olimpia, e torna in Fran-
cia, M, 78. — vede Angelica rapita da
un guerriero, Xlf, 4 e seg.^peT rag-
giungerlo entra nel palatso d'Alian-
te, e ▼■ si perde, ivi, 9. — incontra
colà molti guerrieri, ivi, 11. -— vien
deluso da false immagini di Angeli-
ca, ivi, 14. — viene all'armi con Fer-
raù, ivi, 46 e seg. — fatato ed in-
vulnerabile per tutta la persona, fuor-
ché sotto le piante, ivi, 49; XXIV,
10. — il suo elmo famoso gli vien
tolto da Angelica, e capita in mano
di Ferraù,X ll,ò2e seg. — sbaraglia le
squadre di Manilardo e d'Altirdo, il
quale resta morto, ivi, 76. — trova
Isabella nella spelonca de' malandrini
con Gabrioa, ivi, 91. — fa strage di
essi, XllI, 37. — cooduce seco Isa-
liella, ivi, 43. — salva Zerbino caduto
in mano di Anselmo, XX III, 53. —
la sua spada Durindana vien pretesa
da Mandricardo, ivi^ 78. — vien seco
a battaglia, ivi, 81. — lascia Isn-
bella con Zerbino, ivi, 96. — trova
incisi negli alberi gli amori di Ange-
lica e Medoro, ivi, 103. — suo do-
lore per tale avvenimento, ivi, 103
e seg. — impaizisce, ivi, 132. — va-
rie panie da lui commesse, ivi, 133;
XXIV, 4; XXVII, 8 giunge al
ponte di Rodomonte, XXIV, 14j
XXIX, 39. — sua lotta con Rodo-
monte, iV/« 44. -~ maltratta due pa-
stori ed un asino ne' Pirenei, ivi, 5S.
— sua figura contraffatta, ivi, 59. —
incontra Angelica, e corre per fer-
marla, ivi,9i. — schiaccia la testa
al cavallo di Medoro, ivi, 63. — perde
di vista Angelica, mercè l'anello in-
cantato ch'ella tiene, ivi, 64. — pren-
de la di lei giumenta , e ne fa mal
governo, ivi, 68. — altre sue paszie,
XXX, 5. — attraversa a nuoto lo
stretto di Gibilterra, e giunge sul
lito di Setta, ivi, 10 e seg. — doni a
lui fatti da Dio, XXXIV, 63. — ca-
stigato da Dio colla pazzia, e perchè,
ivi, 64. — suo ingegno in un' ampol-
la, preso da Astolfo nrl cerchio della
Luna, XXXVIII, S3. — vien trovato
in Africa, XXXIX, 36. — sua lotta
con Astolfo ed altri paladini, ivi, 49.
— ricupera il senno per mezzo dei
medesimi, ivi, 57. — da Y assalto a
Biserta coU'esercito cristiano, XL, 14.
— va inLipadosa, e combalte con
Gradasso e con gli allri suoi compa-
gni, XLI, 46 e 68. — uccide Agra-
maote, XLIl, 8; XLIII, 151. --. uc
cide Gradasso, XL1I,1I;XLIII, 151.
—assiste ai funerali di Brandimarte,
ivi,i6Q. — torna co'suoi compagni
in Parigi, ed è accoltomagnificamente
da Carlo, XLIV, S8 e seg.
Orrioillb, amala da Grifone. Lo tra.
disce, XV, 101 e seg. — viene da lui
incontrata in Damasco con Martano,
XVI, 6. — suoi costumi, ivi. — si
finge sorella di Martano suo drudo,
ivi, 12. — unitamente con Martano
rapisce l'armatura a Grifone, XVII,
110. — è fermata con Martano da
Aquilante, fratello di Grifone,XVIII,
79.— viene tenuta in carcere, ivi, 93.
Obbilo. Ladrone di Damiata, XV, 65.
— per incanto non può morire, ivi,
66. — combatte con Grifone ed Aqui-
lante, ivi, 67. — suo capello incan-
tato, ivi, 79. — combatte con Astol-
fo, ivi, 81. — gli vien reciso il ca-
pello da Astolfo, e muore, ivi, 87.
Obmida. In mostra co'suoi alla rasse-
na di Agramante, XIV, 18.
Obomtbà. Sua novella, XX, S4.
Padigfione maraviglioso, il quale Me-
lissa per onorar Bradamante fece
togliere da' demonj a Costantino,
XLVI, 77.
Palestina. Sua situazione descritta,
XV, 93. — tolta a' Cristiani, e non
ricuperata, XVII, 75.
Paradiso terrestre descritto, XXXIV,
48 e seg.
Parche, trovate da Astolfo nella Luna,
XXXIV, 88 e seg.
Parigi, Suo assedio, VIII, 69. — sua
situazione, XIV, 105. — difesa dal-
l'assalto de'Mori, ivi, 110. — sue case
di legno incendiate, XVI, 36 e 87.
— mezzo distrutta da Rodomonte,
IP/, 85; XVII, 6.
Patbixio (San). Suo pozzo famoso in
Ibernia, accennato, X, 93.
PiN A bbllo. Trovato da Bradamante, II,
34. — sua donna rapita da Atlante,
ivi, 37 e seg. — va al castello d'Atlan-
te, ivi, 41. — cade abbagliato dallo
scudo di Atlante, ivi, 56. — suo odio
568
INDICE DEI NOMI PROPIU
colla casa di Cbiaramonle,ii'«,66. —
getta Bradamante nella grotta di Mer-
lino, ivi, 70. — incontra Marfisa con
Gahrina,XX,i09.— sua donna altera
e bella, «V/, HO — vien battuto da
Marfisa,/vi,H3.— gli viene spogliata
da Marèsa la sua donna per vestirne
Gabrina,iw,il5.— legge da lui mes-
sa per questo al suo castello, XXII,
47.— fa giurare adAquilante e a*stt0t
compagni di mantenere tal legge, ivi,
63. — viene inseguito da Bradaman-
te, ivi, Tò e seg. — resta ucciso per
mano della medesima, ivi, 96 ; XXII I,
4. — suoi funerali, ivi, 46.
Po, fiume che tanto più cresce , quanto
più s'accosta al roare,XXXVII,92. —
accennato,XL, 'ò\ ; XLII,92.— sua
riviera e sue foci, XLllI, ò'ò e 145.
PoLiMXSSo. Sua ingratitudine verso Da-
linda, V, 6 e 72. — prima amante di
lei, ivi, 7. — poi di Ginevra, da cui
6 mal corrisposto, ivi, 1*2. — sua tra-
ma per infamarla, ivi, 22. — mala
opinione che aveva di lui il popolo,
ivi, 87. — confessa la frande,e muore
ucciso da Rinaldo, ivi, 88 e seg.
FiiASiLOo.Si trova nel castello di atlan-
te, IV , 40. — fugge di là al suono
del corno di Astolfo, XXII, W.
Pboteo, amante della figlia del re di
Ebuda, Vlll,62. — sua vendetta
contro lo slesso, perchè uccise la fi-
glia, ivi, òì, — fugge spaventalo da
Orlando vincitore dell' Orca, XI, 44.
Pbusionx. Va co' suoi alla mostra di
Agramanle, XIV, 27. — assale una
porta di Parigi con Agramante, XV,
7. — va col medesimo contro gì* In-
glesi, XVI, 7ó. — ucciso da Rinaldo,
ivi, 81.
Puliamo. — In mostra co* suoi, XIV,
!22. — resta ucciso da Rinaldo, XVI ,
44 e seg.
R
Rabicano, cavallo d'Astolfo, VII, 77.
— sue qualità, XV, 40s XXXV, 49.
—vien rubato ad Astolfo da Atlan-
te, XXII, 12 torna in sua mano,
disfatto il castello d* Atlante, iVi^ 22.
— da Astolfo è consegnato a Brada-
mante, iV^ 28, xxni,il.
Be (tre), che accompagnavano in Fran-
cia Ullania con lo scudo d'oro,
XXXII, 50. — battuti da Bradamante
alla rocca di Tristano, /fi^ 71 e seg. —
vinti dalla medesima la seconda vol-
ta, XXX li 1,69. — loro dispiacere e
giuramento, ivi, 74 e seg. — capitali
in roano di Marganorre, e liberali da
Marfisa, Ruggiero e Bradaoiante,
XXXVII, 112.
Rete fatta da Vulcano, descritta, XV,
56. — tolta a Caligoranle da Astol-
fo, e donata a Sansonetto, ivi, 97.
Riccardo, conte di Varvecia. Va alla
mostra sul Tamigi, X, 78. — assale
i Mori sotto Parigi, XVI, 67.
Ricciardetto. Sue avventure con Fior-
dìspina, XXII, 39; XXV, 8 e 49.
— raccolto da Aldigiero al suo castel-
lo, ivi, 73.— unito con altri , libera
Malagigi e Viviano, XXVI, 10.—
sente da Malagigi la spiegacione delle
sculture della fonte di Merlino, iW^3S.
— combattendo con Mandricardo,
rade sotto il cavallo, ivi, 77. — va a
Mootalbano, ivi, 136. — ne parte,
e segue Rinaldo, XXX, 94. — atter-
rato da Gttidon Selvaggio, XX XI, 10.
Ricciardo. Va contro Rodomonte io
Parigi, XVIII, 10.—- parte con Ri.
naido da Montalbano, XXX, 94.
RmsDONTB. Si trova co' suoi alla rasse-
gna d' Agramante, XIV, 23.; — pri-
gioniero di Dudone, XL, 73. — libe-
rato da Ruggiero, XLI, 6. — sua
morte, ivi, 22.
RiH ALDO. Contende con Orlando, I, 8.
— incontra Angelica , ivi , 10. — va
contro Sacripante, ivi, 77. — spedito
da Carlo in Inghilterra, 11,26, — en-
tra nella selva Calidonia, IV, 61. —
vede l'abbaaia di quella selva,rVi, 54.
— libera Dalinda dai sicarj, ivi, 69.
— va per liberar Ginevra dall'infa-
mia, V, 78. — uccide Polinesso, ivi,
88, — tenta invano di liberare Astolfo
dalla balena d'Alcina, VI, 42.— ot-
tiene dal re di Scosia soccorso per
Carlo, V 1 1 1, 22. — passa in Inghilter-
ra, iVi^ 25. — ottien gente per soc-
corso di Carlo, ivi, 27. — vien con-
dotto da San Michele e dal Silensìo a
Parigi con mirabil prestessa e quiete,
XIV, 96.— soccorre Parigi, XV 1,38.
— sua parlata all'esercito, ivi^ 32. -~
assale i Mori, e uccide Puliano, ìW«
43. — soccorre Zerbino , ivi^ 78. —
rampogna gli Scossesi fuggitivi, ivi,
80. — uccide alcuni guerrieri, ivi, 81 .
— atterra Agramante, ivi, 84. — fa
strage dei Saracini, XVIII, 45. — va
E DELLE COSE NOTABILI.
569
contro Dardinello, ivi, 58 e i46. —
l'uccide, ivi, i52. — cerca Angelica,
XX VII, 8. — conduce seco da Mon-
talbano alcuni guerrieri « XXX , 93;
XXXI, 7. — combatte con Guidon
Selvaggio, da lui non conoiciuto, ivi,
13. — lo riconosce, ivi, 28. — rompe
la gente di Agramante in tempo di
notte, ivij 50. — combatte con Gra-
dasso per salvar Baiardo , ed ottener
Durindana, ivi, 94; XXXUI, 79.
— eletto da Carlo a combatter contro
. Ruggiero in luogo di tutto l'esercito,
XXXVIII, 65 eseg. — suo amore per
Angelica, XLI 1,28. — cercandola, ca-
pita nella selva di Arde una, ivi, 45.
— assalito dal mostro d'Amore, vien
lilierato dalloSdegno,iW^46e seg. —
beve alla fonte che caccia l'amorryiV^,
63. — suo viaggio per l'Italia, iW,69;
XLIII,53e 145. — ricusa di far prova
della fedeltà della moglie, XLII, 104.
"promette Bradamante a Ruggiero,
XLIV, Uè 35. — sbarca a Marsilia
coi compagni, ivi, 18. — va con essi
a Parigi, ove sono magniBcamente
accolti da Carlo, ivi, 28.
Rodomonte. Comparisce co' suoi alla
rassegna di Agramante, XIV, 25. —
sua insegna, ivi, 114.—- sua ferocia,
iVjjlld.— sua discendenia da Nem-
brotte, ivi, ili. — entra in Parigi in
tempo dell'assedio, iVi, 121.— strage
da lui fatta, ivi, 122. — conduce
le sue genti a morte sensa riguardo,
XV, 3. — fa strage del popolo di Pa-
rigi,XVI,22. — dislruggeParigi,icf^
85; XVII, 6. — rovina la reggia di
Carlo, ivi, 10. — vien raggiunto da
Carlo co' suoi campioni, ivi, 13;
XVIII, 8. — esce di Parigi, ivi, 20.
— sua fona, ivi, 24. — sua collera
alla nuova di Doralice presa, ivi, 34.
— toglieFronlino adIppalca,XXlll,
33. — si batte con Mandricardo,
XXIV, 99. — fa tregua con Io stesso,
e va in soccorso de'Mori, iW^ 112.
— ritrova Marfisa con altri guerrie-
ri, XXV, 4. — ricusa la battaglia con
Ruggiero per andare in soccorso del
suo re, XXVI, 92. — combatte con
Ruggiero per Frontino, ivi^ 116
corre in soccorso di Doralice, portata
dal cavallo indemoniato, iW^ 131. —
fa strage dei Cristiani, XXVII, 18.
— rinnova le contese con Ruggiero e
Mandricardo per opera della Discor-
dia, ivi, 40. ^^ viene estratto il
primo a combattere, ivij 45. —
ba lite con Sacripante per Fronti-
no, ivi, 73. — sua superbia, ivi, 75.
e 83. — posposto da Doralice a Man-
dricardo, iVr, 107. — parte dal campo
Saracino, ivi^ 110. — naviga verso
rAfrica,XXVIII,86.-— siferma pres-
so a Mompelieri e prende stanza in
una chiesa abbandonata, JW«93, 94. —
si accende d'Isabella,iW^98)XXIX,
3. — la uccide involontariamente, in-
gannato da lei medesima, ivi, 25. —
ne sotterra il cadavere nella chiesa ove
abitava, ivi, 31. — ponte ivi fabbri-
cato, e legge imposta da lui, ivi,
33. — sua lotta con Orlando, ivi, 41.
—combatte con Brandimarte,XXXI,
67. — si contenta di tenerlo prigione,
ad intercession di Fiordiligi, ivi, 75.
— è gettato di cavallo da Bradaman-
te, XXXV, 48. — cede a Bradamante
le armi e i prigionieri , e va in una
grotta per un anno, un mese e un
giorno, ivi, 51, 52. — finito il tempo,
viene alla corte di Carlo,e sfida Rug-
giero, chiamandolo traditore, XLVI,
102 e seg. — combalte con Ruggiero
davanti a Carlo e alla sua corte , ivi,
115. — uccìso, ivi, 140.
Ruggiero. Da lui discesero gli Estensi,
1,4. — amante di Bradamante, 11,32.
— va al castello incantato d'Atlante,
ivi,ib. — sua origine raccontata da
* Atlante, IV, 30; XXXVI, 70. — tro-
vato da Bradamante nel castello
d'Atlante, IV, 40. — portato in aria
dall' Ippogrifo, ivij 46. — nel mare
Atlantico, VI, 17.— e nell'isola d'Al-
cioa, ivi, 19. — conforta Astolfo
cangiato in una pianta , iW^ 54. ^
combatte co'mostri di quell'isola, iVi«
65. — combatte e vince Erifilla, VII,
5, 6. — e amante d'Alcina, jf i^ 16.-—
si ravvede del suo errore, ivi, 65. —
odia Alcina, ivi, 70. — lascia la città
di lei, iV j^ 75 e seg.; V 1 1 1, 3.— affronta
l'augel grifagno, ivi, 7. — vien per-
seguitato da Alcina, ivi, 12 ; X , 48.
— andando a Logistilla,- incontra tre
donzelle, ivi, 36. — noi^tiene il loro
invito, ivi, 39. — apprende l'arte
di guidar l' Ippogrifo, e torna in Po-
nente, iVi^ 67. — vede sul Tamigi le
truppe destinate al soccorso di Carlo,
ivi,! A. — giunge all'isola del Pianto,
fVi.,92. — libera Angelica dall'Orca
570
INDICE DEI NOBII PROPBJ
marina, ivi, iil. — perde Angelica,
XI, 7. — perde insieme l'anello e
r Ippogrifo, ivi, i4. — pargli veder
Bradamante rapita da un gigante, iVi«
18. — la cerca invano nel palatio di
Atlante, dal quale vien deluso colla
finta immagine di lei, X 11,1 8. — fugge
di 1^ alsuon del corno d* Astolfo,XX II,
20 e seg. — ritrova Bradamante,
e va seco a Vallombrosa, ivij 31. —
intende il pericolo di Ricciardetto,iVI«
38. — sente la legge di Pioabello, < W^
47. — va al castello di Pinabello , e
batte Sansonetto, ivi, 69. -a. con lo
scudo incantato vince le genti di Pi-
nabello, ivi, 85. — getta in un pozio
lo scodo incantato, ivi, 9 1 ; XX V, 4.— •
salva Ricciardetto condotto a morte,
ivi, 8 e seg. -«sua fona, ivi, 14.^
va al castello di Aldigiero con Ric-
ciardetto, ivi, 71. — sua lettera a
Bradamante, ivi, 86. — va con alcuni
compagni a liberar Malagigi e Vivia-
no, XXVI, 3; ivi, 16, — suo valore,
JW^^O. — ode da Malagigi la spie-
gazione delle sculture della fonte di
Merlino, iVi, 38. — va con Ippalca
contro Rodomonte , ivi, 62. — invia
Ippalca con lettera a Bradamante, iV/,
89. — sfida Rodomonte per Frontino,
ivi, 92 e seg. — sfidato da Mandri-
cardo per l'insegna che porta, ivi,
116. — unUo a Marfisa fa strage dei
Cristiani sotto Parigi, XXVII, 23.
— rinnova le contese con Rodo-
monte e con Mandricardo, ivi, 40. —
si batte con Mandricardo e con Gra.
dasso, ivi, 65. — estratto a sorte per
combattere con Mandricardo, XXX,
24. — - comincia il duello, ivi, 44. —
ha il popolo in suo favore, ivi, 53
e 68. — uccide Mandricardo, e resta
padrone dell' augel bianco e di Bri-
gliadoro, ma soffre lunga malattia, ivi,
64e seg. — dona Brigliadoro ad Agra-
mante,if 1^75. — riceve in donoTron-
tino da Bradamante, da cui viene sfi-
dato, XXXV, 63e 76; XXXVI, 11
sua confusione a tal disfida, ivi, 14.
— suoi dubbj dell'amore di Brada-
mante, ivi, 15. — suoi timori in-
torno alla pugna di lei con Marfisa,
ivi, 26. — le divide, e poi si balte con
Mar6sa, ivi, 50. — ode da Atlante
che Marfisa gli è sorell.i,iW, 59. —
punisce Marganorre, XXXVII, 101.
— viene scello da Àgramante a com-
battere contro Rinaldo, XXXVIII,
64. — il duello s'incomincia, e poi
s'interrompe per colpa d'Agramante,
ivi, 88; XXXIX, 7. — combatte con
Dudone , XL , 75. — suo naufragio,
XLI,19 e 47. — h batteszato da un ere-
mita sopra uno scoglio, ivi, 59. — dal
detto eremita gli vien predetta la mor-
te, cVi^ 61.— i vien accolto da Carlo in
Parigi, XLIV, 29. — incontra molfi
contrasti per le sue nozze con Brada-
mante, ivi^ 36 e seg. — va per ucci-
dere Leone, ivi, 76. — Ta in soccorso
de'BuIgari, ivi, 84 e seg. — eletto dai
Bulgari in loro re , ivi, 97; XLV1 ,
48 e 69. — vien fatto prigione a tradi-
mento da Uogiardo, XLV, 9. — vien
consegnato a Teodora, ivi, 19. — re-
sta liberato da Leone , ivi, 42 e seg.
—combatte per lui con Bradamante,
e la vince, iVi, 64 e seg. — sua dispe-
razione, joi, 84; XLV 1,26.— gli vien
ceduta Bradamante da Leone, ivi,
42. — sue nozze con Bradamante, ivi,
73. — combatte con Rodomonte, ivi,
115 lo uccide, ivi, 140.
Sacbipantb. Incontrasi con Angelica,!,
38. — sua doglia amorosa, ivi, 39. —
combatte con Bradamante e resta vin-
to, ivi, 60 e seg. — va contro Rinaldo,
iW^80. — vien trovato nel castello di
Atlante, IV, 40.' — va con Gradasso io
soccorso d'Agramante, XXVII, 14. —
fa strage de'Cristiani, ivi, 1 8. — muo-
ve lite a Rodomonte per Frontino, e ti
batte seco , ivi, 73. — sua destrezza ,
ivi, 78. — segue Rodomonte che si al-
lontana dal campo, ivi, 113. — è ri-
tardato da varj accidenti, ivi, 114.—
vinto da Rodomonte al suo ponte, vi
lascia le armi, XXXV, 54. — va die-
tro Angelica verso l' Oriente, iVij 56.
Sahsombtto. Trovato in Gernsalemme
da Astolfo, XV, 95. — riceve da luì
in dono il gigante Caligorante e la
rete, ivi, 97. — va alla giostra in Da-
masco, XVIII, 96.-— sue avventure
passate, e suo valore, ivi, 97. — eoo
Astolfo si muove contro il popolo di
Damasco in aiuto di Marfisa, iVj, 114.
— guadagna la giostra di Damaaco,iVf,
133. .-va con nralti compagni in Ci-
pro, ivi, iZ6. — è battuto dalla tempe-
sta, ivi, 141 ; XIX, 43. — approda coi
compagni ad Alessandria, ivi, 54.—